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Autore: Tsukuyomi    13/03/2010    6 recensioni
L'aria che dilata i polmoni è dolorosa, ma non quanto la consapevolezza di aver seguito la strada sbagliata, quella oscura, alle spalle della dea. Chi è giusto è forte, chi è forte impone la giustizia, la sua. Un percorso duro, in salita, da affrontare in una notte.
Passato, presente e futuro si scontrano e si ingarbugliano, formando un gomitolo fastidioso da srotolare per chi, in fondo, non aveva mai pensato a tutte le possibili conseguenze delle sue azioni. Un perdono insperato, una nuova vita che inizia nel fuoriuscire dal proprio sepolcro, una presa di coscienza e una maschera mostrata solo a due persone.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cancer DeathMask
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Resurrezione Qualcuno li aveva riportati in vita.
Non sapeva chi, ma era grato per questo, estremamente grato.
Fuoriuscire dalla propria tomba, per la seconda volta in pochi mesi era qualcosa di oscenamente doloroso. Rompere il sarcofago di pietra con le nocche nude, con un corpo nuovo materializzato appositamente – perché un corpo io non ce l’ho più - , il cosmo dormiente che cercava di esplodere come in passato, pur senza riuscirci. La dura salita attraverso la terra, ogni singolo granello che, compatto, si univa a quello vicino perché i corpi sotto il suolo vi rimanessero, opponendo strenua resistenza.
Andare a tentoni, con gli occhi chiusi, risalire a testa bassa, perché il terreno non lo ghermisse a sufficienza per tenerlo segregato nelle sue membra.
Poi l’aria – la sospirata aria – bruciare i polmoni nuovi di zecca. Un dolore fottuto.
Le costole faticavano per contenere la nuova dilatazione, nel mentre che la terra finiva di cementarsi, grazie alla saliva, impastandogli la bocca e riempiendogli il naso.
Sputò parecchie volte, bisognoso d’acqua e di una rassicurazione. Sembrava essere da solo quella notte. Anche l’Inferno mi rifiuta. Non gli dispiaceva stare lontano dal girone dei traditori e dal ghiaccio del Cocito, anzi, era confortante vedere di non essere più puniti lì, ma perché una nuova vita?
Atena era salva, il mondo con lei, Hades sconfitto, gli inferi con lui.
Tossì una volta, come riflesso della ripresa funzionalità polmonare. Liberò la bocca dall’ultimo boccone di terra, poi un nuovo colpo di tosse: convulso ed estremamente doloroso. Si contorse mentre la pancia si contraeva per aiutare la cassa toracica ad espandersi.
Maledizione.
Appena riuscì a riprendersi si guardò intorno. Era buio, solamente un timido spicchio di luna illuminava il paesaggio circostante; avrebbe potuto distinguere con chiarezza solo il monolite alle sue spalle, ma non si voltò: sapeva che era lì, sapeva cos’era e non pensava che lo avrebbe rivisto ancora.
- Death Mask, Gold Saint, Cancer - disse a voce alta, sorprendendosi nell’udire una voce tanto roca e cupa, recitando a memoria quello che sapeva essere scolpito sulla pietra.
Con difficoltà uscì completamente dall’abbraccio umido e tiepido offertogli dalla sua tomba e, tremolante, si alzò sulle gambe che sembravano non essere in grado di reggere il suo peso.
Dopo pochi minuti i muscoli smisero di tremare, rendendo la sua postura più salda. Azzardò un passo, spostando in avanti una gamba, mentre si sorreggeva poggiandosi alla pietra tombale. Mi reggo in piedi, forse. Trascinando i piedi nudi sull’erba e poi sul sentiero lastricato che portava alle Dodici Case, respirava rumorosamente, maledicendo il dolore che gli attraversava il corpo come centinaia di scariche elettriche.
-    Death Mask! – si sentì chiamare. La voce proveniva alle sue spalle e lui si fermò, senza voltarsi. – Sono felice di rivederti.
-    Vorrei poter dire lo stesso, Aphrodite.
-    Animale. – disse laconico il santo dei Pesci, nascondendo immediatamente dopo un colpo di tosse.
-    Non ti vedo razza di coglione, è buio, non ci vedi? Andiamo dove c’è un po’ di luce. – grugnì riprendendo a camminare.
Mossero qualche passo, avvicinandosi al primo gradino che li avrebbe condotti al sacrario, quando percepirono un cosmo, dapprima debole e poi sempre più intenso e voluttuoso.
Era così confortante sentire quell’aria stranamente densa, calda e avvolgente attorno al corpo, rinvigorente e affettuosa come un abbraccio materno.
Aphrodite chiuse gli occhi e si fermò, beandosi più che poteva, ringraziando del perdono e della nuova vita, sicuro che si sarebbe potuto riscattare e tornare a splendere tra i più alti ranghi della dea, raggiungendo, forse, la perfezione cercata. Death Mask scrollò le spalle. Non cercava conforto, ben che meno quello di Atena. Non dopo quello che ho fatto.
Sentì l’aria attorno a lui addensarsi ulteriormente, permeata del dorato cosmo di Pisces che veniva espanso in risposta alla carezza ricevuta. Si girò per rimproverare l’amico, quando percepì il cosmo di Shura unirsi al coro. Anche lui era di nuovo in vita. Subitaneamente gli altri cosmi si fecero sentire, dapprima deboli poi sempre più ardenti e fieri, in risonanza col cosmo divino.
Se chiudeva gli occhi poteva vedere le costellazioni vibrare, salire e raggiungere il firmamento per prendere il loro posto lungo l’eclittica.
 Mancava solo la sua.
-    Pappemolli. – alitò con fastidio, sollevando il piede per iniziare il suo ultimo percorso di redenzione.
Aphrodite allungò un braccio e afferrò un lembo della tunica, senza proferire parola. Death Mask sbuffò e accontentò l’amico, rimanendo fermo ad aspettare l’arrivo degli altri.
