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Autore: Valaus    16/03/2010    14 recensioni
Ottobre ed Aprile non sono solo due mesi qualunque. Sono l'Inverno e la Primavera, il Freddo ed il Tepore, l'Oscurità e la Luce, la Notte ed il Giorno. Ottobre ed Aprile sono due opposti, due mondi a parte, incongiungibili.
Allo stesso modo sono Draco Malfoy ed Hermione Granger. L'uno Ottobre, l'altra Aprile. Due opposti che non dovrebbero mai incontrarsi. Destinati ad odiarsi, a fronteggiarsi. Semplicemente impossibili.
Ma per Draco Malfoy ed Hermione Granger, "impossibile" è solo una parola come tante.
Genere: Romantico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le prime radici di questa storia hanno iniziato a spuntarmi in testa durante un viaggio in treno, mentre ascoltavo "October and April" canzone dei The Rasmus e Annette Olzon che io personalmente trovo stupenda e che, oltre a dare il titolo alla Fict, l'ha in parte ispirata. Perciò, all'inizio di ogni capitolo, ne troverete un breve frammento.
Nel caso vogliate, vi consiglio di ascoltarla :)
Anche perchè, a mio parere, è la colonna sonora ideale di questo racconto.
Spero possa piacervi, buona lettura







1.


“She was like April sky
Sunrise in her eyes”







Assurda.
Non vi è altra parola per definire questa situazione, se non “assurda”.
E odiosa, per giunta.
Come ho potuto essere sciocco fino a questo punto? Lasciarmi catturare così facilmente da un branco di mammolette a malapena in grado di allacciarsi le stringhe delle scarpe da soli. Ammesso che non usino la magia anche per questo.
Dannazione, io sono superiore a loro!
Io non sono uno qualunque.
E se fino a qualche anno fa mi limitavo a pensarlo tra me e me, dimostrandolo col mio atteggiamento da bullo, ora lo so con assoluta certezza.
Non sono uno qualunque, o non mi troverei ad occupare la mia attuale posizione.
Paradossalmente, anche questa stessa cattura lascia trasparire quanto io sia importante.
Voglio dire, sembra quasi che il Ministero abbia dispiegato tutte le sue forze per farmi prigioniero.
Ma se sperano di ottenere qualcosa da tutto questo, si sbagliano di grosso.
Sarò malvagio, subdolo, bugiardo, vendicativo, e tutto quello che vi pare.
Potrò essere anche la peggior feccia che si sia mai vista in questo lurido paese, ma sicuramente non sono un traditore.
Mai e poi mai.

~ω~



Harry James Potter era senza ombra di dubbio il miglior Auror che il Ministero della Magia avesse avuto a propria disposizione da una decina di anni a quella parte.
Era abile sia sul campo di battaglia che fuori, un talento innato con la bacchetta ed un vero asso negli interrogatori. Nessuno sapeva trattare con gli ostaggi o i prigionieri come lui. Forse in parte la sua fama di “Bambino Sopravvissuto” lo aiutava in questo, intimorendo chiunque gli si trovasse davanti. Ma ciò non toglieva le sue incredibili capacità nel riuscire ad estorcere informazioni vitali anche al più ostinato dei Mangiamorte.
Harry James Potter era un Auror con la A maiuscola. Uno che ce l’ha scritto nel sangue.
Spesso, nell’elogiarlo, il comandante Kingsley gli ripeteva che, con tutta probabilità, la “A” del suo DNA stava proprio per “Auror”. Una battuta che aveva ormai stancato il ragazzo, ma che comunque lo riempiva ogni volta d’orgoglio.
Ma c’era molto altro.
Harry James Potter era anche un amico fedele, un collega affidabile, una persona disponibile fino all’inverosimile verso il prossimo. Un paladino della giustizia, ed al tempo stesso una persona meravigliosa, a volte quasi troppo bella per essere vera.
In molti si domandavano se tutta questa sua “perfezione” non fosse solo una maschera, se in realtà lui non fingesse di essere così assolutamente adorabile solo per rispettare l’immagine stereotipata che tutto il Mondo Magico si era fatta di lui.
Ed in parte era così. Aveva soffocato i lati più spigolosi del suo carattere, enfatizzando quelli che invece la gente maggiormente apprezzava in lui. Voleva essere l’eroe che tutto il mondo desiderava. Perché sapeva che, mai come allora, tutti ne avevano bisogno. Un bisogno disperato, forse l’unico sentimento positivo sopravvissuto alla distruzione di quella guerra terribile.
