PART
SEVENTEEN –
“CHAOS”
Da qualche parte nel cuore dell’angoscioso antro, là dove unica vera fonte di
luce s’irradiava il misterioso talismano dimenticato nei meandri del tempo,
come volto a solennizzare l’ingresso del suo, ancora più oscuro, attuale
possessore, un silenzio altrettanto religioso sostituì brevemente le domande e
le constatazioni di appena pochi attimi prima, quasi a completare l’irreale
atmosfera.
Shingo sorrise compiaciuto, forse meditando le parole adatte a far schiudere le
sue labbra, da cui ormai tutti pendevano: soprattutto la vecchia amazzone, ma
anche gli altri artisti marziali che solo allora stavano facendo la sua
sgradita conoscenza. Più probabilmente, si divertiva ad ammirarli, ignari
burattini invischiati nei suoi fili. Un tipo cui piaceva enormemente tenere in
pugno la situazione, così almeno pensò Cologne.
Ranma, lui pure sorrise. Un sorriso di sfida, però, il suo. Il sorriso di chi
aveva ritrovato finalmente la sicurezza, e la certezza che le cose stavano
tornando alla, pur anomala, normalità. Più di tutto, il sorriso di chi sapeva
che l’ora della verità era infine giunta. Non che volesse poi tante risposte.
Una sola. All’unica domanda che aleggiava nella mente del giovane col codino.
Perché lui?! Tutto quello che Shingo aveva fatto, e stava facendo, era per lui.
L’aveva persino recuperato da un’altra dimensione. Quale, il motivo?! Continuò
a scrutare gli occhi impenetrabili dell’altro, che parevano fare altrettanto
con i suoi, come in un duello invisibile di sguardi, la cui vittoria sarebbe
forse potuta consistere nella fine di tutti i misteri.
“Molto simili.” queste le parole con cui a Shingo piacque di rompere la muta
atmosfera.
“Uh?!” bofonchiò Ranma, colto evidentemente alla sprovvista.
“Dicevo che io e te siamo molto simili.” riprese l’altro. “Anch’io, come te,
pratico le arti marziali. Anch’io, come te, ho trascorso gli anni della
giovinezza in un continuo peregrinare: alla ricerca di nuovi luoghi e nuove
tecniche, per diventare sempre più abile e forte.” Strinse impercettibilmente
le pupille. “Proprio come te.”
Il giovane Saotome si morse appena il labbro. Un artista marziale. Dunque aveva
visto giusto fin dall’inizio, almeno in questo. Ma era certo che le passate
esibizioni di Shingo non fossero farina del suo sacco. Comunque stessero le
cose, la consapevolezza di avere di fronte un avversario tale non solo per quel
medaglione – beh, non lo lasciava indifferente.
“Ebbi molti anziani maestri.” continuò il suo interlocutore. “Apprendevo
rapidamente i loro insegnamenti, ma non mi bastava. E chiedevo sempre di più.
Finché uno dopo l’altro mi scacciarono, ciascuno a suo modo lamentandosi della
mia impazienza. Ma i fatti stavano diversamente. Fui io, piuttosto, ad
abbandonarli alle loro sciocche verità e alla loro saggezza solo presunta.
Perché aspettare di ridurmi all’ultimo sospiro di vita, prima di aver imparato
quel che mi serviva, così da non avere nemmeno il tempo di metterlo in pratica?
Tempo, io, non ne avevo da perdere.”
Ranma guardò appena con la coda dell’occhio gli altri, che ascoltavano
attentamente e forse più concentrati di quanto non fosse lui stesso. Scorse
persino suo padre, sotto forma di panda, dapprima annuire gravemente al
discorso iniziale sui duri allenamenti di un artista marziale e dopo borbottare
qualcosa che sarebbe probabilmente risultato incomprensibile pure in lingua
umana, di fronte al disprezzo che Shingo non si curava di celare nei confronti
dei suoi maestri. Il ragazzo col codino sapeva che quel codardo del suo vecchio
doveva trovarsi da qualche parte nella caverna, ma non si aspettava che lo
avrebbe visto uscire allo scoperto in una situazione così delicata.
Evidentemente la curiosità aveva avuto la meglio anche su di lui.
“Quindi mi trovai a visitare i più remoti villaggi della grande Cina” le parole
dell’altro catturarono nuovamente l’attenzione di Ranma, che pure non vedeva
l’ora che quello arrivasse al sodo “scoprendo in ogni posto qualcosa di nuovo e
che mi permetteva di accrescere sempre maggiormente la mia forza.” Shingo si
fece più serio. “Eppure non bastava. Vedevo davanti a me gli anni scorrere, e
la vita scivolare come un soffio. Gli allenamenti non erano sufficienti. Volevo
la forza, ma subito.” I presenti tremarono impercettibilmente davanti
alla violenza con cui il tipo del medaglione aveva marcato l’ultima parola.
