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Autore: Tsukuyomi    03/03/2010    7 recensioni
Salve a tutti! Finalmente prendo coraggio e pubblico.
Questa fanfic mi ronza in testa da tanto di quel tempo che ormai si scrive da sola.
Per il momento avrete sotto agli occhi dei futuri Gold Saint, ancora bambini e innocenti (più o meno), alcuni ancora non si conoscono e altri sì, alcuni sono nati nel Santuario e altri no, alcuni dovranno imparare il greco e, di qualcuno, non si sa per quale recondito motivo, non si conosce il nome. Spero che apprezziate. La storia è ambientata ai nostri giorni, per cui, le vicende conosciute avranno luogo nel futuro.
Genere: Comico, Generale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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18 Sion e Mu camminarono tutta la notte.
Non c’era realmente necessità di affrontare il viaggio a piedi e tantomeno di farlo seguendo vie convenzionali, Sion aveva solo intenzione di sincerarsi della tempra del piccolo. Non avrebbe avuto vita facile, come nessun prescelto, ma doveva assicurarsi che il bambino si comportasse come lui sperava. Mu lo seguì sempre, faticando, inciampando e continuando a trascinare dietro di sé il sacco che gli aveva dato il padre. I suoi effetti personali erano pochi e leggeri, solo qualche cambio d’abito e un vecchio cavallo di legno, intagliato appositamente per lui.
Sion camminava silenzioso e Mu dietro di lui a pochi passi di distanza.
Era quasi l’alba quando Mu si decise a parlare e a chiedere, titubante, un secondo di riposo.
«Mi chiedevo quanto tempo avessi intenzione di far passare prima di domandarmelo.» rispose Sion con tono burbero, nascondendo la sua soddisfazione. Non solo il piccolo aveva dimostrato impegno e stoicismo, ma aveva dimostrato di essere in grado di obbedire.  Mu lo guardò, senza aprire bocca.
Il cielo, alla loro sinistra iniziava a schiarire e a mostrare più chiaramente il sentiero. I segni dell’albedo erano sempre più forti; entro poco sarebbe sorto il sole.
«Vieni qui.» lo chiamò.
Mu si avvicinò lentamente. Il sacco che trascinava da ore era rovinato e consumato, poche e indebolite trame ne fermavano il contenuto. Un sasso appuntito sfondò il debole intreccio e il contenuto iniziò a scivolare sulla terra.
Il bambino diede uno strattone al sacco, ottenendo solamente di sparpagliare tutto per strada. Guardò Sion negli occhi e quest’ultimo sorrise flebilmente, restituendo  uno sguardo interrogativo.
Esasperato, il bambino infilò nuovamente il contenuto nel sacco, afferrandolo al contrario e chiudendolo saldamente con le mani dove si era formata la nuova apertura. Solo quando ebbe finito si avvicinò al suo accompagnatore, che lo prese in braccio e si getto il sacco sulle spalle.
«Riposa, ora.» gli disse.
In pochi minuti il piccolo tibetano ronfava, stremato, tra le braccia di Sion che, solo allora, si teletrasportò dinnanzi un tempio sulle rive del Gange.
Ammirò il portone e le mura con curiosità e una scintilla di nostalgia prima di decidersi ad avvicinarsi di un solo passo. Il sole era ormai sorto da qualche minuto, e al tempio sarebbero già dovuti essere tutti in piedi da diverso tempo.
I monaci buddhisti tenevano dei ritmi particolari, che Sion ricordasse; era sicuro che fossero tutti in piedi. Iniziò a preoccuparsi non notando segni di vita evidenti. Strinse il piccolo, guardandosi intorno e cercando un posto dove adagiarlo per andare a controllare. Se ci fosse stato bisogno di combattere, la presenza del piccolo, fosse stato sveglio o addormentato, sarebbe stata solo un grosso problema: avrebbe dovuto evitare che potesse venir colpito dai colpi di entrambi gli schieramenti.
In battaglia era sempre stata consigliabile l’assenza di persone non direttamente coinvolte.
Poco lontano dall’ingresso, troneggiavano diversi massi. Erano grandi e al loro centro costituivano un riparo abbastanza sicuro. Si diresse verso il riparo e una volta giunto in prossimità fece cadere il sacco dalla spalla.
Non percepiva nessun cosmo, ostile o amico, ma aveva imparato col tempo ad essere cauto. Era conscio che si potesse nascondere la presenza del cosmo con l’esercizio. Per un cavaliere esperto era un gioco da ragazzi mascherare la propria forza con le forze che permettevano alla terra di continuare a girare e rimanere viva. Dopotutto, i creatori di tutto erano sempre gli stessi.
Appena lasciò la presa sul corpo di Mu, questi si svegliò. Sbadigliò e assonnato si grattò un occhio.
«Che succede?» chiese, stropicciando l’occhio con forza crescente.
«Ascoltami.» sussurrò Sion. «Devi rimanere qui, fermo e immobile. Qualunque cosa succeda, qualunque cosa accada, voglio che tu non ti muova. Intesi?»
Mu obbedì e si coricò nuovamente, avendo cura di stringersi le ginocchia al petto.
Sion si tolse il mantello e nascose ulteriormente il corpo del bambino, piegandoglielo sopra.
«Mi raccomando. Non muoverti.»
Dopo l’ultima raccomandazione si voltò e si diresse verso il portone. Si incamminò seguendo il muro sinistro. Prima di entrare e sincerarsi della realtà dei fatti, voleva verificare che il tempio non avesse subìto un attacco esterno.
Inoltre, se qualcuno si fosse introdotto nel tempio e avesse avuto un cosmo, o se semplicemente qualcuno fosse in grado di distinguere e riconoscere quella forza ancestrale che i guerrieri votati alle divinità possedevano. Non poteva permettersi di sottovalutare nessuno e nascose la sua presenza.
Completò il giro del tempio e si trovò nuovamente di fronte al massiccio portone ligneo.
Appoggiò lievemente il palmo della mano sulla parte destra del portone. Trattenne il respiro e si piegò leggermente in avanti, pronto a scattare nel caso che qualcuno si apprestasse a scagliare qualche colpo non appena il portone si fosse aperto.
Spinse leggermente.
L a porta si aprì senza fatica, come se qualcuno la tirasse dall’interno. Si preparò all’attacco quando Dalshim gli comparve davanti.
«Namaskar, Sion.» disse con le mani giunte all’altezza del torace in preghiera. Offrì a Sion un leggero inchino e un sorriso.
Sion abbandonò ogni ostilità e dopo aver congiunto le mani al petto, inclinò leggermente il capo.
«Namaskar, Dalshim.» sorrise.
«Mi chiedevo cosa aspettassi ad entrare. Non mi hai mai fatto attendere tanto.»
«Saranno le paranoie di un povero vecchio, ma mi è sembrato innaturale che il portone del tempio fosse ancora chiuso.»
«Sion, mi meravigli. Durante le preghiere del mattino il tempio è chiuso.»
«Hai ragione.»
Dalshim sorrise. «Non ti preoccupare. So perché sei qui. Seguimi, il bambino ti attende. Credo che presagisse il tuo arrivo, ieri notte ha preparato le sue cose, anche se ha poco.»
Sion pensò a Mu che lo attendeva nascosto. Informò l’amico di attendere un istante, ma il piccolo Mu, con il sacco e il mantello di Sion lo raggiunse.
«Un altro prescelto?» domandò il monaco, dopo avergli rivolto un sorriso.  Sion si limitò ad annuire e a riassumere in poche frasi chi fosse il piccolo.
«Andrà d’accordo con Shaka, ammesso che Shaka gli rivolga la parola, è un bambino particolare. In lui brilla un scintilla divina, non solo è nato per prendere il suo posto tra le schiere di Atena e affiancare la dea, ma il suo compito sarà molto più grande e importante di custode di uno dei tempi sacri. Sion, il bambino è incredibilmente ricettivo, aperto alla meditazione e possiede un potere incredibile… e ha solo tre anni.» Non diede al tibetano il tempo di rispondere e si voltò per fare strada al suo ospite.
Sion lo seguì, dopo aver preso il mantello che gli porgeva Mu. Lo indossò nuovamente e celò l’armatura, prese poi la sacca di Mu, che ostinatamente, insisteva a trascinare. La gettò oltre le spalle.
«Di’ un po’, ma non ti avevo detto di rimanere fermo?»
Mu sorrise e rispose: «Non c’era pericolo, parlavi con lui» indicò il monaco. «Scusa se ho disobbedito.»
«Andiamo, dai.» disse Sion precedendolo.