Uniti, come solo al Muro del Pianto erano stati, mossero il primo passo tutti insieme, come se fossero una cosa sola. Death Mask occupò le retrovie, forse per la prima volta in vita sua; sempre in prima linea a cercare la ferocia dello scontro, facendo passare i compagni davanti e desideroso di chiudersi alle spalle una porta che lo separasse dalla realtà. Erano tutti sporchi, con il corpo sofferente e l’aria di chi era in pace con se stesso.
Persino quell’aringa affumicata di Aphrodite, nonostante volto e capelli impiastricciati di argilla che lo avrebbero fatto dare in escandescenza in passato, sembrava essere sereno. Si chiese se anche lui apparisse tanto ridicolo con indosso la veste con cui venivano avvolti i corpi dei caduti macchiata di scuro e col volto segnato dalla terra. L’unico fesso sono io, pensò.
Attese all’entrata del suo tempio e li guardò, uno per uno, attraversarlo, eccetto i quattro che si erano fermati nelle case antecedenti, e infine entrò.
La dimora era illuminata; alle colonne e sui muri erano appese le fiaccole, accese e vibranti; forse in memoria del custode, forse per rischiarare il percorso a chi attraversava la dimora in periodo di pace, ma poi pensò che in fin dei conti il vero motivo non gli interessava così tanto. Ricordava bene il suo tempio, ci aveva trascorso molto tempo ammirando i suoi trofei e respirando quella nebbiolina malsana che aleggiava all’interno, ricordo che si trascinava dietro ogni volta che si recava nello Sekishiki, ora svanita nel nulla.
Udì il tonfo secco delle sue ginocchia schiantarsi contro il pavimento di marmo, avvertì il respiro strozzarsi in gola e i battiti accelerare. Preso dallo stupore e dal panico si stropicciò gli occhi con forza, come a volerli cavare via per verificare se funzionassero ancora. Li serrò tanto forte da farsi male, continuando a strofinarci contro il pugno. Quando li aprì vide che nulla era cambiato; aveva visto fin troppo bene.
-    Non è possibile. No, non può essere reale. – si disse, continuando a guardarsi intorno. Non
riconosceva quel tempio, non ne riconosceva le colonne, i muri e i pavimenti. È tutto così spoglio, pensò guardandosi intorno con aria circospetta.
Si accucciò per tastare il pavimento, trovandolo perfettamente liscio sotto le dita, avvicinando il viso per sincerarsi di non sognare. Ricordò il filtro malsano che conosceva distorcere le colonne, le fiamme e la prospettiva del tempio, rendendolo spettrale e adatto al suo custode. Si sentì pervadere da una sensazione conosciuta, rabbia, e subito dopo da qualcosa che solo Shiryu e Rhadamantis erano stati in grado di evocargli: sgomento.
Si alzò e corse verso la parete più vicina, tastandola come se cercasse un passaggio segreto. Non è possibile, pensò. La pietra era fredda, nuda e liscia, troppo liscia.
-    Non è un cazzo di incubo! – Urlò mentre colpiva il muro con un pugno, macchiandolo di sangue.
Afferrò la mano offesa e la strinse al petto, senza sentire dolore. Si allontanò di qualche passo dalla parete, sempre più spaesato e, mesto, si avviò verso le sue stanze private.
Le trovò esattamente come le aveva lasciate, semivuote ed incredibilmente disordinate, un disordine viscerale; il mobilio non aveva un ordine logico, era quasi accatastato ed era scomodo nella fruizione. Rappresentava completamente il disordine emotivo del cavaliere.
Rasserenato nel vedere finalmente qualcosa di familiare, arrivò in bagno, poggiandosi alle pareti.
Aprì l’acqua e la osservò scorrere finché non fu soddisfatto del livello raggiunto, poi si sfilò il chitone infangato e lo lasciò cadere ai piedi, fissando il liquido fumante che lo aspettava. Conservava la flebile speranza che l’acqua lavasse via lo sgomento assieme alla terra, perché in fondo, tutto quello per cui aveva lavorato non c’era più, nessuna traccia del suo passato, nessun segno del suo operato era rimasto.
-    Neanche un’anima. – si disse sottovoce nell’immergersi, senza riuscire a distendere i nervi nel tiepido abbraccio.
Strofinò la pelle con violenza crescente, accanendosi nei punti dove la terra si era cementata meglio.
Strinse i denti quando si grattò le nocche ferite, poi passò velocemente agli avambracci. Continuò a salire fino a scorticarsi le spalle e il collo, e infine il busto.
Il dolore che si stava causando era qualcosa di nuovo, delicato e desiderato, quasi eccitante. Non si era mai sentito così vivo come in quel momento, mentre sotto le unghie gli strati di pelle aumentavano, l’acqua si tingeva di scuro e le gocce di sangue sfumavano al contatto con il liquido.
Osservò con rinnovata curiosità come la linfa svanisse rapida, inghiottita velocemente dal mare di acqua e fango, ma subito dopo uscì di scatto, come se improvvisamente la miscela fosse diventata un pericolo da cui allontanarsi.
 Si diresse verso la stanza in cui aveva sempre dormito, lasciando sul pavimento impronte di bagnato.
Il letto era pronto ad ospitarlo; probabilmente qualcuno si era preoccupato di fargli trovare le stanze illuminate, riscaldate e con la biancheria pulita.
Sul letto vi era un telo da bagno, profumato e perfettamente ripiegato. Si asciugò e si vestì, indossando la tenuta d'allenamento. Non ricordava se aveva indumenti civili da indossare, ma sapeva di avere della vesti da allenamento nel mobile alle sue spalle. In quel momento voleva solo indossare qualcosa che lo distanziasse sufficientemente dal concetto di santo di Atena, lui che un santo non lo era mai stato, e in mancanza di abiti normali quelli andavano bene, l’importante era non vestire quell’armatura.
Lui non aveva mai combattuto per Atena, per la giustizia, per la pace, aveva sempre rifiutato il suo ruolo di paladino del bene che gli calzava stretto, e il confine tra bene e male, luce e oscurità non  era altro che una sottile e insignificante linea.
