*-* Innanzitutto, una parola importantissima: GRAZIE.
Dico sul serio, sapere che questa raccolta ha incontrato un certo
interesse è già per me un ottimo risultato. Penso di potermi
giudicare felice anche solo per il numero di letture. Un milione di Grazie
di Cuore a ciascuno di voi, ad ogni singolo lettore. Vi adoro. ^^
E un grazie particolare a Rein94
e Selhin per le recensioni! *///*
Rein, io credo che ti farò un monumento; non ho abbastanza
parole per ringraziarti di tutti i commenti positivi che hai lasciato alle mie
storie e a questa in primis… Dirti che mi hai commossa è ancora
poco. Io sono debitrice a te. ç///ç E Selhin, sei
dolcissima come sempre. ^^ (Non preoccuparti, non c’è nulla di
astruso da capire: si tratta solo di scegliere una tabella di temi e trarne
ispirazione, e se anche tu seguissi quest’idea non potrei che esserne
felice, perché so già che ne verrebbe fuori un capolavoro. ^^)
E ora, passiamo al capitolo.
…
Uhm.
Non sono molto sicura di quel che è venuto fuori. Non mi
convince fino in fondo, ma… Oh, beh. Io questi personaggi li vedo
piuttosto bene in questa situazione. xD
Solo che avrei potuto renderli meglio, immagino. u.u
Ah, noterete che il film che ho usato qui non è presente
nella lista iniziale; ma le regole delle 7_crossovers prevedono che si possano
cambiare fino a 2 prompt, in mancanza di ispirazione… E trovavo che
questo film fosse adattissimo per il pairing.
Ringrazio in anticipo, di nuovo, tutti i lettori.
Sperando che il risultato sia di vostro gradimento. ^^’
* * *
*A few simple fairytales*
Prompt: #1. Lady and the
Tramp (in sostituzione di Cinderella)
Personaggi: Misa Amane [Death Note],
Axel [Kingdom Hearts]
Genere: Commedia,
Romantico
Rating: Giallo
Note: AU (vale solo per Axel)
Spaventosamente
in ritardo. Questo era il suo status attuale.
Le strade di Tokyo dopo l’acquazzone
erano appiccicaticce e odorose di pioggia. Le era sempre piaciuto
quell’odore, ma al momento non poteva permettersi di fermarsi un attimo
ad annusarlo. E poi era troppo occupata a sforzarsi di non badare allo sporco
che le insudiciava le scarpe. Non era facile, però; lei era abituata a
sedili comodi e vetri fumé – non
a sfrecciare tra orride pozzanghere.
Il cellulare nella borsa squillava
forsennato, ma ormai non lo ascoltava più. Correre era diventata la sola
priorità. Correre per strozzare il suo stupido manager amante dei
cambiamenti dell’ultimissimo minuto. Correre per ammazzare il suo stupido
autista male informato sui suoi impegni più recenti. Correre,
soprattutto, per evitare che lo spot venisse affidato ad una qualunque
attricetta di quarta categoria passata di lì in quel momento.
Correre addosso a
quel tipo strano appena sbucato come un proiettile dall’angolo della
strada, accidenti a lui!
«Ehi, tu, atten…!»
Ci provò; ci provò davvero, a
fermarsi per prima. Ma il mix micidiale delle sue zeppe, dello slancio della
corsa e dell’asfalto scivoloso fecero calare al sotto zero le sue
probabilità di successo.
Misa Amane, l’idol del Kanto,
l’icona delle adolescenti, rovinò pesantemente in una pozzanghera
melmosa, dritta sul petto di un uomo incappucciato.
Ok, decisamente una giornata no.
Persino il misterioso chiamante dovette
accorgersene, perché il telefono tacque di botto.
Dal canto suo, dopo un attimo di silenzio, quello scoppiò a ridere, il petto
sussultante contro la guancia di lei.
«Bimba, la prossima volta
perché non mi fermi gentilmente e non mi chiedi il numero di telefono?»
Misa si tirò su di scatto,
furibonda. Bimba?
«Ora ascoltami bene, tu!» Ben
piantata sulle ginocchia, mosse le mani per strappargli il cappuccio dalla
faccia: voleva guardarlo negli occhi, quel decerebrato che prima osava irrompere sulla sua già faticosissima strada per
gli studios e poi si permetteva pure
di riderci sopra. Guardarlo negli occhi e insultarlo per bene, questo andava
fatto. «Non ti vergogni a rivolgerti così a…?!»
Sfortunatamente, quando incrociò il
bagliore beffardo di due iridi verdissime, la voce le morì in gola.
