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Autore: ElenaNJ    14/02/2010    0 recensioni
Trovare la propria strada fra dubbi, scelte difficili, invidie mai sopite, nuovi amori e rimpianti, con una guerra alle porte ed il destino della propria stella che incombe. Shun, June, Reda ed Albione durante gli avvenimenti che segneranno le loro vite. ShunxJune, NON YAOI, leggermente fuori continuity per le età dei protagonisti.
Genere: Romantico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Shun, Cepheus Daidalos, Chameleon June
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Ho parlato col Maestro, questa sera, molto a lungo – affermò June dopo un po’, per rompere il silenzio – Ho deciso di diventare una Sacerdotessa di Atena in via definitiva, anche se ora a spingermi non sono più le stesse ragioni che avevo quando ho indossato questa maschera la prima volta. Affronterò la prova per avere l’armatura del Camaleonte tra due giorni, dopo che avrò completato l'addestramento.
- E così, alla fine, saremo tutti e due Sacri Guerrieri di Atena - commentò Shun con una voce distaccata che non pareva nemmeno la sua.
June annuì.
- So bene che tu non volevi diventare un Cavaliere, che non lo hai mai voluto e che forse non puoi capirlo, ma per me è importante.
- Non mi hai mai detto perché tu, invece, hai deciso di diventare un Cavaliere – Shun le si avvicinò e fissò lo sguardo lontano, oltre l’orizzonte buio in cui cielo e mare si univano in un solo, cupo drappo turchese – E con tanta tenacia, oltretutto. In tutti questi anni, per quanto l’addestramento fosse duro, non ti ho mai vista cedere, non ho mai sentito un solo lamento.
- Non l’ ho mai detto a nessuno. Solo il Maestro lo sa, e non perché l’ ho voluto io: non ricordo un tempo in cui lui non sia stato al mio fianco, prima ad Atene e poi su quest'isola, sai? Ma quello che provo, le mie debolezze, i miei sentimenti ora che sono un’adulta... non pensavo mi conoscesse così a fondo, che mi comprendesse tanto da intuire anche quello che io stessa non so o non voglio ammettere.
Shun rise, lo sguardo assorto ancora fisso sull’orizzonte lontano, buio e silenzioso oltre le scogliere.
Pensò a cosa Albione gli aveva detto quel pomeriggio nel suo alloggio, al momento in cui, per un attimo solo ma in modo così netto che non avrebbe mai più potuto scordarlo, aveva avvertito la sua intensa comprensione, il suo affetto che sconfinava quasi nel paterno nonostante la sua apparente imperturbabilità.
- A volte credo sia impossibile nascondergli qualcosa.
- Già…
June tacque a lungo, tanto che a un certo punto Shun pensò che, come già era capitato tante volte nei sei anni del loro addestramento e della loro amicizia, la risposta alla sua domanda non sarebbe mai arrivata.
- Rabbia. Tanta rabbia. Ecco cosa mi ha spinto a cercare di conquistare l’armatura di Cavaliere, non certo il coraggio sereno che credevi tu... che possiedi tu e che attribuisci agli altri anche quando non ce l’ hanno! Ti è così naturale, e ti invidio così tanto per questo… perché non so se io, invece, lo otterrò mai. Mi ci sono voluti anni solo per comprendere il dolore di mio padre dopo che mia madre morì per rendermi conto che lui non ne era responsabile e che non lo ero nemmeno io… per perdonarlo di avere smesso anche solo di guardarmi in faccia e poi di avermi spedita su quest’isola col Maestro Albione quando ero solo una bambina terrorizzata e piena di sensi di colpa e avevo tanto bisogno di lui! Vedi? Non sono come te, e non capisco come tu possa non portare rancore a quell’ Alman, per esempio!
Shun si avvicinò a lei, le cinse le spalle da dietro e la attirò in silenzio contro il suo petto, come se col calore del suo corpo potesse infonderle anche la serenità di cui aveva bisogno per affrontare, ancora una volta, lo spettro di quel passato che aveva cercato di seppellire alle sue spalle, come il suo volto dietro la maschera di Sacerdotessa.