A dire il vero,però, era accaduto una volta, quando deciso a rimediare ai suoi peccati, aveva accettato la richiesta di Hades; assieme ai compagni caduti avrebbe ingannato chiunque per avvertire la dea, accettando la possibilità di essere tacciato per traditore. In fondo,se ci pensava, non sarebbe stata una nuova situazione: lui lo era stato e ne andava fiero, perché tutto era parte della sua particolare concezione di giustizia che consisteva unicamente nella  forza e nel dominio.
Sentiva di doversi recare al tredicesimo tempio, almeno per chiedere spiegazioni o fare in modo che qualcuno si rendesse conto che era nuovamente in vita e ponesse rimedio a quel terribile sbaglio.
Se non se ne accorgono, tanto di guadagnato. Non è un problema mio.
Iniziando la scalata, con lentezza e la schiena dritta, poggiando solo la punta del piede sui gradini giunse alla casa del Leone.
-    Aiolia, chiedo il permesso di passare. – disse a voce alta, aspettando una risposta che non giunse. Il cavaliere non era in casa, forse lo aveva preceduto al tredicesimo tempio.
Scrollò le spalle e si avventurò per le colonne, fino a trovarsi di fronte l’armatura del Leone brillargli in tutta la sua maestosità. Era bella, e gli piaceva l’elmo che ne raffigurava la criniera, simbolo di regalità e solennità, proprio come se fosse stata una vera corona d’oro.
Si trovò allora a pensare a come Aiolia alla fine non fosse stato altro che un dannato principe esiliato dall’usurpatore del trono.
“Nelle tue vene scorre il sangue di un traditore, sei cavaliere solo a metà. Un traditore non dovrebbe poter vestire le sacre vestigia.” Gli aveva ripetuto spesso in passato e Aiolia aveva sopportato in silenzio, mordendosi le labbra, sicuro che prima o poi il nome di Aiolos sarebbe stato riabilitato e lui sarebbe stato accettato da tutti come cavaliere d’Oro, piangendo in silenzio, al sicuro da occhi indiscreti, mostrando solo la fierezza e l’orgoglio del Leone.
L’armatura scintillò, davanti a Death Mask; lo chiamava, chiedendogli di sfiorarla e lui lo fece, senza pensare. Sentì una forte scarica elettrica pervadergli il braccio e diffondersi in tutto il corpo.
 Lightning Bolt, pensò. Poi vide la vita di Aiolia dipanarsi davanti agli occhi, mostrandogli con chiarezza quello che aveva patito. Lo vide davanti allo specchio, con Lythos alle sue spalle che gli porgeva la tinta rossa. Era lui Aiolia in quel momento, col volto di un ragazzino, imprigionato nel verde delle sue iridi, fissando il suo riflesso.
“Il mio vero aspetto dev’essere celato insieme all’infamia che evoca. Ma per quanto lo nasconda, più passano gli anni, più mi rendo conto dell’amara realtà. Io… ti somiglio sempre di più.” Poi ricomparve Lythos, convinta di essere un maschio. Dannata ragazzina, mi sei sempre stata sulle palle. Sghignazzò nel vivere l’imbarazzo del giovane alle nudità dell’assistente, conscio che si sarebbe comportato in modo diverso.
La folgore che gli attraversava il braccio era sempre più intensa e dolorosa, solo con immenso sforzo poté allontanarsi dalla corazza che, imperterrita, continuava a mostrargli il dolore celato del Leone.
L’ultima immagine che vide fu quella di Aiolia soccombere a Iperione, ed era stata tutta colpa sua; lo aveva quasi ucciso, minando la salute del giovane quel tanto sufficiente affinché non tornasse vivo dallo scontro, poi quasi se ne pentì quando non ne avvertì più il cosmo. “Che sia stato sconfitto o meno… per un po’ se l’è cavata bene, no?”, pensò accompagnato da una strana sensazione.
Un frammento del suo passato, vissuto attraverso un’altra persona, e tuttavia non capì né il significato di quella visione né il motivo per cui l’armatura aveva deciso di mostrargli i patimenti del suo possessore.
Alla casa della Vergine fu leggermente diverso: incontrò l’armatura adagiata sul suo piedistallo, raccolta in preghiera e nessuno ad aspettarlo anche lì.
Non indugiò oltre, timoroso che anche l’armatura di Virgo sentisse di avere voglia di confidenze.
Affrontò allora le scale che lo condussero al settimo tempio tenendosi la mano, riscontrando una strana sensazione, a lui familiare, come se avesse toccato il corpo di un uomo appena morto, avvertendo il calore scemante del cadavere diffondersi sulla pelle, quello che lo faceva sogghignare di vita, il tepore prima del freddo infinito.
Si riscosse prima di entrare, conscio che avrebbe incontrato Dohko, forse solamente al tredicesimo tempio. Ricordava il Palazzo di Libra vuoto, silenzioso, permeato di antichi ricordi.
Con sua sorpresa, qualcuno gli porgeva le spalle, inginocchiato davanti ad un tavolo basso. Strabuzzò gli occhi e li sbatté un paio di volte, con la speranza che almeno quello fosse un incubo e non la realtà. Serrò le palpebre e le riaprì lentamente, ma niente cambiò.
-    Shiryu… - sussurrò.
Percependo il mormorio, il giovane si voltò, salutando il suo ospite con un sorriso, e tornò immediatamente alla sua occupazione.
-    Bentornato, Death Mask. – rispose il giovane che gli dava le spalle, intento a bere un infuso maleodorante. – Posso offrirti una tazza di thé?
-    No. Devo andare. – e senza tante cerimonie oltrepassò il tempio.
Quando fu fuori sentì qualcosa chiamarlo. Non era un cosmo, non era neanche l’aura di un’armatura, era qualcosa che non aveva mai sentito prima: era la sua voce che gli imponeva di tornare dentro e prostrarsi in ginocchio dinnanzi al cavaliere che aveva combattuto, sperando di ottenere qualcosa di simile ad un perdono. Che sia la mia coscienza?
