Titolo: Dead
draw Note: Boh.
Ho riletto il quinto episodio - a breve mi
rileggerò il sesto - e... boh. Dovevo scrivere qualcosa. Con
"doll like Beato" e Battler che parte in quarta con l'angst
perché lei non parla e quasi non si muove. Uhn, beh,
missing-moment fanfic, ma credo che prima o poi scriverò
qualcosa che non sia una fot-... una missing-moment. AH!
Ovviemente è una BatBea 'sta cosa, anche se avevo promesso alla Micchi
una AmaAnge - qualcosa come due o tre mesi fa... Dannazione. COMUNQUE!
Grazie mille per tutti i commenti alle fanfiction che ho postato
nell'ultimo mese! : D Disclaimer: BA-TO-RA
e BE-A-TO-RI-CHE - e tutti gli altri - appartengono a Mr. Ryukishi07 e
non a moi!
Personaggi: Battler,
Beatrice, Virgilia.
Pairing: BattlerxBeatrice.
Rating: Verde.
Genere: Introspettivo,
angst, sentimentale.
Avvertimenti: One-shot,
missing-moment, spoiler!.
Dead
draw
Pioveva,
nella Terra Dorata, e soffiava un
forte vento.
Sotto
il gazebo, al centro del giardino
decorato con migliaia di fiori dorati, sedevano tre figure attorno ad
un
tavolino, bevendo tranquillamente del tea.
Battler
fissava ancora la scacchiera che
aveva davanti agli occhi, assopito.
Non
capiva. Non capiva quale significato
avessero le mosse di quella crudele Strega che
aveva accanto.
Erano
insensate. Non portavano a nulla di
razionale.
…
O forse un senso lo avevano, ma Battler
non riusciva a capire.
Cosa
stava pensando di fare quella donna,
Beatrice, quando aveva mosso le pedine in quel modo?
Non
aveva senso. Non capiva.
Che
vantaggio poteva trarre lei da quelle
mosse senza senso, quelle mosse che chiudevano il suo avversario in un
angolo,
ma che allo stesso tempo la lasciavano indifesa?
Perché
avvicinarsi tanto alla casella
bianca su cui stava lui, senza mai dargli uno scacco matto?
“Virgilia,
Beato stava seriamente combattendo
contro di me?”
La
Strega abbassò la tazza di ceramica che
stringeva fra le affusolate dita e, perplessa, fissò il
giovane che aveva
davanti. “... Perché pensi questo,
Battler-kun?”
“Lei
aveva la possibilità di battermi tante
volte, in modo definitivo, intendo”, abbassò lo
sguardo, fissando il cavallo
bianco che ancora stringeva fra le mani, “eliminava tutti i
pezzi uno ad uno,
lasciandomi per ultimo, ma...”, rovesciò la
scacchiera con un solo colpo,
deciso, “poi era come se avesse sempre fermato la partita,
come se fossimo
sempre stati in una situazione di stallo – anche se lei era
nella posizione di
darmi uno scacco matto.”
Virgilia
sorrise a quelle parole, spostando
lo sguardo verso l'allieva che aveva accanto.
“Beato
è sempre stata capricciosa, sin da
piccola.”
“Ma
perché rinunciare tante volte a fare
scacco matto? Non capisco.”
Il
ragazzo tornò ad osservare la
scacchiera, muovendo di tanto in tanto alcuni pezzi, serio in volto.
Abbandonò
la tazzina con il tea sul tavolino, troppo impegnato a cercar
di capire per
poter continuare a bere.
Battler
aveva deciso di non partecipare al
gioco di Lambdadelta, per quello si trovava nella Terra Dorata insieme
a
Beatrice e Virgilia. Ormai per lui non aveva senso continuare
quell'assurdo
gioco.
Non
ora.
Non
senza Beato.
“Perché
hai fatto questa mossa...? Non
capisco.”