Arrivarono in un grande spiazzo. I muri erano stati costruiti con grandi blocchi di pietra, e il pavimento era ricoperto con lastroni dello stesso materiale. Diverse statue dei Buddha adornavano il luogo intriso di sacralità.
Sul pavimento, seduto a gambe incrociate all’interno del perimetro di uno dei lastroni, un bambino biondo, con occhi chiusi e mani giunte poco sotto l’ombelico meditava. Sion lo scrutò a lungo, Mu imitò il maestro.
«Lui è Shaka.» disse Dalshim laconico.
Al sentirsi nominare, Shaka si mosse lievemente, disgiunse le mani e si alzò.
Indossava la tunica tipica dei monaci, poco avvezzi nel prendersi cura di un bambino tanto piccolo date le dimensioni dell’abito. Il piccolo si diresse con calma verso i nuovi arrivati e appena arrivò davanti a loro, con gentilezza, inchinò la testa e pronunciò un saluto. Sion e Mu risposero.
Mu guardò il suo coetaneo, in piedi davanti a lui. Non capiva perché avesse gli occhi chiusi e chiese a Sion.
«Prova a chiederlo a lui.» lo esortò con tono bonario.
Mu obbedì, domandando in tibetano e Shaka rispose nella sua lingua.
Sion sorrise. Tra i due bambini si era già instaurato un legame. Sembravano comunicare pur senza capirsi, anche se non avrebbe saputo dire cosa avesse risposto l’indiano.
Sion e Mu rimasero nel tempio per qualche giorno, seguendo fedelmente tutte le regole interne. La mattina alle tre iniziava la preghiera e partecipavano come ospiti d’onore ad una delle più antiche tradizioni indiane. Shaka pregava accanto a Mu, aiutandolo nella postura.
I poteri telecinetici di Mu furono d’immenso aiuto per il piccolo, che fu così in grado di far propri i pensieri dell’indiano. Quello che attraversava la mente di Shaka poteva essere visto da Mu.
Per leggere il pensiero non era necessario esprimersi con le stesse parole o con la stessa lingua. L’elettricità che si scambiavano i neuroni veniva tradotta sottoforma di immagini. Shaka, d’altro canto, comunicava col piccolo tibetano attraverso la meditazione, mostrandogli tutto quello che desiderava.