“Fu dunque per questo che, non appena venni a conoscenza dell’esistenza di Zhou
Chuan Xiang, il dubbio non ebbe nemmeno il tempo di adombrare la mia mente.
Fonti che avevano la capacità di trasformarti negli esseri viventi più forti
del creato!… Il potere, istantaneo, era ad un passo da me.”
Ranma ripensò distrattamente a quando Taro, molto tempo prima, gli aveva detto
una cosa molto simile: si era tuffato una seconda volta nelle fonti, di sua
spontanea volontà, proprio allo scopo di diventare più forte. Così gli aveva
confermato, almeno, ma lui proprio non riusciva a comprendere. Non comprendeva
come si potesse ottenere qualcosa senza conquistarlo con il sudore dei propri
sforzi. Questa, l’unica cosa buona che riteneva gli avesse insegnato suo padre.
“Dunque, qualche tempo fa, mi recai alle Sorgenti Maledette. Senza perdere
tempo, domandai alla guida quale fosse, tra le tante, la fonte con la leggenda
più tragica, quella che potesse donare maggior potere. Il cinese mi rispose che
era la prima volta, da che lui lavorava in quel posto come guida, ed erano
perlomeno vent’anni, era la prima volta che un visitatore si presentava apposta
per tuffarsi in una delle pozze d’acqua maledette. Mi fece vedere varie
sorgenti, che avevano memorizzato l’aspetto di decine di animali selvaggi,
nonché alcune fonti che avevano dato vita a stranissimi incroci, poiché vi
erano finite più creature. Ma nessuna di quelle catturava la mia attenzione.
Spiegai le mie intenzioni e quindi l’uomo con la veste del partito comunista
cinese mi illustrò delle fonti di diverso genere: fonti dove erano cadute
divinità ed esseri superiori, che non si limitavano a trasmettere l’aspetto
fisico ma anche le loro anime.” Ranma annuì. Capì che il caso di Asura
rientrava tra questi.
“Ero interessato, questa volta, ma non mi accontentavo.” continuò Shingo. “La
guida mi fissò attentamente e capì qual era la fonte che avrebbe fatto al caso
mio.
Mi condusse in disparte rispetto al resto del campo leggendario, là dove stava
una fonte isolata dalle altre e per di più circondata da una specie di shimenawa¹
sul quale erano apposti numerosi sigilli. Chiesi di che cosa si trattasse e la
guida, volendo lodare la tenacia di uno come me che, anziché finire per sbaglio
in Jusen o recarvisi senza conoscerne le tragiche leggende, era giunto fin lì
apposta per potenziarsi, decise di soddisfare la mia curiosità. Mi disse che
quella fonte era chiamata Muchitsujonichuan e che ad essa era legata la
più tragica delle leggende che era nata nel campo Jusen.
Mi raccontò di Muchitsujo, di come il supremo dio del Caos aveva creato questo
posto. Di come ingannò perfino un altro dio, convincendolo ad immergersi nella
fonte Nannichuan per poter stare con altri umani e specialmente con la
donna umana di cui era innamorato. Ed infine di come venne sigillato, per
espiare le proprie malefatte, nella fonte che ora si trovava davanti a me.
Inspirò quindi una boccata della sua pipa, sbuffò una nuvoletta di fumo e
ribadì con aria divertita che immergermi in quella fonte mi avrebbe certamente
dato il potere che cercavo: nientemeno che quello di una divinità originaria!
Era una fantasia, però, si affrettò a spiegarmi dopo che ebbe realizzato come
io avevo preso sul serio il suo racconto. Le divinità dell’Ordine in persona
avevano provveduto a sigillare quella fonte, raccontava la tragica leggenda, e
certo un semplice umano non avrebbe mai potuto spezzare il campo d’energia
creato dallo shimenawa. Mi disse poi che era finito il tempo di
scherzare e che adesso doveva badare agli altri ospiti: un paio di visitatori
rimasti vittima di Jusen qualche ora prima, che lui, per sdebitarsi di non
averli avvertiti in tempo, si era offerto di accompagnare per alcuni villaggi
della regione tra cui quello delle donne di polso.
Improvvisamente, mentre ancora meditavo sul da farsi assieme alla guida davanti
alla Muchitsujonichuan, delle ombre fecero la propria comparsa e sparirono
ancora più veloci di com’erano arrivate. Un momento dopo avvenne qualcosa di
straordinario. Una luce avvolse la sorgente. Lo shimenawa si spezzò. La
guida si mise le mani in volto, terrorizzata. Accennò a tornare nel suo rifugio
per sostituire la corda e così non poté vedere in tempo che io avevo
approfittato di quell’insperata occasione per tuffarmi nella fonte.
