Fumetti/Cartoni americani > South Park
Ricorda la storia  |       
Autore: Kokato    05/03/2010    2 recensioni
SECONDA CLASSIFICATA AL RAINBOW CELEBRATION DI SETSUKA E REKICHAN!
"Tu… sei… Cartman?”. Ripeté poi Kyle, per evitare di non scordarsi che non avevano più nove anni, e che ora era un soggetto perseguibile per legge.
Ergo non poteva ucciderlo, ergo tutto quello che poteva fare era denunciarlo per tentata violazione di domicilio… e non era abbastanza.
L’altro aveva annuito, gioviale. “Da oggi vivrò qui”.
Annunciò, mostrando una fila di denti bianchi e scintillanti che lo facevano sembrare il testimonial di una pubblicità di dentifricio.
Forse non aveva sentito bene.
[Storia scritta per lo Yaoi Day e dedicata a Setsuka]
Genere: Romantico, Commedia, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Eric Cartman, Kenny McCormick, Kyle Broflovski
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Apriva le labbra in maniera lentissima, lasciandole luccicare, lasciando che lui le venerasse dal basso con un’espressione fissa e maniacale

Autrice: Lady Kokatorimon

Titolo: Business of my (House)band.

Fandom: South Park
Rating: Arancione.
Personaggi/Pairing: Eric Cartman, Kyle Broflovski, Kenny McCormick, nuovi personaggi (niente paura eh xD), CartmanKyle.
Avvertimenti: Slash, What if…?, Lime.
Genere: Commedia, comico, romantico.
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di Matt Stone e Trey Parker che ne detiene/detengono tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in South Park, appartengono solo a me.
Credits: La canzone citata è “Freeek” di George Michael.
Note dell'Autore: Che dire, è stato un vero e proprio parto. Non è originale, è comica (e si sa che nei concorsi il comico non ripaga mai)… o almeno ci prova, è una concentrazione di tutte le mie follie neo universitarie buttate là perché non ho più la benché voglia d’inventarmi niente. E per giunta ci sono dei personaggi originale… grosso errore, ma non potevo fare altro. Pur non essendo un granché la dedico a Setsuka, e spero che almeno un po’ le piaccia. Buona lettura.
Introduzione alla Fan's Fiction:

“Tu… sei… Cartman?”. Ripeté poi Kyle, per evitare di non scordarsi che non avevano più nove anni, e che ora era un soggetto perseguibile per legge. Ergo non poteva ucciderlo, ergo tutto quello che poteva fare era denunciarlo per tentata violazione di domicilio… e non era abbastanza. L’altro aveva annuito, gioviale. “Da oggi vivrò qui”. Annunciò, mostrando una fila di denti bianchi e scintillanti che lo facevano sembrare il testimonial di una pubblicità di dentifricio.

Forse non aveva sentito bene.



 

 

 

I'll be your sexual freeek [...]
I'll be your inspirational brother, Yo mama can't you see
I'll be your sexual freeek, [...]
I'll be your educational lover, your one fuck fantasy.

Sarò il tuo capriccio sessuale
sarò il tuo fratello ispiratore, tua madre non potrà vedere
che io sarò tuo capriccio sessuale
sarò il tuo amante educatore, la tua unica fantasia da scopare.

-Freeek, George Michael-

 

Capitolo I- Gloomy Sunday

 

Era una fase di transizione, tra quei bastoni che la società di oggi ti mette in mezzo alle ruote ogni santo giorno.

Quell’infinito disgusto per tutto e tutti sarebbe passato dopo l’incontro con una donna per bene, una programmata procreazione e l’assunzione di regolari responsabilità per cui non avrebbe avuto il tempo di disgustarsi di alcunché.

Rimanere per mezz’ora imbambolato a guardare canali erotici non cambiava la sua situazione, per molti versi la peggiorava.