Poco prima della partenza alla volta della Grecia, i due bambini vennero lasciati nel giardino antecedente i dormitori dei monaci. Sion e Dalshim si recarono all’interno di una stanza e parlarono a lungo del piccolo Buddha.
«È prossimo al raggiungimento del settimo senso, Sion. Presto, molto presto, sarà capace di spostarsi alla velocità della luce e potrà indossare le sacre vestigia.» sussurrò, nel portarsi del thé alle labbra.
Sion partecipò alla piccola cerimonia privata con gioia, tenendo stretta in mano la strana tazza.
«Vorrei che fossero un po’ più grandi. Anche se Shaka potrebbe essere in grado di vestire la sacra armatura dal prossimo anno, non indirò il torneo. Ho intenzione di aspettare che anche gli altri ragazzi raggiungano il settimo senso.»
«Comprendo quello che intendi, ma in questo modo rimanderai anche la protezione del Santuario. Potrebbe risultare controproducente per te.»
«Non credo, Dalshim. Il Santuario è protetto dai soldati e dagli altri cavalieri, anche se di basso rango. Ci sono diversi Cavalieri d’Argento che possono provvedere alla protezione del Grande Tempio senza problema alcuno. Non siamo sguarniti. L’ultima generazione di Gold Saint, la mia, è stata decimata nell’ultima guerra contro Hades, duecentoventisette anni fa, gran parte dei mie compagni diventarono cavalieri in giovanissima età. Vorrei che fossero più grandi. Anche un anno di ritardo, rispetto alla scorsa generazione, potrebbe fare la differenza. Non hai idea di cosa siano in grado di fare questi bambini, ne sono ancora inconsapevoli e finché non affronteranno l’addestramento vero e proprio non sapranno cosa sono in grado di fare.»
«Ti sbagli. Ho cresciuto il piccolo Shaka, ho visto di cosa è capace, so cosa è in grado di fare. Posso solo immaginare cosa sarà in futuro. Lo sai che Asmita di Virgo venne addestrato qui? Sulle rive del Gange.»
«Lo so benissimo. Per questo avevo intenzione di lasciarlo qui, ma preferirei insegnargli le tecniche base di combattimento, anche se ricordo fin troppo bene che Asmita se ne serviva raramente. Quasi mai in realtà. Lo stesso sarà per Shaka. Ma al fine di creare un legame tra loro, seppur minimo, vale la pena portarlo via da qui, condivideranno lo stesso destino e credo sia meglio che si conoscano da piccoli. Sarà solo per qualche mese, conto di mandarli nei luoghi scelti per l’addestramento.»
«Ti preoccupi troppo, Sion. Seguiranno la loro strada. Se il loro destino richiede loro di odiarsi, si odieranno a prescindere da qualunque tua azione. Lo sai, non possiamo interferire. Il dolore e la morte fanno parte del cammino umano, è riuscire a sconfiggerli ed elevarsi l’unico modo per sfuggirvi. E sarà possibile sfuggirvi solo quando si comprenderà il senso della vita.»
Sion annuì brevemente, e sorrise nel cogliere tra le righe il sottile tentativo di conversione. «Non rinunci mai, vero?»
«No.» disse con tranquillità. «Il raggiungimento del Nirvana, l’allontanarsi dalle passioni terrene e raggiungere la pace, la comprensione… illuminarsi di conoscenza. Questo è il percorso da seguire. Altrettanto nobile è la protezione del mondo, ma affinché la pace sia raggiunta è necessario allontanarsi da ciò che ci circonda, bisogna osservare le cose con distacco al fine di comprenderle. Tutto ciò che ci crea sentimenti, siano positivi o negativi, che ci coinvolgono – come la lotta per la giustizia – ci allontana dalla comprensione effettiva. Continua la tua battaglia, Sion. Io attenderò.»
Parlarono ancora a lungo, ricordando qualche avvenimento del passato.
Il ritorno in patria fu per Sion motivo di ansia. Erano anni che non pensava al suo passato, al suo maestro, ai suoi compagni e alla precedente guerra sacra che aveva visto decimate le schiere di Atena.
Solo quando fu il momento di andare via dal tempio, prese con se Mu e Shaka.
«Seguitemi.» disse, senza dar loro spiegazioni.
I bambini obbedirono, in silenzio, voltandosi di quando in quando a guardarsi intorno.
Shaka aveva compreso che doveva salutare l’India, i suoi profumi e tutto quello che aveva sempre conosciuto. Andava incontro ad una nuova avventura.
Quando furono abbastanza distanti dal tempio, Sion si avvicinò ai due bambini, arse il suo cosmo e intimò ai piccoli di stare tranquilli. Si concentrò e si teletrasportò, assieme a loro, direttamente nelle stanze del tredicesimo tempio.
Solo allora si liberò del dolce peso dell’armatura, esplodendo in un bagliore dorato.
Come aveva già pensato, mentre li vedeva parlottare nel giardino, i due bambini sarebbero potuti diventare grandi guerrieri. Non si spaventarono e non chiesero cosa fosse accaduto alle placche dell’armatura; dentro di loro sapevano. Col tempo, Mu avrebbe imparato il greco, per il momento poteva fare da interprete lui stesso, Shaka conosceva il greco e non avrebbe tardato ad imparare il tibetano, pensò. Fece convocare due nutrici a cui affidò i bambini, raccomandandosi che non venissero divisi.
Si sedette sul trono appena fu solo. Il viaggio era stato stancante.
«Non ho più l’età per queste cose.» sussurrò a se stesso. Ormai tutti i possibili candidati a vestire le armature sacre erano al Santuario, non gli restava altro che scegliere le destinazioni per l’addestramento vero e proprio. Alcuni si sarebbero potuti allenare al Santuario, ma molti si sarebbero dovuti allontanare parecchio dal Grande Tempio.