Il mondo aveva bisogno di un eroe positivo, senza macchia e senza paura, che li guidasse verso la luce della rinascita. Ed il mondo aveva deciso che lui doveva essere quell’eroe.
Perciò, non voleva disattendere le loro aspettative.
Harry James Potter era tutto questo.
Ma c’era una cosa che Harry James Potter non sarebbe mai stato in grado di essere.
Un bravo attore.

< Se vai avanti a fissarlo così, gli provocherai una combustione spontanea!> mormorò ironicamente Ron, appoggiando le gambe sul lucido tavolo degli interrogatori. Tentava, per la terza volta di fila, di accendere la sigaretta che teneva tra le labbra con l’accendino Babbano che gli aveva regalato Hermione per Natale. Una lotta, quella tra la testa dura del più giovane maschio Weasley ed i congegni non-magici, che probabilmente si sarebbe risolta nuovamente a favore di quest’ultimi.
Dall’altra parte del tavolo, le labbra del prigioniero si allargarono in un ghigno sprezzante e canzonatorio.
< Lascialo fare, gli piace ciò che vede. Come dargliene torto?> esclamò, con la sua voce strascicata e velenosa.
Gli occhi di Harry si ridussero ad una fessura, per quanto già prima fossero schiacciati dall’espressione truce e minacciosa che esibiva.
Era inutile, di solito riusciva a mantenersi pacato e neutrale durante gli interrogatori. Era quello il suo punto di forza, un’innaturale tranquillità che terrorizzava i prigionieri.
Si sa, non è tanto la tempesta a far paura, quanto l’inverosimile quiete che la precede.
Eppure, quella volta non ci riusciva.
Il ripugnante essere seduto di fronte a lui, del quale si rifiutava anche solo di pensare il nome, gli provocava un’isteria tale che non riusciva a dissimularla minimamente.
Non era mai stato un grande attore, ma quella era sicuramente la sua performance peggiore.
Sbatté violentemente i pugni contro il tavolo, senza riuscire ad evitare di pensare a quanta soddisfazione avrebbe provato se al posto di quella superficie metallica ci fosse stato il brutto muso che stava fissando da più di mezz’ora. Avrebbe voluto cancellargli quel ghigno a suon di bastonate, ma doveva trattenersi.
Le regole degli Auror erano poche ma severe. Un atto del genere gli sarebbe sicuramente costato mesi di sospensione.
< Tappati quel cesso di bocca!> digrignò, facendo appello a tutto il suo autocontrollo.
Lanciò una fugace occhiata alla sua destra, dove Ron continuava la sua imperterrita lotta contro l’accendino.
Come diamine faceva a restare così calmo? Solo lui moriva dalla voglia di vedere il sangue di quel fottuto bastardo scorrergli tra le mani?
< Cazzo Ron, la vuoi piantare?!> esplose, furibondo.
Il rosso si bloccò, voltandosi a fissarlo. Un sopracciglio s’inarco quasi involontariamente.
< Non è colpa mia se questo affare non funziona come dovrebbe!> disse pacatamente in sua difesa.
Il prigioniero sghignazzò.
< Non prendertela con lui Potter, ormai dovresti essere ben consapevole che il suo quoziente intellettivo è pari a quello di un troll...>
I pugni di Harry si strinsero ancora, al punto che le unghie gli si conficcarono nella carne dei palmi.
< Ah ah ah, molto divertente Malfoy!> gli rispose Ron, sempre serafico.
Al moro bastò che l’amico pronunciasse quel nome, per perdere tutto il proprio autocontrollo. Fu la classica goccia che fa traboccare il vaso.
Scattò in piedi, così improvvisamente che la propria sedia cadde pesantemente all’indietro, atterrando con un tonfo sul pavimento.
Persino Draco rimase sorpreso da quella reazione, ma nulla nella sua espressione impassibile lo diede a vedere.
Mentre stava per muovere il primo passo che l’avrebbe portato ad avventarsi sul biondo, la voce di Ron lo richiamò, bloccandolo.
< Harry!!> esclamò.
Questa volta il suo tono non era più quello tranquillo e leggero di prima. Era fermo, grave ed autoritario.
L’ex-Serpeverde rimase perplesso nel vedere una simile forma d’imposizione da parte di quello che ricordava ai tempi di Hogwarts come un flaccido ragazzino senza personalità, pura creta da modellare nelle mani di Potter. E, soprattutto, rimase ancora più colpito dal modo in cui quel semplice richiamo fosse bastato per placare lo Sfregiato.
Doveva averne fatti di passi avanti Lenticchia dall’ultima volta che si erano visti!
Harry rimase immobile, in piedi, mentre le mani gli tremavano per la rabbia.
