Fanfic su attori > Orlando Bloom
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Autore: ladyvonmark    12/01/2010    12 recensioni
"Siamo andati tutti a scuola -almeno, si spera-. Anche i personaggi
famosi. Anche loro hanno dei compagni di liceo ai quali si sono legati.
Compagni estranei al mondo di Hollywood.
Cecilia Ariani ha 31 anni, è per metà inglese e
per metà italiana. E vive in America -una ragazza
international, insomma-. Ha frequentato il liceo in Inghilterra e,
guarda caso, è finita nella stessa classe di un ragazzo di
nome Orlando Bloom. Chissà chi è questo tizio,
direte voi -notare vena ironica-. Sempre più per caso, i due
sono molto amici. E Cecilia inizia a conoscere qualche amico di
Orlando..."
Prima fanfiction che pubblico -dedicata alla mia androgina Dod XD-.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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bts last Happy Birthday to you!
Quando le forze oscure si uniscono contro la nostra eroina



"Cee..."
No, non voglio andarmene... la sabbia è così bianca...
"Cee..."
Mi piace il mare, mi è sempre piaciuto...
"Cecilia!"
Ancora? Sei mesi fa era Keira e ha portato al disastro, non sarà la stessa cosa, mi auguro...
"Alzati, cesso che non sei altro, o ti prendo a calci sul sedere finchè non entri nel bagno!"
Okay, decisamente non è Keira.
E in effetti era la mia recente coinquilina, Christine, che mi guardava in maniera truce e mi scoperchiava il letto, provocando la mia ira funesta.
Be', Christine non era poi così recente: era stata la mia migliore amica per, quanto?, dieci anni? E poi avevamo litigato. 'Litigato' non è la parola esatta: ci eravamo prese a parole e non ci eravamo parlate per circa un anno.
Lei e l'altra mia amica storica erano state solo l'ennesima crepa nella mia vita pessima, certo. E in effetti erano state la prima cosa che avevo tentato di rimettere a posto quando avevo deciso di sistemare un po' di cosette. E mi avevano perdonata subito, sante donne. A parte quando i buttavano giù dal letto in maniera poco carina, come quel giorno.
"Alla faccia del buongiorno", commentai, barcollando giù dal letto.
"Seh, seh, come no. Sono le otto".
"Certo che potrestiCHEORESONO?!"
"Le otto. Anzi, le sette e cinquantanove, ad essere precisi".
"STRONZACHENONSEIALTROPERCHèNONMIHAICHIAMATAPRIMA?!"
Sì, era una delle mie migliori amiche. Fosse stata un'altra, mi avrebbe subito cacciata di casa, se le avessi parlato in quel modo.

Mi ero precipitata al lavoro, arrivando con tre minuti di ritardo. Mi ero data da fare con le ordinarie faccende da sbrigare e la pausa pranzo era arrivata velocemente.
Erano settimane che temevo quel giorno.
Ero terrorizzata, nervosa. Nevrastenica è la parola più adatta, direi.
Era il 13 gennaio. Corrispondeva al compleanno del mio caro amichetto Orlando, che aveva organizzato una festa. Grande. Piena di invitati.
Ci sarebbe stata Keira, Dom con Sarah, perfino Christine.
E ovviamente ci sarebbe stato lui.
"Che ti metti?".
Tipica conversazione femminile. Ero bloccata davanti al mio armadio, pensierosa.
"Non so. Jeans. Qualcosa di carino sopra".
"Donna, non osare".
"Non osare?".
"Cecilia, Cecilia, Cecilia".
"Sarah, Sarah, Sarah...", le feci il verso, visto che mi stava alquanto irritando in un giorno in cui io non dovevo essere irritata.
"Ascoltami: hai idea di quanta gente ci sarà stasera? Zitta, è una domanda retorica. E hai ideai di che gente ci sarà stasera? Altra domanda retorica. Modelle. Attrici. Con corpi scheletrici. Da urlo. Quindi TU non indosserai niente. Del. Genere".
"Senti, Sarah-".
"Sta' zitta e passami Chris".
"Non ci penso nemmeno!". E che non le conosco, io? Chissà che cavolo mi combinano...
"PASSAMELA. ADESSO!"
"Va bene, va bene. Io vi detesto, comunque".

