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Autore: Globulo Rosso    02/05/2010    11 recensioni
Bulma sfida Vegeta senza alcun pudore, rischiando di cadere dritta dritta nelle fauci del leone. Ma a lei, non importa nulla. Perché lei é Bulma Brief, colei che tutto vuole e tutto ottiene.
Peccato però, che all'altro angolo non ci sia un uomo normale, ma qualcuno molto più pericoloso.
Mai svegliare il can che dorme!
Rating: arancione per via del linguaggio molto colorito e per via di allusioni lungo tutta la storia. Se le scene diventeranno meno allusive e più concrete, aumenterò il rating.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma, Goku, Trunks, Vegeta, Yamcha
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sunset

 

 

Capitolo uno:

Help means more than help1

Vegeta strinse i pugni, nervoso.

In quel periodo gli andava tutto storto. Qualsiasi fottutissima cosa.

Deglutì, guardando la strada lurida che stava percorrendo.

Una lattina di gazzosa schiacciata e una cicca di sigaretta, un gatto spelacchiato e un bidone ricolmo di spazzatura: quella era la Terra.

Da quando il suo mondo era stato distrutto, la sua mente aveva automaticamente inserito i paraocchi e tutto, ma proprio tutto, gli sembrava orribile in confronto al paese natio.

E per quanto il suo orgoglio schiacciasse metodicamente quel sentimento, la nostalgia di tanto in tanto compariva e gli procurava una leggera fitta là, proprio a metà del petto.

Nulla di che, o meglio, nulla che la sua fierezza potesse allontanare facilmente; era fatto così: onore e gloria, ragione e orgoglio.

Nient’altro.

Ma per quanto quei modi d’essere fossero radicati nella sua anima e nella sua mente, Vegeta era pur sempre una persona, dotata sì di raziocinio, ma anche di sentimenti.

E nonostante tutto, quando quelle lievi fitte arrivavano, una punta di amarezza solcava rapida le sue vene e giungeva debole al cuore, dove immediatamente veniva placata da quell’incommensurabile orgoglio.

Ah, la nostalgia.

Grugnì, gettando la lattina d’alluminio lontano da sé, con un calcio.

Fottuta Terra, se potessi, ti distruggerei.

Camminava lento, cadenzato.

Sembrava, ad osservarlo bene, un ubriaco. Caracollava con le mani in tasca diritto per quella strada, e non si fermava, privo di una vera meta.

Perché non distruggeva la terra, ora come ora, proprio non lo sapeva. Odiava tutti e tutto: odiava Kakaroth, odiava quell’oca della moglie, odiava lo stupido essere verde e tutti i loro cazzo di amici.

Odiava quel mondo fatto di polvere, cemento e merda.

Odiava quelle sensazioni che provava osservando il cielo scuro di notte, e quei bagliori che gli ricordavano solo luoghi lontani, quelli che la sua memoria aveva impresso bene nella sua mente, ma che gradualmente andavano sbiadendosi.

Un altro passo, un piede davanti all’altro, le mani in tasca e il capo chino.

E poi, non era fatto per essere secondo, non era fatto per sottomettersi.

Lui era il principe, quasi invulnerabile, quasi un dio.

Già, quasi.

“Fanculo.” Sibilò, tra sé e sé.

Le sue gambe l’avevano condotto nella parte bene della città, le luci dei lampioni illuminavano il quartiere e i viali alberati contornavano la strada, contorti e alti.

Casa Brief svettava in mezzo a tutte le altre ville: la sua forma a cupola e la sua immensa grandezza la rendevano una delle case più belle delle città.

Vegeta sbuffò, alterato.

Si era dimenticato di aggiungere alla lista un altro odioso fattore: lei.

Lei che lo trattava come il suo scimmione personale, lei che non era nessuno e che non aveva alcun rispetto verso il suo nobile titolo.

E si domandò, solo dopo che ebbe varcato la soglia della casa, come mai le sue gambe l’avessero diretto proprio lì, e non fuori città.