Come previsto, sentii Muchitsujo entrare in me: tutti i suoi indescrivibili
poteri ora erano miei. Ma c’era una cosa che non avevo previsto. La sua anima
immortale stava prendendo velocemente il sopravvento sulla mia, mi stavo
trasformando nel dio supremo ma quella trasformazione andava annientando allo
stesso tempo la mia identità. Cercai di resistere e, con un immenso sforzo
della mia volontà, forse quello che molti chiamano istinto di sopravvivenza,
riuscii ad uscire dalla sorgente: ma il tentativo fu inutile. Quella per me
poteva essere la fine, probabilmente la mia anima sarebbe stata cancellata
dalla manifestazione divina. Avevo già perso ogni controllo del mio essere,
quando inaspettatamente tutto finì così com’era cominciato.
La lucidità tornò in me, e ritrovai lentamente piena cognizione di quello che
accadeva nel mondo esterno. Sentii dapprima una sensazione di calore, quindi
potei scorgere la guida con un pentolino vuoto in mano. Conoscevo il
funzionamento delle fonti di Jusenkyo e capii subito: la guida mi aveva versato
dell’acqua calda. Pensai dunque di essere salvo. Così sarebbe stato,
normalmente: difatti l’acqua calda ha l’effetto di quietare lo spirito
risvegliato dal tuffo nella sorgente, così come l’acqua fredda provoca al
contrario il suo risveglio, ricreando ogni volta le condizioni originarie della
caduta nella fonte, che infatti è fredda. Questo, tuttavia, non fu il mio caso.
Passò solamente qualche secondo di quiete. Quindi lo spirito di Muchitsujo
tornò ad imporsi su di me, anche se questa volta nessuna trasformazione era
visibile dall’esterno. La guida mi spiegò che purtroppo lo spirito di una
divinità suprema non era facile da imprigionare, col mio tuffo l’avevo liberato
dalla prigione in cui era rinchiuso da mille anni ed ora egli reclamava la sua
libertà.
La guida mi pregò di resistere con tutte le mie forze, disse che andava a
prendere qualcosa che avrebbe neutralizzato la maledizione. Mi fidai, del resto
non potevo fare altro. Lottai con tutto il mio vigore, per non lasciarmi
sopraffare. Qui non vennero in soccorso gli anni di addestramenti, che avevano
formato il fisico, forse, ma non più di tanto la mia forza interiore. Fu la
volontà, la testardaggine di volere io il potere, senza permettere che fosse
quello a volere me, fu questo a salvarmi durante minuti che mi parvero
un’eternità. Fu questo a salvarmi, fino all’arrivo della guida, e a permettermi
di diventare quello che sono oggi.
La guida tornò, dicevo. Mi infilò al collo quello che sembrava essere un antico
medaglione, facendo ripetuti scongiuri e pregando che quell’azione non stesse
solamente peggiorando la mia situazione. Il medaglione neutralizzò lo spirito
di Muchitsujo cosicché mi ritrovai con il pieno controllo non solo di me
stesso, ma anche dell’anima del dio supremo.” Prese un attimo di respiro.
“Così, quella che doveva essere la fine fu soltanto l’inizio.”
“Il Tai-ma no Mamori” lo interruppe Obaba. “Ovvio, era l’unico modo di
salvarti. Quello che non capisco è come mai la guida non mi abbia mai avvisato
di una cosa tanto grave, in tutto questo tempo.”
“Non è difficile da immaginare” riprese Shingo. “Il medaglione teneva sotto
controllo Muchitsujo e Muchitsujo mi permetteva allo stesso tempo di utilizzare
gli immensi poteri del medaglione. Così mi spiegò la guida, mentre allestiva un
nuovo shimenawa. Uno dei poteri consiste in certi… giochini mentali – che ho
avuto l’occasione di usare poco fa, con te, nonnina.” Rivolse lo sguardo a
Cologne, con fare altezzoso.
“E certamente, anche con te.” disse poi, fissando Ranma. “E’ stato in questo
modo che ti ho fatto recuperare la memoria, quando avevi rimosso nel tuo animo
ogni ricordo dello Saishuu Shiyou Rei-ryuujin e dell’esperienza intera
di Yakuzai. Per me fu dunque un gioco da ragazzi cancellare dalla mente della
guida di Jusen ciò che era successo negli ultimi minuti. Troppo scomodo avere
testimoni.”
Ranma sussultò. Qualcosa gli diceva che le cose avrebbero preso presto una
brutta piega. Per fortuna Akane e Ucchan si trovavano lontano da lì, al sicuro.
Ukyo e Akane erano molto più vicine di quanto Ranma potesse immaginare. Per
l’esattezza, si erano acquattate dietro un’enorme stalagmite, a pochi metri dagli
altri.
