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Autore: 9Pepe4    12/01/2010    4 recensioni
Il sangue gli pulsa nelle tempie, e la sola vera cosa che può fare in quel momento, con un’arma stretta in mano, è sentirsi vivo.
{Melvin Purvis}
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Un enorme grazie:
Ad Abby, alla Gregga e ad Achamo, perché sono ottime amiche e probabilmente le sole persone al mondo disposte ad assecondare questa insana passione - tant'è vero che Abby è la migliore amica, la Gregga è Floyd e Achamo è Dillinger;
A Melvin Purvis, perché grazie a lui ho un nuovo idolo da venerare (nonché qualcuno da cui travestirmi per Carnevale);
A Christian Bale, perché nei panni di Purvis è stato a dir poco perfetto;
E, infine, a chiunque avrà il coraggio di leggere quello che segue e sarò tanto valoroso da arrivare sino alla fine.



Il tempo si è nascosto


Ha freddo al volto.
Ma non ha tempo per preoccuparsene. Non ha nemmeno il tempo di pensare, mentre corre nel bosco, tra le foglie e i tronchi degli alberi, mentre incespica sulle tracce del più imprendibile tra tutti i gangster.
Il sangue gli pulsa nelle tempie, e la sola vera cosa che può fare in quel momento, con un’arma stretta in mano, è sentirsi vivo.
Nonostante il vento gelido, nonostante il cielo sia solo un lago d’inchiostro ghiacciato sopra la sua testa, si sente i sensi infiammati dall’adrenalina, mentre ogni pigmento – per quanto scuro che sia – pulsa e sussulta tra i rami e le fronde.
Melvin Purvis si sente vivo, e non ha nemmeno il tempo di pensare ad una possibile causa.
Forse per il cuore che gli batte furioso tra le costole, che palpita all’impazzata contro il suo petto; forse per il respiro affrettato che gli dilata le narici e gli increspa le labbra semiaperte.
Sa solo – con una consapevolezza che nemmeno si rende conto di essere tale – che l’aria gelida della notte non gli ha mai bruciato tanto il volto, e che non ha mai sentito con tanta chiarezza il sangue scorrere nelle vene, pompato con energia dal cuore martellante.
Il piede rischia di scivolare, ma Purvis recupera l’equilibrio e riesce a non bloccare né a rallentare la propria corsa.
Respira in fretta, riempiendo i polmoni avidi di ossigeno.
Si sente vivo, e non sa se la colpa sia del fatto che entro poco tempo potrebbe non esserlo più, basterebbe un lieve battito di ciglia e la flessione di un dito. E potrebbe morire, potrebbe abbandonare tutte le sensazioni che gli si agitano dentro, ancor prima di rendersi conto del pericolo. Basterebbe un uomo appostato tra gli alberi, o tra quegli arbusti contorti che sembrano artigli in grado di ghermire ogni astro del cielo.
Nonostante la tensione che si sforza di soffocare, si sente vivo come non mai.
E non è l’obbiettivo, non è la cattura di Dillinger che gli fa percepire la vita con tanta chiarezza, che gli fa sembrare ogni linea tanto nitida e ogni sbuffo tanto reale.
È la rincorsa. È adesso e ora, è il tempo presente che lo scaraventa a capofitto, senza riguardo, nel momento successivo.
È come se stesse precipitando sempre di più nel futuro.
È come cadere in un baratro, rendendosi conto di aver sofferto di vertigini per tutta la vita, e accorgendosi di quanti momenti opachi si sarebbe risparmiato accantonando le proprie paure e gettandosi da subito nella voragine.
Il rumore assordante di alcuni spari si infrange contro le sue orecchie, e per un frammento di secondo, Purvis si chiede se dovrebbe provare una minima dose di paura.
Ma non può, e non è questione di autocontrollo o sangue freddo. Si sente troppo vivo per temere un solo momento di quella rincorsa.




