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Autore: EmilyFemmeFatale    17/03/2010    2 recensioni
Perché è davvero molto difficile non pensare a niente quando si è costretti dentro ad uno sgabuzzino delle scope insieme all’ultima persona che vorresti vedere al mondo. E’ molto difficile. [Song-Fiction]
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Sad boy you stare up at the sky (when no one’s looking back at you).
Autore:
Emily ff
Rating:
Giallo (tendente al verde, ma è meglio abbondare).
Genere:
Fluff (sì, alla fine è fluff), comico.
Avvisi:
One Shot, Shoujo ai (massì, buttiamo tutto).
Introduzione:
Perché è davvero molto difficile non pensare a niente quando si è costretti dentro ad uno sgabuzzino delle scope insieme all’ultima persona che vorresti vedere al mondo. E’ molto difficile.
Note dell'autore:
Boh, non so nemmeno da cosa sia venuta fuori questa storia. Da molte cose probabilmente, l’ho riscritta all’incirca sei volte (e non sono del tutto sicura del risultato).

La canzone è “Love, save the Empty” di Erin McCarley. 

Scritta per una sfida giudicata da Mirai, che ringrazio cordialmente. Banner from my sweet Lau:

Sad boy... you stare up at the sky

(when no one’s looking back at you)

 

 

“E adesso vi schiarite le idee!”, avevano urlato, dando quattro giri di chiave alla serratura.

 

Little girls don't know how to be sweet girls.
Mama didn't teach me.

 

Erano passati venti minuti da quando, in preda a qualche idea malsana, i quattro amici dei due ragazzi li avevano rinchiusi in quello sgabuzzino delle scope.

Lui, Mike, era seduto per terra, le mani sulle ginocchia e lo sguardo leggermente addormentato: aveva passato la notte a studiare biologia in vista dell’esame della mattina, non riusciva nemmeno a stare in piedi.

Lei, Maelle, sembrava tutt’altro che stanca e prendeva a calci e pugni la porta della stanza, urlando ai suoi amici (chiaramente assenti) di aprirle quella dannata porta del cazzo, come se l’aggiunta di un imprecazione li potesse convincere.

E mentre Mike cercava di dormire, Maelle urlava.

“Maelle, non puoi farci niente, ci hanno chiuso dentro.”

“Questo lo dici tu, tu che non mi aiuti, che dovresti prendere a calci questa porta. E invece te ne stai seduto lì a non fare niente! Maledizione, aprite!”

Mike osservava la figura gracile della ragazza scagliare tutte le sue forze contro il legno della porta, senza scalfirlo nemmeno.  Chissà quanto ci avrebbe impiegato a capire che nemmeno se avesse letto la bibba in aramaico antico le avrebbero aperto la porta, non i suoi amici, quelli che gli avevano voltato le spalle immediatamente.

Eppure era stato chiaro: niente più Maelle, abbiamo adottato una politica di indifferenza reciproca, non abbiamo più piacere nel vederci.

Perché dovevano sempre fare esattamente l’opposto di quello che diceva?

Si massaggiò le tempie con le dita, cercando di ignorare la ragazza davanti a sé che non la smetteva di gridare.


Little boys don't know how to treat little girls.
Daddy didn't show me.

 

Maelle si accasciò a terra, cominciando a piagnucolare. Mike sospirò e le mise una mano sulla spalla.

“Non è niente di grave, tra qualche ora ci verranno ad aprire e tu potrai insultarli.”, disse serio, mentre cominciava ad accarezzarle la schiena. Tremava da quanto era arrabbiata, mentre il ragazzo cercava di mettere da parte i dissapori e a prenderla con filosofia: non gli stava urlando di tutto perché l’aveva toccata.

Maelle non smetteva di singhiozzare, così Mike la prese di peso e la fece sedere vicino a lui, stringendola a sé.

“Per caso sei claustrofobica?”

Lei fece segno di sì con la testa, per poi continuare a piangere impregnando la maglia del ragazzo di lacrime e saliva. Lui cercava mentalmente qualcosa con cui distrarsi (urlare contro una ragazza che già piangeva per conto suo non era il massimo), mentre Maelle provava a darsi un contegno dietro quei singhiozzi.

“L-li p-p-puoi chiamare? S-sto m-male...”

“Li avrei già chiamati se avessi avuto il cellulare con me. L’ho lasciato nella tasca dell’altra giacca.”

Lei ricominciò a piangere, schiacciandosi contro il petto del ragazzo.

Stava soffrendo terribilmente, lui che era abituato a vederla sempre con il sorriso in bocca e l’ultima parola su tutto gli sembrava strano conoscere una sua parte così debole e incontrollabile.

