Libri > Sherlock Holmes
Ricorda la storia  |      
Autore: Bellis    27/03/2010    2 recensioni
[Post-Epilogo de L'avventura del ferroviere di Guildford] Harrie Finch narra in prima persona di uno sbalorditivo incontro avvenuto nella primavera del 1894, e di come esso ebbe il potere di scacciare gran parte dei suoi sensi di colpa.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il fascicolo Finch'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Dedicata a tutti coloro che hanno commentato, seguito, gradito o anche solo letto il mio esperimento letterario, L'avventura del ferroviere di Guildford. In particolare a quelli ai quali il giovane Harrie Finch è risultato simpatico.
Un accorato ringraziamento.
Bellis


I Fatti di Faversham

Il dottor Watson dice che me la cavo bene, con carta e penna. Ha anche passato alcuni miei scritti allo Strand Magazine: l'editore mi ha voluto incontrare, e mi ha annunciato che gli articoli che gli ho presentato sono niente male, figliolo, davvero niente male. Perciò, non mi ha sorpreso vedere tra la posta una lettera proveniente da Baker Street. Dico la verità, mi aspettavo si trattasse della commissione di un pezzo di cronaca - la mia specialità - non di una richiesta personale, e su fatti accaduti più di un anno fa - storia antica, insomma.

Con tutta la mia buona volontà, non riuscirei mai ad imitare lo stile di un romanziere come il doc. Di conseguenza, ho pensato di dare anche alla mia narrazione un taglio giornalistico.

Iniziamo dal "dove". Sì, tutti i buoni cronisti imparano a rispondere a domande fondamentali, le sintetizzo in poche parole: chi, cosa, come, dove, quando, perchè... che sono poi quelle che pone sempre anche il signor Holmes ai suoi clienti, e dalle quali puntualmente essi sviano, cambiando discorso, divagando, facendo puntualizzazioni inutili.

Giusto, stavo appunto descrivendo il luogo in cui sono accaduti gli eventi che mi accingo a riportare. Nella primavera del 1894 mi trovavo a Faversham, piccola cittadina non molto distante da Canterbury. Dopo la tragedia occorsa nel 1891, avevo passato parecchi mesi a girovagare nei dintorni di Londra, accettando occasionali impieghi come facchino o manovale. Il dottor Watson, che il Cielo lo protegga, non mi aveva abbandonato, e attraverso Wiggins riusciva a farmi avere di tanto in tanto il recapito di qualcuno che potesse darmi un lavoro oppure qualche saltuaria ma assai benvenuta ghinea. Aveva anche lui ben gravi preoccupazioni. Alla scomparsa del suo più caro amico si aggiunse presto il peso del doloroso lutto per la morte della signora Mary, a causa del quale anche io - non ho paura di affermarlo - versai non poche lacrime.

La mia esistenza da vagabondo, per fortuna, durò poco. In capo ad un anno mi ero trasferito a Faversham, lontano dalla brughiera di Guildford che non poteva che risvegliare in me brutti ricordi. Mi stabilii lì, ma non riuscii a star lontano dalla ferrovia. Mio zio, buonanima, diceva sempre che ho olio dei motori che scorre nelle vene insieme al sangue. E io gli rispondevo sempre, e carbon fossile nella testa. Ma questo non è il punto.

Faversham è una città operosa, ed è luogo di importante commercio tra il Continente e la City. La stazione è grande, adiacente a enormi magazzini. Di lì passa anche l'espresso che porta al traghetto, e non c'è stata volta in questi anni che io l'abbia guardato passare senza pensare al signor Holmes e al viaggio che l'aveva portato in Svizzera.

Andai per la mia strada, feci carriera. Giorno dopo giorno mi impegnai a fondo, ed il fischio del treno mi rammentava chi ero e per quale motivo mi trovavo lì. Da operaio divenni capo del mio turno e poi capo del reparto di scarico nei depositi del secondo complesso. Sì, suona strano. Dà un'aria di importanza, e mi sono abituato in fretta al mio incarico.

