6.
Furono tre giorni d'inferno. I galeotti evasi si affollavano nell'unico spinale della nave e avevano invaso ogni
locale poiché nella stiva di carico non si riusciva a mantenere una temperatura decente nemmeno col riscaldamento
al massimo. Il comandante mi confessò di avere dei dubbi sull'ultima riparazione fatta proprio alla stiva, rimandando
a un momento più felice la spiegazione completa.
Non so come fu possibile attraversare indenni quei tre giorni terribili. I carcerati in fuga litigavano tra loro in
continuazione facendomi stare male dalla paura: molti erano armati e io ero terrorizzato al pensiero che qualcuno
decidesse di sparare. Occasionalmente mi tormentavano, mi picchiavano e molestavano il comandante che però si sapeva
difendere piuttosto bene. Durante il primo tratto a velocità FTL cercarono subito di abusare di lei e quella rispose
parlando loro nell'unica lingua che erano in grado di capire. Con mia grande sorpresa la ragazza si esibì in una poco
elegante ma piuttosto efficace tecnica di difesa e l'aggressore si dovette ritirare con una spalla slogata. Io fui
costretto a correre a vomitare nel bagno alla vista dell'osso fuori posto e penso non dimenticherò facilmente le urla
di dolore dell'uomo mentre gli rimettevano in sesto l'articolazione semplicemente tirandogli il braccio. Da quel
momento io e il comandante non ci separammo più, dormendo a turni senza abbandonare il ponte di comando se non per
usare il bagno. Solo un paio di volte riuscii ad afferrare una razione per placare i morsi della fame, sfruttando il
sonno degli evasi.
Quando si viaggia nello spazio si immagina di viaggiare da soli. Incontrare un'altra nave è statisticamente
improbabile. Le navi però fanno tutte più o meno le stesse rotte, quindi in fin dei conti non è insolito incontrare
qualcuno. Se capita viaggiando a velocità STL, può succedere che si scambino quattro chiacchiere tramite radio: è
quasi una tradizione, una forma di educazione. Come dire “buongiorno” quando si entra nella sala d'attesa del medico
privato: sono tutti perfetti sconosciuti, ma si saluta lo stesso.
Rimasi impressionato dal vuoto: per tre giorni non era apparso nulla sul radar né sui sensori. Sapevo che era del
tutto normale, ma ero angosciato lo stesso. Sfruttando l'ignoranza di Calvin e dei suoi complici accendevo il radar
e lo lasciavo attivo il più a lungo possibile. Come all'andata il Coyote fece tre tratti a velocità FTL, ma di durata
inferiore. Ciò significava arrivare prima, spremere di più i motori e fare soste più lunghe tra un tratto e l'altro,
poiché i motori e le gondole di emissione necessitavano di maggiore manutenzione. La speranza era che qualcuno notasse
l'emissione energetica del radar, facilmente individuabile, e passasse a salutare. Nessuno di noi due aveva idea di
cosa fare dopo, ma qualsiasi cosa sarebbe stata meglio di rimanere soli, nel vuoto.
Ad aggiungere tormenti ai tormenti ci pensò Calvin. Da un lato si mostrò un po' più rispettoso dal momento in cui il
comandante Miki ebbe slogata la spalla a uno dei suoi complici. Mi sembra giusto dire che impedì agli altri di
mettere in pratica una ritorsione qualsiasi, anche perché io e il comandante eravamo gli unici a saper usare tutti
i sistemi di bordo. Dall'altro non volle rivelare la destinazione finale, limitandosi a dire che saremmo dovuti
entrare nella parte abitata del sistema solare, nei pressi della Luna. Ciò ci lasciava nell'angoscia più assoluta:
non era possibile calcolare con esattezza l'ultimo tratto a velocità FTL e di conseguenza ciò rendeva indeterminato
tutto il tragitto. Era probabile che avremmo dovuto concludere il viaggio con un lungo tratto a velocità STL, stando
in balia di quei criminali senza niente da fare. E senza niente a renderci indispensabili.