Mu  e Shaka vennero condotti nei dormitori. La cena era già stata servita e l’ora di andare a dormire era sempre più vicina. Molti dei ragazzi dormivano già, distrutti dagli allenamenti. Erano tutti apprendisti e l’apprendistato era duro, anche se nulla in confronto all’addestramento vero e proprio.
Milo faticava a tenere le palpebre aperte, ma non aveva la minima intenzione di andare a dormire. Sembrava preferire di gran lunga infastidire Aiolia, che già coricato, desiderava solo lasciarsi andare tra le braccia di Morfeo, e Camus che prestava maggior attenzione alle parole dell’amico.
Le nutrici presentarono Mu e Shaka a tutti. Vennero accolti con sorrisi e sbadigli.
Milo non si lasciò sfuggire la possibilità di avvicinarsi e stringere amicizia, incuriosito. La sua sete di conoscenza sui nuovi arrivati venne spenta immediatamente dall’intervento delle nutrici che spensero le luci, intimando severe punizioni. Il momento in cui sarebbero dovuti partire era vicino, l’indulgenza iniziale doveva essere ormai dimenticata a favore di una mano ferma e toni più severi.

La sorpresa delle nutrici fu grande quando si recarono a svegliare gli apprendisti cavalieri: Shaka sedeva davanti al letto nella posizione del loto. Meditava e il disturbo datogli dalla sveglia lo infastidì, era dura per lui glissare sulle vecchie abitudini. Ricordò gli insegnamenti riguardo l’ira fattigli da Dalshim e respirò a fondo. Per staccarsi dalle passioni umane era necessario tanto tempo e tanta pazienza.
Anche Mu e Shaka vennero portati al campo di addestramento principale, come tutti gli altri. Ebbero la sfortuna di essere gli ultimi arrivati e si sarebbero dovuti ambientare in fretta, senza aver tempo di metabolizzare il nuovo stile di vita.
Galgo aspettava i bambini più piccoli il giorno, aiutato da dieci soldati. Era necessario aiuto per l’addestramento dei più piccoli, troppo vivaci e incuriositi da tutti per potersi concentrare completamente sull’addestramento.
Miach divise i bambini in undici gruppi di tre-quattro bambini, ogni gruppo era capeggiato da un soldato, eccetto un gruppo che era capeggiato direttamente da lui. Decise di prendere immediatamente sotto la sua ala gli ultimi due arrivi, nella speranza di farsi capire.
La prima ora volò rapida, con i piccoli impegnati in una corsa di resistenza e poi in una sorta di percorso, che andava completato sempre più velocemente. La velocità era importante per i piccoli, non solo avrebbero dovuto mantenere dei muscoli abbastanza scattanti e flessuosi, ma i tendini non dovevano indurirsi a causa dell’ingrossamento delle fibre muscolari. Sviluppare i muscoli senza compromettere l’agilità sarebbe stata dura.
Aiolia era particolarmente bravo nell’affrontare il percorso, così come Milo. Camus sembrava poco interessato allo scontro prettamente fisico, Ramón, al contrario, ne era affascinato.
Shaka affrontò il percorso con estrema calma, a passo lento. Quando un soldato gli si avvicinò per intimargli di accelerare, questi finì scagliato contro la parete rocciosa che delimitava l’arena.
«Oh, bene.» si disse Galgo. Avrebbe parlato con il Gran Sacerdote della questione in serata, al momento doveva continuare l’allenamento. Cercò di spiegare a Shaka come avrebbe dovuto affrontare gli ostacoli e perché, ma il piccolo santone non volle sentire ragioni.
Miach sbuffò. Non credeva che sarebbe stato difficile indirizzare i bambini più piccoli verso quello che per lui era diventato ragione di vita. João non c’aveva messo molto a convincerlo in passato, gli era bastato manifestare il suo cosmo e tutti quei serpenti brillanti. Non poteva usare lo stesso metodo con Shaka, sapeva che il bambino gli era già superiore, soprattutto dopo aver visto quell’esplosione che aveva scagliato il soldato contro la roccia, ma non poteva  non agire. Se avesse fatto passare liscia la cosa al piccolo, anche gli altri bambini avrebbero potuto ribellarsi e non fare quello che dovevano.
Le reclute erano al completo, il tempo dei giochi esaurito: ora avrebbe dovuto usare il pugno di ferro, ma pensare di farlo non era semplice come farlo davvero.
Decise di far concludere il percorso anche a Mu, e solo dopo rifarlo fare a Shaka. 
Mu si teletrasportò alla fine del percorso, lasciandolo spaesato e senza sapere come agire. Da un lato si trovò a pensare che i bambini gli avevano disobbedito, evitando di fare il loro dovere come gli veniva richiesto, dall’altro dovette riconoscere che alla fine dei conti il percorso era stato completato. In battaglia sarebbe potuta andare bene l’andatura lenta di Shaka, si sarebbe protetto col cosmo, esattamente come aveva fatto contro il soldato. Mu invece aveva battuto ogni record di velocità, scomparendo da una parte e semplicemente ricomparendo dall’altra.
Avevano superato la prova, ma non nel modo richiesto. Non sapeva come comportarsi e decise semplicemente di studiare i due nuovi arrivi e poi chiedere udienza al Sommo Sion.