Trovai un alloggio ed andai a trovare il dottore e la signora Hudson appena potei. I miei servizi da macchinista mi pagarono un viaggio in treno. Quando lei mi vide con tutto il viso annerito e il vestito sporco, mi scambiò per uno degli Irregolari. Il volto del signor Watson era più scuro di me, metaforicamente parlando, e lui era distrutto, ma si sforzò di sorridere e mi accolse con la solita cortesia.

Iniziai a conoscere Faversham, la città, i suoi abitanti. Mi fidanzai con la giovane Isabel Todd, aiutante della fioraia, nei cui bellissimi occhi neri mi ero perduto. Trascorrevo ormai una vita tranquilla ed industriosa, come ogni buon cittadino Inglese dovrebbe fare. Eppure, non avevo idea della straordinaria sequenza di improvvise novità che mi si prospettava innanzi.

E si trattava proprio di una ridente mattinata di sole, la maggior parte della quale avevo passato vicino ai binari nelle operazioni di carico. Isabel aveva preso l'abitudine di venirmi a trovare qualche volta al lavoro, e, rossa in viso, porgermi un piccolo vaso con due dita d'acqua e non so quali fiori recisi, cosa che trovavo abbastanza inutile, ma che la faceva ridere, con un rumore cristallino di acqua limpida. Quel giorno mi portò anche il Daily Telegraph, per il quale le fui maggiormente grato.

Sul quotidiano spiccavano i titoli che annunciavano la morte dell'onorevole Ronald Adair, brutalmente ucciso proprio nei quartieri residenziali di Londra. Immaginavo come Lestrade e tutte le forze di polizia sentissero la mancanza del celebre detective che più di una volta li aveva tratti d'impiccio risolvendo al posto loro intricati enigmi per la risoluzione dei quali non avrebbero nemmeno saputo da dove partire.

"Hai letto, Harold?" disse lei, seria, "Che storia orribile!"

Ripiegai il fascio di fogli e la guardai dolcemente, "Non pensarci, mia cara. Questi delitti sono lontani da noi, e non dobbiamo interessarcene."

Sospirò e mi rivolse un'occhiata ingenua e preoccupata, "Sono turbata, sai."

Con atteggiamento di suprema gravità, mi affrettai a replicare con la sicurezza dovuta ad un uomo della veneranda età di ventitrè anni, "E per cosa, Isabel? Qualcuno forse ti ha offesa? Dimmelo, e sfiderò a duello chiunque abbia osato, fosse egli il doppio di me o il più nobile Lord d'Inghilterra!"

Un affettuoso tintinnìo di gioiose campanelle ebbe il potere di distendere il mio viso e rasserenarmi, "Oh, Harold. Nessuno mi ha fatto uno sgarbo. Ma un tale dall'aspetto inquietante mi ha seguita fino a casa ieri e fino a qui stamani."

Ora decisamente turbato anch'io, aggrottai le sopracciglia, "Di chi si tratta?"

Si accostò a me e vidi che indicava, nascosta dalla mia persona, un punto oltre le mie spalle. Finsi di sollevare un sacco semivuoto di carbone e sbirciai verso il luogo che ella aveva descritto.

Nell'istante in cui lo vidi, mi sentii mancare.

Due iridi grigie lampeggiavano dall'alto di una figura allampanata, magra, coperta da un pastrano lungo e scuro. Lineamenti affilati, aquilini erano rivolti verso di noi, ma l'uomo desistette subito dalla sua osservazione e s'incamminò speditamente verso la banchina.

Era lui.
No, non poteva essere!
Ma lo era. Era lui.

"Harold, ti senti male!" esclamò affranta la mia fidanzata.