Doveva esserci qualche messaggio subliminale tra le curve sgraziate di una grassoccia porno- attrice e le membra del suo squilibrato partner, che inducevano il suo cazzo a desiderare il suicidio gettandosigli giù dalle gambe.  La sua casa ordinaria, con un ordinario televisore al plasma con ordinari canali erotici, in un ordinario quartiere, guadagnata col suo ordinario lavoro.  Una flemmatica mattina di domenica era ciò più detestava, e per fortuito caso ne capitava una ogni sette giorni. Ci moriva sempre un po’, soffocando tra immaginarie tette plasticate d’un diametro di dieci centimetri.

Si chiedeva quand’è che quel viscoso scorrere dei minuti lo avrebbe definitivamente fottuto. Pranzava sempre tardi, con un sandwich probabilmente scaduto, schiacciava il viso nei cuscini verdi del divano nella speranza di addormentarsi o, ancora meglio, di soffocarsi  -il problema è che le pieghe di stoffa gli sembravano altre tette,  magari di un alieno transessuale o della moglie di Hulk, e la nausea gl’impediva di mozzarsi l’ultimo respiro-.

Era prevedibile che sarebbe arrivato in un giorno di quel tipo.

Pesante, irritante, ridondante ed interminabile come lo era lui e come lo era il suo culo.

Era ancora entro il limite massimo per essere un giovane uomo in carriera che vuole godersi la vita prima di mettere la testa apposto, e non aveva ancora imparato a non aprire la porta agli sconosciuti. Il punto era che non se la godeva affatto… fino a quel giorno.

Quando sentì il campanello della porta ebbe la decenza di togliersi il pigiama con i coniglietti, optando per un più sobrio binomio di pantaloni neri di tela e lisa maglia bianca, poi si trascinò fino alla meta tirandosi i muscoli della faccia con due dita. Spense la tv. A quel punto dell’operazione il campanello era suonato ripetutamente almeno un centinaio di volte. Rimase dritto, pose un sorriso sui lineamenti induriti, aprì la porta.

“Buongiorno, è qui il paese delle meraviglie?”. Dapprima non capì.

Si era rimesso il berretto da notte senza pensarci. Un imbarazzante berretto da notte con orecchie da coniglio bianco. Se lo tolse, senza soffermarsi sulla questione né sulla risatina poco rispettosa dello sconosciuto. “Desidera? Se vende qualcosa la informo che non compro niente”.

L’altro rise ancora, neanche avesse detto qualche assurdità del genere ‘Britney Spears è ancora vergine’, per poi spingere l’anta della porta come se intendesse entrare in casa. In casa sua.

“Ehi, che cazzo fai?!”.

Era alto, con le spalle larghe e l’aspetto di chi ha le ossa abbastanza forti da fare in modo che spacchino le tue con una piccola forza d’un urto, che tu lo voglia o no.  In altre situazioni avrebbe avuto abbastanza cervello da valutare quegli aspetti della faccenda, ma era domenica, e lui la domenica non pensava, un po’ per promessa con sé stesso, un po’ per rivolta sociale. Perciò urlò che gli avrebbe spaccato il culo se non se ne fosse andato subito, quasi credendo di poterci riuscire, invece di minacciare magari, più assennatamente, d’appellarsi alle autorità competenti.

“Come ti permetti, figlio di puttana?!”. Urlava, tirando la maniglia verso di sé, quando l’altro gli sorrise.

“Yo, ebreo! Vorrei sapere come ti butta!”.

“Che te ne frega, Cart…”. Oh, cristo. “… ca… ca… CARTMAN?!”

“E chi altri sennò?”. Stette con le mani sui fianchi, come per farsi analizzare, lui e le sue ossa grandi. Almeno su quello non aveva mentito quando erano bambini -solo che all’epoca, gli ammassi di calcio e cartilagine in questione, avevano un bel po’ di lardo intorno-.