"Io vi detesto!".
Chris prese e mi trascinò fuori di casa. Destinazione? Casa di Keira. E perchè? Perchè "sei una cretina! In questo armadio faraonico nonhai un fottuto vestito elegante?!" testuali parole.
E quindi mi costrinse ad andare a casa di Keira, a prendere un vestito assolutamente perfetto.
Mi veniva da omitare. Ma almeno mi stavano evitando di pensare a chi ci sarebbe stato a quella dannatissima festa, quindi tanto meglio.
Appena arrivate, fui investita dauna valanga di insulti da parte della proprietaria di casa ovvero la mia pseudo-amica, che mi ficcò in mano un qualcosa di non bene identificato. E poi ci fu sbattuta la porta in faccia.
E poi venni trascinata a casa, di nuovo.
Tra ventiquattro ore sarà tutto finito.

Scesi dalla macchina e cominciai a salire le scale, maledicendo l'inventore dei tacchi.
Sicuramente un uomo.
Dovetti tenermi la gonna del vestito in mano perchè non si sporcasse e pensai che avevo sempre sognato di farlo -ma non volevo dare a Chris la soddisfazione di sentirmelo dire, quindi tacqui.
Ebbene sì, stavo tremando. Ero terrorizzata, più di tutta la mattina, di tutto il pomeriggio e tutto il resto.
Christine mi precedette al guardaroba e mi trascinò dentro il locale.
Esteticamente era bello, dovevo ammetterlo.
Ed era pieno di gente.
"Oh, mio Dio".
"Che c'è?", chiese Chris, non capendo.
"Mi guardano tutte!", grugnii isterica.
"Sono invidiose?".
"No, si sono solo accorte che la stoffa che doveva coprire il loro sedere da modella, è tutta addosso a me!"
Chris alzò gli occhi al cielo e fece la cosa che più si addiceva al momento: cambiare discorso. "Troviamo Orlando, va'"
Questo non servì a diminuire il mio grado di isteria, poichè ad un certo punto potei sentire forte e chiaro una tipa che sembrava una canna di bambù per quanto era magra che diceva alla sua amica-canna-di-bambù-pure-lei: "Non credevo che Orlando conoscesse le suore... insomma, come si è vestita? Una tuta da palombaro l'avrebbe coperta di meno...".
Certo, solo perchè tu vai in giro con le tue regali natiche da insetto stecco al vento, brutta str-...
"Non lo trovo", osservò la mia amica. Che arguzia.
In effetti, però, trovarlo non fu facile; per diversi motivi:
c'era troppa gente;
c'era troppa gente famosa;
il tacco assassino -l'iventore doveva essere stato un uomo;
Chris.
La suddetta amica non era abituata a tanta gente famosa, perciò saltellava noncurante, come se si trovasse al museo delle cere.
"Ma quello è... OMMIODDIO! E lì... guarda lì!"
Mi aspettava una lunga serata.
Per fortuna di lui non sembrava esserci traccia.
Alle mie spalle una voce. Sapevo che non dovevo cantar vittoria finchè non fossi tornata a casa mia.
"Ehilà, signore!".
Gelai. E mi voltai. E potei riprendere a respirare.
"Dom! Come sono contenta di vederti!", gli saltai al collo, mai ero stata tanto felice di vedere la sua faccia.
"A-anch'io?".
"Non farci caso", disse Chris, "aveva paura che tu fossi qualcun altro...".
"Qualcun'altro?".
Ed eccole qui, le mie persecuzioni: Dominic, Sarah e Christine.
"Ciao, Sarah", mormorai abbattuta. Povera me.
"Avevi paura che fosse lui, Cecilia?". Discretissima Sarah, come al solito.
"No".
"Certo che sì", mi corresse Dominic.
"E' ovvio", s'aggiunse Chris.
"Tanto io che parlo a fare", mi morsi la lingua, evitando di insultarli pesantemente. Mi aspettavo che arrivasse Keira: non c'è due senza tre. E visto che Dom non contava, in quanto uomo, quindi sottosviluppato in perfidia e crudeltà...
"Sta' tranquilla", disse Sarah, "Mr Depp non è ancora arrivato, quindi la vostra storia d'amore de-".
"Sì, certo", ringhiai, "vogliamo farlo sapere a Los Angeles, New York e magari anche Londra? Non ho paura di lui... e soprattutto non c'è stato niente di niente, quindi evita di urlare cose insensate, chè i pettegolezzi fioccano e-".
"Finalmente vi trovo!", appunto.
"Ciao, Keira", dissi.
"Il funerale era un po' più avanti, Cee".
"Ah. Ah. Ah. Ma che bella battuta".
"Non farci caso", fece Chris, "è solo un po' nervosa".
"Ma lui non è ancora arrivato!", fece Keira come se fosse ovvio. Mi stavano decisamente stressando.
"Certo, okay, potresti dirci", intimai con sguardo assassino, "dov'è Orlando?!".
Dovevo essere spaventosa, la versione femminile di Jack Nicholson in Shining, perchè Keira indietreggiò un pochino e annuì, cominciando a camminare. Per di più, Sarah e Christine presero a ridere. Ma chi me l'ha fatto fare di presentarle, quelle due?!