Annaspavo. Mi appoggiai ad un vicino parapetto e rimasi a fissare, allibito, il ben noto individuo che si allontanava. Eppure, la mia mente stentava ad ammettere quella che sapevo essere la verità. Pensavo di essere impazzito.

Avevo subito un tremendo shock; in circostanze normali, non mi avrebbe nemmeno sfiorato la mente l'idea di dare un tal saggio di me alla donna alla quale volevo dimostrare di saper affrontare ogni avversità con forza e padronanza. Ma era un caso particolare, e, sbalordito, rimasi immobile e quasi catalettico, tanto che Isabel dovette togliere il mazzolino di primizie stagionali dal vasetto e scagliare con forza il liquido in esso contenuto verso il mio sembiante, per farmi riprendere.

"N-non... lui..." balbettai, passandomi la manica sulla fronte fradicia, "Lui è... era... morto!"

"Oh caro, certo che non lo è. Pare invece molto vivo, quel curioso individuo."
Pur possedendo molte ottime qualità ed una meravigliosa leggiadrìa, la mia adorata non spiccava certo per la sua intelligenza nè perspicacia, e la sua risatina divertita confermò quell'opinione.

Non persi tempo in chiacchiere o discussioni filosofiche sul concetto di vita e di morte, "Diletta, ti prego, sii paziente ed attendi qui il mio ritorno." le afferrai le mani, la strinsi a me e scappai di corsa intento a raggiungere colui la cui sagoma avrei riconosciuto ovunque.

Era scomparso.
Credetti fosse un fantasma - giacchè non riuscivo a capire dove si fosse cacciato. Non poteva che trattarsi di uno spettro, o di una allucinazione prodotta da chissà quale ripercussione psicologica del mio senso di colpa sulla mia giovane mente. Credetti davvero di sragionare e frugai ogni centimetro della stazione.

Ero sul punto di convincermi della mia stessa follia, quando, passato il casolare ammobiliato di panche che fungeva da cadente sala d'aspetto per i pochi viaggiatori, dita lunghe e sottili afferrarono il mio polso, trascinandomi da un lato.

Opposi la dovuta resistenza, com'era dettato dall'ansia che attanagliava il mio spirito e dai miei trascorsi di ragazzo di strada, ma la vista di quegli acuti occhi chiari e penetranti mi immobilizzò.

"Sono desolato di aver spaventato la signorina Todd. Purtroppo il mio pedinatore mi ha visto entrare in questi edifici ieri sera, e ho temuto che le avrebbe in qualche modo recato danno, indovinando la mia intenzione di conferire con lei, Finch."

"I-Il suo..." rinunciai a comprendere, "Signor Holmes! Per Giove - signor Holmes!"

Mi zittì severamente - anche se potevo scorgere l'ombra di un pallido sorriso in risposta alla mia entusiastica esclamazione - e saettò un rapido sguardo esaustivo alla ferrovia semideserta. Seguì una raffica di frenetiche domande da parte mia ed una serie di monosillabi da parte dell'investigatore, che pareva, come suo solito, restìo a fornire spiegazioni. Non so neppure come feci a trattenermi dallo stringergli la mano, dato che era quello l'istinto dettato dalla mia incontrollata contentezza di giovanotto - forse perchè la sua mancina era ancora chiusa intorno al mio braccio.

Fatto sta che presto Sherlock Holmes mi espose la situazione.

"Signor Finch, temo di aver bisogno del suo aiuto."

"Qualsiasi cosa, signore!" risposi, ancora incredulo ed impaziente di sentire qualche altro particolare, anche solo di sfuggita.

"Devo salire sul primo treno per Londra senza esser visto da occhi indiscreti. Da ciò dipende la mia vita - nonchè la cattura del più pericoloso criminale attualmente in circolazione."

Sgranai gli occhi, ed il viso ascetico del celebre specialista si incupì.

"Ha sentito parlare dell'omicidio recentemente avvenuto nella nostra capitale?"