Il rosso riuscì finalmente a creare una lieve fiammella col proprio accendino. Lo portò vicino alla punta della sigaretta, dandole fuoco ed aspirando al tempo stesso, finché non si accese del tutto. Ripose il regalo di Hermione nella tasca dei jeans, prese una profonda boccata di fumo ed afferrò la sigaretta tra l’indice e l’anulare della mano destra, allontanandola dalle proprie labbra.
Con un respiro, lasciò che il fumo gli circolasse nei polmoni per poi soffiarlo fuori dalla bocca, dopodiché tornò a rivolgersi all’amico, fissando intensamente il prigioniero di fronte a sé.
< Cerca di darti una calmata Coso, sai che non puoi reagire così.>
Harry sorrise mentalmente al nomignolo con cui da un po’ di tempo aveva preso a chiamarlo, secondo Hermione solo per darsi ulteriori arie da “figo”. Inspirò ed espirò a fondo.
Era vero, non poteva permettersi certi scatti d’ira. E chi meglio di Ron poteva saperlo. Quel carattere da duro, che un tempo sarebbe parso quasi una nota stonata in lui, era il risultato di innumerevoli punizioni per le sue intemperanze.
Fin da subito era stato uno degli Auror di maggior talento, ma più indisciplinati. Non riusciva a controllarsi, il disprezzo e l’odio che provava verso i Mangiamorte e le loro azioni lo portavano spesso e volentieri a compiere atti non consoni al suo ruolo, col risultato che adesso poteva tranquillamente entrare a far parte di un eventuale libro dei record come “membro dell’esercito con il maggior numero di punizioni inflittegli”. A furia di sospensioni, richiami, pene e quant’altro, era finalmente riuscito ad imporsi un valido autocontrollo.
Efficacissimo. Da un anno a quella parte non era stato più punito in alcun modo. Era diventato un Auror modello.
Harry sospirò, dando tacitamente ragione all’amico.
Il rosso annuì, poi un ghigno di soddisfazione si dipinse sul suo volto.
< Oltretutto, direi che l’abbiamo già abbastanza conciato per le feste prima!> sogghignò.
L’espressione di Draco si rabbuiò di colpo.
Era vero, durante la cattura l’avevano ridotto ad uno straccio. Perdeva ancora sangue dalla testa, le ferite aperte gli pulsavano quasi come se ci avessero buttato del sale sopra, gli dolevano punti del corpo che non sapeva nemmeno di avere e come se non bastasse l’avevano legato come un salame alla sedia e l’avevano rinchiuso in quella stanza afosa e puzzolente da quasi un’ora ormai.
Oltretutto, cominciava a sentirsi provato da quella copiosa emorragia. Si sentiva sempre più debole ed intontito, ma avrebbe preferito morire piuttosto che mostrarsi debole di fronte ai suoi peggiori nemici. Sputò violentemente a terra, sperando che i due Auror non notassero il sangue misto a saliva che aveva appena toccato il pavimento.
< Ci vuole ben altro per uno come me!> sentenziò con tono di superiorità.
Ed effettivamente il Signore Oscuro l’aveva abituato a ferite ben più gravi. Si era trovato in situazioni fisicamente molto più drammatiche.
Ma in quel caso era diverso. Era un prigioniero, nelle mani del nemico.
In poche parole, era fottuto.
La propria capacità di bluffare era l’unica cosa a cui poteva appellarsi al momento.
< Oh, ne sono sicuro Malfoy, ma ho come la sensazione che tra poco comincerai a collaborare!> gli rispose ironico Ron, continuando a fumare.
Il biondo gli rivolse un’occhiata schifata.
< Cos’è, hai intenzione di affumicarmi con quello schifo? O vuoi spegnermela addosso? Credevo che voi santarellini non poteste usare la violenza negli interrogatori!>
< Nel tuo caso non sarebbe violenza. Ti daremmo solo ciò che ti meriti, figlio di puttana>
Draco sussultò. Le corde si tesero ulteriormente contro il suo corpo seminudo, sfregando contro le profonde ferite sul suo petto e provocandogli un muto spasmo di dolore.
Ad Harry, che nel frattempo si era tranquillizzato e nuovamente seduto, parve quasi di sentirlo ringhiare.
< A me fate quello che vi pare, ma lasciate fuori mia madre o vi apro il culo!> borbottò minaccioso.
I due Grifondoro si scambiarono una fugace occhiata complice.
Bingo. Avevano trovato il suo punto debole.
< E come pensi di farlo, sentiamo... non mi pare che legato così tu possa concludere poi molto!> lo rimbeccò Ron.