Uscimmo dall'ambiente principale per ritrovarci in un salone più piccolo e meno caotico, con più luce. Una volta indicatoci, potemmo raggiungere finalmente Orlando.
...
Ci avete creduto? Ecco, piccoli, poveri ingenui. Dovreste avere imparato... dov'eravamo?
... un salone più piccolo e meno caotico, con più luce. Orlando era intento a parlare con un tizio e io sospirai di sollievo osservando che lui non era da nessuna parte.
Tranne che di fronte ad Orlando.
Mi gelai. Merda. Merdus-a-um.
Le gambe non volevano saperne di proseguire. C'erano circa dieci metri di distanza tra di noi. Lui non mi aveva vista, mi dava le spalle. Ma io l'avevo riconosciuto subito, purtroppo o per fortuna. Mi voltai verso le mie amiche, cercai di nascondermi dietro Dominic, ma sembrava sparito. Soprattutto le tre infami -perchè erano tre infami- mi placcarono, bloccandomi.
"Vi ammazzo", ma suonava troppo come una supplica.
"Muoviti, non hai tre anni!".
"No!".
E poi fu la fine.
"CECILIAAAAA!"
Qualcuno ricorda il crac dell'iceberg del Titanic? Ecco.
Avevo capito dove era finito Dominic, il più infame di tutti. Meditavo già vendetta. Era lì, accanto a lui e ad Orlando, a gongolare di soddisfazione.
"Cecilia", intimò Chris, "cresci".
Posso farcela.
No che non posso. No, no, no, no!
Invece sì.
E se fingessi uno svenimento?
Più prolungavo, più sarebbe stato imbarazzante. Stava diventando davvero patetico, tutta la situazione era patetica, io che lo evitavo e tutto. Avevo tre anni?
Vabbè, ne ho quattro.
Quindi, coraggiosamente, camminai fino al mio caro amico e lo abbracciai, poggiandogli un bacio sulla guancia. Non lo avevo degnato di uno sguardo. Molto maturo, Cee, davvero.
"Buon compleanno, Orlando", dissi, "sappi che lo faccio solo per te".
"E che sarà m-... okay, okay. Grazie".
Mi avvicinai a Dominic e sorrisi, degna erede di Blair Waldorf. "Giuda, sto meditando vendetta".

