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Autore: Shadowolf    10/04/2010    3 recensioni
La fanfic è ambientata qualche mese nel futuro, intorno a Gennaio 2011, periodo in cui secondo fonti ufficiali dovrebbero cominciare le riprese del film sugli Avengers (I Vendicatori).
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In una delle duecentomila interviste che ha rilasciato da tre anni a questa parte gli avevano chiesto se la Marvel gli avesse fatto sottoscrivere un contratto con opzione che prevedesse la totale disponibilità a girare una sorta di trilogia su Iron Man, nel caso il primo film fosse andato bene. Al che aveva risposto che no, loro non glielo avevano proposto, ma lui l’aveva voluto fare lo stesso. Tony Stark gli piaceva, era un tipo davvero interessante da interpretare: miliardario, probabilmente genio, arrogante al limite del sopportabile, playboy a tempo perso. E diciamocelo, anche un gran figo. Okay, ma  a parte questo, Iron Man è un personaggio dei fumetti, migliaia di bambini Americani sono cresciuti leggendo le sue storie, e ora ha le mie sembianze in un film, cavolo, do il volto ad un supereroe, rendiamoci conto! Tutto questo è... WOW! Per questo preciso motivo aveva firmato subito anche per ipotetici sequel, senza pensarci su più di una volta, e quando, qualche tempo dopo, l’avevano chiamato per metterlo al corrente della volontà di fare una sorta di maxi film sui Vendicatori, in cui riunire Iron Man, Capitan America e Thor (con l’opzione Hulk e insieme ad altri supereroi meno conosciuti), be’, era semplicemente balzato in piedi dal divano dov’era seduto e non appena riattaccato aveva cominciato a ridere come un’idiota senza riuscire a fermarsi. Era un’idea geniale! Tre supereroi tutti insieme, tipo i crossover che la Marvel pubblicava quasi ogni anni, che coinvolgevano tutti i personaggi della Casa Delle Idee, più o meno, e per i quali aveva quasi un’adorazione da quando aveva cominciato a leggerli. Gli occhi gli brillavano ancora di più quando raccontava di questo specifico progetto a qualcuno, talmente ne era eccitato.

Sta ripensando un po’ a tutto questo, a come è partita la sua avventura nei panni di Tony Stark, a come si è evoluto il suo personaggio tra il primo e il secondo film, e a come questo ruolo l’abbia portato sulla bocca di tutti, mentre guida nel traffico mattutino di Los Angeles, diretto agli studi dove in mattinata è previsto il primo incontro di tutto il cast degli Avengers. Non conosce i suoi due compagni d’avventura personalmente, sa che quello che interpreta Thor è australiano, che l’altro prima di fare Cap era stato la Torcia Umana (qualche problema di personalità forse?), e che entrambi prima di essere scritturati per i rispettivi ruoli non avevano mai partecipato a film di queste dimensioni, diciamo così, o perlomeno non nel ruolo di protagonisti. Ma la sua conoscenza si ferma qui, non va oltre, ed è quindi curiosissimo di incontrarli per la prima volta, anche per tastare un po’ il terreno insomma, vedere come si mettono le cose. Si fida molto della propria prima impressione, riesce subito ad avvertire se e quando le cose girino nella maniera in cui piace a lui, se potrà esserci spazio per improvvisare, se gli altri lo seguiranno quando gli verrà un’idea e vorrà metterla in pratica, se il regista lo lascerà fare o lo bloccherà alla prima cosa detta non presente sul copione. Tutto questo, ed altri dettagli ancora, lui riesce ad intuirli fin dal primo meeting di produzione. A dirla tutta è un po’ preoccupato – no, no, preoccupato non è la parola giusta, diciamo meglio: è sulle spine – perché si sente almeno in parte come se fosse su di una nave da solo, abbandonato da tutto il resto dell’equipaggio; a girare i due Iron Man si era divertito un sacco, aveva conosciuto Jon con cui era andato d’accordissimo fin da subito, e aveva ritrovato la stessa troupe dopo due anni per il seguito, quindi in un certo senso ormai respirava aria di famiglia quando lavorava con loro, e se era lui quello che dava voce, anima e corpo a Tony, parte della riuscita dell’operazione andava senza dubbio alla crew. Ora invece la situazione è completamente diversa, lui è rimasto, sì, ma tutto il resto è cambiato, sarà costretto a ripartire daccapo, e se questo di solito lo incoraggia in una maniera pazzesca, perché è un tipo sempre affamato di nuove avventure, nella fattispecie un po’ lo spiazza, perché comunque il personaggio che interpreta è sempre lo stesso. Dio, quanto la sto facendo lunga! Per niente poi! A volte mi chiedo davvero quale caspita di piacere ci trovi a pormi tante domande retoriche...