< A dire il vero, ora come ora alla tua mammina potremmo fare tutto quello che vogliamo, e tu non potresti muovere un dito per difenderla!> rincarò la dose Harry.
< Sai, è buffo Coso, io so persino in quale cella di Azkaban è rinchiusa! Potremmo andare a farle una visitina di cortesia, che ne dici?>
< Non sarebbe una cattiva idea... forse potremmo chiedere a lei quello che vogliamo sapere, sono certo che sarebbe molto più disponibile di quel fetente di suo figlio!>
Ron ridacchiò, crudele.
< Si, ammesso che sia ancora in grado di parlare! Probabilmente i Dissennatori le avranno già mandato in pappa il cervello...>
A quel punto, la rabbia di Draco Malfoy esplose.
Letteralmente.
Il suo urlo riecheggiò assordante in tutta la minuscola stanzetta, ed Harry e Ron assistettero allibiti ad un dispiegamento di magia che mai avevano visto compiere prima di allora.
In un tripudio di bagliori e lampi rossi, disintegrò le corde che lo imprigionavano, trasformandole in polvere che si depositò immediatamente ai suoi piedi. Con un balzo si sollevò in piedi e la potenza di quel suo incantesimo fu tale che persino la sedia su cui era rimasto fino a pochi istanti prima ed il tavolo di acciaio di fronte a lui esplosero in mille pezzi, che sfrecciarono in ogni direzione, scagliati contro le pareti della stanza.
I due Auror deglutirono, sgranando gli occhi dallo stupore.
Quella furia si sarebbe probabilmente riversata contro di loro, se il fisico del giovane non fosse stato tanto provato dalla battaglia che aveva preceduto la sua cattura.
Avvertì un dolore lancinante in tutto il corpo, come se una scarica di 10.000 volts lo avesse folgorato. Ogni ferita, ogni singolo graffio iniziò a bruciare come l’inferno, il sangue riprese a scorrere copioso dal profondo taglio alla tempia sinistra e, lentamente, il suo contatto con la realtà che lo circondava iniziò a venir meno. Gli si appannò la vista, le gambe gli cedettero sotto il peso della stanchezza, del dolore fisico e della confusione mentale, finché non cadde a terra, piegato in due sulle proprie ginocchia.
La testa gli girava al punto tale che non riusciva più a capire dove si trovasse; i colori, le luci e le ombre che vedeva intorno a sé si sovrapponevano, creando una sorta di guazzabuglio incomprensibile, che gli ricordò quegli orribili quadri Babbani di un certo pittore, cubista o qualcosa di simile, che suo padre aveva rubato da una villetta un paio di mesi prima, dopo un raid omicida.
L’eco del suo urlo e della sua magia si erano appena spenti, che lui fece lo stesso.
Scivolò sul pavimento, disteso, perdendo completamente la propria lucidità e precipitando in un sonno affatto dolce.
Harry e Ron rimasero immobili sulle loro sedie per un paio d’istanti, fissando il corpo del biondo sdraiato a terra, svenuto, e respirando quasi affannosamente.
Attesero che i loro battiti cardiaci si regolarizzassero nuovamente poi, sempre immersi nel più totale silenzio, si alzarono lentamente in piedi.
Il rosso si avvicinò al prigioniero, brandendo la propria bacchetta di fronte a sé, guardingo. Il moretto rimase alle sue spalle, osservando la scena.
Vide l’amico inginocchiarsi accanto a Malfoy, stuzzicargli un fianco con la propria bacchetta, poi allungarsi su di lui e posargli due dita sul collo, all’altezza del pomo di Adamo.
Emise un sospiro. Harry non osò domandargli se fosse di sollievo.
< E’ andato...> gli fece, voltandosi verso di lui.
Il ragazzo sgranò gli occhi.
< Vuoi dire che è morto?!> chiese, allarmato.
< No cretino, è solo svenuto! Non vedi che respira ancora?> lo riprese Ron, alzandosi in piedi.
Harry lo raggiunse, parandosi accanto a lui di fronte a quel corpo privo di sensi.
< Credo che dovremmo curarlo, o non arriverà vivo a domani. E Merlino solo sa cosa ci farebbero i pezzi grossi se sapessero che abbiamo lasciato morire un simile prigioniero!>
< Già, troppe informazioni importanti perse...> mormorò il rosso, concordando con l’amico. Si voltò verso di lui, le sopracciglia inarcate e la sua solita aria da spaccone nuovamente sul volto.
< Ammettilo, > lo provocò < ti sei cagato addosso anche tu!>
Harry ricambiò lo sguardo. Nonostante il tono ironico delle parole di Ron, sapeva benissimo quanta verità celassero.