Nell’arena vicina João si faceva attaccare contemporaneamente da tutti i ragazzi. Voleva verificare che fossero in grado di elaborare una strategia d’attacco in comune. Le discordanze tra loro, però, rendevano impossibile la formazione di una squadra unita, costringendolo pertanto a dividere eccezionalmente i ragazzi in due gruppi: uno capeggiato da Ankel e uno da Saga. La prossima volta avrebbe preteso la coesione, ma al momento preferì fare in modo che Angelo, Tyko e Shura, ancora troppo inesperti prendessero esempio dai più grandi.
Le capacità del singolo dovevano essere fuse e coese con quelle degli altri, in modo da nascondere al nemico eventuali punti deboli.
Aveva fatto loro l’esempio del guscio di tartaruga: ognuno di loro doveva immaginarsi come un pezzo del carapace.
«Se c’è una falla nel guscio, il nemico la vedrà e colpirà in quel punto preciso. Nascondete le debolezze il tanto giusto affinché non possano essere visibili. La vostra unione, un domani, potrebbe risultare indispensabile perché riportiate la pelle a casa. Attaccate.»
Angelo aveva ascoltato in silenzio, assorto nell’analisi del cavaliere d’Argento.
In quei mesi che era stato al Santuario aveva appreso tante cose, tra le quali come far capitolare un adulto con un semplice pugno. Aveva imparato qualcosa di nuovo, come l’amicizia che aveva stretto con Tyko e Shura, anche se Shura sembrava preferire la compagnia di Aiolos. Non stava male al Santuario, era felice e sereno. All’orfanotrofio non si stava così bene.
Il cavaliere del Centauro richiedeva loro di unire le forze per abbatterlo, non era un’impresa da poco.
Aiolos, Saga e Kanon ridacchiavano e Angelo non capì.
«Che avete da ridere?» chiese, allacciando le braccia al petto.
«Che sarà la trentesima volta che ce lo propone e finora non ci siamo mai riusciti. Per cui ridiamo ora che siamo ancora interi. Attento al suo cosmo, non sai cos’è capace di fare.» rispose con pacatezza Aiolos.
«Ma non dovremmo averlo anche noi un cosmo? Ce ne hanno parlato un mucchio di volte, possiamo usarlo anche noi.» puntualizzò semplicisticamente.
Saga cercò di intromettersi nel discorso, ma fu preceduto da Kanon.
«E ti hanno insegnato ad usarlo?»
«No, però l’ho usato una volta, me l’ha detto Miach. Ho ucciso i miei genitori usando il cosmo. Se solo riuscissi a ricordarmi come accidenti ho fatto, potrei ripetere.»
«Vuoi uccidere João?»
«No, ma voglio sconfiggerlo.» asserì con un ghigno beffardo delineato sul volto. «Ci ha detto di attaccarlo tutti insieme, e oggi ci siamo noi tre in più.» disse indicando se stesso, Tyko e Shura.
I due gemelli si scambiarono un’occhiata interrogativa e sorrisero. «Proviamo.»
Aiolos osservò la scena. Non poteva tacere o non intervenire e, preso dal desiderio di sconfiggere João, acconsentì. Parlottarono un po’, cercando di elaborare una strategia che avrebbe potuto condurli ad una veloce vittoria.
«Ehi, vi ho detto di attaccarmi, non di confabulare!» il portoghese si lanciò nel gruppo, deciso ad attaccare e non dare a nessuno un solo secondo di respiro; in battaglia non c’è tempo per pensare, ma solo per agire. Avrebbero dovuto pensare mentre attaccavano, paravano, schivavano, scappavano e si spostavano, mai mentre restavano fermi, a meno che non si trattasse di una strategia precedentemente elaborata. Con una leggera esplosione di cosmo fece volare i ragazzi a terra.
«Cazzo! Cazzo! Cazzo!» gridò Angelo, riproponendo l’italiano che aveva smesso di usare dal suo arrivo, poco prima di impattare contro una roccia.
«Forza! Fatemi vedere cosa avete imparato in tutto questo tempo! Non vorrete diventare cavalieri d’Oro e non riuscire a battere un semplice Silver Saint?» li prese in giro. Era una tecnica consolidata, anche se poteva rivelarsi controproducente e dipendeva solo ed esclusivamente dall’indole dell’avversario. Alcuni guerrieri si arrabbiavano follemente durante le prese in giro, perdendo lucidità e il controllo sulle proprie azioni, fornendo infine una vittoria facile e veloce. Altri, la minoranza, riuscivano a concentrarsi e mettere a tacere le offese.