Steso sotto di lei, sogghignante, lo
sconosciuto attese per un attimo in silenzio e infine rise di nuovo.
«Cosa c’è, bimba? Non ti ricordi più chi sei?»
Misa si riprese in fretta. Si chinò
ancora di più su di lui, sperando vivamente di incenerirlo con la sola
forza dello sguardo.
«Smettila di chiamarmi
così!» gli strillò sul naso. «Sei tu a non sapere con chi stai parlando,
brutto maleducato!»
Lo vide roteare gli occhi, con aria
teatralmente tragica.
«Il ‘maleducato’ me lo
tengo volentieri, ma il ‘brutto’ proprio no.»
Misa si ritrasse, esasperata oltre ogni
dire. «Ho cose più importanti da fare che stare qui a litigare con
uno zoticone che corre senza guardare dove va e finisce per investire le
persone serie…»
Lui tornò a guardarla con ironia,
incrociando le mani dietro il collo, come se starsene lì tra le gambe di
un’idol inviperita fosse la cosa più normale del mondo e gli
succedesse come minimo due volte alla settimana. Che razza di sbruffone. Aveva
dei capelli rossi a dir poco impossibili. E labbra sottilissime, proprio
tipiche da ghigno bastardo. E due tatuaggi strani sulle guance. Non li aveva
ancora notati; era stata troppo presa da quel verde sconvolgente…
«Ma stiamo parlando di me o di te,
bimba?»
Misa trasalì: non per le sue parole,
bensì perché – sfuggendo sdegnata a quello sguardo
sfrontato – si era appena accorta delle disastrose macchie di fango che
le adornavano il soprabito bianco.
«AAAH!» Beh, se non altro ora
lo aveva assordato di certo. Era pur sempre una piccola vendetta. «Guarda
cos’hai combinato!» Schizzò in piedi, recuperò in
fretta le salviette dalla borsa e cercò di arginare il danno. Inutile,
il soprabito era irrimediabilmente sporco.
E avrebbe dovuto essere agli studios tra
pochi minuti, maledizione! Non aveva il tempo di andare a cambiarsi!
«Misa-Misa non è mai stata
così umiliata in vita sua» piagnucolò, la vista annebbiata
da lacrime rabbiose.
Accanto ai suoi piedi, il rosso si
sollevò su un gomito e rimase così semidisteso, apparentemente
incurante del fatto di avere ancora il sedere immerso nella pozzanghera. Misa
si augurò che i reumatismi lo accompagnassero fino alla tomba.
«Misa-Misa?» C’era una
nota di sincera sorpresa nella sua voce. Poi però assunse di nuovo quel
tono sarcastico. «E così tu saresti Misa Amane? Ti hanno mai detto
che nei cartelloni pubblicitari sembri più paffutella?»
Misa lo fissò sconcertata. Poi s’imbronciò,
gli voltò le spalle e tirò su col naso.
«Mi correggo» sibilò tra
i denti, ricominciando a tormentare la stoffa con la salvietta.
«Misa-Misa è appena stata umiliata cento volte peggio che un minuto fa.»
L’odioso scoppiò a ridere per
l’ennesima volta. Sembrava che si stesse alzando; ma lei era ben decisa a
non guardarlo più in faccia: quel verme non meritava neppure la sua
attenzione.
«Più paffutella e meno schizzinosa.»
Con un dito le punzecchiò il fianco, come reclamando il suo interesse.
«Non sono sicuro che l’originale mi piaccia di più,
comunque.»
Misa schizzò lontano da lui e si
voltò per sbraitargli addosso. «Non osare toccarmi, razza di pervertito! Stai alla larga da me!»
«Non se ne parla neanche.» Il
tizio sorrideva ancora, una mano sul fianco, lo sguardo astuto. «Col
faccino magro che ti ritrovi, offrirti un pranzo mi sembra il minimo.»
Offrirle un pranzo? A che gioco stava
giocando? O era pazzo sul serio?
«E tu credi che io sia disposta a venire a pranzo con te?» Sorrise anche lei, beffarda. «Misa-Misa non sa se
ridere di te o prenderti a calci.»
«In entrambi i casi
sopravviverò.»
E senza aggiungere altro, il rosso mosse un
passo verso di lei e l’afferrò per il braccio.
Misa lasciò cadere la salvietta,
sconvolta. Puntò i piedi, ma lo sconosciuto iniziò a trascinarla come
se niente fosse sul marciapiede bagnato. Strillò con quanto fiato aveva
in gola.
«Lasciami immediatamente! Polizia,
polizia! Uno stupratore sta cercando di rapirmi! Soccorso! Misa-Misa è
in pericolo!»