Era così, si erano entrambi cagati addosso. Non letteralmente, per fortuna. Ma, indubbiamente, si erano presi un gran bello spavento.
< Credo che l’abbiamo sottovalutato un po’ troppo...> sentenziò il moretto.
L’amico sospirò, squadrando il biondino a terra.
< Lo credo anch’io... forse ci basiamo troppo sul ricordo che abbiamo di lui ad Hogwarts...>
< Dobbiamo metterci in testa che non è più la stessa persona con cui avevamo a che fare cinque anni fa, Ron. Hai visto anche tu di cosa è capace. E non parlo solo dell’esplosione di prima...>
< Lo so. Forse è il caso che la smettiamo di pensare a lui come il vecchio Malfoy. Consideriamolo per quello che è adesso, o rischieremo di credere sempre di avere ancora a che fare col ragazzino presuntuoso e strafottente che era ai tempi della scuola. Insomma, allora si atteggiava a signore e padrone del mondo intero, ma non valeva una mezza cicca, adesso....>
< Se non valesse niente, non sarebbe chi è.> concluse il moro per lui.
Ron annuì, pensieroso.
Si inginocchiò a terra, afferrando il corpo privo di sensi di Draco e caricandoselo su una spalla.
< Ci penso io a lui, tu occupati di questo macello. Se Kingsley vede come questo qui gli ha ridotto la stanza degli interrogatori, minimo la fa ripagare a noi. E io ci tengo al mio stipendio, Coso!>
Harry ridacchiò.
< Ti pare che me lo dimentichi?>
Estrasse la bacchetta dalla tasca posteriore dei pantaloni, la puntò contro i detriti sparsi per tutta la stanza e mormorò “Reparo”, osservando gli oggetti ricomporsi per magia.
< Ad ogni modo,> aggiunse, mentre Ron stava varcando la soglia < non vorrei essere nei panni del poveretto che dovrà prendersi cura di lui.>
Il rosso si fermò, voltandosi verso l’amico con un’espressione scura in volto.
< Se oliassi un po’ le rotelline del tuo cervello, non ti ci vorrebbe molto per capire a chi toccherà occuparsi di un prigioniero del suo calibro. E forse, allora, vorresti essere al suo posto!> concluse, secco, per poi sbattersi la porta alle spalle.
Harry, perplesso, rimase a fissare il punto precedentemente occupato da Ron. Poi, improvvisamente, capì, e non riuscì a trattenere un’imprecazione.

~ω~


Dovrei fare qualcosa.
Lo so, è il mio lavoro. Dovrei intervenire, curarlo, guarire le sue ferite.
Eppure, sono qui immobile da non so quanto tempo, e mi limito a fissarlo.
Da quando quello sbruffone rosso è entrato qui dentro e l’ha scaraventato sul primo letto a disposizione, blaterando che “adesso toccava a me”, io non ho ancora fatto nulla. Ho solo fissato con disprezzo il suo corpo devastato e seminudo.
Nessuno dei miei colleghi è intervenuto. Sanno tutti che un compito del genere spetta a me.
Ed è vero, è una mia responsabilità.
Dannazione...
Non posso cedere così ai miei sentimenti.
Per quanto male abbia fatto a me, alla mia famiglia, alle persone a me care, e a chiunque altro al mondo, devo fare qualcosa per lui.
Ho fatto un giuramento. Ho giurato che in quanto Medimago avrei curato chiunque ne avesse la necessità, indipendentemente da tutto il resto.
Il mio compito, la mia vocazione, è salvare vite, non giudicare chi merita o meno di sopravvivere.
Vorrei lasciarlo lì, su quel letto, a morire lentamente, come lui ha fatto così tante volte.
Anzi no, sarebbe una morte troppo dolce per chi non ha mai avuto un minimo di pietà nell’infliggerla.
Ho visto le sue vittime. Ne ho curate molte, sperando di poterle salvare.
Lui non le ha solo uccise, no.
Le ha private della dignità, le ha torturate fisicamente e psicologicamente, le ha fatte soffrire e desiderare di morire, piuttosto che patire ancora tutto quel dolore.
Lui è un mostro.
Eppure, io devo salvare questo mostro.
Questi sono i momenti in cui vorrei essere al posto degli Auror.
Loro fanno giustizia, danno ad ognuno ciò che si merita.
Io no.
A me tocca far del bene indistintamente.
Anche a chi meriterebbe solo di essere preso a calci.
Anche ai Mangiamorte.
Anche a Draco Malfoy.

