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Autore: Shainareth    12/02/2010    3 recensioni
[Gundam SEED/Gundam SEED Destiny] Quella che segue è una fanfiction che, sostanzialmente, non offre alcuna novità a livello di trama, salvo poche eccezioni, in quanto ripercorre tutta la storia delle due guerre del Bloody Valentine vissute in prima persona da Athrun Zala. Ecco, forse è questa l'unica particolarità: una panoramica su entrambe le serie di Gundam SEED e Gundam SEED Destiny, viste con i suoi occhi e raccontate dalla sua bocca. In definitiva, si tratta di un approfondito studio a trecentosessanta gradi del suo personaggio.
Ho preferito perciò non tediare i lettori con dei capitoli lunghi e particolareggiati, concentrandomi piuttosto sui pensieri e, soprattutto, sugli stati d'animo del protagonista.
Non so quanto possa risultare credibile o attendibile questa mia versione di Athrun, mi auguro però di essere per lo meno riuscita a comprenderne, seppur in minima parte, la profondità. Spero non con la cecità propria della sciocca fangirl che sono.
Infine, ringrazio Atlantislux per il betaggio e per i preziosi consigli.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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FAITH




Quello che volevo fare… Quello che ero in grado di fare… La decisione spettava unicamente a me.

 

La guerra scoppiò mentre ero su PLANT. Rifiutando ogni trattativa che potesse scongiurarla, l’Alleanza Terrestre sferrò un attacco nucleare contro le colonie che tanto odiava, e se esse non vennero distrutte fu soltanto grazie ad un’arma di ultima generazione installata su di una delle navi che si prodigarono a fronteggiare quella situazione disastrosa. L’esercito nemico fu costretto a ripiegare e ZAFT poté tirare il fiato per qualche tempo.

   Gli ambasciatori di Orb mi avevano fissato un incontro con il Presidente, ma quest’ultimo era ovviamente impegnato con il Consiglio Supremo per via dei recenti avvenimenti di cui ero ancora all’oscuro. Nell’attesa, mi capitò un fatto assai curioso: incontrai Lacus. Come se questo non fosse bastato a sorprendermi, poiché sapevo che si trovava sulla Terra insieme a Kira, lei mi gettò le braccia al collo, dichiarandosi felice di vedermi. Non credo di averle donato una delle mie espressioni più intelligenti, in quell’occasione; d’altra parte, chiunque al mio posto si sarebbe chiesto cosa diamine ci facesse lì. Inoltre, non nascondo di aver sudato freddo al pensiero che avesse potuto avere un ripensamento sulla rottura del nostro fidanzamento, decisione presa di comune accordo due anni prima. Non feci in tempo a porle domande che fuggì via perché, disse, aveva un impegno inderogabile. Un attimo dopo, il Presidente mi venne incontro, scusandosi per il ritardo.

   Quando mi comunicò dell’attacco nucleare appena sventato, mi resi finalmente conto di quanto l’incidente di Junius Seven che lo aveva preceduto mi avesse segnato profondamente, facendomi di nuovo crollare in quel tunnel buio e senza vie d’uscita costruito da mio padre e dal quale non avevo idea di come uscire. Il suo nome, da me ereditato, pesava enormemente sulle mie spalle e ancora più sulla mia coscienza. Avevamo lottato tanto per la pace, e ora era stato tutto distrutto di nuovo: il nostro castello di vetro, bellissimo ed intriso di amore e di speranza per il futuro, era stato spazzato via dall’odio e dalla follia, e ancora una volta Naturals e Coordinators si trovavano a dover combattere una guerra insensata che avrebbe causato soltanto morte e dolore. Tutto quello che avevo perso per inseguire la pace e la giustizia rischiava davvero di risultare inutile. Non bisognava lasciarsi vincere dai sentimenti negativi, non dovevamo tornare in quella spirale di sangue, non avrei permesso assolutamente che altri amici, fratelli, amanti, padri e figli tornassero a combattersi com’era successo a me, non avrei rese vane le morti di Rusty, di Miguel, di Nicol e di tutti gli altri, non potevo. Se davvero, come avevano detto quei terroristi, c’era ancora gente convinta che il cammino intrapreso da mio padre fosse quello giusto, non potevo lasciare le cose così come stavano, dovevo accollarmi delle responsabilità che, insieme al nome, avevo ereditato dall’uomo che mi aveva messo al mondo.