«Ti faccio vedere io!» Angelo si alzò e usò la vicina parete rocciosa come trampolino, catapultandosi verso il guerriero con la gamba tesa. João sorrise per l’ingenuità del ragazzino: tentare di colpirlo in pieno volto con un calcio volante era una mossa azzardata e decisamente stupida, non avrebbe mai funzionato. Alzò il braccio per afferrare al volo la gamba e levarlo di mezzo lanciandolo dall’altro lato dell’arena. Non aveva però fatto i conti con gli altri ragazzi. Tyko era rimasto coricato per terra finché Angelo non decise a tentare quel colpo, quando fu vicino al portoghese si lanciò in corsa verso il punto in cui, una volta afferrato e messo fuori combattimento, il siciliano sarebbe atterrato.
La corsa di Tyko distrasse il cavaliere abbastanza a lungo perché i ragazzi più grandi potessero portarsi alle sue spalle.
Tyko ammorbidì la caduta di Angelo e sorrise all’avversario.
João si voltò e si trovò Aiolos e Saga pronti ad attaccare, anticipò di poco il pugno che Aiolos indirizzò al suo addome e schivò per un pelo il calcio laterale di Saga. Dovette ammettere che i ragazzi lo mettevano in difficoltà. Parare il colpo di Saga lo aveva fatto vacillare, rendendo la sua postura meno salda.
Angelo e Tyko gli andarono incontro, e saltarono quando furono a pochi metri da lui, uno a destra e uno a sinistra. Sanno come distrarre il nemico, ottimo, pensò.
Tenere gli occhi su entrambi fu difficile e si trovò presto al centro di un attacco condotto da quattro ragazzini. Parare e schivarli contemporaneamente fu quasi impossibile, ma riuscì.
Quando furono a terra, li guardò con aria di superiorità e gridò: «È questo tutto quello che sapete fare? Mi aspettavo di meglio da degli aspiranti Gold Saint!»
«Non sottovalutarci!» intimò Shura, che fino a quel momento era rimasto in disparte, nascosto nell’ombra. Si palesò e tentò un attacco. Lo spagnolo eccelleva nel combattimento corpo a corpo, aveva imparato in fretta ed era stato in grado di rendere propri centinaia di movimenti.
«Sei lento!» sogghignò il portoghese, mentre parava senza difficoltà una lunga serie di colpi.
Shura si lasciò andare ad una risatina. «Non sono io lento, sei tu che ci sottovaluti.»
João non colse il suggerimento che gli aveva appena dato, continuò a concentrarsi su quei pugni, sempre più veloci e forti. Un secondo prima che la stanchezza e lo sforzo muscolare fosse troppo per Shura per poter mantenere quell’intensità, Kanon balzò da dietro le spalle del gigante sulle sue spalle.
Avevano decretato, prima che fossero interrotti dall’attacco, che per sconfiggere il cavaliere sarebbe bastato portargli via un pezzo dell’armatura e optarono per l’elmo.
Kanon era pronto ad abbassare le mani e conquistare il loro trofeo, quando João lo afferrò e lo scagliò contro il suolo. In quell’istante, gli altri cinque ragazzi saltarono contro di lui: uno di loro sarebbe riuscito a sfilargli l’elmo, onore che toccò a Saga.
Quando fu tutto finito, il portoghese, provato dalla lotta, sorrise e si complimentò con loro. Erano stati capaci di sfilargli il copricapo, lavorando tutti assieme. Non aveva motivo di orgoglio maggiore: era anche grazie ai suoi insegnamenti che vi riuscirono.
Fu poi il turno del gruppo di Ankel, nemico giurato di Kanon e per forza di cause alla fine di quasi tutto il primo gruppo d’assalto, a tentare di sconfiggere il cavaliere d’Argento.
Ci misero un po’ di tempo in più, ma anche loro riuscirono a sfilargli l’elmo.
«Copioni!» sbraitò Angelo. «Era la nostra strategia!»
Seguì un botta e risposta veloce tra lui e George, prima che il portoghese li dividesse, rimproverandoli entrambi.
Gestire i ragazzi diventava ogni giorno più difficile. Alcuni di loro mostravano una forza che aveva dello straordinario, altri ancora la tenevano nascosta, forse incoscienti di possederla. Tyko in special modo sembrava nascondere delle grandi doti, sapeva che aveva una grandissima resistenza ai veleni ed era sicuro che quella particolarità sarebbe stata parte del potere che avrebbe sviluppato in futuro.
Diede loro un’ora di riposo, deciso ad andare a parlare con il Gran Sacerdote. A malincuore dovette ammettere che erano pronti a passare allo stadio successivo: l’addestramento vero e proprio.