“La senti quest’aria carica di tensione? Non mi sembra una bella idea stare
tanto vicine a quello… Shingo, mi pare di aver capito che si chiami.” Akane
ammonì la cuoca di okonomiyaki.
“E allora perché mi hai seguito?!” la secca risposta dell’altra ragazza, che in
effetti in breve tempo era venuta meno a quanto si era ripromessa. “Ti avevo
pur raccomandato di rimanere al sicuro!” aggiunse, come per giustificarsi.
Poi la sentirono. Entrambe. Nello stesso momento. La sua aura era molto
familiare alle due ragazze. Eppure v’era, stavolta, come qualcosa di diverso in
lei. Ma una sola, la cosa che contava per Ukyo.
*Maledetta!* ringhiò la sua mente. *Come hai osato servirti di me?! Ora la
pagherai!*
L’azione precedette il pensiero. Tutto quello che restava, della grossa spatola
da combattimento, era il manico. Ma per la giovane Kuonji tanto sarebbe
bastato. Mentre Akane era rimasta come paralizzata, si lanciò in aria, contro
la figura che si avvicinava rapidamente, sempre più rapidamente – troppo!
Shingo fu l’unico, dei presenti, a percepire tutto questo. Ciò nonostante,
aspettò con tutta tranquillità la reazione degli altri al suo racconto.
“Bene.” disse sprezzante Ranma. “A vedere il tuo comportamento, e sentendo come
parli, non credo affatto che tu abbia voluto usare i tuoi poteri per aiutare
l’umanità o cose simili.”
“Hai colto nel segno!” sorrise l’altro, ancora più sprezzante. “Almeno,
Muchitsujo non approverebbe. Sapete, lui è in me. Comunica con me quando vuole,
nella mia mente. Ho il controllo su di lui, ma è pur sempre il dio supremo del
Caos e così non posso negargli il favore che mi ha chiesto in cambio dello
sfruttamento dei suoi poteri.”
Obaba strabuzzò gli occhi. “Shingo, ti riferisci forse a…”
“Alla sua vendetta, certo. Non che a me interessi più di tanto, ma spesso il
compromesso è la mossa più intelligente: dunque non sarà poi tanto male, se sia
io che Muchitsujo avremo conseguito i nostri fini.”
“Dunque è a questo” s’intromise Ryoga “che ti servivamo.”
“Pressappoco.” sorrise Shingo. “Avete una pallida idea di quante persone siano
cadute nelle fonti di Zhou Chuan Xiang, da che furono create? Tanto che
ancora oggi, mille anni dopo la condanna del dio, moltissimi sono coloro che vi
hanno a che fare. Voi conoscete un consistente numero di questi individui.”
Non solo Ranma e Obaba, ma anche Ryoga e Mousse intesero immediatamente a cosa
Shingo si riferisse. Non parlava solo dei maledetti che stavano in quella
caverna. E non solo di chi nelle fonti era caduto direttamente. Loro avevano
avuto a che fare con quell’Herb², ricordavano dunque che i membri della copiosa
dinastia Jako discendevano da animali trasformati in donne umane
dall’incantesimo della Niang Nichuan. Si poteva tranquillamente
affermare che nelle loro vene scorreva non sangue, ma acqua di Jusen. Un
discorso simile poteva essere fatto per il popolo del monte Hooh, i cui
abitanti avevano vissuto per generazioni utilizzando l’acqua di un’altra fonte
maledetta, situata sulla cima della montagna.
“Vuoi controllare coloro che sono stati contaminati da Jusenkyo, questo mi
sembra evidente.” constatò Cologne. “Ma questo come è collegato alla vendetta di
Muchitsujo?”
“Semplice!” rispose Shingo. “Uomini e divinità dell’Ordine speravano di fermarlo
con la sua creatura, Jusenkyo. Adesso proprio Jusenkyo sarà lo strumento della
rivincita: acquisterò il controllo su tutti i maledetti, uno dopo l’altro, fino
a costituire il mio personale esercito. Un esercito che capovolgerà l’Ordine,
sovvertirà le regole e porterà ancora una volta il Caos tra gli uomini, quel
Disordine che essi credevano di aver rigettato per sempre.”
“E’ una follia!” esclamò l’amazzone.
“E cosa c’è di male nella follia?” replicò Shingo, mentre a Cologne parve di
udir parlare Muchitsujo stesso, per bocca dell’altro. “Comunque sia, non è una
cosa eccessivamente facile. Ho trascorso più di un anno per imparare a
maneggiare i miei poteri ed inoltre il controllo delle anime altrui è materia
di grande complessità. Certo, quei due che avete appena sconfitto mi hanno dato
poco filo da torcere.” Si riferiva, pensò Ranma, a Taro e Rouge. “Erano
tremendamente attaccati alla forza, avrebbero fatto qualunque cosa per essa. E
l’hanno fatta, dato che hanno praticamente accettato di loro spontanea volontà
di perdere le loro anime per me.”