   Ci pensò il Presidente Dullindal a calmarmi e a farmi ragionare: Patrick Zala era Patrick Zala, io ero io. Non dovevo lasciarmi abbattere da colpe non mie, dovevo solo prendere quanto costruito da mio padre e farne un esempio, purificandolo dagli errori da lui commessi per il troppo amore per la patria. Se mi fossi lasciato vincere dal dolore com’era successo a lui, avrei finito per sbagliare anch’io senza concludere niente. Mi accorsi che quel discorso aveva senso. Forse per farmi capire che tutti gli esseri umani erano soggetti a debolezze, o forse perché non poteva fare altrimenti, mi spiegò che era dovuto ricorrere ad un banale trucco per placare la popolazione che rischiava di insorgere di fronte al recentissimo attacco subito: consapevole del grande carisma che Lacus Clyne aveva esercitato su molti già all’epoca della Prima Guerra, il Presidente aveva preso sotto la propria ala protettiva una ragazza, Meer Campbell, che le assomigliava in tutto e per tutto, e che si concedeva ad apparizioni televisive con l’unico scopo di incitare la gente a non lasciasi vincere dall’odio e a cercare piuttosto una via pacifica per risolvere quelle incomprensioni.

   Pur rendendomi conto che quello che poteva sembrare un gesto disperato per scongiurare una nuova guerra rimaneva comunque una menzogna, la mia fragile stabilità psicologica ed emotiva aveva trovato un nuovo equilibrio grazie alle parole di conforto del Presidente. Dopotutto, se fossi tornato a Orb senza aver concluso nulla, sarei stato di nuovo Alex Dino, un civile senza alcun potere. Io invece volevo rendermi utile. Non intendevo dare peso alle accuse di Shinn, che mi aveva chiesto che senso avesse la mia presenza a Orb: ero stato io a scegliere di rimanere lì, perché temevo che PLANT mi rifiutasse a causa di mio padre, perché volevo vivere in un posto in cui tutti condividevano i miei ideali, perché volevo stare vicino alla donna che volevo sposare e proteggere a qualunque costo. Cagalli, però, non era l’unica persona verso la quale dovevo manifestare quel sentimento di protezione. Se solo mi fosse stato concesso, mi sarei messo a difesa di chiunque, colpevoli ed incolpevoli, perché nessuno meritava di perdere di nuovo ogni cosa. Dopo la Prima Guerra, a me erano rimasti solo Kira e sua sorella. Non avevo più una patria, non mi era neanche concessa di rendere pubblica la mia identità e dovevo vivere la mia storia d’amore nell’ombra. Lo avevo scelto io, e ne sarei stato contento finché fossi stato in grado di ridere o anche solo di respirare. Eppure adesso che la situazione era precipitata una seconda volta nel caos insieme alle mie paure più terribili, capivo che tutto quello non mi bastava più.

   Avevo bisogno di riprendere il mio nome e di riscattarlo. Avevo bisogno di agire in prima persona per scongiurare quanto già successo in passato. Gilbert Dullindal aveva bisogno del mio potere, al punto che si disse disposto ad affidarmi un Mobile Suit sviluppato insieme ai tre che erano stati rubati ad Armory One. Mi assicurò anche che non mi voleva necessariamente reintegrare in ZAFT, ma solo regalare quell’unità perché era certo ch’io ne avrei fatto l’uso più corretto, guidato com’ero dal mio grande senso di giustizia. Aveva fiducia in me.

   Mi presi del tempo per riflettere.

