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Autore: RobynODriscoll    16/02/2010    5 recensioni
Prima di partire alla volta di Roma per il confronto finale con lo Spagnolo, Ezio Auditore da Firenze riflette sulla strada che l'ha portato ad abbracciare il Credo. 
Terza classificata per il Premio della Critica al concorso Picta!Fanfiction 2010
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Claudia Auditore, Ezio Auditore, Maria Auditore
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nulla è reale

 

Che cosa provo?

Che cosa deve provare un uomo che sta per realizzare lo scopo di tutta una vita?

Tendo l’avambraccio, guardo la lama celata scattare. La rinfodero. La faccio scattare ancora, come in un gioco di bambino.

Un bambino. Lo sono stato anch’io. E’ passato molto tempo.

Ho corso per i corridoi di Villa Auditore, facendo impazzire la balia. Ho giocato brutti scherzi al precettore, e disertato le sue lezioni fuggendo dalla finestra insieme a Federico. Ho raccolto piume e sassi colorati per gli esperimenti di Petruccio, e rotto le bambole di Claudia, cercato l’abbraccio consolatorio di mia madre e atteso con occhi frementi l’approvazione di mio padre. Un bambino, come tanti altri.  

E’ passato molto tempo. Una vita. La mia.

Avevo diciassette anni. Ricordo ancora le parole di Federico, quella sera. Appollaiati sul campanile di Santa Maria Novella, guardavamo l’Arno che brillava del rosso del tramonto. Io ci avevo visto il fuoco che brucia sull’acqua: una contraddizione in termini, lo so. Messer  Niccolò direbbe che è una metafora. Sì, un’immagine del potere inebriante che ogni giovane uomo sente scorrere nelle vene. E invece, non sapevo ancora che era un presagio. Di sangue. Di morte. Del mio destino.

“E’ una bella vita la nostra, fratello.”

“La migliore.”

Quella sera, avevo il vento tra i capelli. Nelle dita ancora il gusto dei pugni sferrati agli uomini de’ Pazzi. In gola quel raschio di chi sa che c’è ancora qualcosa da vedere, oltre ciò che il mio sguardo può abbracciare. A Firenze sono qualcuno, pensavo. Ma oltre le sue mura, chissà chi potrei diventare.

Forse, un uomo come mio padre. Stimato ovunque si rechi, dalla corte dei Medici fino al ducato degli Sforza. Dice spesso che gli somiglio, e in virtù di questo mi perdona qualsiasi cosa.

Sono fortunato, pensavo: perché non avrò il peso dell’eredità che tocca a Federico. Diverrò chi vorrò diventare.  Se vorrò aiutare gli affari di mio padre, potrò farlo. O forse, chissà, intraprenderò la carriera politica. Mia madre pensa che sia troppo testa calda. Ma io sono Ezio Auditore da Firenze, ho diciassette anni e diverrò perfino Gonfaloniere, se lo vorrò. Il mondo è nella mia mano.

 

L’eredità che non volevo è arrivata. Più pesante di quella che sarebbe toccata in sorte a Federico, se fosse vissuto. Un mantello bianco, un cappuccio bianco. Le lame celate che erano di mio padre, e il compito di seguire il Credo dell’Assassino.

Nulla è reale. Tutto è lecito.

Non mi sono mai fermato. Per ventitré anni ho perseguito la mia vendetta. Non sempre con metodo, non sempre con costanza. Mi sono distratto. Ho inseguito donne e denaro. Meglio se facili, entrambi. Ho ceduto, spesso, alla vanità provocata dalla mia crescente abilità, al gusto del sangue per il sangue, a questa voluttà che è lo sfidare se stessi continuamente. Migliorarsi. Agire più silenziosamente. Arrampicarsi più rapidamente. Riuscire non bastava. Dovevo essere perfetto. Dovevo diventare un assassino esemplare. Perché mio padre non poteva più dirmi che gli somigliavo, e l’unico modo per essere ancora sicuro di quelle parole era diventare lui.

C’è qualcosa che rimpiango. Qualcosa in cui non sono riuscito ad eguagliarlo. Non ho mai trovato nessuno con cui dividere ciò che lui aveva con mia madre.

I loro sguardi. I loro baci rubati, quando credevano che nessuno li vedesse. L’ho cercato, quello che loro avevano. Ero solo, e un legame mi avrebbe portato conforto. Ma negli occhi di nessuna donna io ho mai trovato ciò che speravo di vedere. E quando qualcosa rischiava di assomigliarvi, provavo un gelo profondo, che mi costringeva a ritrarmi.

Solo con Caterina…forse, avrebbe potuto essere qualcosa di diverso.

Nella sua arroganza riconoscevo ciò che ero stato. Nella freddezza con cui portava avanti i suoi obiettivi, vedevo ciò a cui dovevo aspirare. E la bambina monella che intravedevo dietro i suoi sguardi mi accendeva di desiderio, sempre, in ogni circostanza.

Non è accaduto, comunque, e forse è un bene.