Quello che Calvin non sapeva e che noi astronauti ci eravamo del tutto dimenticati era che il Coyote aveva un piano
di volo prestabilito. Poco dopo l'ultimo tratto a velocità FTL terminato piuttosto vicino alla stazione di frontiera
Finis Terrae, punto di passaggio quasi obbligato per le navi dirette fuori dal sistema solare, Controllo ci contattò
per chiederci come mai non stavamo rispettando il piano di volo. Il capo degli evasi si infuriò, ma dovette
arrendersi di fronte ai fatti. Avremmo dovuto comunicare a Cielo Alto, il curioso nome con cui Controllo di
Finis Terrae definiva se stesso, la variazione di rotta. Si trattava poco più di una formalità che non necessitava
nemmeno un contatto diretto via radio. Ma Calvin avrebbe dovuto svelare la sua vera destinazione.
- Prometeo – disse malvolentieri. La cosa lo innervosiva, mi parve evidente dal guizzare dei muscoli della mascella.
Rimasi sorpreso. Avrei scommesso tutto su La Tana, dove un criminale in più o in meno non avrebbe fatto nessuna
differenza. Prometeo, pur essendo divenuta una installazione civile a tutti gli effetti da poche decine di anni,
offriva ai suoi abitanti un tasso di criminalità poco più che fisiologico. La polizia di Prometeo era nota per i
metodi spicci, per il buon numero di agenti e per essere difficilmente corruttibile. Forse Calvin aveva qualche
genere di contatto su quella stazione che poteva sfruttare per entrare clandestinamente. Oppure contava sul fatto
che la stazione non era ancora completamente abitabile e in via di espansione. Si vociferava infatti della
costruzione di un terzo anello e di un certo livello di clandestinità nelle zone con cantieri aperti.
Cielo Alto non ebbe nulla da ridire, com'era prevedibile. Si limitò a registrare la nuova destinazione e a suggerire
un sentiero di attraversamento nello spazio da loro controllato. Lo seguimmo anche se non c'erano navi in vista sugli
strumenti e quindi apparentemente non v'era alcun rischio di collisione. Nonostante la stanchezza per quei tre giorni
passati dormendo sul pavimento e sulle poltrone del ponte di comando, la meccanica del balletto gravitazionale che
regolava i movimenti di pianeti, astronavi e stazioni orbitanti mi apparve subito chiara e riuscii a tracciare una
rotta per Prometeo veloce e precisa usando una sola orbita terrestre per l'avvicinamento.
- Bravo – mi disse il capitano quando vide la rotta già impostata. Era un momento di calma relativa: sentivo
Calvin discutere con qualcuno nello spinale affollato e ridotto a un lurido bivacco puzzolente di sudore. I galeotti
infatti nella loro stupidità avevano sprecato l'acqua per uso sanitario esaurendo completamente la scorta in brevissimo
tempo. Evidentemente su Mastodonte l'acqua per lavarsi era un lusso non concesso ai reclusi.
Guardai la ragazza mentre controllava i parametri di accensione dei motori per calcolare i consumi. Aveva il viso
pallido e stanco, gli occhi cerchiati e un po' infossati. Teneva i capelli ricci e ribelli legati in una coda
raffazzonata e il collo della tuta azzurra aperto di pochi centimetri. Nessuno di noi due si lavava da tre giorni
e mi resi conto di non avere il diritto nemmeno di pensare che puzzasse fortemente; stare spalla a spalla per
discutere i tempi e la modalità di accensione dei motori non era piacevole per nessuno dei due.
Infine, calcolata la finestra di accensione dei motori in modo che fosse la più vicina possibile, risultò che in
meno di due ore saremmo giunti nello spazio controllato da Prometeo. Attendemmo con ansia il momento di attivare
i motori, che anche questa volta fecero il loro lavoro in modo esemplare. Esaurita l'accelerazione, non ci rimase
altro da fare che controllare che tutto filasse liscio.