Obbedì a quel richiamo ancestrale e tornò sui suoi passi. Il ragazzo non si era mosso, continuava a sorseggiare con calma la bevanda. È cieco.
Non parlò, rimase ad osservarlo e a stento trattenne un mugolio di sorpresa nel vedersi indicare il posto ai suoi piedi: un chiaro invito ad accomodarsi e prendere parte a quella silenziosa cerimonia privata.
Shiryu si mosse, intenzionato a versargli da bere, ma Death Mask lo fermò e fece da sé.
Cancer annusò con poca convinzione il liquido caldo e fece una smorfia, il fetore era terribile, eppure se Shiryu lo beveva con tanta tranquillità il gusto doveva essere sicuramente migliore dell’odore.
Poggiò le labbra sulla tazza di terracotta e le bagnò leggermente, inclinando il polso.
È cieco, posso sempre rovesciare la brodaglia da qualche parte o lasciare la tazza piena, pensò nel guardarsi attorno. La piccola pianta alla sua destra faceva giusto al caso suo. Doveva averla portata Shiryu come omaggio al redivivo maestro e il thé caldo di sicuro l’avrebbe rovinata. Scosse la testa, piegando la bocca in una smorfia di disinteresse. Ci avrebbe pisciato sopra per quanto gli importava di quella pianta o il presunto significato attribuitogli.
-    Non sei stanco? – domandò il giovane, sollevando il volto verso quello del suo interlocutore e accennando un sorriso, distogliendolo da pensieri poco consoni all’intimità di quella piccola celebrazione. - Immagino che risorgere sia stancante.
-    È peggio di una guerra sacra. – rispose rapido, intenzionato a chiudere il discorso e andarsene per la sua via, dandosi dell’idiota per aver pensato di dovere delle scuse a quel moccioso, ma quando Shiryu  diede l’impressione di attendere il resto della storia, scosse la testa, rassegnato, e riprese a parlare stizzito: – Il problema non è la resurrezione in sé, anzi devo ammettere che respirare di nuovo è molto più bello di quanto immaginassi, ma quello che fa male e toglie ogni forza è trovare i cambiamenti in quello che conoscevi. Da quanto sono morto, Shiryu? Quanto è passato dalla guerra contro Hades?
-    Due anni ad oggi, e due anni fa, facesti quello che hai fatto oggi. È cambiato qualcosa da allora?
-    Se è cambiato qualcosa?- sbottò Cancer profondamente infastidito - Mi prendi per il culo, cavaliere? Due anni fa sono arrivato a malapena  all’ingresso del tempio di Mu, stavolta invece sono tornato nel mio ed è tutto diverso!
Shiryu sorrise, aveva capito dove voleva andare a parare il rinnovato cavaliere del Cancro. Death Mask lo vide, capì e non contenne un gesto di stizza.
-    Tu sai… - soffiò tra i denti, oltraggiato da quell’aria di superiorità che si dava il cavaliere. – Non mi sei superiore ragazzino, toglietelo dalla testa! – gridò sbattendo la tazza sul tavolo.
Dragone sapeva della tranquillità che permeava ora il tempio del Granchio Celeste.
-    Io non ho detto niente, Death Mask, hai dedotto che mi sentissi superiore a te per la mia domanda o perché non hai ancora digerito la sconfitta? – lo punzecchiò Shiryu.
-    Non scherzare col fuoco, bimbo. Potresti scottarti - ribatté Cancer inacidito.
-    So solo che combattiamo dalla stessa parte. Ora. – ribadì Shiryu in tono serafico, calcando volutamente l’ultima parola.
Death Mask sgranò gli occhi e deglutì la presa di coscienza più amara della sua vita: erano stati nemici, ora erano alleati. Non aveva niente contro di lui, semplicemente era più forte, niente di sconcertante, solo che la loro concezione di giustizia era differente. Da quando era ragazzino aveva colto un sottile collegamento tra giustizia e forza e Shiryu, sconfiggendolo, gli aveva mostrato che sbagliava, e il suo orgoglio gli impediva di vedere l’errore.
-    Ti è stata concessa nuova vita – continuò Dragone. – Non ne sei felice? Non mi sembravi così voglioso di morire Cancer. Fu un duro scontro il nostro, mi desti filo da torcere, se Atena non fosse giunta in mio soccorso sarei stato io a soccombere, ma poi... Shun Rei, hai tentato di ucciderla cavaliere. Perché? Ora puoi dirmelo, abbiamo tutta la notte.
-    Shoushi! – esclamò, portandosi una mano sulla fronte e scuotendo la testa di lato. Quando la domanda smise di sembrargli tanto assurda, poggiò i pugni chiusi sul tavolo. - Mi infastidiva. Pregava per te e la sua vocina stridula mi rimbombava nella testa. Niente di personale.
-    Dicesti una cosa, quando mi tenevi sospeso sulle creste dello Yomotsu. – Shiryu si fece un'altra volta serio e poggiò finalmente la tazza. Sollevò nuovamente il volto e lo inclinò leggermente di lato.
Avrebbe ottenuto la risposta ad una domanda che si era posto e che aveva lasciato cadere alla morte del Cancro. – “Ringraziami! Così potrete andare all'altro mondo insieme! Sono un uomo misericordioso, dopotutto.” Dicesti. Tu eri davvero convinto di farmi un favore? Credevi che sarei stato felice unito a Shun Rei nell’oltretomba?
Death Mask scrollò le spalle. – Tu credi davvero che me ne fregasse qualcosa? – gli disse di rimando. – Senti moccioso, ho altro a cui pensare.
Si alzò, imprecando silenziosamente per il torpore alle ginocchia e uscì. Ma perché sedersi per terra quando hanno inventato le sedie? Dannati giapponesi.
Non si curò oltre di Shiryu, del settimo tempio, di Dohko, di Goro Ho, di Shun Rei e dell’armatura di Libra. Salì verso il tempio di Milo. Non chiese neanche il permesso di passare, sicuro che non avrebbe incontrato il custode.