Sospirò stringendo l’abbraccio, per poi cullarla piano piano cercando di calmarla.

Aspettò in silenzio per qualche minuto che il respiro della ragazza si regolarizzasse, per poi allontanarla un po’ e pulirle il viso con un fazzoletto di stoffa.

Lei, inorridita, lo respinse.

“Cosa c’è?”, chiese lui alzando un sopracciglio.

“N-non mi pulisci con il fazzoletto della nonna, no no. C-chissà quante volte ti ci sarai soffiato il naso.”

“Sai, mi piacevi di più quando piangevi disperata.”

Mike ripose il fazzoletto in tasca e si stirò le braccia, per poi lasciarsi andare in uno sbadiglio liberatorio. Volevano che lui stesse lì? Bene. Nessuno gli aveva detto che dormire era vietato.

Chiuse gli occhi e si mise la sciarpa sul volto, appoggiando la testa contro il muro.

“N-non vorrai dormire, s-spero.”

Mike sbuffò e guardò Maelle, che stava ricominciando a tremare.

Ma poi, perché parlare? Di cosa dobbiamo parlare io e Maelle?, pensava il ragazzo, guardandola tormentarsi i capelli con entrambe le mani.

In realtà la risposta a quelle domande la conosceva molto bene.



Face down, on top of your bed.
Oh why did I give it up to you?

 

“No, non voglio dormire, voglio soltanto riposare gli occhi.”

“Non è vero, tu vuoi dormire.”

“Sono molto stanco, questa notte non ho dormito per colpa dell’esame di stamattina.”

“Quale esame?”

“Un esame di biologia.”

“Ah... anche io avevo un esame stamattina, ma ho studiato giusto ieri sera e sono andata a dormire tranquilla.”

“…bella la vita, vero?”


Is this how I shoot myself up high,
Just high enough to get through?

 

Maelle stava tormentando una ciocca di capelli bionda, pettinandola con le sue dita affusolate e le unghie lunghe e ben curate.

Chissà dove troverà il tempo di lavorarci, pensò Mike, per poi girarsi e chiudere gli occhi.

“Mi avevano detto di prendere la scopa per poter dare una pulita in camera.”, disse la ragazza, cercando di spiegare il perché era lì.

Quando Mike, che era stato rinchiuso a forza dai suoi amici, aveva sentito la porta aprirsi non riusciva a credere che a salvarla fosse proprio Maelle, la ragazza che da qualche settimana cercava in tutti i modi di evitare. E lei sembrava davvero troppo tranquilla.

“Quindi sei entrata senza sapere niente? Non sapevi che ero qua?”

“No, avevo visto Jack”, vedi sotto testa-di-cazzo-se-ti-becco-ti-ammazzo... rima non voluta, “ridacchiare ma non pensavo che ti avessero fatto uno scherzo.”

“Ci abbiano fatto.”, la corresse, sospirando.

Si guardarono negli occhi per qualche istante. Quelli grigi di Maelle si riflettevano nell’azzurro di Mike, mentre lei continuava a toccarsi i capelli, arricciandoli con le dita.

Era tanto tempo che non le guardava gli occhi, eppure una volta li osservava spesso, cercando di entrare dentro la sua anima e a capire quello che pensava.

Parlare con Maelle era sempre stato un problema, non capiva proprio come avrebbe fatto a risanare i rapporti con lei dentro ad uno sgabuzzino pieno di detersivi e scope. Non era riuscito a capire niente in tre mesi, figurarsi in qualche ora.

La ragazza sospirò e si rannicchiò su sé stessa, appoggiando la testa sulle gambe. I capelli dorati le cadevano disordinati sulle spalle e sulla schiena, straordinariamente lisci e lucenti.

Mike si portò una mano alla testa, scompigliando i suoi ricci neri che non sapeva come far stare al loro posto.

“Dovremmo parlare, vero?”

Il ragazzo le mise una mano sulla spalla e sospirò: “No, potremmo anche fare sesso in realt-”

“Sei un idiota!” disse Maelle, alzando la testa e muovendosi, per districarsi dalla presa del ragazzo.

“Stai tranquilla, non ti metto le mani addosso.”, disse lui, ridendo e portandosi le mani al volto, massaggiandosi le tempie.

“Io sono tranquilla, tu sei un idiota. Non pensi mai a niente.”

Il ragazzo sospirò. In effetti potevo risparmiarmela.


Again, the false affection.
Again, we break down inside.

 

Rimasero in silenzio, attoniti, a fissare la porta di legno sperando di sentire il rumore della chiave nella serratura per poi vedere entrare la luce del corridoio.