In tutto quel caos, finii da sola. E non che me ne lamentassi.
Sarah e Giuda stavano tubando sdolcinatamente e non era ancora tempo che la mia ira funesta si abbattesse su di loro.
Orlando... be', okay, il suo ruolo non permetteva che mi tenesse compagnia. E oltretutto era con la sua nuova ragazza-canna-di-bambù. Ah, vallo a capire.
E Chris... lei era socievole. Faceva pubbliche relazioni. Con un tizio che, avrei giurato, faceva di cognome Butler. Lei la capisco!
E Keira parlava con Jerry Bruckheimer e lui. Era bellissimo. Lui. Non Bruckheimer. Ma la conversazione non sembrava molto pacifica, perchè ad un certo punto lei aveva cominciato a gesticolare lo sguardo tra lei e lui e lui predicava.
E poi lei indicò me.
Oh, merda.
Okay, era tempo di defilarsi. Recuperai un flute di champagne e mi fiondai fuori, dopo aver scartato il guardaroba come possibile nascondiglio, ma solo perchè Keira mi avrebbe trovata più facilmente lì.

Era un posto perfetto per nascondersi. Una rientranza, un balconcino riservato-
Meraviglioso.
E quelle cose accadevano nei film. E basta. Lui và da lei sul terrazzo. Ma solo nei film. E nei film lei lo desidera. Io invece proprio no. Era l'ultima cosa che potevo volere. E il mio lui era puntualmente arrivato.
Dov'è la nuvoletta della sfiga?
"Sei una persecuzione", disse. Sembrava tranquillo. Non sapevo che faccia avesse, non osai guardarlo. Non volevo scadere nel banale e, soprattutto, vedere quanto era ovviamente bello e quanto mi dovessi mangiare le mani.
"Dovrei essere io a dirlo", dissi freddamente. Sì, così andava bene. Piede di guerra.
"Almeno mi rivolgi la parola. Non mi saluti neppure". Scontro tra titani: Gelo contro Ghiaccio. Chi vincerà? "Ma non posso lamentarmi. Posso solo immaginare quante volte hai invocata la mia morte.
Naaa... e poi chi lo fa Roux? E Sir James M Barrie?
"Sei un po' drastico, no? Potrei avere le mie ragioni, certo. Ma arrivare a invocare la tua morte...".
Lui ridacchiò. Io non ci trovavo assolutamente niente da ridere.
"Ti trovo bene, Cecilia".
Mi feci forza e mi voltai, sorprendendolo a fissarmi. Lui distolse lo sguardo.
"Non ti rispondo nemmeno", commentai. Cercai di addolcire i toni, ma non per questo dovevo dirgli -di nuovo- quanto bello e affascinante fosse. "E comunque sto rimettendo in ordine la mia vita".
Sì, era vero e volevo che lo sapesse.
"Ne sono felice. Cos'hai combinato ultimamente?".
Pensai che le parole non erano il suo forte... combinato? Che razza di frase brutta era? O forse ero io ad essere esageratamente cinica e rompic-... precisa e distruttiva.
"Ho... be', mi sono trasferita. E ho trovato un lavoro. Un lavoro normale, tranquillo. Con gente normale. Ho ricominciato ad avere degli orari, dei punti di riferimento, delle responsabilità. E' una cosa che ogni tanto si dovrebbe fare. E sto parlando più di quanto dovrei, come mio solito".
Lui rise lievemente.
"Sono contento che tu stia meglio".
Era una mia stranissima sensazione o stava davvero chiedendomi scusa?
"Grazie".
Se da un lato avevo anche io le mie responsabilità in tutta quella stupida e immatura storia, avevo anche bisogno che mi dicesse che gli dispiaceva. Avevo bisogno di scuse. E non sembrava intenzionato a darmene. E io non ero intenzionata ad accontentarmi. Sapevo che me ne sarei pentita, ma avevo un rispetto per me stessa che dovevo recuperare. Perciò troncai.
"Bene, allora io rientro". E rientrai. O meglio mi ritrovai davanti la tipa-canna-di-bambù con uno strafigo che doveva essere la versione umana di Ken: stessa faccia perfetta e plasticata, stessa espressione finta, stessa carica emotiva -cioè zero. E alle mie spalle arrivò lui, blaterando chissà cosa. La voglia di prendermi la rivincità su quella stronza fu improvvisa e violenta. Mi avvicinai a lei col ghigno di una iena.
"Prendi nota", dissi zuccherosa, "vestirsi come una porno-star non paga sempre. Guarda con chi vado in giro io".
"Cee", mi richiamò lui.
Era ancora evidentemente alle mie spalle. Mi voltai e lasciai che mi conducesse di nuovo in quel luogo appartato.
"Sì, certo, sono infantile", partii in quarta, "ma non me ne frega niente, quella stronza se lo meritava e si meritava molto di più, che per esem-".
"Scusami".
"Oh, ma la soddisfazioneh?".
"Ti devo... delle scuse. Ho fatto un casino. Ho usato te. Non considerando neanche alla lontana i tuoi sentimenti. E... sapevo di provocarti, ovviamente. Sapevo anche che non volevi. L'avevo capito. Ma ho continuato. E... e, insomma, adesso potresti anche dire qualcosa, no?".
"Che cosa, Johnny?".
"Era un periodo incasinato e questo non mi giustifica. Non so in quale altro modo scusarmi. In effetti faccio schifo in queste cose. E... non so, hai intenzione di parlare? Di urlarmi contro che sono un immaturo? E' solo per saperlo, se devo schivare quel flute...".
Risi, ma aspettai prima di parlare.
"Okay".
"Okay, mi tiri il flute o okay, mi urli contro?".
"Okay, accetto le scuse. Sei stato immaturo. Ed egoista. E non nego che quello che mi hai detto mi ha ferita. Ma anche io sono stata immatura. E tu non potevi sapere come avrei reagito alle tue... ehm... attenzioni, diciamo pure così. E infatti ho reagito male, mi sono comportata come una quattordicenne respinta dal più bello del liceo".
"Non esagerare, dai".
"No, è vero. E' vero, quindi c'entravo anche io. Scuse accettate. Ne ho abbastanza di preoccuparmi di dove sei per evitarti. E' davvero infantile".