“Li hai sicuramente ingannati!” ribatté furioso Ryoga. “Come, del resto, hai
provato a fare con noi per mezzo di Taro.”
“Peccato che nel nostro caso” aggiunse Mousse “tu non ci sia riuscito.”
“Non siete una gran perdita.” disse quello, scotendo sornione il capo. “Troppo
persi nei vostri insulsi sogni d’amore, dopotutto non fate al caso mio.”
Ryoga strinse con forza i pugni. Quel tipo non sapeva quanto aveva sbagliato a
sottovalutarlo, e presto l’avrebbe scoperto a sue spese. Hibiki si voltò
istintivamente verso Mousse, come per cercare nel suo sguardo i medesimi
sentimenti e la medesima determinazione che l’animavano. Non trovò niente di
tutto questo. Il ragazzo cinese dalla lunga tunica aveva improvvisamente chiuso
gli occhi e pareva assorto in qualcosa di totalmente diverso. Confuso per
l’atteggiamento dell’altro, il giovane dai canini sporgenti non replicò, così,
alla provocazione di Shingo, lasciando involontariamente che fosse Ranma a
parlare al suo posto.
“Sembra che noi due” giudicò il ragazzo col codino “saremo dunque nemici.”
“Questo dipende da te.” precisò l’individuo del medaglione. “In fin dei conti è
merito mio, se sei tornato: potresti anche mostrarmi maggior
gratitudine.”
“No!” il giovane Saotome replicò con decisione. “Avresti potuto farmi tornare quando
volevi, con i tuoi poteri. Dico bene?”
“Dici benissimo.”
“Allora, se volevi tanto che tornassi, perché mi hai fatto passare tutto
questo?!” Ranma aveva alzato inavvertitamente la voce. “Per divertirti alle mie
spalle?!”
Shingo si fece attendere. Fissò con fare indolente la volta sopra le loro
teste, da cui la luce del giorno filtrava solo parzialmente, attraverso alcune
strette fessure nella roccia. Quindi riportò lo sguardo sull’altro che smaniava
impaziente per una sua risposta.
“L’hai detto.” sibilò, infine, con un ghigno beffardo.
Ranma inspirò profondamente. Il suo autocontrollo stava venendo rapidamente
meno, quel tizio gli aveva suscitato fin dal loro primo incontro un’antipatia
istintiva, ma ora – beh, ora la sopportazione aveva raggiunto il limite.
“Dobbiamo assolutamente fermare Muchitsujo, prima che sovverta l’Ordine delle
cose!” disse Cologne agli altri. “E Muchitsujo è dentro di Shingo, ora.”
“In poche parole, per fermare il dio del Caos bisognerà sconfiggere Shingo,
vero?” la interruppe Ranma, convinto. “Bene, vuol dire che gli toglierò quanto
prima quel sorriso dalle labbra!”
“Potete contare anche su di me!” esclamò Ryoga, mentre già Ranma si era
lanciato all’attacco. Si accinse ad imitarlo, ma qualcosa fermò i suoi
movimenti.
“Cosa succede?! Perché non riesco ad avvicinarmi a quello Shingo?!”
“Si vede” constatò Obaba, allungando il proprio bastone “che ha alzato un campo
di forza. Non so per quale motivo, ma è solo con il consorte che vuole
combattere.” La sicurezza parve abbandonare l’amazzone, mentre gridò al ragazzo
di fare attenzione.
Possibile? La stava sentendo. La paura. Lei, che aveva numerosi decenni di
esperienza. Era una giovinetta alle prime armi, a digiuno totale di tecniche,
l’ultima volta che un tale sentimento si era impadronito della sua razionalità,
sconvolgendole le membra. Si sentì ringiovanita di colpo, e questo, che in
altri casi le avrebbe recato gradimento, non le piacque. Sapeva che bisognava
averne, e tanta, di paura. I poteri di Ryuukei e di Muchitsujo, neutralizzandosi
vicendevolmente, erano concentrati in un essere umano che aveva appena ammesso
di essere affamato di potere. Cologne sapeva che ciò non prometteva niente di
buono.
Fare attenzione! Tsè! La vecchia sparlava. Perché avrebbe dovuto temerlo? Era
di nuovo nel suo mondo, pensò il giovane con la treccia e la camicia cinese.
Non era più uno straniero in un contesto che non lo riconosceva. Era nuovamente
Ranma Saotome, dell’omonima scuola di arti marziali indiscriminate, colui il
quale non aveva mai perso una sfida. Perché avrebbe dovuto temere un nuovo
avversario, pur con poteri divini? Non era una novità. Aveva già sconfitto
Safulan, che era il dio fenice. Avrebbe scoperto anche il punto debole di
Shingo.