Di nuovo grugnì, vedendola.

“Ah, sei tu. Hai visto mio padre per caso?”

Lei era in tuta, nonostante la tarda ora. Sembrava impaziente, probabilmente aspettava che il padre l’aiutasse in qualche modo.

“No.” lapidario, Vegeta si diresse al piano di sopra, senza degnarla nemmeno di uno sguardo.

Dal canto suo, lei finse di non notare quella strana espressione, e con un ampio gesto della mano, il quale quasi certamente significava vai pure, lo lasciò ai suoi pensieri.

La chiave inglese da una parte e un  metro di tubo di metallo dall’altra, al quale era appoggiata con il gomito.

Mancava poco alla mezzanotte, forse non più di qualche minuto, ma lei doveva finire categoricamente quel lavoro per l’indomani.

E non ce l’avrebbe fatta da sola, non senza l’aiuto di qualcuno. Soprattutto se si trattava di sollevare grosse lastre di metallo o tubi di ferro.

Il padre, per quanto fosse gracile, aiutava gagliardo la figlia, e per quanto potessero perdere tempo, in due riuscivano a farcela.

Ma lei, sola, neanche morta.

Salì le scale, in cerca del genitore. Di norma, il suo russare si sentiva fin dal piano di sotto.

Nel silenzio, il brontolio sommesso del padre si fece udire, facendola arrabbiare.  Probabilmente, com’era già capitato parecchie volte, era passato dal giardino zoologico, e preso dal suo sviscerato amore per gli animali, si era dimenticato della figlia.

Quella zona era inevitabile: oltrepassando la serra, sarebbe poi giunto al laboratorio, adiacente ad esso.

Bulma digrignò i denti, irata.

Mai far fare a qualcun altro quello che puoi far da te.

E a quel punto, mentre osservava il corridoio buio, le venne quella stupida idea.

“Vorrà dire che chiederò a Vegeta.”

Ed era così semplice, pensò, al massimo lui avrebbe rifiutato e l’avrebbe mandata poco elegantemente a quel paese, come faceva spesso.

Bussò, esitante.

Non sentì nulla. Avvicinò l’orecchio e bussò ancora.

Niente.

“Vegeta…” sussurrò, attenta a non svegliare i suoi genitori “Vegeta… ci sei?”

Si era completamente appoggiata alla porta, e nonostante non gli spiacesse sorprendere Vegeta mezzo nudo –doveva ammettere a se stessa che quell’uomo non le era affatto indifferente- decise di rispettare la sua privacy.

Chiamò ancora il suo nome, cercando di carpire qualsiasi possibile risposta dall’interno della stanza.

E la porta si aprì, rischiando di farla cadere malamente per terra – o tra le sue braccia, questioni di punti di vista- e ricoprirla di imbarazzo.

“Cosa vuoi, donna?” scorbutico, l’uomo la guardava dall’alto in basso.

Lei si ricompose, sfoggiando la sua solita aria da strafottente, una maschera che aveva collaudato e perfezionato per tenere testa all’ego del principe dei Sayan.

“Avrei bisogno di aiuto.”

“Devo aiutarti a cercarlo?” commentò, sarcastico.

Vedendola innervosirsi alla sua battuta, sul volto di Vegeta si dipinse un ghigno sardonico. Com’era divertente, quella donna!

“No, scimmione, devi aiutarmi tu. Sei l’unico che può fare il lavoro che dovremmo fare io e mio padre, impiegando per di più un quarto del tempo. Dunque, mi servi.”

“Io non servo nessuno.” Sentenziò, scrollando le spalle. “al massimo tu servi me. E non osare chiamarmi scimmione, capito?”

Lei ridacchiò tra sé e sé e continuò imperterrita con la sua richiesta.

“E’ necessario. Questo lavoro è importantissimo, e data la tua potenza, riuscirei a terminarlo in massimo tre ore.”

“Tre ore? Scherzi, vero, donna?”