Se avesse dovuto immaginarlo all’età che avevano, l’immagine non avrebbe avuto nulla dell’individuo che aveva davanti: uno di quegli impiegati delle multinazionali che si vendono al vile mercato per un ufficio al cinquantesimo piano di un grattacielo. Bello, affinato ed impomatato nel suo completo giacca e cravatta, ma ordinario.

Come la sua casa, come il suo lavoro… come lui.

Solo che non poteva starci a pensare, non era certo quella la situazione. Considerato che…

“… ma… ma… NOI NON CI VEDIAMO DA DIECI ANNI!!!”. Appunto.

Non è affatto normale se un vecchio amico d’infanzia si presenta sulla soglia di casa tua, ignorando con savoir faire il fatto che non vi vedete da un decennio, e che l’ultima volta che vi siete visti avevate un sudato diploma in mano e parecchi screzi da risolvere, chiedendo come se niente fosse: “Ebreo, dov’è che dormo io?”.

Gli mancava decisamente un tassello della faccenda.  Cartman, almeno, non se ne preoccupava, grattandosi i capelli che, a guardare meglio, non erano poi tanto impomatati –visto che la lucentezza che emanavano in realtà sembrava unto-. Nel silenzio, con il fianco appoggiato allo stipite e la camicia un po’ aperta sul collo robusto, attese una risposta che non arrivò.

Era troppo allibito per rispondere.  “Mi chiamo Kyle, Kyle dannazione! Non sei mai abbastanza adulto per impararlo?!”.  L’altro tentò di nuovo con un gesto casuale di entrare in casa, forzando la sua presa disperata per impedirglielo. Scrollò la testa, cercando d’incenerirlo con gli occhi.

“Ehm… uhm… beh…”. Cercò di deviare il discorso, evitando il suddetto sguardo di disappunto.  “… dimmi allora! Che hai fatto in questi dieci anni? Cosa fai adesso? Uhm… banchiere? Mmmmmmh… ancora banchiere?”*. Tentò di dimostrarsi interessato, con scarsi risultati, coprendo le mani del padrone di casa che tenevano ferma la porta appena leggermente aperta dietro le spalle, con una crescente smania di entrare alquanto infantile.

“Perché credi che io debba fare per forza il banchiere, Cartman?”.

“Non lo so, tentavo d’indovinare!”.

“Se magari facessi mente locale ti ricorderesti che è per frequentare Lettere che me ne sono andato da South park”. Specificò.

“… che te ne sei andato dal Colorado, aggiungerei! Guarda dove ti sono dovuto venire a cercare!”. Particolareggiò, con un ampio movimento delle braccia, sorridendo al berretto da coniglio in modo malefico. Lo nascose meglio alla sua vista, serrando le labbra, cercando di cacciarlo via con strani versi che nemmeno con l’animale col cervello meno sviluppato al mondo avrebbero potuto funzionare.  

“… ma ringrazio che non sia in California”. Continuò, in una specie di monologo.

“Tu… sei… Cartman?”. Ripeté poi Kyle, per evitare di non scordarsi che non avevano più nove anni, e che ora era un soggetto perseguibile per legge. Ergo non poteva ucciderlo, ergo tutto quello che poteva fare era denunciarlo per tentata violazione di domicilio… e non era abbastanza. L’altro aveva annuito, gioviale. “Da oggi vivrò qui”. Annunciò, mostrando una fila di denti bianchi e scintillanti che lo facevano sembrare il testimonial di una pubblicità di dentifricio.

Forse non aveva sentito bene.

“Intendi qui a New York?”.

“No, a casa tua. Nella tua diletta dimora. Nella tua residenza. Nel tuo spazio vitale*!”.

“Ma lo sai almeno che cacchio significa ‘Spazio vitale’”?. Chiese, con l’impellente bisogno di sbattersi ripetutamente il televisore al plasma in testa.