“Fammi vedere cosa sai fare!” gridò, mentre aveva cominciato a scagliare un
attacco continuo di pugni, sfruttando la rapidità acquisita sin dai tempi in
cui aveva appreso la Tecnica delle Castagne. Avanzò, trovandosi immediatamente
faccia a faccia con Shingo, il quale non aveva mosso un ciglio: le sue braccia
erano distese lungo i fianchi, non accennava nemmeno a provare una posizione di
difesa. Tutto quello che faceva era arretrare dietro i colpi incessanti del
giovane con la treccia.
Mousse sentiva qualcosa che non andava. Percepiva nuove presenze, ma non era
questo a preoccuparlo. Era una, di quelle presenze. L’avrebbe
riconosciuta tra mille. Lui viveva, per quella presenza. Viveva in sua
funzione. La conosceva meglio di chiunque altro. Eppure adesso aveva qualcosa
di diverso. Quel qualcosa che già aveva percepito in Taro, quando gli era stata
offerta la forza per sconfiggere Ranma. Ecco, si faceva più vicina. L’ombra si
dirigeva, non vista, verso i due contendenti. Solo lui poteva accorgersene. E
temeva che la persona per la quale viveva stesse per compiere qualche
sciocchezza.
“Ma cosa fa quello Shingo, non tenta nemmeno di difendersi?!” meditò Ryoga.
“Purtroppo” commentò Obaba “non ne ha bisogno.”
Ranma proseguiva il suo attacco. Shingo continuava ad arretrare. Genma, che si
era riparato dietro alcuni massi in postazione di sicurezza, notò che nessuno
dei colpi del figlio andava a segno, in realtà. Quello Shingo riusciva a
schivarli, uno dopo l’altro. Almeno così sembrava. In realtà era come se il
ragazzo vestito alla cinese finisse sempre con lo sferrare il proprio attacco
fuori tempo. Eppure, giudicò l’anziano Saotome, i suoi movimenti erano tanto
fluidi che nemmeno li avrebbe visti, non avesse avuto l’occhio allenato di un
artista marziale qual era. Il punto era che i movimenti di Shingo, quelli non
riusciva veramente a vederli.
“Tutto qui? Non sai fare di meglio?” Shingo cominciò a stuzzicare l’avversario.
“Anche tu mi stai deludendo!” replicò Ranma, senza rallentare. “Non puoi fare a
meno di servirti di quel tuo medaglione, vedo.” Infatti aveva subito notato
come questo brillasse più intensamente, ogni volta che Shingo evitava i suoi
pugni.
“Bravo, i tuoi occhi sono certamente più allenati del tuo cervellino.” lo
provocò quello dai capelli riflesso del platino.
“Il consorte” giudicò intanto Obaba “non ha alcuna possibilità di vincere.”
“Cosa vuol dire?” domandò Ryoga.
“Quello che Shingo ha al collo è il leggendario Tai-ma no Mamori.” spiegò
la vecchia. “Il medaglione racchiude i poteri del sommo Ryuukei, che era il dio
del tempo e dello spazio. Facendone uso, Shingo può sfilacciare
impercettibilmente le trame della materia.”
“Huh?” tutto quello che fu in grado di replicare il ragazzo con la bandana.
“Voglio dire” sospirò l’amazzone “che Shingo sta…”
“Questo è lo stesso trucco dell’altra volta!” esclamò Ranma. “Non stai
schivando i miei colpi, tu stai scomparendo e riapparendo: ecco perché non
riesco a colpirti!”
“Più precisamente” disse Shingo “mi sposto impercettibilmente nello spazio e
nel tempo. Un assaggio dei poteri di Ryuukei. Niente di che, per carità.
Qualcosa che normalmente dovrebbe essere perfino invisibile alla mente poco
allenata degli uomini. Spostamenti, ma di centimetri e di frazioni di secondo.
Non posso fare di più ma questo direi che può bastare, per i miei scopi. Il fatto
che tu te ne sia accorto costituisce un nuovo punto a tuo favore.”
Detto questo, l’uomo dai capelli riflesso del platino aprì il palmo della mano
adagiandola sul petto di Ranma, senza che questi potesse evitarlo. Un istante
più tardi, il giovane Saotome fu lanciato contro la nuda parete di roccia della
caverna da un’energia potentissima. Qualcosa che al momento gli fece
rimpiangere addirittura il Ryuseihisho, il cannone energetico di Herb.
*Come… come ha potuto ridurmi così?! Eppure mi ha solo sfiorato!* pensò Ranma,
rialzandosi faticosamente.