Si sentì in colpa per averla costretta a rievocare quei ricordi dolorosi.
Sapeva fin troppo bene cosa volesse dire essere separati da ogni certezza, dai sostegni di sempre, sentirsi sradicati dal proprio mondo: lui non ricordava né suo padre né sua madre, ma il ricordo del distacco da Ikki, anche dopo tanti anni, continuava a bruciare la sua anima con la stessa, devastante intensità di quando era avvenuto.
- Volevo imparare a combattere per smettere di essere un peso, per riuscire a proteggere le persone che amavo e che avrei amato, per non perderle più… - abbassò il capo, e la sua voce divenne poco più di un sussurro – No... ma chi voglio prendere in giro? Questo è quello di cui ho cercato di convincermi, ma in realtà, dopo tanta rabbia e tanto dolore, volevo solo imparare a proteggere me stessa dall’amore e dalla sofferenza che si prova quando viene a mancare. È per questo che in tutti questi anni non ho mai voluto aprirmi, che non ti ho mai permesso di conoscere la mia storia e le emozioni che ho nel profondo, ed è per questo che ogni volta che hai tentato di farlo ti ho tenuto lontano e ti ho chiuso ogni accesso al mio cuore. Mi sembrava che ogni sentimento che non avesse a che fare col diventare una Sacerdotessa mi avrebbe resa debole, vulnerabile, quando la vita invece mi aveva insegnato a non mostrare mai a nessuno segni di debolezza… specialmente quella debolezza.
Appoggiò per un po’ la testa sulla sua spalla prima di staccarsi da lui. Fece solo due passi verso l’Oceano, stupita di quanto freddo facesse fuori del cerchio delle sue braccia.
- E c’era un’altra cosa: non volevo innamorarmi di un altro Cavaliere. Solo il Maestro ne è a conoscenza, qui sull’Isola. Non volevo che si venisse a sapere fra i miei compagni, nemmeno io so il perché, ma i miei genitori... ecco, lo erano entrambi.
Shun la guardò sbalordito.
- Tua madre era un Cavaliere?
June assentì.
- Istruiva le aspiranti Sacerdotesse del Tempio, proveniva da una famiglia che aveva dato molti Sacri Guerrieri al Santuario. Ero ancora piccola, allora, e credo che non si sia mai nemmeno saputo con certezza cos’era successo: la versione ufficiale è che morì nel tentativo di proteggere il Sommo Arles, allora Primo Ministro, da un traditore, ma giravano anche altre voci… su tutte quella che avesse visto qualcosa che non doveva e che per questo qualcuno l’avesse messa a tacere per sempre. Sono in molti, ad Atene, a nutrire dubbi sul Gran Sacerdote: nemmeno il Maestro si fida di lui, me l’ ha detto stasera molto chiaramente. Ricordo che mio padre, invece, lo adorava… ripeteva di continuo che doveva essere la reincarnazione di un qualche dio. Non so, non l'ho mai incontrato di persona. Comunque, quando mia madre morì, lui cambiò. Smise di interessarsi di tutto e di tutti, anche del Sacerdote, dei suoi doveri di Saint... persino di me. Quando il Maestro Albione chiese di partire alla volta di quest’isola per addestrare dei nuovi Cavalieri, lo pregò subito di portarmi con sé, come se potesse liberarsi da chissà quale peso... Non venne nemmeno a vedermi partire. Poco tempo dopo la sua armatura fu portata qui, con la notizia che era morto. Da traditore.
- June...