"E' l'una e mezza", constatai. Era stato già abbastanza galante da darmi la sua giacca, aveva capito che altrimenti sarei rientrata dentro. Invece eravamo rimasti a parlare per tanto tempo e io gli avevo raccontato cosa avevo provato durante tutto quel tempo. In effetti tutta quella vicenda mi aveva mostrato che avevamo un buon feeling. In senso buono, ovviamente.
Gli raccontai di me, della mia famiglia, della mia vita. Mia madre, mio padre, la psicoterapia che avevo ricominciato, il mio adorato psicologo.
"E' ora che rientriamo", fece, "chissà cosa penseranno".
"Che cosa ti ha detto Keira prima?", chiesi, riferendomi a quando mi avevano indicata.
"Oh, mi ha solo minacciato con parole che non sono adatte alle orecchie di una soave donzella quale sei. E ha ringhiato che se non venivo a chiederti scusa, mi castrava lì, davanti a tutti. Credo fosse un po' ubriaca".
Scoppiai a ridere e gli porsi la giacca, avviandomi verso il locale.
"Grazie per la chiacchierata", dissi.
"Ehi, Cee", mi fermò.
"Dimmi".
"Siamo di nuovo amici?".
Mi voltai a guardarlo e alzai le sopracciglia, scettica.
"Non lo siamo mai stati", dissi con un sorriso.








Aggiornamento flash prima di scappar via.
Volevo postarvelo domani, al compleanno reale di Orlando, ma non credo di fare in tempo.
Alle recensioni risponderò all'epilogo, perchè ebbene sì, questo è l'ultimo capitolo, o eventualmente via messaggio.
Vi adoro, lo sapete. Scusate eventuali errori, dovrebbero essere tutti di battitura.

Ah, questo:
Vestito di Cecilia

e questo, cioè la nostra adorata protagonista:

Cecilia Ariani

ah, a proposito, Sarah mi ha invogliata a farmi questa cosa dove potete scrivere le domande e io rispondo. non serve assolutamente a nulla, visto che di domande non credo ne avrete, ma io vi lascio il link, giusto per mettermi un po' in mostra: formspring.me

  
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