Love hurts
Aristotele una volta ha
scritto “Punto
primo: avere un ideale chiaro e pratico, un obiettivo. Secondo, avere
i mezzi necessari per raggiungere i vostri fini: sapienza, soldi,
mezzi e metodi. Infine, indirizzare tutto ciò alla vostra
meta.”
Il dipartimento di polizia di Tulsa non
era mai stato un luogo tranquillo.
Appena si varcava la porta di
quell'edificio dall'aspetto ordinario ci si sentiva come attraversati
da una scarica di adrenalina che raddoppiava istantaneamente la
velocità dei movimenti di chiunque. Qua e là si
potevano vedere persone scattare come se fossero state punte da
spilli, i telefoni squillavano in continuazione e un brusio sommesso
faceva da colonna sonora all'ambiente. Tuttavia, chiunque avesse
avuto l'occasione di farci l'abitudine, avrebbe capito che quello che
stava accadendo lì dentro in quei giorni era decisamente
fuori
dell'ordinario.
C'era un serial killer operante in
città e, nonostante l'intervento della squadra di Analisi
Comportamentale dell'FBI erano riusciti solo nel corso delle ultime
ventiquattro ore a individuare un possibile sospettato. Anzi, una
sospettata.
In quel momento se ne stava seduta
tramante nella sala degli interrogatori ma, nonostante fosse
così
spaventata da non riuscire a tenere ferme le mani, si era ricordata
in fretta i suoi diritti e aveva chiesto immediatamente un avvocato.
“Quanto tempo credete che ci
metterà?” domandò l'agente Emily
Prentiss,
leggermente spazientita.
Il detective che stava con loro scrollò
le spalle “Lo studio Dodson&co. è
dall'altra parte della
città.”
Proprio in quel momento un giovane
poliziotto fece capolino dall'uscio “E' arrivato
l'avvocato.”
annunciò, prima di sparire di nuovo lungo il corridoio.
Il detective Meyer si alzò
velocemente, facendo tintinnare involontariamente gli spiccioli che
teneva in tasca e gli agenti del BAU lo imitarono immediatamente.
Katerine Donovan era l'unica sospettata
per quel caso di pluriomicidio. Una ciocca di capelli, probabilmente
strappati dalla vittima nel tentativo di difendersi, era stata
trovata proprio quella mattina sul luogo del settimo omicidio. Come
per quelli precedenti, si trattava di un ragazzo fra i venti e
venticinque anni, con una famiglia tutto sommato normale e nessuna
abitudine strana.
La squadra speciale dell'FBI stava
aspettando di interrogarla da più di un'ora, ma la
sospettata
aveva reclamato il diritto di vedere prima un avvocato e quindi non
avevano potuto far altro che aspettare.
“E' quella?” domandò
l'agente Morgan, additando una ragazza impegnata in una conversazione
telefonica piuttosto accesa. Con un braccio si stringeva al petto una
pila piuttosto consistente di documenti e a tracolla portava una
borsa dall'aspetto severo.
Meyer annuì distrattamente prima
di pararsi di fronte alla nuova arrivata. Aveva fretta di farla
parlare con quella pazza omicida e di fare quello per cui aveva
deciso di intraprendere quella carriera: giustizia.
“Ho accettato il caso, Dodson.-
affermò convinta l'avvocato, tenendo ben vicino alla bocca
il
microfono dell'auricolare- Non hanno prove rilevanti. Solo una ciocca
di capelli.”
“E i suoi precedenti.” puntualizzò
il detective Meyer.
La ragazza lo fulminò con lo
sguardo “Cose di poco conto. Anche Keanu Reeves ne ha, ma
nessuno
lo accusa di essere un criminale.- sbottò, prima di tornare
a
rivolgersi al suo interlocutore al telefono- Ci penso io, se mi serve
qualcosa lo farò sapere a Melissa. È
tutto.”
Non si prese nemmeno la briga di
togliersi dall'orecchio l'auricolare e puntò i suoi grandi
occhi ambrati sul detective “Sono Alicia Kensington e da
questo
momento mi assumo la difesa della signorina Donovan. La pregherei di
informarmi di qualsiasi evoluzione abbiano le indagini d'ora in
poi.”
Il detective sospirò: avere a
che fare con una ragazzina appena uscita dal college e con un ego
più
grande della Casa Bianca non lo allettava per niente
“Signorina Kensington, questa è la squadra di
Analisi Comportamentale
dell'FBI. Sono l'agente Hotchner, l'agente Rossi, l'agente Prentiss,
l'agente Jareau, l'agente Morgan e il dottor Reid. Devono interrogare
la signorina Donovan.”
“D'accordo. Preferisco che parlino
prima loro con la signorina Donovan, ma devo assistere
all'interrogatorio.” sentenziò, dopo aver fatto
passare lo
sguardo sui presenti.
“D'accordo.- concordò l'agente
Rossi, prima di fare un cenno ad Emily- Ci segua.”
Il detective le si affiancò e
lei non potè fare a meno di sentire una certa sensazione di
dèja-vu.
“Assisterò dall'altra parte
del vetro.- li informò, quando ormai erano alla soglia della
stanza degli interrogatori- Fate sapere a Katerine che sono
lì
e che non è sola.”
L'agente Prentiss le rispose annuendo e
dopo di che sparì insieme a Rossi all'interno dell'angusta
stanza.
“Mi segua, allora.” la invitò
Meyer, indicandole una porta che conduceva a una camera attigua a
quella degli interrogatori.