- A volte invidiavo chi come te non ha conosciuto i suoi genitori, sai? Li ho odiati tutti e due, non sai quanto, per avermi lasciata sola. Decisi di diventare anch’io un Saint, una Sacerdotessa Guerriero, e giuraia me stessa di non cadere nei loro stessi errori. Il resto lo sai... ma ora è tutto passato. I dubbi, la rabbia, la tristezza, il rancore, il desiderio febbrile di dimostrare qualcosa al mondo anche a costo di rinunciare alla mia stessa anima, al mio cuore di donna… Spazzati via, come i ciottoli di quest’isola saranno spazzati via dalla marea domani. Sei stato tu a liberarmi, col tuo esempio. Sono serena adesso, e come te voglio solo rendere migliore questo mondo… combattendo, perché è l’unica cosa che so fare, ma senza rinunciare alla mia vita, alla felicità, agli affetti; ora so quanto sono importanti: forse a volte possono far sembrare deboli, ma possono anche rendere forti oltre ogni limite. Diventerò una Sacerdotessa di Atena, sì, ma non per rancore o per dimostrare chissà cosa a me stessa e agli altri: solo perché è la mia strada, perché lo voglio. Perché finalmente ho trovato qualcosa di meraviglioso per cui vale davvero la pena lottare.
Shun sospirò.
- Io non ci sarò. Non potrò vederti diventare Sacerdotessa. Devo tornare a Nuova Luxor – la fissò con attenzione, come se potesse scorgere le sue reazioni attraverso la maschera inespressiva che le celava il viso e che ogni giorno, ogni momento passato su quell’isola, aveva imparato a detestare sempre di più per la distanza che innalzava tra loro... una distanza che sapeva di poter colmare soltanto in un modo, un modo che avrebbe cambiato per sempre le loro vite.
- Lo so. Me l’ ha detto il Maestro.
Shun si chinò a raccogliere un sasso e lo scagliò in mare. La pietra fece qualche rimbalzo sulla superficie scura dell’Oceano, tracciò una lunga scia di cerchi argentei che si allargarono intersecandosi per qualche istante anche dopo che le onde l’avevano inghiottito.
- Mi spiace. Avrei dovuto dirtelo quando ho ricevuto la lettera.
- Non importa. Odio gli addii.
- Ma non è un addio! Tornerò - Shun si avvicinò a lei e posò entrambe le mani sulle sue spalle - Quando tutto questo sarà finito, quando avrò ritrovato mio fratello, tornerò qui. Lo prometto. Voglio solo che tu lo sappia, June: qualunque cosa possa accadermi in futuro, il mio cuore ormai è qui. Questa è la mia casa, ben più di Nuova Luxor o di qualunque altro posto.
Per un po’, June non poté parlare. Quelle parole esprimevano con esattezza quello che lei aveva da poco scoperto di sentire… un qualcosa di così profondo, un senso di appartenenza più forte di qualunque patriottismo... e la riempivano di grande gioia: qualunque risposta le venisse alla mente le sembrava inadeguata, al punto che cominciò a ridacchiare nervosamente.
- Che c’è? Ho detto qualcosa che non va?
- No, nulla... è solo... - si staccò da lui e fece un ampio gesto a circoscrivere le scogliere ed il mare – Un po’ malandata, come casa!
Lui rise di nuovo, sollevato.
- Forse - rispose – Ma anche se non è un paradiso terrestre e io stesso, a volte, sono il primo a stupirmene, ho scoperto di amare quest’isola. E poi è adatta a noi, non trovi? Può sembrare un mondo duro in cui vivere, arido, a volte senza speranza... ma come si potrebbe rinunciare, per esempio, a un simile spettacolo?
June seguì la linea del suo dito che indicava il cielo e trasalì. Sopra di loro brillavano milioni di stelle, ma la cosa più sorprendente era la cascata di scintille nel cielo, come se centinaia di astri stessero cadendo tutti insieme, scie ardenti e palpitanti nel velluto scuro della volta celeste.
- È bellissimo! - esclamò, senza fiato.
Shun annuì.
- Questa terra è come i nostri destini - continuò quasi sottovoce prendendole la mano e stringendo le sue dita – Forse sono segnati, forse non c’è speranza di cambiarli o di piegarli al nostro volere perché diano almeno in parte i frutti che vogliamo... Le nostre vite sono un biglietto di sola andata, non si sa bene per dove... ma lungo il viaggio, anche nei momenti e nei posti peggiori, sono convinto che ci sia sempre spazio per qualcosa di bello come questa pioggia di stelle nella notte buia, per la speranza… per l’amore, forse... dipende da noi, soltanto da noi.