Annuii, "L'uomo a cui sta dando la caccia è l'assassino di Adair?"

Sollevò le sopracciglia, inclinando il capo. La sua magrezza non mi era sfuggita, così come l'aria di vago disagio che permea il contegno di qualsiasi nativo di un luogo che passi molto tempo lontano da casa, cosicchè anche la sua patria gli sembra terra straniera. "Sì, Finch." fu la sua concisa replica, "E l'uomo che sta... 'dando la caccia'... a me è al servizio dello stesso bieco omicida."

"Cielo." esalai, appoggiandomi al muro della cabina di travi ricoperte di muschio, "Allora siamo proprio nei guai, signor Holmes."

Scrutò la mia persona, e compresi all'istante che non avrei potuto nascondergli nulla.

Sospirai, "Il primo treno passeggeri per Londra parte da qui fra una settimana. E' il Continental Express, ferma tra sei giorni e riparte tra sette."

La sua espressione si indurì, "Capisco."
Il grigio dei suoi occhi era già velato dalla vacuità della profonda meditazione. Cercava di trovare una via d'uscita, un'alternativa.

"Aspetti un po'!" esclamai, colto da una felice ispirazione, "Due treni merci passano di qui oggi diretti all'East End. Uno ferma proprio alla stazione qui dietro ai magazzini!"

Holmes mi appoggiò una mano sulla spalla, "E l'altra vettura?"

Sorrisi, "Beh, passa senza fermarsi e procede verso le colline, lungo il tracciato di..." scorsi un brillìo di decisione e realizzazione in quell'onnisciente quanto sconsiderato intelletto e mi affrettai ad intervenire, "No, no, signore, non... non starà mica pensando... vero?"

"Vede, amico Harrie, per il mio inseguitore sarebbe sin troppo facile seguire le mie tracce, se usufruissi proprio dell'unico treno che ferma in questo paese nell'arco di una intera settimana. Mi dica," fece, implacabile, senza dar ascolto ai miei balbettii preoccupati, "Esiste un punto del percorso in cui il secondo treno sarà costretto a rallentare sufficientemente da consentire ad un energico gentiluomo di salire in corsa sul veicolo?"

Repressi a malapena uno sbuffo, "Sì che c'è. Alla stazione di servizio. Non credo dovrà fermare, ma rallenterà molto per non danneggiare i macchinari, le rotaie sono molto malandate lì. Ma rischierà comunque di rompersi l'osso del collo, mi creda, signore! Se non lo prende al momento giusto, o non sale sul vagone lesto lesto, rischia di scontrarsi con lo scivolo del carbone o col rubinetto dell'acqua o con l'impalcatura per la manutenzione!"

"Non mi è permesso attendere." ribattè, con fermezza.

Tre anni non lo avevano cambiato affatto - oh, non avrebbero mai potuto spegnere la fiamma dell'incessante ricerca della verità che lo aveva animato per tutta la sua vita. Era come uno di quei rocciatori che non avrebbero trovato pace fino a che non fossero riusciti a scalare la vetta più alta. Il problema era tanto essenziale quanto l'aria che respirava, la soluzione era come la luce che i suoi occhi incessantemente cercavano.

La scintilla in quello sguardo era la medesima che rammentavo, la determinazione era simile a quella che - come ben ricordavo - aveva sottratto il dottor Watson e me alla soffocante oscurità di quelle miniere. E non potei che mantenere l'incondizionata fiducia che già avevo nei suoi confronti.

"Allora la accompagnerò."

Battè piano sulla mia schiena mentre, dopo una breve occhiata al mio economico orologio da taschino, gli facevo strada verso la periferia della città.