Chissà se era passato tanto tempo, dentro ad uno sgabuzzino umido e pieno di scope era difficile avere un’idea dei minuti che passano. E Maelle ancora tremava, cercando di non pensare al fatto che era chiusa a chiave in una stanza.

“Hai paura?”

“Veramente ho freddo.”

Mike la guardò per qualche secondo e poi scoppiò a ridere.

“Che problema c’è?”

“No... no, scusa… ma…”, non riusciva nemmeno a formulare una frase da quanto rideva.

“Piantala!”

“Come fai ad avere freddo? Stamattina c’erano quindici gradi!”, che facevano la loro calda differenza in un febbraio di una triste città canadese.

“E allora? Qui è umido e tremo, per cui ho freddo.”

Mike si calmò e prese un bel respiro, per poi togliersi la giacca e metterla sulle spalle della ragazza.

“Va meglio ora?”

Lei, ancora imbronciata, si girò borbottando un “grazie”, seguito da un “e comunque tu porti la sciarpa, quindi tanto caldo non hai”, che Mike scelse semplicemente di ignorare, traducendoli in “gné gné gné”.

Il ragazzo allentò la cravatta, per poi sbottonare i primi tre bottoni della camicia bianca.

La guardò ancora e si accorse che non aveva smesso di tremare, ma decise di non infierire oltre: in un’altra occasione probabilmente l’avrebbe derisa, ma vedendola indifesa non ci trovava nemmeno più gusto.

Pensava a quando, qualche mese prima, parlavano spesso del più e del meno e di come, dopo quel brutto fatto, si erano ritrovati a farsi guerra per le strade del campus.

Arricciò il naso e sospirò; Maelle sempre immobile vicino a se.

 

Love save the empty.
Love save the empty, and save me.

 

Si ricordava di quando l’aveva conosciuta, a novembre dell’anno prima.

Lui, che si era da poco entrato in facoltà, non conosceva nessuno al di fuori dei suoi compagni della camerata, sei in tutto. L’avevano portato a forza in un pub nella città vicino, costringendolo a parlare con i tanti “amici di amici di amici” che si trovavano dentro al locale. In realtà a lui non interessava niente nell’avere una vita sociale, preferiva di gran lunga i libri alle persone.

Sedendosi al bancone, solo dopo qualche confusa spiegazione di come “non amasse parlare” ad una ragazza che aveva provato a iniziare un discorso, guardò con aria perplessa i ripiani degli alcolici. Lui, che non si era mai ubriacato in vita sua, non aveva la più pallida idea di quale cocktail fosse il migliore.

Intento a leggere le etichette delle bottiglie, sebbene portasse gli occhiali perché miope, gli si avvicinò il barista sorridendo.

“Che ti porto, ragazzo?”

“Emh... non s-”

“Joe, un Gin Fizz per favore, ho bisogno di alcol!”, disse una voce vicino a Mike, che lo fece sobbalzare.

“Aspetta il tuo torno Maelle.”, disse lui sorridendo alla ragazza per poi voltarsi verso a Mike.

“Quello che ha preso lei.”, disse impacciato, per poi girarsi e guardare i suoi amici che scherzavano con un gruppo di ragazzine. Non lo avevano preparato a questo genere di cose e ora stavano pacificamente trascorrendo del tempo senza di lui.

“Sei uno studente?”, chiese la voce di prima, facendolo sobbalzare nuovamente.

Mike si voltò a guardare in volto la ragazza seduta accanto a lui, incrociando i suoi occhi grigi coperti da un sottile velo di trucco.

“Sì, frequento medicina da poco tempo.”

“Mamma mia, devi avere uno stomaco di ferro per studiare... quelle cose.”, disse lei, sorridendo.

“Per ora studio solo teoria.”, rispose lui, imitandola. Una ragazza semplice, un po’ piccolina per la media canadese, capelli biondi e lunghi raccolti in una coda alta.

Niente a che vedere con i suoi centottantacinque centimetri d’altezza, i suoi disordinatissimi capelli neri e i suoi occhi azzurri segnati da profonde occhiaie.

“Chissà che palle...”

Mike sospirò, per poi chiederle, con un sopracciglio alzato: “E tu invece? Sei una studentessa?”

“Sì, frequento giurisprudenza.”

“Ah beh, e ti lamenti di medicina?”

“Non mi lamento, faccio delle constatazioni... e poi legge è bella, che ti credi.”

“Se lo dici tu.”

“Ecco a voi ragazzi.”, disse il barista, porgendo due bicchieri alti completi di fetta di limone e ciliegia.

Mike osservò il Gin Fizz per qualche istante, chiedendosi che sapore poteva avere una bibita di quel colore.