«Ehi, ce ne sono due nuovi.» disse Shura, passando davanti all’arena dei piccoli.
«A quanto sembra sono gli ultimi. Dovremmo essere al completo.» intervenne Aiolos, dopo essersi affiancato allo spagnolo.  «Andiamo a conoscerli.»
«Uh? Va bene.»
Il gruppetto si diresse verso i piccoli.
«Ehilà, ragazzi!» Galgo li salutò con calore, andandogli incontro.
Parlarono un po’ della sconfitta di João e Miach raccontò loro quello che sapeva sui due nuovi bambini, senza ovviare sul fatto che il Gran Sacerdote in persona si era mobilitato per andare a prenderli.
«Allora sono importanti.» disse Angelo. «All’orfanotrofio le suore andavano a prendere solo gli ospiti importanti, gli altri dovevano venire da soli.» asserì.
«Non sono più importanti di voi, solo che uno dei due viene dallo stesso paese del Gran Sacerdote e credo che sia voluto andare a lui con la scusa di fare un salto a casa. E durante il viaggio di ritorno ha portato qui anche l’altro. Devo ammettere, però, che mi hanno sorpreso.» si confessò con i ragazzi. Era il loro maestro, ma presto sarebbero stati compagni e con tutte le probabilità del caso lui sarebbe stato un loro sottoposto. «Uno si è teletrasportato, l’altro padroneggia l’uso del cosmo. Ancora non ha raggiunto il settimo senso, ma credo che lo farà presto.»
Avrebbe parlato anche a João di quell’eventualità, ed era sicuro che João gli avrebbe rivolto le stesse parole riguardo il gruppetto che si trovava davanti, basandosi sulle loro parole. Anche per lui non c’erano dubbi, tempo pochi mesi e al Santuario sarebbero rimasti solo i ragazzi che si sarebbero allenati lì.