“Affatto.” Incrociò le braccia, determinata.

“Allora fattelo da te, io ho intenzione di dormire.” Richiuse la porta con un rapido scatto e scomparì all’interno, sorridente. L’espressione di Bulma nervosa era indicibilmente appagante.

E ora?

Ritentare, nah, negativo. Le era già andata fin troppo bene la prima volta, non aveva alcuna intenzione di rischiare una seconda.

Mai svegliare il can che dorme.

“Cosa vuoi?” gli chiese, ancora impalata davanti alla sua porta.

Ed eccolo rifarsi vivo, le braccia incrociate e la schiena appoggiata allo stipite.

“Che intendi con cosa vuoi?”

“Intendo dire che ti ripagherò in qualche modo, se mi darai una mano. Quello che vuoi, purché sia accessibile alle mie finanze e alle mie possibilità.”

Ed ecco quel sorriso sghembo che lei tanto odiava, forse perché non riusciva a comprendere fino in fondo.

Eppure lei, di esperienza con gli uomini, ne aveva. Conosceva la loro idiozia, più che altro.

Poteva catalogare i loro pensieri in base all’espressione che mostravano in certe occasioni, ma lui, ah no! Di lui sapeva pochissimo.

“Fammici pensare.”

Bulma attese, impaziente. Il ticchettio dell’orologio sembrava una campana alle sue orecchie.

Il marchingegno commissionato era di là che aspettava che lei andasse a ripararlo, e i soldi che avrebbe guadagnato da quel lavoro sarebbero stati tanti quanto il valore dell’intera sua villa.

“Allora? E’ un lavoro per il governo, è davvero importante!”

Lui, le possenti braccia sempre incrociate e quel sorrisetto che lo contraddistingueva, annuì subdolo.

“Qualsiasi cosa.”

“Qualsiasi cosa, Vegeta.”

Probabilmente, aveva fatto una cazzata, ma in quel preciso momento Bulma non pensava a null’altro se non a completare il suo lavoro.

Scesero le scale, lei davanti e lui dietro, rapidi.

Aveva i paltoncini stretti, quelli che portava sempre, e il petto nudo.

Con la coda dell’occhio, la ragazza di tanto in tanto ci dava un’occhiata.

Così, tanto per.

Non c’era nessun motivo preciso, e non aveva alcuna strana intenzione.

E nonostante avesse sognato di toccarle, quelle spalle, in quel momento la sua capacità di recitazione le avrebbero meritato un oscar.

E Vegeta parve non accorgersi di lei.

“Potevi almeno ficcartela, una maglietta.” Sentenziò lei, distaccata.

“Faccio ancora in tempo ad andarmene, donna.”

“Se non mi servisse il tuo aiuto, stai pur tranquillo che non te l’avrei mai chiesto.”

Nel corridoio camminavano fianco a fianco: lei guardava diritta davanti a sé, lui la osservava in silenzio, divertito.

Quella Bulma era forse l’unica persona, a parte Kakaroth ovviamente, che lo rendesse così nervoso.

“Sei odiosa, donna. E per altro, sei anche debole. Nel mondo Sayan non avresti retto un secondo.” Sibilò.

“Nel mondo dei Sayan, probabilmente tu saresti mio schiavo, Vegeta. La mia ambizione supera di gran lunga la tua.” E aumentò il passo, sbuffando.

Ed era vero. Tutto quello che Bulma voleva, Bulma otteneva. Era inutile cercare di tergiversare o di confutare questa certezza.

“Impossibile, io sono il principe.”

“E allora io sarei stata la regina.” Con quella risposta secca, cercò di far intendere a quello scimmione che la conversazione era finita.

Ma benché in quel momento Vegeta avesse taciuto, le sue intenzioni non erano quelle di bloccare il discorso proprio sul più bello.

Arrivati al laboratorio, vide l’enorme astronave al centro della stanza, puntellata da grosse travi e tenuta eretta da funi molto spesse.