Di
tanto in tanto, Battler faceva domande
sottovoce a Beatrice – senza aspettarsi alcuna risposta -, lo
sguardo sempre
ben fisso su quella scacchiera che rappresentava in qualche modo il
loro campo
di gioco.
Sedici
pezzi per ogni giocatore.
Un
re, una regina, due alfieri, due
cavalli, due torri e otto pedine.
Trentadue
pezzi in totale, fra bianchi e
neri.
…
Ma questo non gli diceva nulla.
Aveva
già provato altre volte ad
interpretare il gioco assegnando ad ogni pezzo uno specifico
personaggio, ma
non funzionava... Nessun personaggio in quel gioco aveva una posizione
fissa. O
comunque, lui non riusciva a dargliela.
“Battler-kun...
Cosa speri di ottenere
fissando quella scacchiera?”
Tutte
le tazzine giacevano ora sul tavolo,
abbandonate.
“Voglio
capire.”
“La
verità?”
Battler
rimase in silenzio, voltandosi per
la prima volta verso la strega che aveva accanto.
Beatrice
non parlava, non reagiva, a mala
pena sembrava respirare. Forse nemmeno ascoltava quello che le persone
che
aveva accanto le dicevano. Rimaneva lì, seduta, con gli
occhi spenti che non
fissavano nulla in particolare, immobile.
Avrebbe
detto che era morta, se non fosse
stato per il petto che si alzava di tanto in tanto quando sospirava
lievemente.
“...
No. Io voglio capire Beato. Voglio
sapere cosa pensava quando faceva determinate mosse, quando giocava con
me...
Voglio sapere perché ha giocato
così a lungo con me, senza costringermi
mai realmente ad arrendermi.”
Virgilia
rimase a lungo in silenzio,
pensierosa. Cosa rispondere a quel ragazzo che aveva davanti?
Non
poteva rivelargli la verità – Beato non
avrebbe voluto ciò; voleva che lui capisse da
solo. Tuttavia, vederlo in
quello stato, vedere la sua allieva in quello stato, le dava una fitta
al
cuore.
“Battler-kun...
lei voleva che tu capissi.
Farti arrendere non era nei suoi piani; sin dall'inizio”,
c'era tensione
nell'aria, era quasi palpabile, “... lei voleva che tu capissi.”
E
fra una miriade di farfalle dorate e un
leggero pop, la donna scomparve, lasciandosi alle
spalle solo un
opprimente silenzio.
Nella
Terra Dorata c'erano solo Battler e
quella che un tempo era la sua avversaria.
Il
vento soffiava ancora e migliaia di
petali dorati danzavano a mezz'aria accompagnati da altrettante
farfalle, che
si specchiavano negli occhi vitrei e senza luce di Beatrice.
“Beato,
perché abbiamo iniziato questo
gioco assurdo?”
Fissare
quegli occhi spenti, quel volto -
una volta sempre accompagnato da un ghigno – inespressivo...
quelle erano le
cose che più ferivano Battler in quel momento. Non riusciva
a sopportare quella
situazione, era troppo per lui. Voleva solo che tutto tornasse come
prima;
voleva indietro il ghigno sadico di quella strega e quel loro gioco
tanto
macabro e di cattivo gusto.
Allungò
una mano verso quelle di Beatrice,
strette in grembo, fredde.
“Eh,
Beato?”
Le
scostò una ciocca dorata da davanti al
volto, leggermente, con sguardo affranto, osservandola attentamente.
Perché
non rispondeva? Perché non diceva nulla?
Dannazione.
“...
Parlami. Ridi, come facevi prima.”
Ma
Beatrice non rispondeva. Se ne stava
ferma, lo sguardo fisso verso il basso, gli occhi che non esprimevano
alcuna
emozione. Sembrava morta.
Quanto
odiava quella situazione. Dov'era la
Beatrice di sempre? Quella che si sarebbe messa a ridere per quelle sue
parole
stupide, quella che l'avrebbe ingannato come se nulla fosse.
Esatto...
“Ehi,
questa è un'altra di quelle tue
recite, eh?”
