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Autore: Mapi D Flourite    10/04/2010    3 recensioni
SPOILER! 6x05, Lighthouse
[Jacob, MiB]
Restammo in silenzio, entrambi consci dell'inutilità di quella conversazione, a spiare di sottecchi le nostre reazioni, incapaci di abbassare la guardia, o di smettere di restare intrappolati in questo balletto – più simile ad un gioco, in realtà, dove ognuno di noi interpretava una parte da così tanto tempo che, alla fine, ci eravamo convinti di essere noi stessi.
«Chi?»
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Titolo: Lighthouse
Pairing: Se proprio volete, potete scegliere tra MiB/Jacob o Jacob/Jack, ma non è che sia obbligatorio, eh...
Rating: G
Conteggio Parole: 579 (Fidipù)
ChallengeW.W.F. su Fiumi di Parole, I settimana: Gen Week, prompt #3. Voyeur.
Warnings: Nessuno.
Spoiler: 6x05, Lighthouse

Note: Uno spione che spia uno spione: non è bellissimo? Da aggiungere ci sarebbe solo che lìho scritta un po' di corsa ma, tutto sommato, mi piace. Anche perché non avevo mai neanche pensato che sarei arrivata a scrivere perfino su MiB e Jacob, e ammetto che la cosa è stata piuttosto divertente! Mi piace il rapporto di Odio/Fa-come-ti-pare-tanto-io-sono-qui-che-non-faccio-niente-dalla-mattina-alla-sera che c'è tra loro. ♥
E, prendetemi per pazza, ma io MiB non riesco a pensarlo senza la faccia di Locke. .__. Sarà iol fascino di Terry? XD

Disclaimer: Lost appartiene a J.J. Abrams, Damon Lindelof, Jeffrey Lieber e alla ABC, che ne detengono tutti i diritti. Non è scritta a scopo di lucro, ma di ludo, esclusivamente principalmente il mio.

-:-:-

Talvolta poteva rimanere lassù anche per giornate intere, perso con lo sguardo in quel suo specchio che sapeva mostrargli cose e persone e luoghi che non si sarebbero mai potuti nemmeno immaginare, allungando la vista oltre i limiti invalicabili di quell'oscura massa d'acqua.
Io rimanevo ai piedi del faro, lo sguardo puntato verso la cima che svettava tra le nuvole senza che il sole potesse ferire i miei occhi; vedevo talvolta lo specchio ruotare e il suo profilo comparire di quando in quando, da una parte all'altra, evanescente, perennemente assorto in ciò che la parete liscia e lucida degli specchi gli stava mostrando, e lo aspettavo, in perenne silenzio, solo per il gusto di carpire dalla sua espressione un segno di stizza, o di noia, o soltanto un indizio che il mondo, per una volta, non stesse girando nella direzione che lui gli aveva imposto.
Ma questo, in tanti secoli che lo conosco, non era accaduto nemmeno una volta.
Lo vedevo sempre serafico, gli occhi limpidi, la voce pacata, permeato di una tranquillità che sembrava impregnare le sue stesse vesti; sorrideva poco, non urlava mai, non parlava con altri se non me e Richard: passava tutto il suo tempo a guardare, spiare, osservare, carpire ogni informazione che potesse essergli utile – a lui e a questo pozzo nero senza vie d'uscita decorato con sabbia bianca e foreste rigogliose e cieli tersi spazzati dal vento e inebriati del profumo del mare.
Ultimamente, però, qualcosa era cambiato in lui; percepivo un'eccitazione vivida e intensa, quasi una smania che sembrava sfociare da un momento all'altro in impazienza, e mi accorgevo, giorno dopo giorno, che aveva iniziato a passare molto più tempo del solito appollaiato sulla vetta del suo faro a guardare con gli occhi vigili un qualcuno che doveva aver colpito il suo interesse più di quanto non fosse mai accaduto in tutto questo tempo. Questo mi spaventava ma, al contempo, mi eccitava enormemente: perché se lui iniziava a mostrare un vivido interesse verso coloro che portava sull'isola – non quanto appartenenti al genere umano, ma quanto individui, unici e insostituibili – poteva significare solamente che qualcosa, qui sull'Isola, sarebbe cambiato.
A suo vantaggio, probabilmente ma, se avessi giocato bene le mie carte, avrei potuto ribaltare completamente la situazione.
Abbassai lo sguardo quando sentii i catenacci tremare e vidi la porticina socchiudersi e lui uscire con passo flemmatico, immergendosi nella notte come vi fosse stato a suo agio almeno quanto me. Lo affrontai, il mento sollevato, e lui mi rivolse un'occhiata limpida che doveva servire per mascherare un sorriso che gli scoppiava nell'anima.
«Sto partendo,» mi disse, come se a me potesse interessare.
«Per dove?» gli chiesi, anche se in realtà non mi importava, visto che potevo benissimo immaginarlo.
«Per gli Stati Uniti.»
Restammo in silenzio, entrambi consci dell'inutilità di quella conversazione, a spiare di sottecchi le nostre reazioni, incapaci di abbassare la guardia, o di smettere di restare intrappolati in questo balletto – più simile ad un gioco, in realtà, dove ognuno di noi interpretava una parte da così tanto tempo che, alla fine, ci eravamo convinti di essere noi stessi.
«Chi?»
Vidi i suoi occhi brillare davvero e un sorriso più onesto illuminargli il volto. «Il Ventitreesimo grado. Shephard.»
Inarcai le sopracciglia e incrociai le braccia al petto, per un momento dubbioso che le sue reazioni fossero autentiche. «È davvero così speciale?»
«Oh, no, amico mio. Di più. Molto, molto di più.» E se ne andò così, inghiottito dalle tenebre che si addensavano, lasciandomi a guardare soltanto le sue spalle che scomparivano nella notte.


  
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