Mi abbandonai contro lo schienale della poltrona del comandante. Ormai non mi sentivo nemmeno più a disagio nel
sedermi al posto della mia datrice di lavoro. Chiusi gli occhi, preda della stanchezza, ma non avrei dormito. La
tensione, la paura e il rimorso mi avevano negato sonni tranquilli e allora temevo che non sarei stato più capace
di riposare serenamente in vita mia. Non appena riuscivo a rilassarmi un poco, i miei pensieri mi buttavano addosso
il peso di aver aperto il fuoco contro un'installazione governativa, contro delle persone. Sarei stato accusato,
processato e incarcerato. Rabbrividii al pensiero di essere recluso insieme a feccia dello stesso genere di quella
che aveva riempito il Coyote e che mi aveva reso amara l'esistenza in un modo che mai avrei potuto immaginare. Mi
costrinsi a pensare ad altro e, come spesso mi capita, finii per dire una banalità.
- Cosa faranno di noi? - sussurrai dopo aver verificato che nessuno oltre il comandante Miki fosse in grado di
sentire. Ero stato ispirato dal conto alla rovescia che sullo schermo davanti a me scandiva i minuti rimanenti
alla manovra che ci avrebbe portato in orbita sincrona con la stazione Prometeo. L'ultimo compito che ci attendeva,
terminato il quale gli evasi sarebbero stati liberi di agire secondo le loro vere intenzioni.
- Non lo so – sussurrò di rimando il comandante senza nemmeno guardarmi. Disse quanto avevo appena pensato, stando
scomposta sulla poltrona dello specialista di bordo, a destra di quella occupata da me. Teneva il mento appoggiato
sul petto e le mani con le dita intrecciate posavano sul ventre tondo e pieno. Mi sembrò abbattuta, sconfitta. Forse
anche lei stava rimuginando pensieri lugubri come i miei. In preda a un improvviso rigurgito di risentimento e
desiderio di vendetta per tutto quello che avevo dovuto subire, esposi un'idea sulla quale avevo riflettuto
pochissimo e che avevo accantonato subito dopo averla formulata la prima volta. Era così viscerale che la modificai
man mano che la bisbigliavo al comandante, controllando in continuazione le sue reazioni e che nessuno degli
ospiti indesiderati entrasse nel piccolo ponte di comando.
- Se facessimo qualcosa di strampalato, di pericoloso... intendo dire prima di ormeggiarci a Prometeo... potrebbero
abbordarci i militari e a quel punto, forse...
Stavolta il comandante girò la testa verso di me.
- Siamo già ostaggi adesso. Ci userebbero come scudi per difendersi, minacciando di ucciderci in caso di
abbordaggio. È abbastanza ovvio.
- Se intervenissero le forze speciali dell'Esercito, loro non si fanno intimorire – suggerii, ritenendo abbastanza
probabile l'invio di militari addestrati a risolvere situazioni di crisi come la nostra.
- Bravo, l'hai detto. Non si fanno intimorire dalla presenza di ostaggi.
Complice forse la stanchezza e lo stress, ci misi un po' a capire. Mi vergognai: il capitano Miki, che mi aveva
confessato di avere da pochissimo compiuto ventisette anni, mi aveva dato una dimostrazione di saggezza che
avrebbe dovuto giungere da me, quasi cinquantenne. Amareggiato, mi riproposi di tenere la bocca chiusa.
- Allora, quanto manca?
La voce rude e volgare del criminale mi fece sobbalzare. Sollevai la destra a indicare lo schermo davanti a me
dove si leggeva il conto alla rovescia: mancavano meno di quaranta minuti e avevamo già da tempo la sagoma di
Prometeo sugli strumenti dei sensori.
- Come funziona l'approdo? - volle sapere Calvin. Esitai e fu il comandante a rispondere.