Fu la volta del nono tempio. Si soffermò dove l’armatura del Sagittario brillava come stella incontrastata, rapito da tanto splendore. A pensarci bene, la sua non aveva mai brillato in quel modo. Avanzò di un passo quando si ritrovò la freccia puntata addosso.
-    Ehi, stiamo scherzando? – disse, alzando le braccia in segno di resa. Pensò ad uno scherzo da parte
di Aiolos, che in base a quello che ricordava non disdegnava qualche gioco e qualche battuta. Solo una cosa ricordava chiaramente di lui: l’amore incondizionato verso i souvenir e la dea.
-    Deponi le armi a… armatura. Non sono un nemico stanotte. – intimò alla corazza.
Il dardo riluceva, mentre puntava esattamente tra gli occhi del cavaliere, tuttavia Death Mask si stancò presto dell’immobilità della situazione e mosse un passo avanti. L’arco si tese.
-    Aiolos, non sono in vena di scherzi, esci fuori. – disse in tono fermo.
Sapeva che il nono tempio, come gli altri, era vuoto, eppure sperava che il custode manovrasse da lontano la sua protezione. Gli era bastata la ribellione di un’armatura in passato, un’altra sarebbe stata troppo, soprattutto perché non sua.
Quando la corda dell’arco fu completamente tesa, Cancer arse il cosmo, pronto a schivare il colpo, immaginandosi mentre prendeva a calci quell’ammasso di ferraglia che gli aveva dato solo rogne tra ricerca e tentativi di recupero.
In un istante il bersaglio cambiò e la freccia venne scoccata contro il muro, nello stesso punto dove si era già conficcata una volta in passato.

Cavalieri che qui siete giunti, dono a voi la cura e la salvezza di Atena.

Sbigottito, si voltò lentamente verso l’armatura, che in risposta ad una tacita domanda, si limitò ad emettere una scintilla di luce.
-    Sì, va beh. -  disse il cavaliere con un’alzata di spalle ed uscì indifferente, come se nulla fosse successo.
Salì allora al decimo tempio. Shura lo aspettava a braccia conserte, in silenzio, con una spalla appoggiata alla colonna.
-    Ce ne hai messo di tempo, Aphrodite sarà furioso per il ritardo. – gli disse in tono bonario,
voltandosi e precedendolo di qualche passo.
Cancer bofonchiò qualcosa e alla richiesta di Capricorn di ripetere negò di aver aperto bocca.
Salirono in silenzio, quasi fianco a fianco, verso il tempio di Aquarius e lo attraversarono; Shura era apparentemente tranquillo, ma Death Mask, che si guardava intorno come se da un momento all’altro tutto potesse cadergli sulla testa, sapeva che si stava divorando l’anima in preda a quei dubbi e a quei sensi di colpa che lo avevano sempre caratterizzato.
Diventa cavaliere e si lamenta che non è degno, ammazza Aiolos e si lamenta di aver ammazzato un traditore, viene soggiogato da Saga e si lamenta, tradisce Hades per salvare Atena e si lamenta di essere tacciato di tradimento pur essendo morto come traditore, ma guarda che tipo,  pensò Death Mask, realizzando solo in quel momento quanto potesse essere complicato l’animo di Shura. Troppi sensi di colpa, troppa insicurezza nelle sue azioni in contrasto con i suoi colpi, temibili in battaglia e quasi sempre letali.
Secondo me sei fatto male, amico mio.
-    Hai detto qualcosa? – gli chiese Shura nell’avvicinarsi all’ultimo tempio dello Zodiaco, sicuro che il compagno avesse qualcosa da dire.
-    Mi leggi nel pensiero? Non ho aperto bocca, ho solo pensato.
-    Cosa?
-    Che non ti fai mai gli affari tuoi, andiamo da Miss Santuario prima che decida di precederci e lasciarci agonizzare nel suo malefico roseto. – Parlò, puntando verso l’entrata dell’ultimo tempio.
Entrarono e trovarono il custode seduto all’uscita, su un gradino divelto a metà, testimonianza di battaglia.
-    Andiamo e non rompere i coglioni per il ritardo. Lo sai che Shura è lento. – esordì.
Pisces, dal canto suo, rimase seduto e annuì brevemente. Death Mask rabbrividì nel vederlo in quello stato. Aphrodite era il cavaliere che conosceva meglio e sapeva nell’intimo che quell’espressione sconsolata poteva voler dire solo una cosa: catastrofe imminente.
Mentalmente ripassò tutto ciò che avrebbe potuto buttarlo giù in quel modo: pensò alla vecchiaia.
No, sei appena resuscitato, non dev’essere sicuramente la paura di invecchiare ed imbruttire.
Scarafaggi.
Va bene che niente ti fa più schifo di uno scarafaggio, troppo sgraziati e infidi, ma tutto questo per un animaletto...
Un petalo staccatosi da una rosa.
Non dirmi che si è staccato un cazzo di petalo senza il tuo consenso. No, per favore no. L’ultima volta che è accaduto, hai parlato per ore di quanto il decadimento fisico rovinasse l’essere umano, va bene esteta ma inizi a dare fastidio, soprattutto quando colleghi la bruttezza alla mancanza di purezza di spirito. Tu che parli di purezza di spirito! Ridacchiò sommessamente prima di dare una gomitata a Shura, che in silenzio osservava.
-    Chiedigli cos’ha. – gli sussurrò all’orecchio, poi lo spinse avanti.
-    Perché io? – domandò Shura.
Aphrodite si voltò, nel sentire i passi vicini e liberò l’espressione più stupendamente triste che fosse in grado di fare. Shura sospirò e dovette cedere.
-    Cos’hai? – chiese lapidario, voltandosi verso Cancer e giurandogli una morte dolorosa attraverso
una minacciosissima occhiata. Gli occhi neri di Capricorn, stretti, saettarono dal volto di Death Mask a quello efebico di Pisces.
-    Non guardarmi così, poi ti vengono i sensi di colpa se mi uccidi. -  sogghignò Cancer, facendosi poi
avanti e spingendo Capricorn verso il gradino. Si sedette e attese che il parigrado facesse altrettanto.