La prossimità con il Tamigi rendeva la pianura campagnola meno arida di quanto lo fosse la brughiera di Guildford. Gli arbusti erano verdeggianti e l'erba era fresca, rigogliosa. V'era una certa varietà di fauna, volatili migratori ed altre specie che gli uomini di Faversham si riunivano per catturare vicino ai corsi d'acqua. Il signor Holmes, intento nel perseguimento del suo scopo, non sembrava farci molto caso, ma io, esaltato dalla inaspettata lieta notizia, guardavo ogni albero con rinnovato ardore, e ringraziavo il Cielo che mi avesse condotto dove potevo sperare di rendermi utile.

"Sbrighiamoci," suggerii, "Il locomotore passerà di fronte alla stazione di servizio tra meno di dieci minuti, dobbiamo arrivarci in un punto dove il custode non ci veda. Detestano avere clandestini a bordo, i trasporti di quel tipo."

Lui assentì ed accelerò il passo. Procedevamo in silenzio, col pensiero fisso sulla nostra destinazione. Io traboccavo di curiosità e di fervore, ma ricordavo quanto l'indole seria e scrupolosa di Holmes lo portasse ad essere taciturno, quando la sua mente era impegnata nella risoluzione dei mille interrogativi relativi ad un caso, e non domandai oltre.

Fu il rumore cupo di un veicolo in avvicinamento a spronarci ad una corsa leggera. Spuntammo da dietro il promontorio in perfetta sincronia con il lungo treno merci; ma appena fummo in vista della stazione di servizio, il detective mi spinse dietro ad un'altura, in fretta.

"Il custode è fuori dal suo alloggio." sibilò, seccato.

"Accidenti!" borbottai, "Dovremo salire molto prima o molto dopo... ah, non ne avremo mai il tempo, signor Holmes il veicolo prenderà velocità non appena oltre il caseggiato! Bisogna bloccare il locomotore."

Le sue iridi grigie erano dubbiose ed assorte, "In che modo pensa di poter attuare un simile proposito?"

"Faccio parte dell'organico della ferrovia, dirò che si sospetta un guasto sulla vettura e che devo controllare la fucina. Vedrà che mi crederanno.", scrollai le spalle, cercando di nascondere l'agitazione che sentivo crescere dentro di me. Non possiedo particolari abilità di attore - anzi, al contrario tutti mi definiscono una persona spontanea - e la mia finzione avrebbe potuto essere scoperta con facilità anche dal rintronato capotreno e dal vecchio abitante della stazione di servizio.

A Sherlock Holmes non era sfuggita la mia seppur lieve esitazione. Mi trapassò con quello sguardo penetrante che per molto - troppo - tempo avevo temuto di non vedere più nell'intero arco della mia vita.
Infine accennò un sorriso e mi apostrofò col tono rassicurante che - come ben sapevo - utilizzava nei confronti dei clienti nel peggiore stato di ansia.

"Signor Finch, non le chiederò di mentire in modo tanto spudorato al solo scopo di favorire la mia partenza. Troveremo un'altra via."

"No, no!" esclamai, con foga. "Lei è in pericolo qui. Deve partire subito. Non permetterò per una seconda volta che..."

Vidi le sopracciglia sottili aggrottarsi e quasi riunirsi al di sopra del naso aquilino. La mia voce si affievolì; deglutii, ricacciando indietro il flusso costante ed irrefrenabile di memorie che si erano bruscamente manifestate alla mia attenzione.

La veemenza di quell'improvvisa piena di ricordi era a dir poco incredibile. Come potevano quelle immagini e quelle sensazioni essere rimaste - ben sepolte nel profondo del mio cuore - sopìte e dormienti per tre anni?

La mia giovanile immaginazione aveva troppo spesso costruito nei miei sogni orrendi scenari che raffiguravano la morte dell'individuo che ora mi ritrovavo di fronte. Il senso di colpa, per quanto ingiustificato, era rimasto nel mio inconscio, ed ora ritornava in superficie per rammentarmi quanto una sola, unica decisione potesse mutare radicalmente la vita di una persona.