Notevole, per una donna.

Lei avanzò, diretta al banco dei progetti.

“Vieni Vegeta, ti faccio vedere cosa devi portare e dove devi portarlo.”

C’erano gru intorno alla navicella, in quel modo gli operai potevano giungere fin nei punti più alti.

Per quanto sia possibile crederci, il cantiere e il laboratorio di proprietà dei Brief era talmente grande da poterne contenere due, di macchine del genere.

“Ci vorrà poco, non temere, ancora meno di quanto avevo calcolato.” Vegeta ascoltò la spiegazione, concentrato. Il modo in cui muoveva le mani, decisa, rapida, gli fece supporre che forse non se la sarebbe cavata male nel suo pianeta.

Le labbra impartivano ordini, e nessuno osava rispondergli o contraddirla.

“…e poi porterai me fin lassù, tutto chiaro?”
“ Come come come? Io non ti porto lassù, questo non me l’avevi detto.”

“ In questo modo eviterei di usare le gru. Risparmierei tempo, denaro e forze.” Sentenziò, stringendo i pugni.

“Non era nel patto.”

“Ho detto che mi serviva il tuo aiuto, e tu me l’hai concesso. Ora rispetta gli accordi.” Vegeta sorrise, quella donna gli teneva testa.

Guardandola bene, dato che non l’aveva mai osservata quanto quella notte, Vegeta ripensò alle donne Sayan: erano così diverse, così forti, così indipendenti.

Le donne di razza umana, invece, erano deboli, gracili, dovevano essere protette.

“Ma lo sai che potrei ucciderti per la tua mancanza di rispetto?”

Bulma tacque, assottigliando le palpebre, fino a trasformare i suoi occhi in sottili fessure turchesi.

Dio mio quanto lo detestava.

Fece per aprir bocca, ma decise di tener per sé quell’aspro commento, cercando di essere superiore.
“Hai paura donna? Non parli perché ti ho intimidito?”

Lei scrollò le spalle, dandogli la schiena e tornando a fissare il progetto.

“Se proprio non vuoi prendermi in braccio, allora vacci tu là in cima.”

Vegeta deglutì: lui sapeva distruggere, non creare. Fili di rame, lamiere, bulloni e che altro non erano di sua competenza.

Certo, come no, era solo quello il motivo per cui l’afferrò per la vita e la condusse dove voleva, senza tanti preamboli.

Diciamoci la verità: voleva sentire la sua pelle, sotto il suo tocco. Tutto qui.

E quando impaurita Bulma le si appiccicò al collo, il contatto del seno di lei sul suo petto gli fece fare una strana smorfia.

Che fosse…tentazione?

“Ricordati, con questo i termini sono cambiati: sei in debito con me donna, per ben due volte.”

“Certo, e ora portami su quei tubi, senza tante storie.”

Sorrise malizioso, mentre saltava giù dall’astronave per prendere quello che la donna chiedeva.

Forse la terra non è solo polvere e spazzatura.

 

…continua…



 

 

 

Note Glob°°:

Credetemi, amo alla follia questa coppia: è stata il mio primo amore e lo sarà per sempre, nonostante la lista delle altre che mi sono entrate nel cuore.

Eppure, non aveva mai scritto su di loro, fantasticato sì, ma mai elaborato un insieme di frasi compiute per creare una fic – possibilmente- decente.

Sarà una long, di quanti capitoli non so ancora dirvelo, ma il titolo ha un significato ben preciso, e di certo lo capirete lungo la storia. E’ solo il primo capitolo, o meglio, oserei dire un sorta di prologo agli eventi che accadranno in futuro.
1Aiuto significa molto più di aiuto.

Spero vi ispiri : D

Glob ò-ò

 

Disclaimer: i personaggi citati sono sotto ©Akira Toriyama, e non mi appartengono. Sono utilizzati senza alcuno scopo di lucro, e non intendo avvalermi della maternità di essi.

 

 

 

 

 

 

 

  
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