Le lasciò la mano per sfiorare la massa dorata e morbida dei suoi lunghi capelli, che al chiarore delle stelle sembravano splendere di una luce propria e lei si sentì accendere da quel contatto come le onde scure toccate dalla luce stellare.
Il tocco delle lunghe dita nervose e la voce sommessa di Shun erano quasi ipnotici, e per un attimo, mentre alzava lo sguardo a incontrare i suoi immensi occhi verdi, il suo sorriso rapito, a June sembrò di rivivere la sensazione provata durante il rituale del Sacrificio: sentì la comunione, il contatto, quell’affinità profonda che li legava a doppio filo, la perfetta sintonia che, da due, li faceva diventare un solo essere, un’anima sola, unendoli sino a quando il loro sangue sembrava essere diventato uno mentre i loro cuori battevano all’unisono ed era il respiro dell’uno a riempire i polmoni dell’altra, i pensieri dell’una a vagare nella mente dell’ altro…
Dimmelo, ti prego…
Nessuno di loro avrebbe mai capito chi aveva formulato quel pensiero, quella muta preghiera che, nonostante non fosse affiorata loro alle labbra, ambedue i loro cuori avevano avvertito con chiarezza.
Forse, pensarono, perché apparteneva a entrambi, con lo stesso ardore.
Shun sospirò, spostò la mano dai capelli della ragazza alla guancia ricoperta dal metallo freddo e lucido della maschera da Sacerdotessa.
Tutto il suo corpo era scosso da un fremito e sentì il cuore martellargli in petto come impazzito quando le dita di June si chiusero sulle sue e le guidarono sul bordo della maschera, al punto in cui era possibile sganciarla dal volto.
Solo in quel momento si accorse che anche lei stava tremando, più per il turbamento, comprese, che per la brezza fredda che in sei anni di duri allenamenti entrambi avevano imparato a ignorare.
Sapeva bene cosa la turbava. Era un sentimento anche suo, quello che in quei lunghi anni gli aveva sempre impedito di andare oltre un’ affettuosa amicizia: la paura di andare troppo oltre, di rovinare il meraviglioso legame che li univa per colpa di un desiderio eccessivo, di diventare un Icaro che, non pago del bagliore delle stelle, volesse raggiungere il sole, finendo per bruciare le sue ali come una falena troppo vicina al fuoco.
- June... se hai paura, se non vuoi, basta che tu lo dica e ti lascerò in pace. Ho sognato tanto questo momento, so che l’ hai letto nel mio cuore... Ma dopo, lo sai anche tu, e lo temi, l’ ho sentito chiaramente... non saremo più gli stessi di prima. Non sarà più possibile.
La ragazza posò un dito sulle sue labbra.
- Siamo già cambiati, Shun. E questo sogno è anche il mio. Lo è sempre stato, anche se solo adesso l’ ho voluto ammettere.
- Ne sei sicura? Lo sai cosa significa, vero?
- Significa che ti amo, Shun, e che ti amerò sempre, qualunque cosa il destino ci riservi. E l’amore è coraggio: ci darà la forza di affrontare qualunque difficoltà sulle strade della vita, ogni dolore, ogni delusione. Non tormentiamoci più, ti prego. Ora sono pronta, non voglio più barriere tra me e te, di nessun genere.
- E allora basta sognare... - le strinse la mano libera e la guidò sull’estremità della maschera opposta a quella che già teneva fra le dita - Basta con le parole e i muri di qualunque genere tra di noi.
La maschera sul viso della ragazza scivolò verso il basso, cadde dalle loro dita intrecciate e rimbalzò sulle rocce della spiaggia con un lieve rumore metallico, subito coperto dal mormorio delle onde e dalla musica del vento fra le scogliere.
Ci fu un lungo silenzio in cui furono i loro sguardi a parlare: quello dei limpidi occhi verdi del ragazzo, carico di una felicità immensa e di una tenerezza struggente e quello della ragazza, di un altro colore ma in cui si rispecchiavano le stesse emozioni.