“E’ questo stesso potere” Shingo continuava incurante il suo discorso “che mi
ha consentito di raggiungerti nel mondo parallelo, quando fosti vittima dello Saishuu
Shiyou Rei-ryuujin.” L’uomo del medaglione artigliò il vuoto davanti a sé,
come per graffiare l’aria circostante. Quello che ne seguì fu, però, una sorta
di squarcio. Uno squarcio che si allargò vistosamente, dando vita a qualcosa di
molto simile ad un ingresso. Non si vedeva a cosa dava quell’ingresso. Tutto
buio e inconsistente, così l’impressione che ebbero i presenti. A Ranma parve
di aver già visto un fenomeno molto simile. Forse era stato durante il proprio viaggio
di ritorno dall’altra dimensione.
“Chiaro!” disse Cologne. “Quell’incantesimo era attivato dallo spirito di un
dragone e Shingo racchiude dentro di sé i poteri di migliaia di dragoni: per
lui è uno scherzo varcare le dimensioni."
“Anch’io ho un limite, in realtà.” ammise l’altro, mentre scansava senza
problemi un calcio di Ranma, il quale non voleva arrendersi nemmeno di fronte
all’evidenza. “Non potevo trattenermi troppo a lungo, perché avrei rischiato
prima o tardi di incrociarmi col mio doppio dell’altra realtà. La sua sola
presenza, da qualche parte in quel mondo, mi ha costretto a fare solo brevi
visite. Ma quello che ho visto” aggiunse, prendendo ancora in pieno Ranma con
un nuovo colpo energetico “è stato più che sufficiente.”
“Un’altra realtà?” non poté far a meno di ripetere Ryoga; e poi, a voce alta:
“Ranma, cos’hai combinato stavolta?!”
“Già, Ranma!” lo invitò a sua volta Shingo, con evidente sarcasmo. “Perché non
racconti a tutti di quello che hai combinato, nell’altra dimensione?”
Il ragazzo con la treccia fu come fulminato. La foga con la quale si stava
rialzando da terra, facendo leva con un braccio poggiato sul terreno e
pulendosi con la manica dell’altro il rivolo di sangue che gli era affiorato
sul mento, svanì tutta insieme.
“Non vuoi parlare? Allora lo farò io per te.” mormorò Shingo, a voce più bassa.
“Ti sei recato a casa della famiglia Tendo, hai premuto il dito nella piaga
ricordando al capofamiglia che non c’era più alcuna palestra da mandare avanti.
Hai strapazzato quel parassita d’un vecchio, che probabilmente si sarà
vendicato con gli interessi nei confronti degli inquilini di quella casa. Hai
scacciato il preside della tua scuola, che però sarà tornato a tartassare i
suoi alunni in modo ancora peggiore. Hai…”
“Maledetto!” Ranma lo sovrastò con la voce, recuperando un po’ di vigore per
quanto ciò fosse dovuto esclusivamente ad un’ondata di rabbia cieca, che aveva
appena sovraccaricato ogni suo nervo. “Tu mi hai sempre spiato! Anche in quelle
occasioni! Tu…”
“Sii educato e lascia finire chi sta parlando!” Shingo schiuse nuovamente il
palmo della mano, costringendo Ranma a terra. “Dov’ero rimasto? Ah, sì! Hai
rovinato la vita della tua fidanzatina, giusto?”
“Sta’ zitto!” gridò il ragazzo col codino.
“Le hai mandato a monte l’appuntamento con quel ragazzo…”
“Chiudi il becco!”
“Quel ragazzo che avrebbe dovuto salvare la sua famiglia, vendicare la sua
sconfitta…”
“Vedi di piantarla!”
“Salvare l’onore suo e della famiglia Ten…”
“Taaaciii!”
Fu in quel preciso istante. Lui aveva perso ogni autocontrollo, sentendo sopra
di sé il peso insostenibile della realtà. Lei era arrivata. E Shingo lo sapeva.
Ma anche un altro lo sapeva.
Nella semi-oscurità in cui era riparata, Akane non aveva modo di vedere molto
più di Ranma e Shingo che si affrontavano. E sebbene avesse percepito pure lei
il suo avanzare, tremando inconsciamente di questo nel più profondo del proprio
animo – fu solo allora che la minore delle Tendo poté scorgere il corpo di Ukyo
disteso sul terreno, pieno di lividi e privo di sensi.
Aveva interferito, verissimo. E aveva cambiato le cose in peggio. Come in questa
realtà, anche nell’altra aveva stravolto le vite di coloro che gli stavano
vicino. Questa consapevolezza gli fece perdere, per un momento, il senno. Ranma
si lanciò contro Shingo, privo di ogni ragione che sostenesse il suo attacco.
Per l’altro fu, così, ancora più facile immobilizzarlo per le braccia e
costringerlo ad ascoltarlo.
