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Autore: RobynODriscoll    25/02/2010    29 recensioni
"Sono stata molte cose nella mia vita. Figlia e assassina, sposa e puttana, sorella e traditrice, amante e spergiura; a volte saggia, a volte folle, a volte sciocca e inerme. Ho creduto e ho dubitato, ho osato e ho fallito. Tante, troppe volte, ho avuto paura, tranne quando avrei dovuto averne per davvero.
Mi chiamo Bianca Auditore, sono figlia di un assassino e di una ladra. Cesare Borgia è stato il mio primo amante: diceva che era la mia purezza a istigarlo al peccato, come una macchia nera sulla mia pelle. Ma sbagliava; perché il peccato non è una macchia. Il peccato è di un bianco accecante. Come la neve e il vuoto, la morte e l’assenza. Come il lutto, la gioia, e la veste degli Assassini."
Genere: Azione, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Claudia Auditore , Ezio Auditore, Leonardo da Vinci , Maria Auditore , Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Filo Rosso del Destino - la storia di Bianca Auditore da Monteriggioni' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Il mio primo ricordo di lui è una voce nell’altra stanza. Una voce irata, che mi spaventò.
Dovevo essere molto piccola, perché Vanni non c’era ancora. Avevo tre anni, quattro. Ma forse, a pensarci meglio, tre. 
“Pensavi davvero di potermelo tenere nascosto? Pensavi che Antonio avrebbe mantenuto il segreto?”
Avevo paura, perché nella stanza era buio e mia madre mi aveva messo a letto anche se non volevo. Quell’uomo era entrato dopo che lei mi aveva lasciato lì, da sola, a guardare le ombre spettrali che filtravano dalle fessure delle imposte. 
Con il tempo ho rimuginato su questo ricordo così tanto, che devo aver inventato molti dei particolari. Sono certa, ad esempio, di aver visto delle farfalle bianche giocare sul muro. Ho cercato di afferrarne una, ma si è dissolta in polvere appena l’ho toccata, lasciandomi dei granelli brillanti sulle dita.
Forse era soltanto una falena morente. Forse non c’era nemmeno. Di quell’età, non dovrebbero restare ricordi. I miei sono invece così nitidi, che posso dirvi con certezza cosa si dissero gli adulti, nella stanza accanto.
La voce di lui si era fatta più calma. Quasi addolorata.
“Perché non me l’hai detto, Rosa?”
Un silenzio.
“Cosa sarebbe cambiato? Tu dovevi partire. Tu devi sempre partire. Prima a Firenze, e poi sa Dio dove! Anche se avessi voluto dirtelo, come ti avrei trovato?”
Non rispose. Lo sentii sedersi sullo sgabello rotto, quello che cigolava sempre.
“Posso vederla?”
“Sta dormendo.”
“Rosa, ti prego. Se tu vorrai, io non la vedrò più. Ma almeno una volta…voglio vedere il suo viso.”
Dopo un tempo che mi parve eterno, in cui pregai che lei lo cacciasse via, sentii i cardini della porta cigolare.
La luce di una candela dissolse il buio e le mie falene bianche. Gli occhi azzurri di mia madre erano tristi.
“Non dormi, piccola?”
“C’erano le farfalle.”
Lei non mi prese molto sul serio. Sorrise, sollevandomi dal giaciglio per tenermi tra le braccia.
Allora, vidi l’uomo. 
Era alto, il naso lungo e dritto, la carnagione scura. Non aveva un’espressione minacciosa, ma ero ancora diffidente.
“Chi sei tu?”
Anche lui sorrise. Allungò un dito, per accarezzarmi la guancia. “Mi chiamo Ezio.”
A quel punto, mia madre disse ciò che non era necessario dire. L’avevo capito dal primo momento in cui avevo sentito la sua voce.
“Bianca, Ezio è tuo padre.”


Poiché sono sostanzialmente una fangirl, non potevo resistere all'idea di parlare dei figli di Ezio! All'inizio non mi convinceva il suo rapporto con Rosa, poi lentamente mi sono innamorata della coppia e ho deciso che la madre dei suoi figli, almeno nella mia fantasia, doveva essere lei.Nella speranza di non compiere uno scempio con la storia rinascimentale, vi propongo la storia di Bianca e Vanni Auditore, raccontata da Bianca in prima persona.Spero vi piaccia ^_^

Il mio primo ricordo di lui è una voce nell’altra stanza. Una voce irata, che mi spaventò.

Dovevo essere molto piccola, perché Vanni non c’era ancora. Avevo tre anni, quattro. Ma forse, a pensarci meglio, tre.

“Pensavi davvero di potermelo tenere nascosto? Pensavi che Antonio avrebbe mantenuto il segreto?”

Avevo paura, perché nella stanza era buio e mia madre mi aveva messo a letto anche se non volevo. Quell’uomo era entrato dopo che lei mi aveva lasciato lì, da sola, a guardare le ombre spettrali che filtravano dalle fessure delle imposte.

Con il tempo ho rimuginato su questo ricordo così tanto, che devo aver inventato molti dei particolari. Sono certa, ad esempio, di aver visto delle farfalle bianche giocare sul muro. Ho cercato di afferrarne una, ma si è dissolta in polvere appena l’ho toccata, lasciandomi dei granelli brillanti sulle dita.

Forse era soltanto una falena morente. Forse non c’era nemmeno. Di quell’età, non dovrebbero restare ricordi. I miei sono invece così nitidi, che posso dirvi con certezza cosa si dissero gli adulti, nella stanza accanto.

La voce di lui si era fatta più calma. Quasi addolorata.

“Perché non me l’hai detto, Rosa?”

Un silenzio.

“Cosa sarebbe cambiato? Tu dovevi partire. Tu devi sempre partire. Prima a Firenze, e poi sa Dio dove! Anche se avessi voluto dirtelo, come ti avrei trovato?”

Non rispose. Lo sentii sedersi sullo sgabello rotto, quello che cigolava sempre.

“Posso vederla?”

“Sta dormendo.”

“Rosa, ti prego. Se tu vorrai, io non la vedrò più. Ma almeno una volta…voglio vedere il suo viso.”

Dopo un tempo che mi parve eterno, in cui pregai che lei lo cacciasse via, sentii i cardini della porta cigolare.

La luce di una candela dissolse il buio e le mie falene bianche. Gli occhi azzurri di mia madre erano tristi.

“Non dormi, piccola?”

“C’erano le farfalle.”

Lei non mi prese molto sul serio. Sorrise, sollevandomi dal giaciglio per tenermi tra le braccia.

Allora, vidi l’uomo.

Era alto, il naso lungo e dritto, la carnagione scura. Non aveva un’espressione minacciosa, ma ero ancora diffidente.

“Chi sei tu?”

Anche lui sorrise. Allungò un dito, per accarezzarmi la guancia. “Mi chiamo Ezio.”

A quel punto, mia madre disse ciò che non era necessario dire. L’avevo capito dal primo momento in cui avevo sentito la sua voce.

“Bianca, Ezio è tuo padre.”

 

   
 
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