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Autore: Fiamma Drakon    18/03/2010    4 recensioni
Dinanzi a lei stava una donna alta e snella, con i capelli neri lunghi e mossi, un ciuffo che cadeva trasversalmente a coprirle l’occhio destro, lasciando ben vedere l’altro, di un intenso nero pece, sul quale era lievemente calata la palpebra, tinta di un viola intenso, in un’espressione che la faceva molto sexy.
Le labbra erano piene e colorate della medesima tonalità di viola dell’ombretto.
Tuttavia, la particolarità che aveva attirato maggiormente la sua attenzione era il tatuaggio sul suo zigomo sinistro: una farfalla nera in volo vista di lato, dietro la quale era tatuata una piccola scia di pallini viola, simili a polvere, tra i quali vi erano anche tre piccole stelle del medesimo colore.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Riza Hawkeye, Roy Mustang
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1_Notizie... shock! Si girava e rigirava in mano quella dannatissima penna, osservandola con annoiato interesse, come se quella fosse l’unica cosa degna di nota in tutta la stanza.
O come se le scartoffie che ingombravano la sua scrivania non fossero in numero abbastanza elevato da poter quantomeno lontanamente o fortuitamente attirare la sua attenzione.
Il fievole rumore che produceva quel movimento, per quanto fosse appena distinguibile sopra il rumore di altre penne intente a scrivere, le dava fastidio.
Forse non era il rumore in sé a disturbarla, quanto piuttosto l’atteggiamento di colui che lo generava: beatamente appoggiato contro lo schienale della poltroncina girevole, una mano a sorreggergli pigramente il capo, mentre l’altra era impegnata a far roteare per l’ennesima volta la penna, l’espressione annoiata e stanca.
Non era una novità che fosse uno scansafatiche, ma lei, che si applicava con tanto fervore per guadagnarsi lo stipendio e alla quale era stato assegnato l’indegno compito di fargli da spalla, non riusciva a far finta di niente.
- Ehm, ehm... - mormorò, fingendo un attacco di tosse a voce abbastanza alta perché fosse percepita dal suo obiettivo, il quale portò prontamente gli occhi su di lei, mutando l’espressione in una appena più accigliata.
- Signor colonnello, dovrebbe finire di compilare e firmare quei documenti... invece di stare a guardare la sua penna - lo ammonì in tono rigido, senza alzare gli occhi da ciò che stava facendo.
Si concesse una sbirciata trasversale subito dopo, per controllare che effetto avesse sortito il suo avvertimento nel suo superiore: aveva abbassato gli occhi sul foglio dinanzi a sé e aveva smesso di far girare la penna.
Buon segno.
L’attimo dopo, senza aprir bocca, si era già rimesso al lavoro.
Segnale ancora migliore: odiava doverlo riprendere più volte.
Una le era più che sufficiente.
Riprese a sua volta a lavorare.
Intanto, nella mente davvero poco originale del colonnello Mustang, staziavano pensieri che non erano affatto difficili da immaginare, per chi conosceva il tipo: la sua corrente preoccupazione, quel giorno, era l’appuntamento che avrebbe avuto quella sera con una delle sue molteplici spasimanti, l’attuale ultima di una serie oltremodo lunga.
Programmava di andare a comprare un mazzo di fiori per la sua uscita serale, non appena uscito dall’ufficio.
Guardò intensamente il foglio dinanzi a sé, quasi con rabbia: quelle scartoffie gli avevano sempre dato fastidio e attualmente erano l’ultimo e il più insignificante dei suoi pensieri.
Terminò di leggere e appose la sua firma, quindi passò ad un altro.
Era una scocciatura, quella, che purtroppo non poteva affibbiare ad altri.
Nell’ufficio non volava un fiato, il che rendeva tutto così rigoroso da essere, ai suoi occhi, ancor più noioso.
Nel giro di un’ora finì altri tre documenti, quindi passò ad un altro.
Nel silenzio generale che avvolgeva l’ufficio, all’improvviso riecheggiò lo squillo del telefono che stava sulla scrivania del colonnello, facendo sobbalzare tutti gli astanti, primo il moro, il quale si allungò sul piano e sollevò la cornetta con la speranza che fosse qualcuno con cui potersi intrattenere un po’, giusto per rompere quell’asfissiante monotonia.