Cos’ha portato a mia madre, questo tanto decantato amore?

Da ventitré anni non parla. Si lascia condurre docilmente da Claudia, come una bambina. Le serve la vestono, la imboccano, le fanno il bagno. Appena viene lasciata sola, si inginocchia accanto al letto e prega, stringendo al petto lo scrigno in cui conserva le piume che, di tanto in tanto, le porto dai miei viaggi. Quelle che le ricordano Petruccio.

Prima di partire per questo mio ultimo viaggio (perché sarà l’ultimo, nel bene o nel male), mi sono inginocchiato accanto a lei. Le ho parlato, senza sperare di ricevere risposta.

“Perché lo fate?”

Mi ha rivolto un sorriso vacuo, senza lasciare il rosario. Mi ha accarezzato una guancia con affetto.

“Prego che Nostro Signore ti protegga sempre, Giovanni.”    

Nostro Signore non esiste, Giovanni è morto. Sono Ezio. E nessuno mi proteggerà, se non me stesso.

Non dissi niente di tutto questo. Invece, le baciai la mano, e questo sembrò farla contenta. Riprese a pregare.

Indossavo la mia corazza Missaglia. La cappa turchese che mi ricordava i tempi delle scorribande con i ladri, a Venezia. La schiavona al fianco, le lame celate sempre al mio braccio come ossa aggiuntive. Ero pronto per partire alla volta di Roma. Gli altri Assassini mi avevano anticipato di qualche giorno, per organizzare i disordini che mi avrebbero permesso di arrivare indisturbato in Vaticano.

Leonardo mi aveva scritto da Mantova: una lettera criptata che avevo faticato a decifrare, un codice semplice secondo il mio geniale amico, ma sufficientemente complesso da occuparmi un’intera mattinata di studio per decifrarlo. Ha saputo del nostro piano da Niccolò Machiavelli, tramite un’altra lettera criptata. Mi rivolge parole di conforto, di sostegno, di eterna amicizia. Ho sorriso nel leggerle. So che non sono solo, ma non conta ormai. Chi va incontro al proprio destino è sempre solo.

“Ezio.”

Claudia si affaccia alla porta del laboratorio. Non è cambiata. Le rughe iniziano a disegnarsi anche sul suo volto. Non si è mai sposata, ma noto che i suoi sguardi, a volte, sfuggono con tenerezza sull’architetto che lavora insieme a lei alla gestione del borgo. Sa che non ha che da chiedere: darò loro la mia benedizione. Darò la mia benedizione a Claudia sempre, qualsiasi cosa faccia. Ha dedicato la vita a Monteriggioni e a mia madre, ha lavorato duramente come una donna della sua condizione non dovrebbe fare. Merita di avere qualcosa che le appartenga. Qualcosa che la renda felice.

Ma non è qui per chiedermi il permesso di sposare un uomo inferiore al suo rango. E’ qui per me, a quanto sembra.

“Vorrei poterti essere utile.”

La bacio sulla fronte. “Lo sei sempre stata. Non sai quanto.”

“Vorrei una di quelle tue lame, per affondarla nella pappagorgia dello Spagnolo.”

“Claudia, non essere irriverente. Non si parla così di Sua Santità.”

Faccio per uscire, quando lei mi trattiene. Goffamente, mi abbraccia. Non ricordo l’ultima volta che l’ha fatto, forse eravamo bambini…o forse è stato quella volta, quando ho preso a pugni il suo fidanzato infedele. Toccava a lei fare il primo passo, comunque. Queste sono cose da donne. 

“Non azzardarti a non tornare. Ti toglierei il saluto per sempre.”

Sorrido. Pensavo che mi avrebbe chiesto di vendicare Federico, Petruccio e nostro padre. Ma forse, qui siamo rimasti soltanto io e mia madre a vivere per i morti.

“Tornerò, è una promessa.”

Sembro sicuro: ma le ho mentito, e lei lo sa. Per questo piange, mentre mi allontano lungo i gradini della Villa.

 

Che cosa provo?

Nulla.

Io non provo nulla. Perché nulla è reale, nemmeno la vendetta. E tutto è lecito, perfino questa indifferenza che mi pervade e che non so spiegare. Che riesca, che fallisca, non ha alcuna importanza dopo tutto. Perché in ogni caso oggi finirà lo scopo della mia vita. Comunque vada, io oggi morirò.

Requiescas in pace, Ezio Auditore.  

 

 

 

Nota:

La fan fiction rappresenta la situazione del “mio” Ezio al momento in cui ho affrontato la missione finale. E’ stata scritta subito dopo la conclusione del gioco, e tiene dunque presente soltanto delle informazioni fornite dallo stesso  e dal film “Assassin’s Creed Lineage”. Non vengono considerate informazioni e fatti presenti nei DLC “La Battaglia di Forlì” e “Il Falò delle Vanità”, né tantomeno del romanzo o delle anticipazioni su “Assassin’s Creed Brotherhood”. Non avevo nemmeno terminato la missione delle piume.  

   
 
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