Aphrodite si trovò in mezzo ai due, che si scambiavano qualche sguardo, osservando brevemente il profilo dello svedese.
-    Sapete una cosa? – esordì Pisces. – Non mi sono mai sentito così male in vita.
Si voltò a guardare un punto preciso del tempio e lo indicò con un cenno della testa – Lì sono morto, e Shun di Andromeda accanto a me. O almeno credevo che fosse morto anche lui. Lo rimproverai, poco prima di lanciargli contro la Bloody Rose, di come fosse un brutto sentimento il bisogno di vendetta. Shun iniziò a splendere in quel momento, fulgido. E io soccombevo sotto il suo colpo, rapito dalla sua bellezza. Mai vidi cosa più bella.
Si voltò nuovamente e guardò le crepe del lastrone sotto i suoi piedi.
-    Io sono riuscito a salvare Shiryu. – rispose Capricorn. – Alla fine sono riuscito a strappargli la
promessa di proteggere Atena come non avevo saputo fare io, facendogli dono di Excalibur. I fendenti della sacra spada, lanciati attraverso di lui, sarebbero stati i miei. Sarei riuscito ad adempiere al mio dovere, in un modo o nell’altro, dopo il mio fallimento. E ora me ne pento.
-    Strano, come mai Shura? Non ti è mai successo. – lo punzecchiò ironico Death Mask, che distolse lo
sguardo quando Shura elargì nuovamente un’occhiata minacciosa.
-    Ho scaricato su di lui la mia inadempienza. – continuò. - Non avrei dovuto. Allo stesso tempo ne
sono felice, però.  Ora posso provvedere alla mia missione da me, proteggere Atena come avrei dovuto fare da principio.
-    Tu, Death Mask? Non hai niente da dire? – chiese Aphrodite.
Death Mask rise brevemente, scuotendo la testa e alzando gli occhi al cielo. Sospirò e si voltò verso i compagni.
-    Da dove comincio? Ma sì, dall’inizio, perché no? Sono risorto, cosa alquanto stupida da parte della
dea, visto che personalmente non mi sarei riportato in vita neanche tra un milione di anni… ho tradito e l’ho fatto gustandomi ogni istante del tradimento, gongolando mentre innocenti e nemici perivano per mano mia, sbattendomene allegramente se qualche poveraccio che si trovava al posto sbagliato nel momento sbagliato finiva nello Sekishiki o schiattava perché gli cadeva un architrave in testa. E direi che la nottata era già iniziata contro ogni mia aspettativa. Rientro nella mia antica dimora, tirata a lucido, pulita come non lo era mai stata, con la biancheria pulita e la cazzo di vasca vuota e ora me ne chiedo il motivo, ma potrei rispondermi: “Cazzo, sei appena risorto, non rompere le palle e ringrazia di essere di nuovo vivo.”
Ho fatto un bel bagnetto caldo, poi ho avuto la malsana idea, che a quanto pare hanno avuto tutti, di dirigermi al tredicesimo tempio a chiedere alla dea per quale motivo mi avesse donato un nuovo corpo e sono iniziati gli eventi leggermente fastidiosi come: l’armatura di Aiolia che mi ha attraversato con una scarica elettrica mostrandomi i sentimenti di Aiolia, da me sempre bellamente calpestati senza ritegno, e mi sono quasi sentito in colpa, poi ho avuto paura che anche l’armatura di Virgo avesse avuto qualcosa da mostrarmi, ma l’ho scampata; poi sono arrivato alla settima Casa e chi c’era dentro? Dohko? No! Shiryu. Sì, il tuo più grande amico, Shura. Me ne stavo andando quando il lucertolone ha deciso di offrirmi il thé, sia mai che si dica che il cavaliere del Cancro rifiuti un gentile invito e mi sono seduto a degustare la brodaglia più oscenamente puzzolente del creato. E qui, Shiryu, ha avuto la faccia tosta di domandarmi come stessi e dopo un sacco di parole mi ha chiesto se ero convinto di fargli un favore uccidendolo dopo avergli ucciso la fidanzata. Me ne sono andato facendogli notare che mi aveva scambiato per qualcuno a cui fregasse qualcosa degli altri e ho continuato la salita. Non solo ho bestemmiato nel contare gli accidenti di gradini, ma ho sorriso quando non ho trovato Milo in casa e felice sono arrivato al nono tempio, dove l’armatura di Sagitter ha tentato impunemente di farmi fuori.
-    Ma sei serio? – lo interruppe Shura. – Davvero l’armatura di Aiolos ha tentato di ucciderti?
-    Sì, no, tecnicamente mi ha minacciato, mi ha puntato contro quella dannata freccia e poi di colpo l’ha scoccata invece contro il muro, dove c’era un’incisione: “Cavalieri che qui siete giunti, dono a voi la cura e la salvezza di Athena”, ecco, io non so a chi fosse riferito, ma di sicuro non a me e ora sono qui a parlare con voi mentre ci aspettano per dare origine al primo Chrysos Sinageyn completo della nostra generazione. – concluse sospirando.
Aphrodite e Shura ridacchiarono, incuranti delle occhiatacce che Death Mask lanciava loro.
-    Beh, almeno non ti sei annoiato. – gli disse Shura, sottolineando poi che il resoconto lo aveva divertito.
-    Vai un po’ a farti fottere.
Restarono in silenzio per un po’, finché Death Mask non disse apertamente quello che lo turbava, chiudendo gli occhi, sperando ancora fosse un sogno.
-    Le maschere… non ci sono più. – abbassò la testa, afferrandola con le mani aperte e stringendo la presa sui capelli. La voce si abbassò paurosamente e iniziò a vibrare. – I miei trofei, i simboli della mia forza persi per sempre.