~ω~


Le prime luci di un nuovo mattino filtrarono dalla finestra socchiusa, ed un raggio andò a posarsi sul viso di Draco. Lentamente, i suoi occhi reagirono al calore e alla luce del sole, aprendosi.
Con lo sguardo ancora appannato, si guardò intorno.
Non riconosceva il luogo in cui si trovava. Un’asettica stanza bianca, totalmente vuota fatta eccezione per un tavolo ed una sedia, entrambi bianchi ed appoggiati al muro proprio di fronte a lui. Le persiane della finestra alla sua sinistra lasciavano filtrare il sole, ma ciò non bastava perché riuscisse ad intuire che ore fossero.
Di un orologio, neanche l’ombra.
Continuò a guardarsi intorno.
Bianco, bianco e ancora bianco.
Bianco il letto su cui era sdraiato, bianche le lenzuola che lo coprivano, bianco il comodino vuoto alla sua destra, bianca persino la flebo attaccata al suo braccio.
Ormai la sua vista era tornata chiara e lucida, perciò non era uno scherzo dei suoi occhi. Era davvero tutto così bianco.
Era quasi accecante.
Oltretutto, il bianco era un colore che aveva sempre odiato. Semplicemente perché, a suo parere, non era un colore. Piuttosto, un’assenza di esso.
Improvvisamente, la porta, bianca a sua volta, si aprì. Vide entrare una figura avvolta da un camice bianco, con indosso un paio di scarpe bianche ed occhiali da vista con la montatura bianca.
Avevano proprio una fissa per quello stupido colore!
L’unica cosa che spiccava, in mezzo a tutto quel biancume, erano i capelli del Medimago.
Lunghi boccoli color cioccolato.
Fin troppo familiari perché Draco non se ne ricordasse.
Inarcò le sopracciglia, ancora una volta sorpreso dall’ennesimo scherzo della sorte.
< Di bene in meglio...> mormorò debolmente. Si accorse di non avere ancora le forze per parlare ad un tono di voce più forte e sostenuto, anche se indubbiamente si sentiva molto meglio rispetto alla notte precedente.
Tuttavia, la moretta colse il sussurro.
Si avvicinò al letto con gli occhi fissi sulla sua cartelletta e lo sguardo imperturbabile dietro le lenti, eppure non riuscì ad impedire alle sue labbra di piegarsi in una smorfia.
Malfoy rise tra sé e sé. Era sempre la stessa.
< Vederti è un dispiacere anche per me, Granger!> le disse, mentre lei raggiungeva il suo fianco.
Hermione parve non prestargli attenzione, e si concentrò piuttosto sulla flebo. Picchiettò sul filo per controllare che il liquido scendesse nella giusta dose, dopodiché estrasse la bacchetta dalla tasca e la fece passare sopra il corpo del biondino, in modo da controllare il suo stato di salute.
< Direi che è tutto apposto...> sentenziò infine.
Draco esibì una smorfia di disappunto.
< Certo, come no! Sono in formissima! Attenta perché potrei saltare in piedi e mettermi a correre da un momento all’altro!> esclamò sarcastico.
La ragazza inspirò ed espirò profondamente, trattenendo l’istinto di mandarlo al Diavolo.
< Intendevo dire che la situazione è migliore rispetto all’ultima volta che l’ho visitata. I segni vitali sono regolari, le ferite si stanno rimarginando, sta recuperando le forze ed indubbiamente non è più in pericolo di vita!>
< Non lo sono mai stato...> borbottò lui, risentito.
< Non direi, visto le condizioni in cui l’hanno portata qui ieri sera!>
Il biondino alzò lo sguardo, fissandola.
< Esattamente, dove sarebbe “qui”?!>
Hermione si sistemò gli occhiali sul naso col dito indice.
< Questa è un’informazione che non sono tenuta a rivelarle.> rispose meccanicamente.
< Non intendo dire questo posto, so che è la vostra base segreta o qualcosa del genere e non puoi dirmi dov’è, per chi mi hai preso stupida Mezzosangue?! Mi stavo riferendo a questa odiosa stanza bianca!>
Gli occhi della ragazza si ridussero ad una fessura, non appena si sentì apostrofare con quell’epiteto.
Le sembrava quasi di essere tornata ai tempi di Hogwarts.
Si stava pentendo di averlo curato. Del resto, se n’era pentita fin da subito.
Lo sguardo della moretta non fece altro che divertire il ragazzo, che si lasciò andare in un ghigno canzonatorio.
< E poi cos’è tutta questa formalità? Mi dai addirittura del Lei?> la schernì.
< E’ una procedura standard.> rispose Hermione col suo solito tono meccanico.