“Ti stai soffermando su particolari irrilevanti. Il punto è che potresti anche farmi entrare nel luogo dove risiederò per i prossimi… va bene, neanche i tempi hanno importanza no? Tanto siamo amici!”. Esplicò, con un modo di fare sinceramente ed ovviamente irritante.

“Ti ho già detto che non ci vediamo da dieci anni? Forse è un particolare non irrilevante che ti è sfuggito”.

“Ah sì? Va bene, ma ne parleremo comodamente dentro casa”.

“Non se ne parla, stronzo! Fai quel che cazzo ti pare ma in casa mia non ci metti piede!”.

Un uragano. Ecco come aveva pensato a lui quella dannata domenica. Un uragano che scardinando la porta entra in casa senza chiedere il permesso e distrugge tutto quello che hai costruito, disinteressandosi del tuo parere e della tua volontà. Tutto indiscriminatamente crollando sulla merda che aveva accumulato negli anni, lo aveva lasciato col cazzo perennemente moscio ed un incontrollabile istinto di uccidere che non avrebbe soddisfatto mai davvero.

Fatto sta che il grasso era diventato muscoli… in tutto il suo volume, e Cartman entrò in casa.

Tornado era quello che si poteva presumere fosse passato nel suo spazio vitale. Scarpe, panni non lavati in grosse ceste del bucato, piatti di plastica sporchi sparpagliati un po’ ovunque, macchie non ben identificate sulle superfici dei mobili, ciò che in sunto è un gran casino. Sul pavimento del salotto c’erano diversi centimetri di polvere e nell’aria un odore tutt’altro che buono, di pulizie rimandate di settimane in settimane e di senape andata a male.

L’idea che cercasse di nascondere questo lo divertiva, divertiva davvero Cartman.

“Beh?”. chiese, quindi.

“Beh cosa?”. Non rispose, dirigendosi sul divano della sala ed ignorando il tentativo di Kyle di nasconderlo. Spostò resti di cibo da fast food dal giaciglio prima di accomodarsi accavallando le gambe. “Come cosa? Non mi hai detto ancora nulla su come te la passi!”.

“Perché ti dovrebbe interessare, Cartman?”.

“Non m’interessa infatti, si chiamano ‘frasi di circostanza’. Tipo ‘entra vecchio mio, certo che ti ospito nella mia umile casa!’, hai presente?”. Stette con le braccia conserte per fare in modo che una mano potesse frenare l’altra ed evitargli gesti affrettati. Cosa gliene importava se Cartman aveva visto il suo disordine? Non aveva nessuna reputazione da difendere con lui e per di più si stavano sulle palle da tempi immemori. E non dimentichiamo che aveva quasi scardinato la porta di casa sua ed interrotto la sua giornata di eccitanti ricerche a livello sociale.

“Mi sembra più giusto che sia tu a spiegare per primo, non credi?”. Il suo ospite si grattò il mento,  facendo intuire un grande lavorio della mente e profonde riflessioni al riguardo. “Forse prima o poi te lo spiegherò… magari al nono mese di convivenza o giù di lì!”.

“Dopo una specie di parto?”.

“Na, non userei terminologie così drastiche. Diciamo che voglio sapere di te!”.

Voleva sapere di lui.

Kyle Broflovski si era laureato a Yale in Letteratura con il massimo dei voti, per la gioia della sua soffocante madre, traboccante di amore materno probabilmente caustico. Ciò gli aveva dato la possibilità di trovare una cattedra in un liceo nei bassifondi di New York e di trasferirsi a duemila miglia dall’amata genitrice. Avrebbe potuto spiegargli queste semplici informazioni in meno di cinque secondi ed un aria di sufficienza scazzata, per poi buttarlo fuori di casa –o al limite chiamare la polizia per farlo buttare fuori di casa-.

“Professore, liceo”. Espose, nella sua massima concessione in fatto di spiegazioni. “Ora te ne puoi andare?”.

“Non vuoi sapere di me?”. Propose, tentando un movimento delle sopracciglia da cui ottenne solo di sembrare il perfetto idiota che era.

