Dedicata ad Alyss.., che ha avuto l'idea di questa trama.
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I can’t turn this around
I keep running into walls that I can’t break down
I said I just wander around
With my eyes wide shut because of you
Adam
Lambert, “Sleepwalker”
Ziva seguì con lo sguardo il suo collega, che continuava
a camminare avanti e indietro come un animale in gabbia. Ogni tanto si
fermava
davanti al plasma e fissava pensieroso la foto della reporter
scomparsa, per
poi tornare a muoversi irrequieto tra le scrivanie.
Sentiva
che doveva fare qualcosa per lui, perché quel
caso a cui stavano lavorando lo stava lentamente logorando. Tony era
sempre
stato una brava persona oltre che un ottimo agente, ma non era normale lasciarsi coinvolgere in quel
modo da una persona che non aveva mai visto prima. Invece, da quando
avevano
spostato le indagini dall’omicidio del capitano Hutton alla
scomparsa della
sorella, la sua era diventata una vera e propria ossessione,
tanto da non riuscire a pensare ad altro e a lavorare
ininterrottamente, senza nessun riguardo per la propria salute.
“...
Tony.” Ziva
lo chiamò, cercando di nascondere la sua crescente
preoccupazione, interrompendolo
mentre riepilogava ad alta voce, per l’ennesima volta, le
informazioni che
avevano raccolto su Dana Hutton.
Le
fu subito accanto, incollando gli occhi allo schermo
del suo computer. “Qualche riscontro?”
“Non
ancora. Ma--”
“Dannazione!”
Tony si passò nervosamente una mano tra i
capelli, frustrato per la mancanza di progressi.
“Tony.”
Lei lo chiamò nuovamente, notando non per la
prima volta che evitava di guardarla negli occhi.
“E’ tutto il giorno che vai
avanti senza fermarti un attimo, hai bisogno di riposarti.”
“Io
sto benissimo. Ma lei non lo
starà ancora per molto, se continuo-- se continuiamo
a stare con le mani in
mano.”
“Stiamo
facendo tutto il possibile per--”
“No,
non stiamo facendo abbastanza!” Sbottò, con gli
occhi che brillavano di un misto di rabbia e disperazione.
“In questi casi le
prime 48 ore sono fondamentali e non possiamo sprecare neanche un
secondo!”
Nel
tentativo di smorzare la tensione, McGee si unì
alla discussione. “Stiamo prendendo in considerazione tutte
le piste, ma non
abbiamo ancora nessuna prova che la Hutton sia stata davvero
rapita.”
“Oh,
certo, aspettiamo pure di ritrovarla sepolta in
qualche bosco! Dopotutto, è solo una coincidenza
se è sparita dopo che il fratello è morto in una
sparatoria!” Tony replicò con
un sarcasmo pungente. “E comunque...” Aggiunse
più pacatamente, quasi tra sé e
sé, abbassando gli occhi. “Una persona non
dovrebbe sparire così, come se non
fosse mai esistita... Senza che nessuno la cerchi...”
“Forse
dovremmo sentire ancora l’ex fidanzato: avrà
anche un alibi, ma è stata lei
a
lasciarlo e sappiamo che lui non l’ha presa affatto bene.
Potrebbe aver assunto
qualcuno per--“
A
quelle parole qualcosa scattò in Tony, che si
irrigidì e diventò sempre più rosso in
viso. Mentre si dirigeva con fare
minaccioso verso la scrivania di McGee, strinse i pugni talmente forte
da
sbiancare le nocche. “Non. Dire. Un’altra.
Parola.” Gli intimò, sibilando a
desti stretti.
In
quel momento Ziva non riuscì a trattenere un
brivido: quello non era il Tony che
conosceva. Che fine aveva fatto l’uomo che si fingeva un
ragazzino immaturo, per
potersi nascondere dietro all’ironia e agli scherzi non
appena la realtà
diventava difficile da affrontare?