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Grazie mille a tutti i preferiti, i seguiti, i lettori fissi, casuali, bestemmianti e a chi mi ha voluto lasciare due righe, a Isabel di Thule che mi picchia sempre con quel dannato scettro (che ti verrà nascosto, sappilo) per i pessimi accenti del portogallese. Stavolta però ho usato quello giusto! Ah-ha! Niente scettrate sulla capoccia stavolta!


Himechan.
Mi hai fatto arrossire. LOL. Grazie infinite, sono felicissima che la storia ti piaccia. Il diario del malefico resta ancora interrotto, ma se qualche divinità che passa nelle vicinanze si rende conto di volermi un po' di bene, forse ti faccio una sorpresa "di compleanno"(ogni riferimento a contest esistenti è puramente casuale)! Un bacione!

Ricklee. 
Grazie mille, sei sempre tenerissima!! Un bacione!

miloxcamus.
Milo è uno scemotto, per ora, quando sarà un po' più grandicello metterà la testa a posto. Sono felice di averti anche risolto un dubbio esistenziale riguardo il colore di capelli e occhi di Shaka, sinceramente è l'unica cosa che mi è venuta in mente per non scrivere: è arrivato dall'Inghilterra, ma poi non avrebbe avuto senso che Buddha si reincarnasse in un inglese, soprattutto Sakyamuni. Alla prossima! Un bacio e grazie mille!!

sakura2480.
Secondo me sei troppo buona. Mi lusinghi, ma diciamocelo chiaramente: scrivere non è proprio un mio talento. In compenso, quanto a fancazzismo non mi batte nessuno. Grazie mille! 

whitesary.
La risposta alla tua domanda è nell'introduzione della fic: "la storia è ambientata ai giorni nostri". Un po' me ne rammarico, ma andare a cercare un maremoto in India nel dicembre del 1966 mi avrebbe impegnato parecchio tempo, magari in futuro ristenderò il tutto con la linea temporale esatta, rimandare di così tanto tempo l'incidente di Three Mile Island non è un'ucronia di poco conto.

Saruwatari_Asuka.
Lo hai detto e lo hai fatto: megarecensione per Shaka!
Le recensioni chilometriche sono stupende da leggere, non sai quanto mi piacciano! Per il Natale misteriosamente saltato a Gennaio...beh, vorrei dire che il mio pc è impazzito, che è colpa di EFP che mi incasina tutto o di una qualche entità assirobabilonese, ma la verità è che sono un filo idiota io. Ok, togliamo "un filo". Cerca di capire una povera vecchia rimbambita che si smazza dietro idraulica, chimica e qualcosa di veramente brutto chiamato "assestamento forestale". Farò di peggio quando rimetterò mano all'insettario, fidati. Va' che brava, ancora Shaka! Tutto nella speranza che tu ti distragga. Un bacione e grazie, la tua costante presenza mi fa gongolare in maniera a dir poco vergognosa!

Al prossimo mese!

   
 
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