“Ascoltami, Ranma Saotome. Non c’è alcuna ragione per cui noi due dobbiamo
essere nemici. L’ho detto prima, io e te siamo molto simili. E quando l’ho
detto, non mi riferivo solo agli anni di addestramento o alla testardaggine che
sembra contraddistinguere entrambi.”
Il giovane con la treccia smise di divincolarsi, fissando sconcertato il
proprio interlocutore.
“Sciocchino, non era questo. Non ti sei mai chiesto perché porti confusione
ovunque tu vada? La risposta è molto più semplice di quanto possa sembrare.”
Socchiuse gli occhi color zaffiro, pregustando la rivelazione che si apprestava
a dare.
“Ranma, tu appartieni al Caos!”
Era folle. Non aveva udito rumore alcuno. Era successo tutto in pochi attimi, e
a pochi metri da lei. E nemmeno se ne era resa conto. Akane si maledisse. La
vicenda dello spirito-dragone doveva averla veramente rammollita. Possibile che
fosse stata distratta a tal punto dalla paura di essere lei, il suo bersaglio?
Ed invece non lo era. Un altro, il bersaglio. Ukyo? No, la giovane Kuonji
pareva solamente essersi in mezzo, un sassolino in mezzo alla strada che
conduceva al vero obiettivo. Ma quale…?
“Ti ho detto, prima, di come lo shimenawa si spezzò misteriosamente. Ma i
misteri non esistono. E sai a chi appartenevano le ombre che appena intravidi?
Ad una fanciulla con la treccia e ad un grosso panda, da lei rincorso!… No, non
sopravvalutarti. Non hai fatto assolutamente niente, in quell’occasione. Ti limitasti
a proseguire per la tua via, tutto intento nell’inseguimento. Il punto è un
altro. Fu la tua aura a spezzare il sigillo. La tua aura, intrisa di Disordine.
Nessun semplice mortale avrebbe potuto, ma la tua aura sì. La tua aura, che
Muchitsujo aspettava da mille anni.
Perché lui lo sapeva – questo disse nella mia mente, fu la prima cosa che mi
disse, non appena fu in me – sapeva che un giorno saresti arrivato. Non è
destino. Anzi. Zhou Chuan Xiang è stata la causa prima. Di infinite
conseguenze, le quali furono a loro volta infinite cause di infinite
conseguenze. Alcuni lo chiamano Effetto Farfalla. I fisici del nostro tempo,
più correttamente, gli hanno dato il nome di Teoria del Caos. Le conseguenze
del Caos non sono prevedibili, ma sono probabili. Molto probabili.
Le fonti continuano tutt’oggi ad attrarre decine di individui, per via del loro
incantesimo. Non persone qualunque. Ma soggetti affini, la cui natura è già di
per se stessa in relazione col Disordine. Muchitsujo sapeva che una delle
vittime di Jusen un giorno l’avrebbe liberato. Il calcolo delle probabilità,
per dirlo con parole facili.”
“Stai” ringhiò Ranma, il quale temeva di comprendere anche troppo. “Stai –
dicendo – un mucchio – di fesserie!” quasi le sputò, queste parole, tanta era
la loro violenza.
“Cocciuto come sempre.” Shingo sospirò pazientemente. “Mi costringi a prendere
misure drastiche.”
E capì. Ma era troppo tardi. Cosa faceva Ranma? Perché non se n’era accorto?
Cos’avevano da dirsi lui e quello Shingo, di tale importanza da non fargli
percepire quel pericolo?! Troppo tardi. L’ombra era arrivata. Da lui. Era lui,
che voleva! Le corde vocali erano come paralizzate, ma Akane sapeva che doveva
avvertirlo. Doveva avvertirlo. Prese un ampio respiro e costrinse il suono ad
uscire dalle labbra, gridando con quanta più energia avesse in corpo.
“Ranma!”
Tardi.
Quando lui sentì il grido, Shampoo aveva già sferrato il proprio attacco.
¹ Lo shimenawa è un festone fatto di corde di paglia, che normalmente si
cinge attorno ai templi e alle divinità shintoiste.
² In una delle più lunghe saghe del manga. Herb, erede al trono dell’impero
della dinastia Jako, caduto anche lui nella Niang Nichuan, si è imbattuto in
Ranma e lo ha bloccato nella sua forma femminile con un secchio particolare, lo
Zhishuitong. Da qui la lunga lotta per recuperare il secondo tesoro segreto
della dinastia Jako, il Kaishuihu, capace di annullare gli effetti del primo e
di riportare Ranma alla “normalità”. Poiché la sua famiglia ha ereditato il
sangue dei dragoni, Herb è capace di manipolare a piacimento la propria energia
interna: il che lo rende un avversario formidabile per il nostro “eroe”.