Per far interrompere il flusso di pensieri (inutili!) che gli sta passando per la testa da quando s’è messo in macchina accende la radio e comincia a cambiare stazione finché non trova una vecchissima canzone degli America intitolata Ventura Highway che, coincidenza delle coincidenze (macché coincidenza, sei in California, cretino, che altro ti aspetti!?), è proprio quella su cui sta viaggiando in questo preciso momento, anche se fra qualche miglio la lascerà e girerà per Pasadena. Arriva al ritornello e si mette a cantare un po’ più forte, tanto chi se ne frega?, è in macchina da solo e sta andando al primo meeting di un nuovo film, è Gennaio ma c’è un sole bellissimo, e la strada è anche piuttosto sgombra, per essere le dieci del mattino. In un attimo dimentica tutte le paranoie mentali che si stava facendo, in fondo la giornata è cominciata bene e insomma, non c’è mica bisogno di complicarsi la vita giocando d’anticipo! Sì, è Ventura Highway a fargli questo effetto, quella canzone fa lo stesso effetto su tutti quelli che l’ascoltano, anche se non sono in California e magari fuori piove. Okay, come non detto, magari in quel caso fa deprimere ancora di più perché uno vorrebbe essere qui e invece è chissà dove, vedi come sono fortunato io, nei confronti loro? Roooooooooooooob, basta per piacere!

Continua a cambiare stazione, passa dal country, al rock, alla beach music (siamo a L.A. dopotutto!), ai talk show, ai notiziari; fa due volte il giro dell’intera frequenza, abbassa e alza il volume a seconda di quel che trova, come sente che si comincia a distrarre dalla radio prende e cambia, è l’unico modo per tenere la mente pseudo occupata ed evitare che i pensieri riprendano a fluire senza un senso, cosa che sono molto inclini a fare stamattina, come ha appena avuto modo di constatare; non controllarli significherebbe arrivare a questa benedetta riunione già predisposto in una determinata maniera, e dato l’evidente atteggiamento da Tony Stark con il quale s’è inevitabilmente svegliato stamattina pensa sia meglio evitare di cominciare a dar spettacolo già dal primo inning. Come si dice di solito, meglio tenere il piatto forte per ultimo. Sì, una cosa del genere, più o meno il succo del discorso è questo. Il fatto è che da quando ha cominciato ad interpretarlo se lo porta dietro come se fosse un abito, anzi meglio, come se fosse la propria personale armatura da Iron Man: “Tony ha Iron Man, io ho Tony”, riassumendo, e farlo uscire da lì dentro a volte è davvero impresa ardua, perché lui stesso non contribuisce, non fa il minimo sforzo talmente a suo agio si trova nei panni del miliardario, genio, eccetera, eccetera. E non è che lo faccia per qualche ragione particolare, eh, intendiamoci, è che si diverte così, si diverte a rimanere nei panni di Stark anche quando il lavoro giornaliero sul set è finito ed è ora di tornare a casa (alle volte si sorprende nell’andare alla sua macchina e non trovare il nome “Stark” scritto sulla targa posteriore). Così oggi, non certo casualmente (ma probabilmente senza che se ne rendesse pienamente conto), al momento di vestirsi ha aperto l’armadio e ha tirato fuori una camicia bianca e un completo gessato, s’è pettinato i capelli a spazzola, leggermente alzati davanti, ha messo un po’ di gel e s’è scelto un paio di occhiali da sole con le lenti rosse; è sceso conciato in questo modo a fare colazione e ovviamente Susan ed Indio gli sono scoppiati a ridere in faccia. Poi ha anche il coraggio di dire che le cose non se le va a tirare, lui (per onor di cronaca c’è da notare che voleva indossare anche una cravatta celeste, ed è stato solo l’intervento deciso di Susan a farlo poi desistere).

Sfumano le ultime note di On The Road Again cantata da Willie Nelson, sta giusto imboccando l’uscita autostradale, ha appena passato il cartello con su scritto “Pasadena”; percorre le ultime due miglia con il finestrino abbassato, così il vento gli spazzola ancora di più i capelli all’indietro e sembra più naturale (e anche un po’ più selvaggio e indomabile, diciamo la verità). Arriva al cancello degli studios e ancora canta, saluta allegramente il guardiano che gli augura buona giornata, imbocca il viale alberato a velocità troppo sostenuta, raggiunge il blocco 4 dove c’è la palazzina della produzione e parcheggia – o sarebbe meglio dire che lascia così come viene – la sua auto proprio di fronte all’entrata. Scende, sbatte la portiera, chiude, si aggiusta la giacca e gli occhiali da sole e comincia a salire quasi saltellando i quattro o cinque gradini che ci sono prima della porta. Nella sua testa non risuonano più le note di Ventura Highway o la voce di Willie Nelson, ma il riff di chitarra elettrica di Angus Young e la voce graffiante di Brian Johnson che canta Shoot To Thrill.

   
 
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