- Sei bellissima - la voce di Shun era poco più di un soffio mentre il suo sguardo indugiava sul volto che aveva tante volte cercato di raffigurarsi nella mente e sempre desiderato vedere – Come immaginavo, come ho sempre saputo nel mio cuore... forse anche di più.
I lunghi capelli incorniciavano un volto dalle linee delicate, con una carnagione luminosa e liscia, appena sfumata di rosso sulle guance. Le labbra erano perfette, sensuali, dischiuse in un sorriso che colmò il cuore di Shun di un’immensa dolcezza. Ma la cosa che più lo colpì furono gli occhi: avevano le profondità azzurro cupo degli abissi marini nelle giornate in cui il sole splendeva fulgido, e proprio come dei piccoli soli scintillavano di intelligenza, sensibilità e di un qualcosa di indefinibile, un’intensa, assoluta felicità.
Da quando era bambina, June non aveva più saputo cosa significasse essere felice, o almeno non del tutto, non con quell’intensità: non aveva più osato abbandonarsi a quel sentimento la cui profondità, dopo tanti anni, le sembrava adesso così violenta da essere quasi dolorosa.
Ma ora, mentre si specchiava nei luminosi occhi di Shun, le pareva che le stelle splendessero più fulgide che mai, mentre le poche nuvole passavano nel cielo buio come grandi ali nell’aria scintillante. Ogni cosa pareva avere una luce propria, una luce che irradiava anche da lei... e forse era così: forse il segreto celato nelle loro anime, la forza dei loro Cosmi si era accesa senza che se ne accorgessero e le loro anime in quel breve, eterno istante si stavano parlando.
Il tempo pareva essersi fermato, e lei si lasciò andare a quella gioia senza più paura che, una volta passato quel momento magico, fosse la tristezza più nera a sostituirla, l’orribile senso di privazione che già aveva provato in passato dopo aver perso la sua famiglia e, con essa, tutte le sicurezze di un’infanzia finita troppo presto.
Shun non l’avrebbe lasciata sola, mai. Gliel’aveva promesso. Doveva avere fiducia in lui e in se stessa, per quanto entrambe le cose le sembrassero ancora difficili, per quanto la vita, soprattutto quella di due Cavalieri, fosse incerta e imprevedibile.
Ma crescere, forse, significa proprio questo: vivere, nonostante tutto… rialzarsi dopo ogni caduta e trovare ancora la forza di lottare.
l’immagine della bambina solitaria e senza radici che era stata le si affacciò un attimo alla mente e lei le disse addio per sempre, con un sorriso che era il riflesso di quello del ragazzo davanti a lei, un sorriso colmo di coraggio e di immenso amore per la vita.
Shun le accarezzò la guancia, l’attirò a sé con dolcezza e la strinse fra le sue braccia.
Un’infinita pace gioiosa lo pervadeva: l’amore… sentiva che era per quello, che lui era nato … donarlo, riceverlo, per sempre…, e per quello avrebbe combattuto, per suo fratello, per il suo Maestro, per i suoi amici… e soprattutto per la ragazza che ora singhiozzava piano nel cerchio delle sue braccia.
- Piangi? – le domandò.
- No – scosse la testa lei. Una lacrima ribelle le cadde dalle ciglia. – È solo che vorrei che questo momento non finisse mai.
- Anch’io.
Sollevò con gentilezza il viso della ragazza nascosto tra le pieghe della sua vecchia e ormai logora giacca da allenamento e provò un’infinita tenerezza nel passarle un dito sotto gli occhi per scacciar via le sue lacrime. Aveva sempre desiderato di poterlo fare, ogni volta che aveva avvertito la tristezza in lei.
Poi, senza una parola, si chinò su di lei e, mentre la brezza agitava i loro capelli confondendoli in una sola nube dai riflessi argentei nel cielo luminoso, divennero un essere solo.

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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Saint Seiya", creato da e (c) Masami Kurumada.
Tutti i diritti per questi personaggi sono (c) Masami Kurumada, Toei Animation e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

   
 
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