“Fammici pensare… mmmhhhh… NO!”.

Ovviamente non era una domanda, bensì un’affermazione col punto interrogativo. “Mi sono scopato la moglie del capo. Del capo dell’azienda in cui lavoravo intendo… un vecchio coglione del cazzo. Uno che sa usare il suo potere, non mettiamolo in dubbio –non sarei qui altrimenti-, ma un cornuto così cornuto che avresti potuto intravedere le sue corna dal Connecticut fino a qui! Fatto sta che mi ha licenziato, mi ha accusato di aver rubato dei soldi alla ditta e in men che non si dica sono finito in mezzo ad una strada con un palo in culo, metaforicamente parlando… ed eccomi qui!”

Avrebbe voluto ripetere che non gliel’aveva chiesto, ma decise di non essere ripetitivo inutilmente. Incrociò le braccia sul petto rinunciando a sedersi sul suo divano, su cui sembrava aver perso tutt’ad un tratto il diritto di proprietà. “Ed io cosa c’entro?”.

“Ma mi ascolti quando parlo, ebreo?!”.

“Sì, e non mi hai risposto. Quindi ripeto: che cosa cazzo c’entro io?”. Cartman affondò meglio nel divano, producendo un rumore come di aria liberata da uno spazio molto stretto. Un peto, probabilmente, degli odori fetidi sul suo divano. Ancora. Si premette le tempie, affondando nella sua irritazione, preparandosi ad afferrargli il collo e a stringerlo molto forte -fino a quando tutte le sue corde vocali non si sarebbero incontrate in un trionfo di sangue-.

“Spero tu abbia una motivazione ragionevole, Cartman. Perché altrimenti ti ucciderò o morirò nel tentativo di farlo”.

“Drastico! Drastico!”. Rise quindi, come se non fosse stato appena minacciato di morte. “… non ti preoccupare comunque! Sono un inquilino modello io!”.

Non ci avrebbe creduto nemmeno se glielo avesse assicurato Abramo in persona. “Vai- fuori- di- QUI!”.

“No. Il tuo rifiuto è dato dal fatto che non pensi prima di trarre conclusioni”.

“Io penso. Io penso troppo. Quindi adesso vattene!”.

“Vorrei almeno che analizzassi i pro e i contro! Potremmo…”.

“Ho- detto- di- NO!”.

“Hai bisogno di una bella mano qui eh?”. Constatò indicando i dintorni. “In tutti i sensi”. Buttò l’occhio verso Kyle come non aveva fatto fino ad allora. Era chiaro che non avrebbe capito cosa intendeva, aveva una possibilità di doppio senso molto ampia prima di essere schiacciato da una credenza o strozzato con la presa del televisore. O almeno sperò che fosse così, che tutto fosse rimasto così dai tempi della scuola superiore.

Per qualche strano istinto sentiva che era così, in un certo qual modo.

“Oh beh, se ti offri volontario…”. Stava davvero ghignando? E ghignando in modo carino, per giunta?

“Volontario per cosa?”. Kyle sospirò, come avesse appena dovuto prendere una decisione obbligata. “Per dare una mano!” esclamò, mimando il suo gesto d’indicare il disordine che li circondava, e la sua faccia da schiaffi.  “Sarebbe meglio tutt’e due”. Specificò poi, con un indice rivolto verso di lui.

“Sennò col cazzo che ti lascio restare”. Sorrise.

“COSA?! Ti sembro una donna di casa io?!”.

“Beh, mi sembra il minimo. E al massimo potrai fare l’uomo di casa… è un diritto che ti concedo!”.

“Sei simpatico come un calcio nelle palle!”.

“Allora la porta è quella”. Disse, indicandola.