Sulle
labbra del ragazzo si dipinse un
mezzo sorriso mentre fissava, speranzoso, il volto della donna che gli
sedeva
accanto.
“Perché...
diavolo... non parli, eh!?”, la
prese per le spalle, scuotendola un po', sperando in una sua reazione
ma Beato
non si mosse, non disse nulla. Fissava il terreno, le ciocche bionde
che
ondeggiavano sospinte dal vento.
Avrebbe
voluto rispondere, Beatrice. Ma non
poteva, non riusciva. Qualcosa glielo impediva. Un dolore lancinante le
impediva di mormorare qualsiasi parola.
“Beato...”,
la abbracciò, stringendola a sé
con quanta forza aveva in corpo, “io non voglio
ucciderti.”
Le
Strega chiuse gli occhi, un'espressione
di dispiacere in volto.
Se
solo fosse stato in suo potere lo
avrebbe picchiato, gli avrebbe detto – urlato – che
era un idiota incompetente,
gli avrebbe tirato un pugno, lo avrebbe preso per il collo e lo avrebbe
stretto
a sé, avrebbe pianto col volto premuto contro il suo petto.
Ma
non poteva. Non riusciva.
“Io...”,
sentiva le sue mani calde
stringerle le spalle, anche se sembrava lontano, in un altro frammento
di quel
mondo di tragedie, “Beato... Non voglio... ucciderti,
dannazione!”
Tutti
quegli sforzi buttati.
Farsi
odiare per spingerlo a combattere non
era servito a nulla, alla fine.
…
Aveva solo perso tempo?
Se
solo non avesse ceduto alla fine del
loro quarto gioco... forse ora lui la odierebbe, forse starebbe
tentando il
tutto per tutto pur di ucciderla. Invece lui tentava di non farla
soffrire, di
non negarla, procurandole invece, a sua insaputa, il doppio del dolore.
Un
dolore al petto: lancinante,
insopportabile. Faceva male.
Ed
era lui a provocarle quel dolore. Solo
lui, Battler: la sua disgrazia, la sua rovina, il suo scacco matto a
quel re
nero stanco di nascondersi dietro a mere pedine, aspettando invano.
“Non
posso ucciderti.”
Quanto
tempo buttato.
Quante
speranze al vento.
“Non
posso e non voglio. Mi dispiace.”
Bugiardo.
Bugiardo.
Sempre
a fare promesse che poi non avrebbe
mantenuto.
Sentì
le braccia di lui stringersi attorno
al suo corpo immobile, mentre nascondeva il volto nell'incavo del suo
collo.
Stava bisbigliando. Le parlava, sperando che quelle parole l'avrebbero
in
qualche modo raggiunta.
“Scusa...
scusa... scusa...”
Aveva
gli occhi lucidi? Forse era solo la
sua immaginazione.
“Beato,
io ti...” e Beatrice non volle
sentire il resto di quell'assurda frase.
Le
sfuggì una lacrima dagli occhi, mentre
sentiva le mani di lui afferrarle dolcemente il volto e quelle labbra
posarsi
sulle sue, speranzose di ricevere una risposta che, ovviamente, non
arrivò. Un
brivido le percorse la schiena quando lui, dolcemente,
asciugò quella lacrima
che le bagnava il viso.
“Ti
farò tornare come prima, non mi
importa...”
Dannato
bugiardo. Non avrebbe mai dovuto
fidarsi delle sue parole.
Da
quelle sue labbra uscivano solo menzogne
che le procuravano dolore.
Dannato,
irrimediabile bugiardo.
Tutto
ciò che lui era in grado di dire
potevano essere solo bugie.
Bugiardo,
bugiardo, bugiardo!
Non
avrebbe mai creduto in lui. Non avrebbe
mai più riposto le sue speranze in lui.
…
Non si sarebbe mai più aspettata nulla da
una sua promessa.
Gli
umani non mantengono mai le loro
promesse: sono bugiardi, malvagi e corrotti.
E
Battler era dannatamente umano.