Le
tornò in mente la furiosa discussione che avevano
avuto l’anno scorso in ascensore, l’unica volta in
cui lo aveva visto in uno
stato simile: quando, per un istante, Tony aveva smesso di fingere, dando libero sfogo ai sentimenti
che aveva a lungo
represso. Ma, a differenza di quella volta, ora non riusciva a capire cosa poteva scatenare una simile
reazione.
Piazzandosi
davanti alla scrivania, Tony sbatté
violentemente i palmi delle mani sulla superficie, facendo sobbalzare
il suo
collega più giovane. “Lui
non c’entra
nulla, quante volte te lo devo ripetere? Non potrebbe mai farlo, mai... perché la ama... anche se lei lo ha
lasciato...” Concluse con la voce
incrinata, che tentò di coprire schiarendosi la gola.
“...
Okay.”
Nonostante la mancanza di logica e imparzialità del suo
collega, McGee sospirò
e alzò le mani in segno di resa. Ormai sapeva per esperienza
che era inutile
ragionare con lui in quelle condizioni. “Proverò
a... cercare eventuali moventi
dei colleghi, allora.”
Ziva
aggrottò le sopracciglia, confusa anche da
quell’atteggiamento: non solo McGee, ma anche Abby e Ducky
erano molto
remissivi verso Tony, per nulla sorpresi dal suo improvviso
cambiamento.
Perfino Gibbs lo assecondava, lasciandogli addirittura le redini del
caso senza
nessun valido motivo. Era evidente che i suoi colleghi sapevano
qualcosa che
lei ignorava, e aveva la spiacevole sensazione che la stessero tenendo apposta all’oscuro.
Tony
intanto, sempre più irrequieto, andò alla propria
scrivania e prese rapidamente giacca, pistola e distintivo.
“Dite a Gibbs che
torno al locale dove è stata vista per l’ultima
volta: magari a qualcuno è
venuto in mente qualche cosa di strano, qualche particolare... o
qualcosa del
genere.”
Quando
le passò accanto per raggiungere l’ascensore,
Ziva riuscì a intravedere per un attimo la sua espressione
tormentata e, in
quel momento, decise che se quel caso era così importante per lui, allora lo era anche
per lei. Ma prima voleva
capire perché.
Non
appena sentì le porte di metallo chiudersi, si
alzò
e si piazzò davanti alla scrivania di McGee, nello stesso
punto che Tony aveva
occupato. “Questa non è la prima volta,
vero?” Esordì senza preamboli,
incrociando le braccia al petto.
Il
suo collega inarcò le sopracciglia. “Non capisco a
cosa ti riferisci...”
“McGee.”
Terrorizzato
dalla minaccia che la sua voce neanche
troppo velava, lui deglutì e smise di fingersi
inconsapevole. “... Purtroppo
non è una cosa semplice da spiegare.”
“Provaci.”
“E’
vero, questo suo modo di comportarsi non è una
novità per noi. Tu non c’eri... Questa estate,
quando abbiamo saputo della Damocles,
eravamo tutti devastati. Ma
Tony... non so, era come se qualcosa dentro di lui si fosse rotto per
sempre. Era
ossessionato, voleva vendicarti ad
ogni costo...”
Per
Ziva quello era abbastanza: ora era tutto più
chiaro. “Ho capito, grazie.” Annuì con
aria assente, trovando difficile parlare
con la gola così stretta.
Tornata
al suo posto, riprese a lavorare con maggiore determinazione.
Si era ricordata di avere un grosso debito
da ripagare, e intendeva iniziare a farlo aiutandolo a salvare quella
donna,
con cui non poteva fare a meno di identificarsi.
Voleva
chiudere quel caso il più velocemente possibile,
perché dopo la attendeva una conversazione che aveva
rimandato troppo a lungo.
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Il
caso si era rivelato molto più complicato del
previsto. Dopo due giorni di lavoro incessante e un viaggio in Messico,
Ziva si
ritrovò finalmente davanti alla porta di Tony, stringendo
nervosamente
l’oggetto che teneva in mano. Bussò solo dopo aver
sentito che la sua
televisione era accesa: non era tardi, solo le nove di sera, ma sapeva
che aveva
molto sonno arretrato da recuperare e non voleva disturbarlo.