«Lo sarai sicuramente»
sbuffò il tipo, in tono annoiato, «se non la smetti di starnazzare
e non ti rilassi un po’.»
La giovane continuò a urlare
imperterrita, rammaricandosi di aver lasciato la sua bomboletta al peperoncino
nel camerino del precedente spot – in uno studio due isolati più
in là. Poteva ancora sperare di riuscire a sferrargli un calcio tra le
gambe: si sarebbe ricordato dei suoi tacchi per un bel pezzo, il maniaco.
Proprio mentre si decideva a fare un
tentativo, si fermarono.
Misa sollevò gli occhi. Erano
entrati in un vicoletto puzzolente, in fondo al quale brillava la luce di
quello che sembrava il retrobottega di un locale squallido.
Allibita, sentì lo squilibrato dai
capelli rossi emettere una strana serie di fischi. Lo fissò, più
sorpresa che preoccupata.
«Un attimo di pazienza» sorrise
lui, riprendendo a trascinarla verso la porta da cui proveniva il bagliore.
«Senti» fece lei di rimando,
«Misa-Misa può procurarti il numero di un ottimo psicologo, se la
lasci andare…»
Il rosso rise di gusto. «Più
paffutella, meno schizzinosa e anche meno pungente. Beh, è proprio vero
che i media mentono.»
Misa gonfiò le guance, scocciata.
«Lasciami andare.»
«Ma non abbiamo ancora
mangiato.»
«Non lo voglio, il tuo pranzo!»
Alzò la voce. «In questo momento dovrei trovarmi in un camerino a
farmi vestire, pettinare, truccare e coccolare. Non in questa stupida stradina
sporca in compagnia di un pazzo. Lasciami andare!»
Lui sospirò e scosse piano la testa.
«Ah, bimba, non sono quelle le cose importanti della vita.»
La rispostaccia di Misa non ebbe il tempo
di colpirlo, perché una nuova apparizione fece ammutolire l’idol.
Ora erano vicini alla porta, e poterono
assistere allo spettacolo di uno pseudo-chef che usciva nel vicolo, posava a
terra una grossa cassa di legno insieme a due scatoloni sudici e cominciava ad
apparecchiare la tavola improvvisata. Misa si fermò, a bocca aperta,
mentre l’uomo spariva di nuovo nella cucina – ormai era chiaro che
di questo si trattava – e tornava con una candela già accesa,
posate ed un gigantesco piatto fumante. Spaghetti e polpette. Infine, dopo aver
rivolto a lei uno sguardo fugace e al rosso un occhiolino, il cuoco se ne
andò con discrezione.
Lo psicopatico le mollò il braccio.
«Non sia mai detto che io sia capace
di trattenere una signorina bene educata come te contro la sua
volontà» sottolineò, con un inchino esageratamente
affascinante.
Misa non ne approfittò per fuggire,
non si mosse affatto. Lo guardò in silenzio, sempre più convinta –
e sempre più seriamente – che quel ragazzo fosse psicologicamente
instabile.
Il rosso riportò lo sguardo all’altezza
del suo e sorrise, in modo più umano e meno stronzo.
«Allora? Misa-Misa mi concede di
regalarle il pranzo più particolare della sua sofisticata vita da vip?»
C’era qualcosa di diverso, ora, in
quei suoi dannati [incredibili] occhi
verdi; non più il sarcasmo di poco prima, ma una sincera speranza in una
risposta affermativa. Misa tentennò, si riscosse, tentennò
ancora. Non poteva permettersi di cascare come una pera cotta di fronte all’intensità
di quello sguardo; questo non era
affatto da Misa-Misa!
«‘Particolare’ è
proprio la parola giusta» bofonchiò, stizzita, ravviandosi i
capelli biondi con un gesto secco.
Un lampo di divertimento percorse l’espressione
del rosso. Si avvicinò alla cassa coperta da un vecchio panno a scacchi
bianchi e rossi e si lasciò cadere a sedere su uno dei due scatoloni. Per
tutto il tempo, la guardò di sottecchi.
[
La guardava come non la guardava nessun altro.
La guardava
apertamente, direttamente.
Guardava
Misa, non Misa-Misa. ]
«Dai, vieni.»
«Misa-Misa non mangia né carne
né carboidrati. Fanno ingrassare.»
Alzò gli occhi al cielo. «Praticamente
tutto fa ingrassare, bimba.»
«Ti ho detto di smetterla di chiamarmi così.»
«Soltanto se riesci a trovare il
coraggio di venire a sederti qui con me.»