- Pronto? - esclamò.
- Ciao... Roy -.
Dalla sua postazione, il tenente Hawkeye e non solo lei, ma anche tutti gli altri, notarono il colonnello sgranare gli occhi istantaneamente con fare molto terrorizzato, poi impallidire a poco a poco.
Fu perciò lecito che ciascuno dei suoi sottoposti si domandasse, in cuor suo, chi diamine ci fosse dall’altra parte dell’apparecchio.
La discussione fu di breve durata e neppure una così fervida conversazione: Mustang si limitò a rispondere un “okay” in tono piuttosto ambiguo, tra lo spaventato e il rassegnato, quindi riagganciò e ritornò a lavorare senza guardare nessuno.
Reazione che indicava in modo quasi oscenamente palese che non voleva discutere di quella telefonata.
Ciascuno riprese a lavorare.
Riza, di tanto in tanto, mandava un’occhiata al suo superiore, il quale, adesso, non staccava mai gli occhi dai suoi documenti, quelle stesse scartoffie che fino a un’ora prima non erano state per lui degne neppure di un’occhiata accidentale.
Agli occhi della donna pareva quasi stravolto, sconcertato.
Se ne chiese il motivo: non si era mai comportato in modo tanto anomalo.
Non era il tipo da prendersela così per una semplice chiamata.
Man mano che il tempo passava e si avvicinava l’ora di uscire dall’ufficio, il colonnello si faceva sempre più nervoso e ansioso.
Non lo dimostrava a parole, bensì nei gesti: si torceva le mani più spesso del consueto, ogni tanto lanciava furtive occhiate all’orologio, cambiava sovente posizione sulla poltroncina.
Era palese che ci fosse qualcosa che lo tormentava.
Quando giunse finalmente l’ora di andare, l’ultimo ad uscire fu proprio Mustang, che si strinse quasi convulsamente nel cappotto, come a nascondersi da qualcosa, o forse cercare di placare una nuova ondata di tormento.
Il tenente, che gli camminava dinanzi, si fermò e si volse a fissarlo.
- Signor colonnello, c’è qualcosa che non va? - chiese, inarcando eloquentemente un sopracciglio.
Il moro le rivolse un mezzo sorriso.
- Eh? No, niente - replicò, cercando di parlare in tono pacato, ma non riuscendo a nascondere del tutto una nota di colpevole panico.
- Mi è sembrato nervoso in ufficio... - continuò la bionda, proseguendo lungo il corridoio, tenendo il passo del suo superiore, il quale sembrava avesse fretta di andarsene.
- Niente, non si preoccupi... mi sono solo ricordato di un impegno... -.
Accelerò ancora il passo, salutandola con un veloce cenno della mano, quindi si dileguò oltre l’angolo più vicino.
Quando vi arrivò anche lei, il colonnello era già lontano.
Non gli corse dietro: se non voleva parlarne, non sarebbe certamente stata lei a costringerlo.
Percorse il resto della distanza che la separava dall’uscita da sola e, una volta fuori del Quartier Generale Centrale, si diresse verso il mercato: prima di tornare a casa doveva passare a prendere alcune cose per la cena.

Il tenente Hawkeye stava tornando a casa con il sacchetto della spesa in braccio.
Il pensiero di ciò che aveva tanto inquietato il colonnello era ancora presente nella sua mente, anche se era passato in secondo piano.
Stava passando dinanzi alla Stazione Centrale, diretta verso casa, pensando al da fare non appena fosse arrivata, quando inaspettatamente scorse proprio lui, il colonnello Roy Mustang, le braccia incrociate sul petto, in evidente attesa dinanzi all’ingresso della stazione, anche se pareva stranamente nervoso, proprio come quel pomeriggio.
La donna gli si avvicinò istintivamente, perplessa.
- Colonnello? -.
Il moro parve perplesso di vederla.
- Ah, tenente! -.
All’affilato sguardo di lei non sfuggì un certo disagio colpevole nel modo di stare del suo superiore.
Quest’ultimo fece per parlare di nuovo quando una voce li raggiunse, interrompendolo, facendoli sobbalzare ambedue: - Ciao, Roy! -.
   
 
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