In quel momento vide per la prima volta
la sua cliente. Katerine Donovan, detta Kitty, era una ragazza di
appena ventidue anni. Aveva il viso, a forma di cuore, coperto da una
cascata di riccioli biondi, perfettamente in sintonia con il colore
ceruleo dei suoi grandi occhi che in quel momento esprimevano meglio
di mille parole tutta la preoccupazione che stava provando. Sulle sue
mani diafane, così come sulla fronte, c'era un leggero
strato
di sudore. In quel momento stava guardando gli agenti Rossi e
Prentiss come se fossero stati dei terroristi pronti a farsi saltare
in aria da un momento all'altro.
Prestava poca attenzione a quanto i
profiler stavano chiedendo alla sua cliente. Le domande, almeno
così
pensò, che dovevano essere meramente di routine per trovare
una falla che potesse farli entrare nella testa della sospettata,in
quel momento le parevano scontate e poco interessanti.
Il cigolio sinistro della porta le
fecero voltare gli occhi giusto per una frazione di secondo.
Un uomo muscoloso di colore e un
ragazzo allampanato entrarono nella stanza, affiancandosi al
detective Meyer. Ricapitolò mentalmente i nomi: Morgan e
Reid;
e alla fine decise di tornare a riconcentrarsi su quanto stava
accadendo al di là del vetro.
Alicia Kensington non era l'unica in
quella stanza ad essere interessata ai particolari e, dopotutto, in
presenza di due profiler tanto preparati non poteva che aspettarselo.
Spencer Reid la osservò
perplesso. Dal modo in cui i suoi occhi chiari vagavano veloci su
ogni particolare di quella angusta stanza, senza soffermarsi su
niente per più di qualche secondo, immaginò che
dovesse
soffrire di un qualche disturbo dell'attenzione diffusa.
“Perchè non hai voluto parlare
prima con lei?Sapere la sua versione?”domandò,
prima di
rendersene conto.
“La so già. È
innocente.” tagliò corto lei, senza nemmeno
voltarsi a
guardarlo in faccia.
“D'accordo.” borbottò Reid
stringendo le labbra. Quando la gente diventava isterica in quel modo
preferiva di gran lunga non dover interagirci.
Morgan scosse la testa, ma il gesto
sembrò totalmente casuale, e nella stanza ricalò
immediatamente il silenzio.
Perlomeno, finchè un cellulare
dalla suoneria troppo alta cominciò a suonare.
Meyer non potè trattenere una
smorfia quando estrasse dalla tasca il telefono che continuava
imperterrito a squillare. Si volse verso gli agenti
dell'Unità Comportamentale facendo un lieve cenno di scusa
con la testa e uscì
dalla stanza velocemente, sperando di riuscire a cavarsela in tempo
breve.
Quando, con un tonfo, la porta si
chiuse alle sue spalle, Alicia si sentì libera di rilassare
le
spalle, che aveva tenuto fino a quel momento rigide e dritte, e
pensò
pure di lasciarsi sfuggire un sospiro di sollievo.
L'agente Morgan la guardò
incuriosito. Non era difficile per un profiler notare un cambio di
atteggiamento così radicale. La postura del corpo e
l'espressione facciale erano totalmente diverse e per un attimo si
ritrovò a domandarsi perchè.
“Scusate, non volevo essere
scortese.- la voce dell'avvocato li aveva presi alla sprovvista. Non
si era voltata verso di loro, ma il tono non era duro e ostile come
prima, quindi la cosa li fece ben sperare in un cambio di
atteggiamento- Ma un comportamento del genere è l'unica cosa
che mi fa avere un po' di rispetto qui al dipartimento. Sapete, visto
che non sono rugosa e raggrinzita in molti pensano che il fatto
più
sconvolgente che abbia vissuto fino adesso sia stato la scomparsa del
mio gatto. Ma voi siete profiler, no? Immagino che posso comportarmi
in modo civile senza per questo essere presa per
un'incompetente.”
“Quindi puoi rispondere in maniera
civile alla domanda che ti ha fatto prima il mio collega?”
azzardò
Derek.
La ragazza si voltò per la prima
volta verso di loro, leggermente stupita “E' il mio
metodo.”
“Metodo?” ripetè Reid.
“Quando incontri i tuoi clienti in
una stanza per gli interrogatori tutto quello che fanno è
giustificarsi e assicurarti che non sono stati loro. Ascoltarli in
quel momento è una perdita di tempo per entrambi.-
spiegò
con una scrollata di spalle- Credo che rivelino molto di più
di sé ai poliziotti e, osservandoli, posso farmi un'idea di
come sono e di che linea difensiva assumere.”
“E' uno strano metodo, ma
interessante.” convenne l'agente, sorridendole incoraggiante.
“Grazie.” sorrise di rimando
Alicia, tornando a guardare al di là del vetro.
Lo sbattere della porta li avvisò
che il detective era ritornato.
“Tutto bene?” borbottò,
osservandoli tutti guardingo.
Reid fu l'unico che si prese la briga
di annuire leggermente.
Non erano passati che pochi minuti
dall'inizio dell'interrogatorio che Alicia Kensington si
voltò
con aria determinata verso l'agente che le si era affiancato. Aveva
cambiato espressione, tornando seria e concentrata.
“Direi che ciò che ho visto è
più che sufficiente.” annunciò, alzando
leggermente
il mento.
Meyer dovette morsicarsi la lingua per
non risponderle in malo modo. Invece, riuscì a farle un
lieve
cenno del capo come per darle il permesso di uscire.
La ragazza ondeggiò leggermente
sui tacchi non troppo alti fino a raggiungere l'uscita, senza nemmeno
preoccuparsi di salutare qualcuno.
“Ah- aggiunse, mentre aveva ancora
una mano sulla maniglia- fatemi avere le registrazioni di questo e
qualsiasi altro interrogatorio a cui verrà sottoposta la mia
assistita.”
“Sento già che presto odierò
quella ragazza.” sibilò il detective, non appena
quella si
chiuse la porta alle spalle.