- Controllo vedrà il nostro vettore di approccio e ci chiamerà per chiederci che intenzioni abbiamo. Gli
dovremo dire se intendiamo attraccare e loro ci assegneranno un molo. Manovreremo per metterci tra le mani di
una IA che ci farà avvicinare e ormeggiare senza... fatica.
Temetti per un istante che il comandante Miki stesse per dire “senza fare niente”. Probabilmente si era corretta
in tempo. Ritenevo essenziale che Calvin continuasse a pensare di non poter fare a meno di me e di lei. Se ne
andò senza commentare ma guardandoci torvo. Di lì a pochi minuti giunse il preannunciato messaggio di Controllo
di Prometeo al quale dichiarammo, controvoglia, la nostra intenzione di ormeggiarci. Ci fu assegnato un posto
come previsto e, più in fretta di quanto potei gradire, ci trovammo tra le braccia di una IA che con la sua voce
maschile giovane e sbarazzina ci portò fino a destinazione.
Tenevo sott'occhio le acrobazie che l'intelligenza artificiale faceva per compensare i motori di manovra rimasti a
secco e, per fingere di avere qualcosa da fare, attivai i sensori e le telecamere esterne. Eravamo abbastanza
vicini alle nuove strutture esterne di Prometeo da poter guardare attraverso gli occhi digitali del Coyote cosa
stava succedendo intorno a noi. Per poco non trasalii dalla sorpresa. Controllai i sentieri di approccio, ma non
si poteva sbagliare. In preda all'eccitazione mi permisi di richiamare l'attenzione del comandante toccandole un
braccio. Stavamo andando incontro a una enorme nave da battaglia già ormeggiata ai moli esterni di Prometeo. Era
così grande da occupare il posto di quattro cargo di medie dimensioni. Una volta avevo visto con grande interesse
un documentario sulla fauna marina del pianeta, ormai estinta. Ne ero rimasto molto colpito e affascinato, al punto
che ancora oggi mi ricordo molte delle cose che vi erano descritte. Un tempo i mari, oggi sterili e pressoché
disabitati, erano popolati anche da creature fantastiche come gli squali. Potevano essere lunghi parecchi metri
e crescere fino a pesare centinaia di chili standard. Denti aguzzi e affilatissimi li avevano resi predatori
formidabili e pericolosissimi e piccoli pesciolini lunghi pochi centimetri viaggiavano impavidi a pochi millimetri
dal loro ventre, perfettamente sincroni. Queste creature, chiamate remore, nuotavano a fianco di un feroce
predatore centinaia di volte più grande di loro. Il piccolo Coyote stava affiancandosi a una corazzata tascabile
di classe America. Uno squalo dello spazio interstellare. Era così vicina, o così grande, da permettermi già di
leggere il numero di registro e il nome: MC 467 Ammiraglio Zarov. Ne avevo sentito parlare: una nave da battaglia
varata recentemente.
- Cosa ci fa qui quella? - esclamò il comandante alla vista dell'enorme scafo nero e grigio. Si era espressa con un
tono di voce troppo alto per i miei gusti e silenziosamente incolpai lei dell'apparizione di Calvin.
- Questa me la pagate, stronzi – ce l'aveva con noi. Lo vidi mettere mano alla pistola che teneva nella cintura
improvvisata realizzata annodando intorno alla vita le maniche della tuta da prigioniero. Molti altri lo avevano
imitato, esibendo toraci villosi o biancheria intima di vario tipo, tutto genericamente sgradevole a vedersi.
- Non posso farci niente. Siamo in mano a una IA, l'ormeggio non si può scegliere.
Apprezzai la rapidità del comandante nel rispondere con chiarezza. Rapidità che non le evitò una pistola puntata
alla testa.
- Andiamo via di qui! - sbraitò l'evaso. Altri galeotti si affacciarono incuriositi sulla soglia del ponte di
comando ma non osarono oltre.