< A fanculo la procedura standard. Ci conosciamo da quanto Granger, dodici anni? Dammi del tu allora! Anche perché se ti aspetti che io ti dia del lei, puoi stare fresca!>
L’ex-Grifondoro sospirò.
< Come preferisci... ora, se non ti dispiace, avrei dell’altro da fare.> fece, dandogli le spalle per andarsene.
< Si!> esclamò lui.
La ragazza si voltò nuovamente a fissarlo, perplessa.
< Si cosa?>
< Si mi dispiace! Ti ho fatto una domanda, gradirei una risposta!>
La moretta alzò gli occhi al cielo, emettendo un gemito di esasperazione.
< Quanto mi sei mancato, Malfoy...> si lamentò, sarcasticamente.
< Rispondi!> le intimò lui perentorio, incrociando le braccia al petto.
Lei sospirò, appoggiando la mano libera dalla cartelletta sul fianco ed assumendo la sua classica posa da maestrina.
Una cosa che non aveva perso con gli anni, osservò il ragazzo.
< Ok, che ti trovi nella base segreta dell’Ordine l’hai già capito da solo, e chiaramente è inutile che tu chieda dove si trovi di preciso perché nessuno di noi può e vuole dirtelo. Ad ogni modo, ieri sera versavi in condizioni piuttosto preoccupanti, quindi Ron ti ha portato da me in infermeria, dove ti ho prestato le prime cure, e poi ti ho portato qui per la degenza. Questa stanza è più isolata rispetto alle altre del reparto ed è stata creata apposta per prigionieri come te...>
< Ex-Serpeverdi terribilmente affascinanti?!> ironizzò lui, ridacchiando.
< Piantala, sai benissimo a cosa mi riferisco.> sentenziò lei, grave < Questa stanza è immune alla Magia Nera. Qui non potrai lanciare nessun incantesimo pericoloso o fattura, non potrai cercare di ferire o uccidere nessuno, né di liberarti o scappare. Non potrai Smaterializzarti e nessuno potrà Materializzarsi qui, quindi non sperare in un intervento dei tuoi amichetti Mangiamorte. >
< Insomma sono in gabbia...>
< Esattamente. Abbiamo reputato questo il luogo più sicuro in cui trattenerti durante la guarigione ed anche dopo. Le prigioni vere e proprie sono fin troppo banali per uno come te, correremmo il rischio che in un paio di giorni trovassi il modo e la maniera di evadere. Da qui invece non c’è via di scampo.>
Draco si rabbuiò.
< Evviva evviva.> mormorò mestamente.
C’aveva visto giusto la sera prima.
Era dannatamente fottuto.
Sapeva quello che avrebbero cercato di ottenere da lui e che avrebbero utilizzato ogni mezzo a loro disposizione. E, quel che era peggio, sapeva che una volta che non gli fosse più servito, se ne sarebbero liberati.
Ma non uccidendolo. Oh no, l’avrebbero tenuto in vita eccome!
In compenso, l’avrebbero spedito ad Azkaban come i suoi genitori, dove sarebbe impazzito, marcito e infine morto di stenti.
Aveva visto cosa succedeva a chi veniva rinchiuso lì dentro. Diventavano come delle bambole rotte. Vuoti, pazzi, sporchi, magri fino all’osso. Inutili.
Gente che prima moriva dentro, come persona, e dopo deperiva fuori, come essere umano.
La morte immediata era decisamente un trattamento migliore.
Da quel punto di vista forse Voldemort si dimostrava molto più umano dell’Ordine.
< Inoltre, > proseguì la Granger, distogliendo il Mangiamorte dai suoi pensieri < io sarò l’unica persona che vedrai per tutto questo periodo, salvo qualche eventuale “visita” di Harry e Ron per interrogarti.> Il ragazzo alzò lo sguardo, perplesso, incontrando quello della moretta.
< E perché questa punizione?>
Le labbra di Hermione si contrassero.
< Perché io sono il primario dell’infermeria e quindi oltre ad i casi più gravi mi spettano anche le rogne ed i pezzi grossi. Per il resto, nessun altro è autorizzato ad entrare qui dentro o a venire in contatto con te, quindi per quanto la mia presenza possa risultarti sgradevole, e ti assicuro Malfoy che per me la situazione non è tanto migliore, converrà che ti ci abitui!>
Il ragazzo rimase in silenzio ad osservarla durante il suo accalorato intervento.
Notò come fosse diversa eppure al tempo stesso uguale a quella che ricordava ai tempi di Hogwarts.
Era più donna, più autoritaria, più adulta, più matura. Persino più carina.