C’è una temperatura torpida, all’interno degli uffici.
Pare che quel calore irreale, apatico, si sia trascinato via l’atmosfera vittoriosa, quasi allegra, che per un po’ ha dominato, sulle facce e sugli atteggiamenti dei giovani agenti, nella sede dell’FBI.
Quel calore assonnato sembra aver cancellato l’ottimismo che per un po’ è regnato, colmo di fierezza e di sollievo per aver assistito all’evento che ha scritto la parola fine alla storia di Dillinger. Che, per lo meno, ha concluso la sua vita come uomo.
Perché, come leggenda, il gangster vivrà ancora a lungo.
Melvin Purvis, imperturbabile, osserva con indifferenza il paesaggio bigio di Chicago da dietro il vetro di una finestra.
Respira lentamente.
Il suo battito è tranquillo, tanto calmo che l’agente potrebbe scordarsi di avere un cuore.
La mattinata è stata spolverata via con lentezza esasperante, tra le visite monotone degli ancora eccitati e scalpitanti giornalisti, tra le relazioni e i rapporti da compilare.
Tutto come al solito, e può già prevedere con chiarezza come si trascinerà avanti pigramente il resto della giornata.
Stranamente, mentre incrocia le braccia sul petto, Purvis le stringe impercettibilmente un po’ di più, come a cercare di colmare una qualche mancanza improvvisa.
Inaspettatamente, si sente vuoto.
E non ha bisogno di pensare per sapere cos’è che gli manca, anche se adesso per meditare il tempo basta e avanza. Lo sa cosa gli manca, ma preferisce non ragionarci.
Allora non ci ragiona, ed è stranamente semplice non farlo, grazie a quella temperatura apatica.
Si massaggia una palpebra, come a voler cancellare il ricordo di tutti i flash che lo hanno investito, in contorno a tutti i giornalisti che gridavano le loro domande.
Sempre le stesse identiche domande.
E alcuni dei loro volti li aveva già visti, e sapeva che certi di loro erano tra quelli che si erano ammassati attorno al cadavere di Dillinger, tempestandolo di fotografie, eccitati e avidi di quella novità. Come avvoltoi attorno alla preda.
Purvis non può fare a meno di pensare al fatto che ora gli verrà affidato un nuovo caso – e chissà quale – e si sente quasi rassegnato a quell’idea. Non lo interessa minimamente.
E la scrivania è solo una scrivania, e la sedia è solo una sedia, e le scartoffie sono solo scartoffie.
Nulla è più di quel che appare.
Il respiro di Purvis appanna la finestra senza che lui l’abbia sentito tra le labbra.
Dillinger. Caso chiuso. Finito. Portato a compimento. Obbiettivo raggiunto.
La segretaria, da qualche parte nei pressi dell’ufficio, risponde al telefono. Dice qualcosa, ma i muri assorbiscono il significato delle sue parole, se ne impossessano, rendendo le sue frasi solo suoni insensati.
Melvin Purvis è bloccato. Non deve rincorrere più nessuno.
E il futuro è diventato noioso e prevedibile, scontato. E il presente è opaco e spento. E la vita che probabilmente ancora scorre nelle sue vene e batte nel suo cuore… Quella non si fa più sentire.






Alcuni chiarimenti sul... sull'esperimento dal dubbio successo che precede:
Ho visto il film un po' di tempo fa (a Novembre, credo), e purtroppo non lo ricordo bene. Mi sono subito affezionata a Purvis e da un po' volevo scrivere qualcosa sul suo conto, e finalmente è arrivata la folgorazione. Non so se abbia senso, non so se sia leggibile, ma spero di sì.
Comunque sia, la prima parte è riferita ad uno dei tanti inseguimenti, quando Dillinger è ferito alla spalla (credo. La mia memoria non è molto affidabile) e si fermano in una locanda, o qualcosa del genere - lo so, e chiedo scusa, questa spiegazione non serve più di tanto.
La seconda parte, invece, è ambientata dopo la fine del film, quando Dillinger è stato già ucciso (Johnnie!).
Pregando di non aver fatto troppo casino saluto tutti gli sventurati che si sono azzardati ad aprire questa pagina, e spero di non averli delusi.
  
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