“E allora...”, disse Maelle, sorseggiando il cocktail, “…come mai un aspirante medico, completo di occhiali e capelli disordinati, si ritrova alle sei del pomeriggio in un pub, da solo, e si distrugge le cellule celebrali?”


Sad boy, you stare up at the sky
When no one's looking back at you.

 

“Ho un po’ sete.”

“Aspetta.”

Rovistò nella borsa e tirò fuori un succo di frutta, che le porse gentilmente.

Lei chiuse gli occhi e staccò la cannuccia dalla confezione. “Ti porti i succhi di frutta e i fazzoletti di Nonna Papera, ma ti dimentichi il cellulare nelle tasche delle giacche?”

“Anche tu ne sei sprovvista, a quanto pare. Ora piantala, almeno non morirai di sete, no?”

Maelle lo guardò per qualche secondo e poi sorrise.

Mike, sbalordito, aprì la bocca come per dire qualcosa ma le parole si interruppero in gola. Non aveva più voglia di litigare, né di parlare in realtà. Gli bastava un suo sorriso e la sua vicinanza per non desiderare nient’altro.


You wear your every last disguise;
You're flying, then you fall through.

 

Era passato ancora qualche tempo, ma degli amici non c’era traccia. Forse il loro destino era quello di morire insieme, in un umido sgabuzzino al seminterrato di una vecchia università canadese, accoccolati come se fossero due amici del cuore.

Fissò il muro davanti a se, Mike, e poi sospirò.

“Mi dispiace.”

Aveva voglia di urlare, di sputare tutto quello che si era tenuto dentro per mesi, di dirle che in realtà le era mancata la sua presenza.

Sentì Maelle irrigidirsi vicino a lui, forse l’aveva presa alla sprovvista. Si aspettava un abbraccio o qualcosa del genere, magari anche lei si sarebbe scusata. Bastava uno sguardo d’intesa e si sarebbero riappacificati, Mike lo sapeva. Doveva solo alzare la testa.

Invece si alzò, si guardò in giro e rovistò tra gli scaffali alla ricerca di qualche strano oggetto dimenticato da tutti. Rovistò dentro una scatola e trovò un cacciavite, che impugnò e che conficcò nella serratura della porta.

“Mike, che stai facendo?”, chiese la ragazza, alzandosi.

Lui non rispose e cominciò a muovere il cacciavite in tutti i sensi, cercando di sentire quel “tock” che lo avrebbe salvato dall’affrontare la realtà.

Maelle gli mise una mano sul braccio, ma lui fece finta di non notarlo continuando il suo lavoro.

Non c’era verso di aprire quella dannata porta.

Buttò il cacciavite a terra e cominciò a prenderla a calci, sempre più forte, cercando di non pensare a niente, solo ad uscire e a scappare il più in fretta possibile.

Poi sentì due mani stringerlo in vita e si fermò.

Maelle lo stringeva e sembrava non essere intenzionata a mollarlo per qualsiasi ragione al mondo.

“Non possiamo uscire senza chiave, l’hanno fatta girare quattro volte, è impossibile.”

Lui non disse niente, si limitò a fissare la porta e le impronte lasciate dai suoi scarponi su di essa.

Gli faceva male un piede.

 

Again, the false attention.
Again, you're breaking inside.

 

“Pensavo che fossi mio amico.”

Maelle, occhi grigi e capelli biondi, teneva la testa china e le mani nelle tasche del grande cappotto.

Mike, occhi azzurri, la guardava e cercava il suo sguardo.

“Pensavo che tu, fra tanti, mi avresti capito.”

Cercava di non piangere, lui lo sapeva, la conosceva fin troppo bene.

“Perché? Perché lo hai fatto?”

Non lo sapeva il motivo, aveva agito d’impulso, mosso da troppo alcol nel corpo e da un’insana voglia di svuotare la mente e di non pensare ai suoi problemi. Aveva trovato una ragazza carina e l’aveva portata in camera, non conosceva nemmeno il suo nome, faceva finta di immaginarsi qualcun altro al suo posto.

“Perché proprio lei?”

Lei, Marie, la coinquilina di Maelle.

“Te l’ho detto, ero ubriaco, non volevo andare a letto con lei!”

“Ma ci sei andato!”, urlò la ragazza, guardandolo con disprezzo e cominciando a piangere.

Odiava vederla in difficoltà, soprattutto quando non poteva rincuorarla.

“E lo sapevi, Cristo Santo, lo sapevi che cos’era per me! Solo tu lo sapevi!”

Si era rotto qualcosa, ormai, e nessuno dei due sapeva come rimettere insieme i cocci.