Shura e Aphrodite sapevano quanto il compagno ci tenesse. Era grazie a quelle facce che gli avevano dato il soprannome, ma nessuno dei due si sognò di consolarlo per la perdita. Shura in particolar modo non aveva mai avuto il coraggio di parlargli, lo aveva sempre considerato un uomo terribile e continuava a farlo, nonostante avesse anche i suoi pregi, ma quella cattiveria con cui si poneva era destabilizzante. Si limitò ad allungare un braccio, passando sulle spalle di Aphrodite, per dare una pacca amichevole e piena di comprensione al cavaliere distrutto.
-    Puoi ricominciare da capo. – gli disse Aphrodite, voltandosi lentamente verso di lui ed esplodendo in un sorriso. Gli occhi azzurri del cavaliere erano così diversi da come Cancer li aveva conosciuti; quella spietatezza e quella crudeltà erano svanite, lasciando spazio ad un’aura di umanità che poco gli si addiceva.
Mosse la bocca per parlare ma non fuoriuscì nessun suono. Avrebbe voluto chiedergli cosa intendeva per ricominciare da capo, perché non se la sentiva di riprendere il vecchio registro di comportamenti, qualcosa era cambiato, qualcosa gli diceva che non era… giusto.
-    Prima li hai uccisi, ora salvali. – Shura concluse il discorso dello svedese con serenità, accennando un sorriso flebile. – Shiryu ha vendicato le anime che hai distrutto e loro hanno abbandonato la tua casa, una volta vendicati non avevano più bisogno di restare lì. Ora salva gli innocenti, uccidi il nemico solo se è realmente necessario ai fini di Atena.
Death Mask sospirò, sicuro di non sapere come fare a salvare le persone. La dea era forte, e  per lui solo la forza contava.
In passato, avevano avuto una visione di giustizia molto simile. Credevano che dovesse essere imposta con la forza, solo che Death Mask e Aphrodite avevano unito completamente il concetto di forza e giustizia. Chi è forte impone la sua giustizia, mentre Shura era del parere che per affermare lo stesso concetto e renderlo universale servisse l’imposizione.
-    Dovrai ricominciare da principio, ti è stata data un’altra occasione, io non la sprecherei. – concluse lo spagnolo, sollevando il viso verso l’ultima gradinata, l’ultimo ostacolo da raggiungere per arrivare al cospetto della dea, ricoperta dai fiori letali di Aphrodite.
Si alzò in piedi, volgendosi verso i compagni e invitandoli ad alzarsi con un cenno del capo.
Aphrodite si alzò, pronto a mettersi ancora in discussione ed iniziare la sua ricerca. Con un gesto del polso spostò la distesa di fiori, liberando la via. Mosse qualche passo al fianco di Shura,  e dopo i primi gradini, entrambi si voltarono a cercare Death Mask, rimasto seduto con la testa tra le mani, ancora chino su se stesso.
I due si scambiarono uno sguardo interrogativo, presto sostituito da espressioni di rassegnazione.
-    Death Mask, non vieni? – domandò Aphrodite.
Cancer rimase immobile in quello stato catatonico in cui era piombato.
-     Di notte, quando ero completamente solo, non sapevo mai chi avrei potuto incontrare nell’oscurità, magari nascosto in qualche posto recondito. Mi sentivo spiato, osservato da ogni parte. – disse liberando i capelli dalla morsa in cui li aveva costretti e alzando il volto per incrociare quelli dei suoi interlocutori.
Guardò in direzione del tredicesimo tempio, dove svettava incontrastata la statua della dea. Sii la mia guida prima che soccomba ancora al desiderio, aiutami a distogliere lo sguardo dagli angeli caduti. Posso resistere una volta e poi ancora. Rivolse la sua preghiera alla dea, abbassando lo sguardo dopo tanta sfacciataggine. Non aveva mai mostrato fedeltà o interesse verso la dea, ma la consapevolezza di aver sempre sbagliato prendeva piede nei suoi pensieri. - Non è facile trovare un modo per uscirne.
-    Trovalo. – lo incoraggiò Shura.
-    È quello che sto cercando di fare. Sto cercando di trovare una via d’uscita. – si giustificò, volgendo ancora una volta lo sguardo alla dea. Dammi solo una ragione per andare avanti, se provo, forse potrei riuscire ad amare… la giustizia, il mondo. - Quando a mezzanotte c’era la luna piena, spegnevo le luci. -  Portò le mani sulle ginocchia, fissando i dorsi graffiati e le nocche sbucciate.
Shura mosse un passo nella sua direzione, così come Aphrodite.
-    Urlavano in modo selvaggio. -  Concluse, passandosi una mano sulla fronte. – Ora c’è solo silenzio, un innaturale silenzio.
-    Immagino che piangerti addosso ti diverta, Cancer. – intervenne Pisces. – Hai un’altra possibilità, sfruttala e smettila con questi insulsi lamenti. Non ti porteranno da nessuna parte, la tua ricerca è appena iniziata, come la nostra. – disse indicando prima se stesso e poi Capricorn.
-    Sono risorto dalla mia tomba, ho scavato per nascere ancora una volta, io non credo di meritarlo. – disse, scrutando ancora le ferite, pensando che non gli appartenessero.
-    Pirañian Rose! – gridò Aphrodite, scagliando contro il compagno inerme una cascata di rose venefiche.
-    Ma sei pazzo?!
Una rosa si era conficcata sul gradino, esattamente in mezzo alle gambe, a pochi centimetri da lui.
-    Se piagnucoli come una ragazzina non meriti la nuova vita, quindi sarò io a togliertela, come regalo. Meglio
io che la dea. Meglio io che nuovamente Shiryu, non pensi? – Lo sguardo di Aphrodite tornò presto quello conosciuto: spietato e brillante.
Shura levò il braccio in aria, fissando Cancer come se fosse stato un nemico.
-    Tendré el placer de ser tu verdugo, Death Mask.  – soffiò tra i denti la stessa frase che aveva usato contro Shiryu in passato, dopo avergli trafitto il cuore con Excalibur.
-    Se volete il combattimento non mi tirerò indietro. – gridò Death Mask con improvvisa risolutezza. Fece ardere il suo cosmo e
l’aria iniziò a vibrare,mostrando la furia di un uomo che si vedeva tradito dalle circostanze e anche dalle uniche persone che aveva considerato amiche.