Aveva davvero immaginato Eric Cartman con un fottuto grembiule a fiorellini rosa, mentre sfaccendava in casa sua? Non solo lo aveva immaginato, lo aveva messo in pratica –che era molto peggio-. L’idea lo aveva terrorizzato e divertito allo stesso tempo. Ma giocava in casa, nel suo ‘spazio vitale’, come aveva detto il bastardo, e sentiva di non poter perdere. Aveva il coltello dalla parte del manico e niente da perdere –a parte la pazienza-.

 

Non aveva dormito affatto a causa di Cartman che non la smetteva un secondo di sbattere i pugni contro la porta chiusa della sua camera da letto, lamentandosi del fatto che fare la domestica ledeva il suo senso di virilità, e che avrebbe preferito farsi staccare le palle –ma, quando lo invitava a mettere in pratica il proposito, lui tergiversava su presunti ‘diritti dell’amico’ violati-. 

Era uscito di casa con un ultimatum ed una notte insonne, rischiando persino di perdere l’autobus. 

“Ehi! Sei proprio sicuro che non ci siano altre soluzioni, cristo santo?”. Aveva chiesto, afferrandogli una gamba e facendosi trascinare quasi fino a fuori dalla porta. “Preferisci staccarti le palle?”. Aveva ribattuto, cercando di scrollarselo di dosso.

“Mi cadranno molto prima di poter ripulire ‘sto merdoso cesso!”. Siccome non aveva potuto dargli tolto, aveva risolto momentaneamente la cosa con una collisione del piede contro la sua arcata dentale superiore. Non sapeva se amare od odiare il suo lavoro, ma sapeva che una bastarda congiunzione astrale avrebbe portato qualche studente a vomitare durante la sua lezione o ad avere la malsana idea di fargli qualche scherzo.

Tipo calargli i pantaloni o spruzzargli liquidi di ogni genere addosso –adoravano letteralmente farlo, quei bastardi-. Non pensavano altro che a venerare il nuovo quarterback della squadra di football o a portare gonne cortissime sculettando in giro, senza capire un emerito cazzo della letteratura che cercava di spiegare loro. Non cambiava un cazzo dall’alba dei tempi, in pratica.

Poi, per qualche strana ragione ciò che più detestava era entrare in sala professori.

“Buongiorno Professor Broflovski!”. Appunto.

“Buongiorno, Professor Taylor!*”.

Il professor Gil Taylor era ciò che si può facilmente descrivere come una terribile, testardissima ed appiccicosissima scocciatura. Guardare di prima mattina quei suoi capelli biondo platino catarifrangenti era probabilmente dannoso per gli occhi. Non si poteva stare dietro al suo inumano modo di blaterare di una serie infinita di sciocchezze –da considerazioni spicce sul tempo a infiniti monologhi sulla sua nuova e costosissima macchina, che non si sarebbe mai potuto permettere con lo stipendio dell’insegnante-. Ovviamente, la persona su cui adorava di più accanirsi, era proprio lui.

“Si è svegliato bene stamattina?”. Chiese, avvicinando una mano verso i suoi capelli con fare furtivo.

Non ci pensare nemmeno, rotto in culo. Odiava che gli si toccassero i capelli, a volte Kyle sarebbe voluto tornare all’infanzia per indossare di nuovo e perennemente il suo colbacco senza sembrare un idiota. “Non molto”. Rispose quindi, con un sorriso troppo largo.

Taylor stava al suo solito posto, vicino alla professoressa gnocca di biologia che non smetteva di fissarli un secondo –sperando, in una parte remota di lei, di essere ricambiata almeno una volta… cosa che non avveniva mai-. “Troppi pensieri?”.

“Diciamo di sì”. Si chiese com’è che non gli si era ancora disintegrata la mascella, a forza di sforzarsi di sembrare amichevole.

Molte volte aveva avuto l’impressione che Taylor lo sapesse, e che stesse cercando di creare un solco sulla sua maschera e guardarvi al di sotto. Quella non era la sua voce, ma il rumore del trapano con il quale aveva perforato il suo cranio e distrutto completamente il suo inizio di giornata. “Non mi sento nemmeno molto bene oggi”. Aggiunse, per sembrare solerte.