Stava
quasi per andarsene, pensando che doveva essersi
addormentato in soggiorno, quando udì dei passi seguiti
dallo scatto della
serratura. Tony non sembrò molto sorpreso di vederla e, con
un cenno quasi
impercettibile del capo, la invitò a entrare.
Allarmata
dal suo insolito silenzio, Ziva lo seguì
all’interno con passi lenti e misurati, guardandosi intorno
per accertarsi che
non ci fosse nulla di strano: nel suo appartamento regnava il tipico e
familiare disordine ma, per fortuna, non c’erano bottiglie o
lattine in giro. Una
scatola di pizza, a cui mancavano solo un paio di fette, giaceva
abbandonata ai
piedi del tavolino da caffè.
Lo
osservò mentre si lasciava cadere sul divano e
tornava a fissare apaticamente lo schermo della televisione. Se
possibile, Tony
le sembrava ancora più stanco e invecchiato
rispetto a quando stavano lavorando al caso, come se tutta
l’adrenalina che
l’aveva sostenuto in quei giorni fosse scomparsa, lasciando
dietro di sé un
guscio vuoto. Come temeva, l’aver salvato la reporter non era
bastato per far
tornare tutto come prima.
Ziva
tentò di coinvolgerlo in una discussione.
“E’
stato un caso molto faticoso, vero?”
“...
Sì.” Lui
mormorò senza staccare gli occhi dal televisore. Nonostante
l’apparenza, si era
accorta che stava fissando l’apparecchio senza realmente
vederlo.
“Ma,
come si dice, tutto è bene quel che finisce meglio.”
Commentò con un leggero sorriso,
aspettandosi che la correggesse come al solito.
“Già.”
Ormai
era chiaro che non gli avrebbe strappato altro
che monosillabi e, visto che non era brava a fare conversazione, decise
di
arrivare direttamente al punto. O, per meglio dire, ai punti,
dato che era venuta per due motivi... uno dei quali molto
più difficile da trattare
dell’altro.
Partendo
dal più semplice, Ziva si avvicinò e gli
consegnò un piccolo contenitore blu scuro. “Siamo
rimasti tutti allibiti quando
non ti sei presentato.” Cercò di usare un tono di
voce divertito, per non far
emergere la sua preoccupazione. “Ancora più
incredibile è stato vedere Gibbs
farsi avanti per ritirarla al tuo
posto!”
Distogliendo
lo sguardo dallo schermo, Tony aprì la
confezione e lanciò un’occhiata disinteressata al
suo contenuto, per poi
richiuderla subito dopo. Con un’alzata di spalle, la
appoggiò non molto
delicatamente sul tavolino che aveva davanti. “E’
solo un pezzo di metallo.”
In
qualsiasi altra circostanza, Ziva sarebbe scoppiata
a ridere sentendo un simile commento uscire dalla bocca di Tony, colui che aveva un intero cassetto
pieno di medaglie e targhe
non sue. Ora, invece, non poteva che provare una profonda tristezza a
vederlo
così.
Quell’atteggiamento
eccessivamente modesto, quasi
noncurante, le ricordava di quando, appena tornati dalla Somalia, erano
stati
accolti dall’applauso dei loro colleghi: anche lui era al
centro
dell’attenzione, come aveva sempre desiderato, eppure si era
scansato e aveva
raggiunto silenziosamente la sua scrivania. Come se non se lo meritasse.
Ziva
non poteva più sopportare il pesante silenzio che
si era formato di nuovo tra loro due, ma non sapeva neanche come
affrontare
l’argomento successivo, il motivo principale per cui si
trovava lì, ed era costretta
ad ammettere di essere spaventata.
Non
era abituata a sentirsi così e se ne vergognava,
perché il coraggio era l’unica
cosa che non le era mai mancata. Ma ormai sapeva bene che, quando si
trattava
di Tony, niente era in bianco e
nero.
Sapeva
che, anche se non ne parlavano e continuavano a
fare finta di niente, alla fine tutto sarebbe tornato più o
meno alla
normalità. In passato era già accaduto molte
volte. Non questa volta, però: era
davvero stanca di fingere, e lo era
anche lui.