I tre si fronteggiarono per qualche istante, bruciando il cosmo fino al limite.
All’improvviso, nel medesimo istante, Shura spezzò l’aria invocando la spada sacra, Aphrodite convocò una tempesta di petali, pronto a riversare ogni singolo bocciolo sul corpo dell’amico e Death Mask levò l’indice e chiamò a raccolta le anime, che numerose vorticarono attorno al suo corpo, pronto a strappare l’anima degli amici e scaraventarle in un luogo senza ritorno.
I tre colpi si annullarono all’improvviso, riportando la tranquillità.
Shura e Aphrodite ridevano, mentre Death Mask , attonito, si guardava le mani.
-    Hai visto quante animelle hai ancora? – lo prese in giro Aphrodite. – Tante lacrimucce non si addicono allo spietato Cancer, potresti vergognarti e minacciarci di morte per non raccontarlo a nessuno.
-    Shiryu sarà il primo a saperlo. È il momento di gettare la maschera, hombre. – continuò Shura.
Death Mask sorrise, comprendendo solo in quel momento il perché di quell’attacco. Non era intenzione dei due ferirlo, ma mostrargli solamente un percorso che non vedeva.
Poteva ancora richiamare gli spiriti a suo piacimento, giocarci e usarli come arma, espiantando le anime di chi si poneva sulla sua strada. Era un cavaliere di Atena e ne prese consapevolezza solo in quel preciso istante. Avrebbe combattuto per la dea, come aveva fatto nella Giudecca, quando aveva unito il suo cosmo a quello dei compagni. Una strana sensazione di calore lo pervase, facendolo fremere improvvisamente.
-    Possiamo andare o devi piangere un altro po’? – chiese sarcastico Aphrodite.
-    Non mi sembra di averti dato il permesso di prendermi in giro, Pisces. – sogghignò Cancer, pronto a comportarsi come la dea comandava.
Salirono le scale, mentre il tappeto di rose riprendeva consistenza dietro di loro, ad una distanza sufficiente affinché il veleno non fosse letale per Shura e Death Mask.
Arrivati all’ingresso della sala del trono, Cancer si guardò le mani e mentre Shura spingeva avanti il pesante portone, rise.
-    Le anime che mi odiavano indebolivano i miei colpi, altrimenti avrei sconfitto Shiryu, ne sono certo.
I due si voltarono verso di lui, divertiti.
-    Non impari mai, vero?
-    Sia mai. – li precedette e al cospetto della dea si inginocchiò rispettosamente.
-    Ce ne avete messo di tempo. Vi eravate persi? E per fortuna che la strada è una sola. – s’intromise Milo osservandoli da dietro il suo solito sorriso sghembo e ironico.
Cancer, prostrato davanti la dea, alle parole del parigrado, sorrise, ghignando tra sé e sé: il sorriso di chi ha compreso, di chi è avvolto da un tiepido cosmo benevolo, e di chi finalmente ha trovato il proprio posto nel mondo. C’era voluta una vita per scoprirlo, e neanche quella era bastata per tornare di nuovo in seno alla cerchia di cavalieri d’oro vestiti. Ora però era di nuovo tra loro, lui che di forza e giustizia aveva fatto il suo credo principale, lui che di meschinità e violenza si era macchiato oltre ogni limite, ora poteva tornare a sorridere…un sorriso beffardo, mordace, di sfida, il suo… e mentre i suoi occhi di fuoco si rialzavano a fissare lucenti la dea, pensò che tutto sommato la nuova vita non doveva essere poi tanto malvagia, e riflettendo sulla domanda di Milo si rispose tra sé. Noi non ci siamo persi, semplicemente... ci siamo ritrovati...e ho trovato la dea, finalmente.




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E fu così che le due persone lo percularono a vita, giustamente.
Prima di ogni spiegazione, parola o blabla di vario tipo, desidero ringraziare con tutto il cuore Himechan che, nonostante non abbia il tempo materiale per respirare, ha trovato il tempo di betare questa divina perla di saggezza e rispedirmi indietro un documento quantomeno imbarazzante. E direi che si è meritata di riceverla in regalo!
 Per la lettura preventiva pre-perculate della beta, si ringrazia Aiolos. Ebbene sì, ha notato diverse e simpatiche cosucce, al cui pensiero mi spancio dalle risate.

Ora veniamo a noi e a tutto l'ambaradan di parole qui sopra: è venuta, non si sa come e non si sa perchè, ma eccola qui.
Un piccolo percorso con tanto di assoluzione per il granchio più amato dai criminali e odiato dalle loro (e sue) vittime, ma in fondo era già stato assolto, no? Altrimenti sarebbe mancata una capoccia al Muro del Pianto.
Veniamo alle note dolenti:
- Alcune frasi vengono dritte dritte da Episode G, altre dall'anime, suvvia siate in grado di riconoscerle, altre invece (una per la precisione) è reiventata, ma il significato è quello.
- Shoushi! è un'esclamazione cinese che Death Mask soleva ripetere nel manga originale. Non si spiega perchè parlasse cinese, ma mi piace questo lato poliglotta dello zoticone.
- Tendrè el placer de ser tu verdugo. È una frase detta da Shura, rivolta a Shiryu, nel doppiaggio spagnolo della serie, e siccome Shura è spagnolo è giusto che si esprima in spagnolo. Capricorn non ci va leggero. Significa che avrà enorme piacere ad interpretare il ruolo di boia.
- Dulcis in fundo, creditiamo anche gli Heavenly che mi hanno fatto da colonna sonora. Death Mask alla fine usa alcune frasi di una canzone, alcune reinterpretate e/o tagliate alcune no, a mio dire splendida, intitolata Fullmoon.

Grazie a chiunque sprecherà tempo prezioso della sua vita a leggere, chi vorrà darmi un parere e chi mi giurerà una morte dolorosa, ma più sono odiata e più mi sento forte. [cit.]
   
 
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