“Lei non ha la patente vero?”.

“No, vengo in autobus”.

“Oh, cielo, deve essere stressante!”.

“Mi ci sono dovuto adattare!”. Doveva andarsene. Assolutamente. Magari inventandosi qualcosa. Magari avrebbe potuto spiegare che intendeva ripassare gli appunti di una lezione che nessuno avrebbe ascoltato, e non sembrare affatto credibile… ma chi se ne frega.

“Ci si può prendere ogni tipo di malattia su quelle diavolerie!  Figuriamoci lei che ha una salute così cagionevole…”. Ecciù, ecciù. Odiava quei cazzo di discorsi da vecchi decrepiti. Ecciù, ecciù. Avrebbe potuto fingere un malore, un arresto cardiaco, una crisi epilettica, un cancro! Sì, il cancro faceva a caso suo. Sono desolato, non posso stare a sentire le tue brillantissime ed interessantissime cazzate perché ho il cancro. Era assolutamente perfetto, assolutamente inattaccabile. O forse no.

“L’accompagnerò io al ritorno quest’oggi!”.

“Devo and… come?”.

“Taylor…”. Udirono chiamare con voce grottesca. Deglutirono, entrambi.

“Sì, Miss Salas cara?” Era entrata la preside… con la sua solita faccia che sembrava laccata e cerata*.  

Deglutirono di nuovo. Fecero per avvicinarsi, per un comune brutto presentimento.

Per quanto fosse elegante, magrissima ed esteticamente ineccepibile –coi suoi tailleur tutti neri e uguali come i suoi capelli sempre legati a chignon… come poteva sbagliarsi?- rimaneva una pazza, e di conseguenza bisognava regolarsi. Non significava niente di buono la sua presenza… mai.

“Mi spiegherebbe per quale singolare concomitanza di eventi è stato costretto a provocare un urto tra la scatola cranica di un alunno ed un oggetto atto al sostegno di oggetti(banco)? Perché è stata indubbiamente una coercizione, non è vero? Non si sarebbe potuto agire in altra maniera… mi dica?”.  Ma parla come mangi… o forse mangiava caviale con un cucchiaino d’oro tempestato di diamanti tutte le sere?  No, avrebbe avuto anche i soldi per comprarsi Tailleur di colori diversi.

Taylor gli fece un sorriso, sudando giusto un po’ freddo. “A dopo. Ci vediamo davanti all’entrata, Mister Broflovski”.

Riuscì a dire, prima di essere silenziosamente trascinato via dalla donna impedendogli di porre un rifiuto.

 

*Un tempo era vietato alle persone di religione cattolica di prestare denaro su interesse, poiché violava il principio del dare senza ricevere qualcosa in cambio, e quindi nessun cattolico aveva convenienza nel farlo. Per questo gli ebrei divennero affaristi per antonomasia, perché la religione non impediva loro di chiedere interessi sui prestiti. Un riferimento un po’ “alla lontana”, ma mi è piaciuto metterlo in bocca a Cartman.

*Spazio vitale: Il Lebensraum (traducibile come «spazio vitale») fu uno dei dogmi della Germania nazionalsocialista. La dottrina del Lebensraum, utilizzata per giustificare la politica espansionista tedesca, mirava alla conquista di nuovi territori dell'Europa Orientale al fine di impadronirsi delle risorse necessarie allo sviluppo del Terzo Reich. (Wikipedia).

*Gil Taylor= è un mio personaggio, usato per una fanfic di Full Metal alchemist, e che in pratica ho spudoratamente riciclato xD non spaventatevi, lo uso solo come terzo incomodo. http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=222348&i=1 in questa pagina potete trovare il suo profilo.

*Yelina Salas= Come sopra xD

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > South Park / Vai alla pagina dell'autore: Kokato