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Autore: Kiki May    08/03/2010    2 recensioni
Forse questo mondo è l'Inferno di un altro pianeta. Darla sola, nella pioggia.
Genere: Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Connor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Underneath

 

 


Forse questo mondo è l'inferno di un altro pianeta.
T. Huxley

 

 

 

Aprire gli occhi è sempre un po' più faticoso.
La pelle tira, un rosso fastidioso la tinge. Lampi di luce bianca e dorata risvegliano le cellule cerebrali. Che corrono, corrono, corrono. Non fanno altro che consumarsi in una stupida corsa senza senso, le stupide cellule.
Chiudere gli occhi, invece, è facile. È riposante.
Per lei.
“Sei sveglia da un quarto d'ora ormai. Smettila di fingere!”
La gola è arida, in principio. I muscoli, intorpiditi. Sembra di provenire da un baratro viola e nero, un pozzo d'oblio assoluto. - Avrebbe dovuto ricordare qualcosa?-
Non riesce a focalizzare bene.
S'arrende.
“Finalmente.”
La voce parla ancora, alla sua destra.
Un ronzio, come di un eco lontano, la infastidisce.

 

Arancio.
Della parete davanti al letto bianco.
Arancio, come la parallela.
Le altre, candite, sono ornate da linee simmetriche color fragola scura. Lampadari rossi pendono dal soffitto, in un gioco d'arredamento che richiama alla mente le memorie di mele mature raccolte nei sacchi di lino. I mobili di legno portano particolari incisioni coralline.
Sembra un mondo di sfavillante rubino. Lenzuola bianche l'avvolgono nel tepore.

“Sei così calda.”

Voltando appena la testa - non ha bisogno di girarsi completamente per vederlo - è già nel suo sguardo.
Moro e giovane, con la barbetta sfatta da uomo che cresce e il sorriso furbo.
Gli occhi. Azzurri.
“Mi manchi sempre, quando chiudo gli occhi. Per fortuna, li riapro poi.”
“Connor.”

 

Cose di cui è a conoscenza: sa di essere vestita di bianco, sa di essere femmina – un magnifico esemplare di femmina – coi capelli biondi come grano maturo e gli occhi d’assenzio. Sa di non poter muovere braccia e gambe. Per un certo tempo. Fino a quando scatta una specie di click, un via all’azione.
Sa di essere sigillata.

 


“Mi baci?”
“Certo, vieni qui.”
Il sorriso che segue è malizioso, studiato e divertito, lievemente distorto. Esaltato dal sopracciglio destro che si tende in alto e si arcua, enfaticamente.
Il bacio, però, arriva prima da lui, che è tanto più caldo di lei. Più ruvida, la pelle.
“Mi sei mancata.” mormora il ragazzo sonnecchiante, aggrappandosi al suo seno, stringendola per la vita.
Lei sa che lui è tutto. È il centro, il fulcro.
L'anima dentro, che sa di non avere.
“Perché dormi così tanto?”
Un sospiro teatralmente stanco.
Caro ragazzo, dormo perché non c'è niente di più utile e produttivo da fare, a questo mondo. È meglio anche del sesso, francamente. Gli uccelli annoiano presto e i fiorellini di bosco mi piace coglierli, ma solo ogni tanto.”
Connor ride.
“Dunque, viva il sonno! Non farò citazioni famose ... che noia!”
“Noia, noia, noia! Mi carezzi i capelli? Hai delle mani meravigliose.”
“Come disse Lo stronzo. Duecento anni e così pochi anelli!"
“Te ne prenderò uno io."
“Lo voglio dalla mano morta di Ingrid Bergman.”
Silenzio.
“Mi dici una cosa?”
“Certo, darling.”
“Dimmi: Ti Amo.”
Due manine piccole, speculari, s'incontrano e si stringono.
“Ti Amo, darling.”

 


Il palazzo di marmo che la circonda è costruito come una reggia. Ricco, enorme e lussuoso. Luminoso.
Lei adora la luce, esalta i suoi colori.
All’armadio, si cambia. Via l'anonima tuta bianca che le ricorda tanto un letto disgustoso di pus e sudore. (O le ricorda la terra scura e gli occhi di Lui al secondo risveglio?) Il vestito che sceglie è rosso, come le stoffe che i toreri fanno aleggiare di fronte alle bestie da macello, come i tessuti preziosi dei principi e degli imperatori. Soddisfatta, decide di arricciare i capelli. La fa sentire bene la voce roca, del passato, che sente quando lo fa.
Duecento anni di desiderio enorme. Polvere al vento.