No, carina no, una come lei non poteva essere definita a quel modo.
Semplicemente non era più così ripugnante come cinque anni prima.
Eppure, sotto sotto, era sempre la stessa.
Era sempre la Signorina So-tutto-io, quella dall’atteggiamento fiero e superiore, piena d’importanza, seriosa. Quella che si indispettiva ogni volta che si sentiva chiamare “Mezzosangue”, impaziente, per nulla diplomatica e fin troppo trasparente, al punto che le si leggeva in faccia tutto ciò che provava.
Anche in quel caso, gli bastava guardarla per capire che avrebbe desiderato essere da qualunque altra parte piuttosto che lì, e che non vedeva l’ora di andarsene.
Lo leggeva dal suo sguardo spazientito, dal suo piede che tamburellava sul pavimento di marmo, dalle sue labbra corrucciate, dalle sopracciglia piegate verso il basso, dal tic nervoso con cui picchiettava la cartelletta contro la propria coscia destra.
Eppure...
C’era qualcosa.
Qualcosa che non aveva mai visto in lei. O forse non aveva mai notato.
Qualcosa che non c’entrava niente con gli altri motivi per cui sembrava diversa.
Qualcosa che non riusciva ad evitare di guardare.
I suoi occhi.
C’era un che di magnetico in quei due occhi color nocciola. Una luce che non aveva mai visto, non solo in lei, ma in nessun altro.
Sembravano due fari, talmente brillavano. O forse, molto più probabilmente, era solo una sua impressione. Nessuno ha degli occhi così lucenti.
Eppure, a lui sembravano quasi accecanti.
Risplendevano come un fuoco, come una luce potentissima, come un lampo in un cielo scuro, come il sole in una giornata senza nuvole.
Non sapeva dire se fosse a causa di quel discorso concitato, che le aveva leggermente imporporato anche il resto del viso, ma quegli occhi erano la cosa più splendente che avesse mai visto in vita sua, ne era certo.
La lasciò parlare, poi, continuando a fissarla, piegò le labbra in un mezzo sorrisetto.
< Ci proverò...> disse semplicemente in risposta.
I suoi occhi erano ancora fissi in quelli di Hermione. La ragazza aveva sostenuto il suo sguardo per un bel po’, ma ora cominciava a sentirsi profondamente in imbarazzo per quel prolungato contatto visivo.
Fissare così intensamente le persone l’aveva sempre messa a disagio, ma Malfoy era sempre stato il peggiore in questo senso, fin dai tempi della scuola.
Forse perché, tutto sommato, quei suoi occhi dall’indefinibile color grigio-azzurro erano l’unica cosa di lui che le fosse mai piaciuta. Anche se si rifiutava di ammetterlo persino a sé stessa.
Sbatté le palpebre, spostando il proprio sguardo in direzione della finestra.
< Ho soddisfatto tutte le tue curiosità, mi pare, quindi posso anche andarmene adesso.>
Gli diede nuovamente le spalle, dirigendosi a passo sostenuto verso la porta.
Malfoy sogghignò tra sé e sé; era certo che, fissandola a quel modo, l’aveva messa in difficoltà, ed anche se non era nei suoi piani, non poteva negare che la cosa gli procurasse un certo piacere.
La moretta stava quasi per aprire la porta della stanza, quando si sentì richiamare.
< Granger.>
Sospirando, voltò la testa quel tanto che bastava per guardarlo.
< Che c’è ancora?>
< Cosa sono io, una rogna o un pezzo grosso?> domandò sfacciatamente.
Hermione colse il riferimento alla sua frase di qualche istante prima.
< Sfortunatamente, entrambi.> sentenziò aspramente, per poi lasciare la stanza.
Il ragazzo ridacchiò sotto i baffi, scrollando la testa.
Tutto sommato, non era poi così spiacevole: era la seconda volta in quasi due giorni che i suoi vecchi ed odiatissimi compagni di scuola lo definivano, loro malgrado, un pezzo grosso.
Dopotutto lo era. Eccome.
Anche se era ben consapevole delle scocciature che ciò gli avrebbe comportato in quella situazione di prigionia.
Inclinò leggermente la testa, osservando il sole che filtrava dalle persiane della finestra. Ogni traccia di divertimento e sbruffoneria era scomparsa dal suo volto, lasciando spazio ad uno sguardo stanco e pensieroso.
Tornò a rivolgere una rapida occhiata alla stanza, poi di nuovo al raggio di sole e poi ancora alla stanza.
Si stupì non poco di sé stesso, scoprendosi ad ammettere che da quando la Granger se n’era andata, la stanza gli sembrava un po’ più buia di prima.

   
 
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