“So
perché il caso era così importante per
te.” Ziva
serrò la mascella e raddrizzò le spalle,
ostentando una sicurezza che in realtà
non possedeva. “E’ stato come rivivere questa
estate: io ero come Dana Hutton,
scomparsa nel nulla senza dire niente a
nessuno, e tu... tu eri come il suo
ex fidanzato... che non ha mai smesso di preoccuparsi per lei, anche se
lo
aveva lasciato... E quando ha saputo cosa le era successo, si
è sentito in
colpa...”
Si
bloccò, senza più fiato, troppo scossa da
quell’improvvisa rivelazione per continuare. Aveva capito perché Tony si era preoccupato
tanto per una reporter sparita, ma
aveva completamente frainteso il ruolo che lui
stava rivivendo: non il salvatore... ma l’uomo abbandonato e
ferito che,
nonostante tutto, era in preda ai sensi di colpa per non aver potuto impedire quello che le era successo.
Non
era l’unica ad essere turbata. Tony, finalmente
ridestato dall’apatia, aveva spento la televisione e si era
alzato in piedi, fissandola
a bocca aperta. “Come... Chi te l’ha--?”
“Non
ha importanza. Quello che conta è: le cose stanno davvero
così?”
“...
Immagino di sì.” Lui ammise, lasciando vagare lo
sguardo per tutta la stanza prima di guardarla dritto negli occhi.
Sentiva,
come sicuramente aveva sentito anche lei, che era arrivato il momento
di essere
sinceri l’uno con
l’altra e,
soprattutto, con se stessi. “Volevo salvarla a ogni costo:
non potevo
permettere che la storia si ripetesse...”
Confusa
dal suo ragionamento, Ziva aggrottò le
sopracciglia. “Ma tu ce l’hai fatta, mi hai salvata!”
“L’ho
fatto davvero?” Tony domandò retorico, con parole
tristi e amare. “O una parte di te è ancora
imprigionata in quella cella?”
Lei
aprì e chiuse la bocca diverse volte per ribattere,
ma nessun suono uscì dalla sua gola. “Ci
siamo.” Pensò rassegnata, sentendo solo
i battiti del proprio cuore
rimbombarle nelle orecchie.
Tony
inspirò profondamente e si fece coraggio. “Vorrei
che mi raccontassi cosa ti è successo in Somalia.”
Ziva
deglutì nel tentativo di sciogliere il nodo che
sentiva in gola. Quando aveva deciso di andare da lui, aveva
preventivato che
avrebbero affrontato quell’argomento... Non solo, lei stessa aveva voluto aprirsi e
parlargliene, accettando l’aiuto
che sapeva le avrebbe offerto per liberarsi da quel peso.
Adesso
però, dopo aver visto come si stava ancora
tormentando, aveva dei ripensamenti: sapeva bene che Tony era molto
più sensibile di quanto
lasciava credere e
lei temeva che, raccontandoglielo, non avrebbe fatto altro che
fomentare i suoi
ingiusti sensi di colpa. Aveva già fatto così
tanto per lei, non poteva
accollargli anche quel fardello.
“Credimi...
è
meglio di no. Ti pentiresti di averlo voluto sapere.”
“Hai
ragione, forse non voglio saperlo. Ma ne ho bisogno...
e anche tu.” Lui la fissò con
un’intensità tale da toglierle il fiato. Nei suoi
occhi verdi, più chiari del
solito, si riflettevano al tempo stesso angoscia, determinazione e
qualcos’altro
che non riusciva bene a identificare. “Lo so che
può sembrare stupido, ma sono
certo che dopo ti sentirai un po’ meglio. Lascia che ti
aiuti.”