- Ho detto che non posso! Guarda!
Miki, con un coraggio e una forza che invidiai vergognandomi, indicò decisa il mio schermo principale dove appariva
chiaramente come il Coyote fosse telecomandato dalla IA di Controllo di Prometeo. In un angolo dello schermo si
vedevano già gli ormeggi di nuovo tipo pronti ad accogliere il nostro piccolissimo scafo. Dubitai che quell'ignorante
di Calvin potesse capire le indicazioni degli strumenti. Afferrò il comandante per i lunghi capelli ricci e la
costrinse con la forza ad alzarsi dalla poltrona.
- Mi stai dicendo che voi due non servite più a un cazzo?
Forse Calvin non sapeva leggere gli strumenti, ma non era stupido. Non del tutto. Precipitosamente era giunto il
momento tanto temuto. Il Coyote da lì a pochi secondi sarebbe approdato e sarebbe stato ormeggiato e collegato
alle strutture portuali del molo esterno numero 43 di Prometeo, con o senza qualcuno ai comandi.
Sempre tenendola saldamente per i capelli costrinse il comandante a fronteggiare la soglia del ponte. La paura mi
stava sciogliendo le budella e pietrificando i muscoli.
- La volevate? Eccovela! - spintonò la ragazza verso gli altri evasi che si pigiavano l'un l'altro sulla soglia,
non osando varcarla. Chissà come poteva Calvin esercitare quel controllo su di loro: molti erano armati esattamente
come lui.
Una foresta di mani e braccia si tese verso di lei e la afferrarono in fretta prima che riuscisse a recuperare
l'equilibrio perso per lo spintone avuto dal capo dei galeotti. Fui travolto dall'orrore: me ne stavo lì seduto,
contorto sul sedile del comandante per poter guardare cosa accadeva dietro le mie spalle. Non facevo nulla, non
riuscivo a pensare ad altro se non alla violenza imminente. Non mi smossero le acute grida della ragazza che si
impuntava e opponeva resistenza a quelle mani che già stavano violandola. Nulla poterono le immagini che mi
scorrevano nella testa che sembravano in grado di anticipare di pochi secondi quelle che mi riempivano gli
occhi. Qualcuno che non potevo vedere gridò dallo spinale sovrastando il ringhiare bramoso di quelle belve
che avevano finalmente azzannato la preda. Furono quelle parole a farmi scattare: “grazie, boss!”. Pronunciate
con sincera gioia, con la felicità di chi riceve un dono da amici. Non potei resistere a quella profanazione così
intima e volgare.
Scattai in piedi e mi lanciai verso il comandante, intenzionato a strapparla da quelle braccia luride, ad allontanarla
da quelle mani rapaci che le stavano facendo del male. Prima che la portassero nello spinale, prima che tutta quella
carne esalante fetore umido si chiudesse su di lei.
Stupidamente, aggiungo oggi. Passai davanti a Calvin, non avevo altra scelta; questi mi tramortì colpendomi alla nuca
con la mano armata di pistola. Franai malamente sul pavimento, andando a sbattere dolorosamente la faccia contro il
fianco di colei che volevo salvare e poi urtando qualcosa di duro con la fronte. Non persi i sensi, purtroppo. Subito
mi arrivò un colpo alle costole che mi tolse quel poco d'aria che mi era rimasta nei polmoni. La testa mi sembrava
svuotata del cervello, tutto il torace mi doleva terribilmente, volevo vomitare e respirare contemporaneamente e
non riuscivo a fare nessuna delle due cose. Gli urli della violenza che si stava consumando a meno di mezzo metro
da me mi sembrava di sentirli appena. Emisi un suono strozzato riempendomi i polmoni tra un doloroso conato e
l'altro; poi finalmente riuscii a vomitare. L'ultima cosa che ricordo prima di perdere finalmente i sensi era
che non riuscivo più a vedere: tutto mi pareva immerso nel fumo grigio.