   Il giorno dopo incontrai Dearka e Yzak, e benché quest’ultimo mi saltò al collo non appena mi vide, pronto a farmela pagare perché costretto ad abbassarsi a farmi da guardia del corpo lì su PLANT, fu lieto di essere trascinato da me fino al cimitero: non mi capitava spesso di tornare sulle colonie, pertanto volevo approfittarne per salutare i nostri compagni caduti in battaglia. Fu davanti alla tomba di Nicol che Yzak mi parlò forse per la prima volta con il cuore in mano, pregandomi di unirmi di nuovo a loro. Dopo che avevo lasciato Carpentaria con la convinzione di aver ucciso Kira, mi aveva stretto la mano, rimediando a quanto mi aveva negato alla cerimonia di diploma dell’accademia: era stato così che mi aveva dimostrato la propria amicizia allora e adesso stava facendo la medesima cosa, mettendo da parte l’orgoglio e l’antica competizione perché mi voleva ancora al suo fianco. Il Presidente Dullidal, mi disse, era una persona onesta e, visti tutti i suoi discorsi sulla pace ed il suo concreto impegno nel tentativo di portare avanti le trattative con l’Alleanza senza dover necessariamente ricorrere alle armi, io stesso non stentavo a crederlo. Aveva persino fatto sì che nessuno dei soldati macchiatisi di colpe a causa del Governo Zala venisse punito e, anzi, aveva voluto dar loro la possibilità di rimediare agli errori commessi.

   Dopo aver parlato anche con quella ragazza, Meer Campbell, mi resi conto che, per quanto fosse diversa da Lacus nel carattere ed in moltissimi suoi atteggiamenti, non lo era invece nelle idee: voleva davvero aiutare PLANT e la Terra, e quello di sostituirsi a lei agli occhi della gente comune era il solo mezzo che aveva per servire la Nazione.

   Tutti si stavano dando da fare, compresa Cagalli che, ne ero certo, stava cercando in tutti i modi di far ragionare gli altri Emiri per respingere di petto le pretese della Federazione Atlantica. Fu stringendo nel palmo della mano la pietra di Haumea che lei mi aveva donato tempo prima che presi la mia decisione.

   Il Presidente Dullindal mi affidò lo ZGMF-X23S Saviour, raccomandandosi unicamente di non considerarmi soggetto all’Esercito benché io indossassi di nuovo la divisa di ZAFT. Quell’uniforme rossa, infatti, era soltanto simbolica, e a dimostrazione della piena autonomia che mi concedeva, egli mi fece dono del FAITH, il Fast Acting Integrate Tactical Headquarters, distintivo che veniva assegnato ai soldati autorizzati ad agire di propria iniziativa, senza essere tenuti a sottostare ad ordini che non venissero dal Presidente in persona.

   Con il mio nuovo Mobile Suit e la spilla che sfoggiavo sul bavero della giacca, adesso sentivo di poter fare qualcosa di reale per contribuire a garantire la stabilità mondiale, e di nuovo privo di quelle incertezze che mi avevano fatto vacillare nelle ultime interminabili ore, lasciai PLANT pronto a tener fede alla promessa fatta a Cagalli.













Nota: La scena di Athrun che stringe l'amuleto di Cagalli, di cui parlo in questo capitolo, è stata inserita nella Special Edition.





Chiedo immensamente scusa per il ritardo con cui aggiorno. Sebbene abbia questo ed un altra manciata di capitoli pronti da mesi, sono completamente bloccata sia con questa long che con la raccolta, e tutto a causa di Gilbert Dullindal. Vorrei ammazzarlo, giuro. Di nuovo, si intende.
'Sto maledetto mi ha uccisa l'ispirazione, facendo entrare Lanfranco in letargo. Adesso il mio neurone si è un po' svegliato, tanto che ha ricominciato a scrivere (su un altro fandom, però). Confido quindi che, una volta sbloccato il capitolo sul Papy (alias Gilbert), io riesca a mettere giù anche la shot su lui e Miriallia (della quale ho da tempo una mezza idea) per la raccolta.
Pregate per me.
Intanto voglio ringraziare kari16, Atlantislux e Kourin per le loro recensioni, sperando di poter fornire a queste belle e care fanciulle, e a tutti gli altri lettori, molto altro materiale in futuro.
Shainareth
P.S. Se qualcuno non lo avesse già letto sul mio blog, pare che, durante un'intervista radiofonica, a proposito di una domanda su Cagalli, Akira Ishida (doppiatore di Athrun in Giappone) abbia detto che Athrun in realtà è uno stalker, e onestamente non mi sento di dargli torto! XD Per riderci su, comunque, la Sunrise ci ha anche fatto un disegno in SD per il SEED Club Mobile: http://www.gundam.info/topic/3703





  
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