Mi resi conto che mi era stata data una miracolosa, seconda opportunità di comportarmi nel modo giusto, e non l'avrei sprecata. Lì per lì, non meditai a sufficienza sui diversi risvolti della situazione. Sapevo solo che, quella volta, non avrei sbagliato, non avrei tralasciato di sostenere con genuina audacia la mia risoluzione; in quel frangente, non avrei consentito alla mia debolezza di danneggiare nessuno.

Il frastuono sordo e roboante delle ruote del treno in avvicinamento mi destò da quelle superflue riflessioni. Il veicolo stava rallentando quasi a passo d'uomo. Non v'era tempo da perdere.

Scattai in avanti e mi slanciai verso la stazione di servizio, calcandomi sul capo il mio berretto da ferroviere. Prima che potessi uscire allo scoperto, però, il signor Holmes fece un passo avanti, trattenendomi.

"Harold." mi scrutò con un'ombra di serietà nel viso ascetico, "Nulla di ciò che è successo a Reichenbach è stata conseguenza di sue mancanze. Lei non ha offesa da sanare nè errore da riparare, nei miei confronti."

"Il dottor Watson mi ha assicurato la stessa cosa. Eppure, sebbene goda della medesima assenza di responsabilità... non esiterebbe ad aiutarla, in qualsiasi modo. Intendo seguire il suo esempio, signore."

Un rapido fiotto di sorpresa e comprensione colmò le iridi che in quel momento stavano sostenendo il mio sguardo con fierezza e saggezza. Credetti di scorgere un lieve barlume di dolore in quel contegno severo; ma pensai di aver solamente frainteso. Oggi, assistendo con l'occhio critico della memoria a quegli stessi eventi, posso dire che non fosse frutto di semplici fantasticherie.

Annuì, con un breve sorriso. Ci stringemmo la mano, ed io mi precipitai verso la stazione di servizio, gridando al custode che fischiasse il segnale d'arresto al treno. Dopo un attimo di diffidenza, egli considerò con gravità le insegne sulla mia divisa ed obbedì.

Impiegai tutta la mia buona volontà per convincere il conduttore del treno merci a lasciarmi ispezionare le turbine, il che comportò l'attesa che la fucina scendesse sotto la temperatura prossima all'incandescenza alla quale si trovava.
Trattenni la vettura il più a lungo possibile, e quando essa finalmente ripartì, ritornai dalla strada per la quale ero giunto ai binari: l'investigatore aveva lasciato Faversham.

Ebbi molto a cui pensare, in quel giorno.
Raccontai a Isabel una lunga e complessa storia, non tralasciando nulla del mio passato o degli oscuri eventi che mi videro fuggitivo dalla mia città natale. Ebbi da parte sua una prova d'affetto più grande di tutte quelle che m'aveva già fornito, giacchè ella mi accettò per quello che ero e dimostrò smisurata ammirazione per quel che avrei potuto diventare.

I fatti mi parvero così strani, ripensandoci la mattina dopo, che temetti che fosse stato tutto un sogno, che la brillante intelligenza della prima mente d'Inghilterra si fosse veramente spenta per sempre tre anni prima tra le acque turbinose nelle vicinanze di Meiringen.

Poi lessi sul Times la notizia che il colonnello Moran, assassino dell'onorevole Adair, era stato arrestato dagli emissari di Scotland Yard, e quella fu la conferma finale che le straordinarie facoltà logiche e deduttive di Sherlock Holmes erano di nuovo al servizio della giustizia britannica.


Poscritto [redatto nella calligrafia regolare di John H. Watson, MD]
Harold Winston Finch attualmente risiede nel Sud dell'America, dove svolge il lavoro di caporedattore per un diffuso giornale di provincia. Insieme a lui, la moglie Isabel ed i figli, Thomas e Lilian, conducono una vita di felice apprezzamento del Nuovo Mondo.
Maggio 1907



   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Sherlock Holmes / Vai alla pagina dell'autore: Bellis