Il ragazzo è andato a pescare.
A pescare pesci lungo il fiume, che separa la villa dal resto del mondo.

- Sempre che esista, questo resto-

Lei aggrotta le sopracciglia, compiaciuta dal profondo cinismo del suo pensiero. Un mondo che non ha importanza è sostanzialmente inesistente.
“Ed io preparo succo di frutta come la più consumata delle massaie!” sorride, in spregio a se stessa e al suo amore materno.
Schiaccia due arance, contro la punta della spremitrice, e lascia che il liquido vermiglio coli nel contenitore di plastica bianca.
Finestroni aperti si affacciano sul giardino.
Dalla sua postazione privilegiata può ammirare rose, gardenie, tulipani, gelsomini. Il grande salice piangente, appesantito da foglie e fiori color lavanda. L'erba verde e fresca, rigorosamente non oltre i cinque centimetri.
Appunto numero 4552: smettere di perdere i coltelli.
Un paletto di legno troneggia sul piano cucina.
Ha un attimo di smarrimento. Fa per afferrarlo.
Si ricorda che è il terzo cassetto in basso, quello dei coltelli.
“Al microonde danno sempre il solito programma!” esclama, annoiata. “Con lo stesso protagonista, da anni!”
Un ragazzino arrabbiato e sofferente. Pieno d'odio. Rinchiuso in una dimensione infernale, sgozza mostri a mani nude.
Urlando il nome del padre.


Torna alla spremitrice.
Due arance, tre … quattro.
Ne taglia una a metà e comincia a prosciugarla.
Un raggio di luce le ferisce gli occhi. Malauguratamente, rivolge il volto al rovo di rose selvatiche in giardino. C’è sempre la sua figura ombrosa tra le rose spinose e incolte. Tenaci, come lunghe dita che si fanno spazio nella terra. Sfoggia spesso uno sguardo cupo, da cucciolo ferito. Dannazione a lui.

 

Nel momento in cui pare che quella routine neutra s'appresti a continuare per sempre, il tremore scuote la casa. Una scossa lungo le pareti, sul soffitto, fa saltare i coltelli e gli scheletri delle arance. La spremitrice. Un'ombra scura cala sulla villa.
L'ombra di nuvole grigie, cariche di pioggia.
Il temporale che arriva, terribile.
Lei porta una mano al cuore.
Improvvisamente, alle conoscenze che possiede già, se ne aggiunge un'altra. Inquietante.

- Sta per accadere ancora -

Ancora, ancora, ancora.
Sempre

Secondo tuono.
Più violento.

È la consapevolezza che uccide e fa tremare. Vorrebbe ignorare ogni cosa, tornare a dormire, nascondersi anche, ma …

“Il ragazzo è fuori.”

 

 

Sotto la pioggia battente, Darla.


Incurante dei lampi e del fango che le macchia il vestito, s'incammina verso il fiume, urlando.
“Connor! Connor!”
I piccoli piedi sembrano sprofondare nella terra bagnata. Il fisico non l'assiste.
“Connor, ti prego! Torna qui! Torna qui!”
Si ferma un attimo, davanti al grande salice che sembra vorticare in una tempesta di scaglie viola. Enorme e scuro, un gigante curvo, inginocchiato dalla forza della pioggia.
Ancora qualche passo, per sentire l’acqua fin dentro le ossa.
“Tesoro! Tesoro!”
I tuoni sono più rumorosi, e lei sa già di non avere più forza per gridare.
S'abbraccia infreddolita, ancora una volta. Comincia a piangere, conscia di quello che sta per sentire. Un pianto, antico, disperato, acuto.
Il pianto di un neonato.

“Connor.”

I suoi vestiti sono ancora rossi e neri, gli occhi nuovamente gonfi.
“Non voglio lasciarti.”
La consapevolezza è quella che colpisce la pancia, come un pugno ben assestato.
“Non voglio. Non voglio!”
Il pianto risuona nello spazio, come l'eco della pioggia.
Delle sue stesse lacrime.

“La mamma vuole restare.”

 


Dannato Pazzo Demonio

  
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