«Se riesco…?» Misa si
sentì oltraggiata da quelle parole. «Stai forse insinuando che ho
paura di te?»
Lui ridacchiò. Persino la sua risata
suonava bastarda [bastardamente meravigliosa].
«Chissà. A giudicare dagli
appellativi che hai usato… Uh…» Finse di concentrarsi per ricordare,
ed elencò le parole sulle dita. «Pervertito, stupratore, pazzo…
Sì, direi che hai paura di me» annuì con aria saputa.
Mancò poco che Misa se lo mangiasse.
Invece riuscì a contenersi; prese un bel respiro, marciò spedita
di fronte a lui e gli si sedette di fronte.
Si guardarono ai lati opposti di quella
specie di tavola.
Al lume di candela con un estraneo.
Difficile non trovare tragicomica la scena.
«Beh» fece il rosso con
allegria, «mangiamo.»
Afferrò una forchetta e
cominciò ad avvolgere gli spaghetti dalla sua parte del piatto. Accigliata,
incredula da ciò che stava facendo, sconcertata [eccitata] da quella situazione assurda, Misa lo imitò.
Non mangiava spaghetti da una vita. Li trovò
buonissimi.
Il ‘pranzo’ fu silenzioso,
intervallato soltanto dagli sguardi che di tanto in tanto si lanciavano oltre
la candela. Assurdo, semplicemente assurdo. Anche un po’ ridicolo.
[Ma terribilmente interessante.]
Il tintinnio delle posate nel piatto era
monocorde, monotono – finché non divenne, per un solo istante, un
grattare sommesso. Misa si scosse e abbassò gli occhi per scoprire che
la sua forchetta aveva incontrato quella dello sconosciuto, intrappolando la
stessa polpetta, l’ultima.
Si affrettò a sottrarsi, ma lui
bloccò sul nascere il suo movimento, e spinse lentamente verso di lei il
piccolo impasto di carne.
Misa lo guardò in viso, in cerca del
solito ghigno. Trovò soltanto un sorrisetto [quasi] gentile. E quello
sguardo magnetico come pochi.
Rimase a fissarlo senza muoversi.
Cosa diavolo stava succedendo? Dal momento
in cui aveva scaraventato a terra il tizio incappucciato, tutto sembrava
assolutamente insensato, irreale.
Una situazione a metà tra il sogno e la favola.
E poi, proprio mentre stava per accettare
quel suo dono bislacco, lo vide scattare in piedi.
«Devo scappare, bimba.»
Batté confusamente le palpebre.
«Eh?»
Lui si stava già incamminando verso
l’imbocco del vicolo, e stavolta c’era un che di furtivo nel suo
atteggiamento. Lontano, lontanissimo, echeggiava il suono sgraziato di una
sirena.
Era… strano, perdere il contatto con
lui.
Misa si alzò e gli andò
dietro, perplessa. «Ehi, signor maniaco. Va tutto bene?»
Il rosso si voltò. Sorrise ancora,
quel sorriso un po’ storto, un po’ animalesco.
[Chi ha paura del lupo cattivo?]
«‘Signor maniaco’…
Mi piace. Aggiungo anche questa alla lista.» In due passi le fu di nuovo
di fronte. «Hai del sugo sul viso, bimba.»
Questa volta ignorò il suo modo di
rivolgersi a lei. Si portò una mano alla guancia, ormai tranquilla, quasi
rassicurata dalla sua presenza nel suo spazio vitale.
«Dove?»
«Qui.»
Si chinò appena, le chiuse la bocca
con la sua.
Lei non si ritrasse. Era buono. Era così…
giusto.
Lui si distaccò, restando ad un
soffio dalle sue labbra. Sembrava non aver più così tanta voglia
di andar via.
Le stava bene così.
«Come ti chiami, signor maniaco?»
Il sorriso lupesco ricomparve. «Axel.
Got it memorized?»
La sirena risuonò un po’
più vicina.
Axel si scostò e le strizzò l’occhio.
«Bye,
lady Amane.»
E sparì com’era apparso.
Misa rimase al suo posto per qualche
istante, a cercare di tornare alla realtà del presente. Si voltò
a guardare la tavola, la candela consumata per metà e l’ultima
polpetta rimasta nel piatto.
Poi il cellulare nella sua borsa riprese a
squillare, e per la prima volta lei ripensò allo spot.
Incurante del soprabito macchiato, corse a
sua volta fuori dal vicolo. Lui non c’era. Sparito chissà dove. La
sirena suonava ancora.
Al
lume di candela con un pazzo ricercato.
Il pranzo più
piacevole della sua vita.