Love save the empty.
Love save the empty, save me.

 

“Ti prego, adesso siediti...”

“No.”

“Ti prego.”

Continuava a parlare tranquilla, come se il mondo si fosse fermato, come se non si trovassero davvero in uno sgabuzzino del scope, da soli, senza preoccupazioni di alcun tipo.

Non riusciva a parlare.

“Adesso calmati e siediti.”

L’aveva lasciato e si era seduta, aspettando che anche lui la imitasse. Dopo qualche istante si girò e la guardò negli occhi.

Il suo viso era disteso, gli occhi aperti, la bocca piegata in un sorriso.

“Mi dispiace.”

“Lo so.”

“Non so perché l’ho fatto, non volevo farlo, davvero.”

“Lo so.”

“Sono imperdonabile.”

Lei non rispose subito, abbassò la testa e fissò il pavimento.

“Forse per un’altra persona lo saresti. Io ho dimenticato.”

Mike non sapeva più cosa fare, i pensieri si contrapponevano e formavano un vortice di emozioni incontrollabile. Era felice, perché lei lo aveva perdonato, era triste, perché in realtà stava ancora soffrendo, era arrabbiato con sé stesso e con il suo modo burbero di fare.

Si sedette vicino a lei e le abbracciò le spalle.

“Sai, in realtà è colpa mia se siamo qui dentro.”, disse lei, sorridendo malinconica.

Mike, confuso, alzò un sopracciglio.

“Colpa tua?”

“Esatto, colpa mia. Stamattina ho comprato questi”, disse prendendo qualcosa dalla tasca dei suoi pantaloni, porgendola al ragazzo, “ma non volevo darteli. Le mie amiche li hanno visti e hanno cominciato a parlarmi di te, del fatto che dovevo regalarteli, che oggi è San Valentino, cavolate simili.”

Mike prese la scatolina in mano e la guardò attentamente. Un piccolo cuore rosso adornato da un fiocco scuro e da un bigliettino, che lui aprì speranzoso.

“Mi spiace, non sapevo cosa scriverci.”

“No, no, non importa... non ho mai ricevuto dei cioccolatini in vita mia.”

“Non farti strane idee, in realtà li ho comprati perché erano carini da vedere. Ho scelto anche i gusti, sai? Ti sorprenderanno.”

Mike sorrise un po’ impaurito dall’ultima affermazione.

“E’ vero, oggi è San Valentino.”

“Che festa stupida.”


Love save the empty.
Love save the empty.

 

“Hai distrutto il mio cuore.”

Lacrime scendevano lente sulle guance della ragazza, rigandole.

Stars feel like knives,
They tell us why we're fighting.

 

“Sono i ragazzi che regalano i cioccolatini alle ragazze.”, osservò Mike, sorridendo.

Maelle sbuffò e mise una mano sulla scatolina, cercando di riprendersela.

“Scherzavo, scherzavo!”

“Potevo regalarla a Michelle, tra ragazze non c’è questo problema no?”

Mike sorrise ancora di più, se possibile.

Era davvero strano come tutto fosse maledettamente sbagliato.

A lei piacevano le ragazze. A lui piaceva lei.

Maelle si pettinò i capelli con una mano, per poi assumere un espressione arrabbiata.

“Sei bellissima quando fai finta di predertela.”

La ragazza arrossì e si nascose il viso tra le mani, dandogli un calcio al ginocchio.

“Davvero!”

“Ti prego, non sono abituata a questo tipo di cose.”, disse ridendo.


Storm, wait outside.
Oh, love, hold us together.

“Ehi! Sono passate due ore piccioncini, che ne dite se apriamo?”

La voce di Jack rimbombò da dietro la porta, facendo sobbalzare i due ragazzi.

I due si guardarono per qualche secondo e non poterono fare a meno di sorridere.

“Avete chiaritoooo?”

“Sì, idiota, adesso apri!”, gridò Mike, alzandosi in fretta tenendo per mano Maelle.

“Non vi abbiamo sentito!”, dissero delle ragazze, probabilmente le amiche di lei.

I due ragazzi risero e urlarono all’unisono: “Aprite!”

Sentirono la chiave entrare nella serratura e il cuore farsi un po’ più leggero. Maelle aveva ancora addosso la giacca di Mike. Ma non importava. Mike teneva ben stretto a sé un cuore rosa infiocchettato e profumato. Ma non importava.


Love, save the empty.
Love, save the empty.

 

“Lo sapevi che ti amo?”

“Me l’ero data già da un po’.”


Love, save the empty.
Love, save the empty, and save me.
And save me.
 

   
 
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