A
quelle parole Ziva distolse lo sguardo, sbattendo
ripetutamente le palpebre per rimuovere l’umidità
che sentiva sugli occhi. Capì
che era anche sua la responsabilità per quanto accaduto in
quei giorni. Da
quando era tornata dalla Somalia, pur di non mostrare agli altri e
soprattutto
a se stessa la sua debolezza, aveva
preferito tenersi tutto dentro e tentare di guarire da sola,
allontanando involontariamente
tutti quelli che volevano aiutarla. Specialmente Tony che, sentendosi
tagliato
fuori da quello che stava passando senza capirne il motivo, per
compensare aveva
rivissuto l’esperienza con un’altra persona. Ma fin
dall’inizio voleva solo una
cosa: finire ciò che aveva iniziato a settembre e salvarla, questa volta completamente.
Tony
fece un passo verso di lei. L’ultima cosa che
voleva fare era metterla sotto pressione, ma sapeva che se in quel
momento non insisteva,
non lottava, lei si sarebbe chiusa
di
nuovo in se stessa. “Ti prego, Ziva, solo per questa volta...
fammi entrare.”
Nonostante
tutto, Ziva si sentì affiorare sul viso un
lieve sorriso. Aveva fallito, tutti gli sforzi che aveva fatto per
allontanarlo
erano stati inutili. Anzi, più lo faceva e più
lui era determinato a tornare...
o, forse, la verità era che non se ne era mai
andato: solo adesso comprendeva appieno il significato di quella
canzone che a
volte Tony cantava, I’ve Got You
Under My
Skin.
Quando
infine la vide annuire, Tony lasciò andare il
respiro che stava trattenendo senza accorgersene e, con un mezzo
sorriso di
incoraggiamento, tese la mano verso di lei. Ziva la accettò
senza fare domande
e si lasciò condurre verso il divano.
Anche
se si erano seduti a una certa distanza l’una
dall’altro, le loro mani erano ancora unite: sapevano
entrambi che lei aveva
bisogno del suo spazio, ma nessuno dei due voleva rinunciare a quel
gesto così
semplice e confortante.
Con
un sospiro tremante, Ziva raccolse il coraggio per
aprirsi completamente. Lui meritava di sentire la vera
storia, non la versione edulcorata e piena di omissioni,
raccontata con pieno distacco emotivo, che aveva rifilato alla
psicologa
dell’NCIS. A cominciare dai sentimenti che aveva provato,
anche quelli che
preferiva dimenticare. “Quando mi avete lasciata in
Israele... mi sono sentita
tradita. Solo dopo ho capito che è stato ingiusto da parte
mia pensarlo, specialmente
dopo aver costretto Gibbs a
scegliere
uno di noi due... Ma Eli--”
“Avevi...
avevi ragione.” Anche se si era ripromesso di
non interromperla, Tony non poté fare a meno di intervenire
con voce strozzata.
“Diciamo sempre di essere una squadra, invece alla prima
difficoltà ti abbiamo
abbandonata--”
“Non
è stata colpa vostra.” Lei replicò con
veemenza, fissandolo
dritto negli occhi fino a quando lui annuì debolmente. Non
voleva assolutamente
lasciargli pensare una cosa simile. “Eli non si è
lasciato sfuggire
l’occasione, e l’ha sfruttata per convincermi ad
accettare la missione. Sapeva
che, senza di voi, non avevo altra scelta che fidarmi di lui... cosa
che ho
fatto ciecamente. Era mio padre,
non
ho preso neppure in considerazione l’idea che
lui...” Si morse il labbro
inferiore per impedirgli di tremare e chiuse con forza gli occhi,
ricacciando
indietro le lacrime che minacciavano di cadere. “... Ho
sbagliato tutto...”
Si
rilassò solo quando Tony le strinse di più la
mano,
tracciando delicatamente con il pollice dei cerchi sulla sua pelle: non
sapeva
come, ma gli era bastato un piccolo gesto per comunicarle tutta la sua
vicinanza e partecipazione per quello che stava rivivendo. Ziva, ora
più che
mai grata di averlo al proprio fianco, riuscì a ricomporsi e
a continuare col
racconto anche se, non essendo sicura di poter continuare a sostenere
il suo
sguardo, preferì spostare gli occhi sulle loro mani
intrecciate.
Descrisse
i preparativi del viaggio e quello che era
successo sulla Damocles, di cui
probabilmente lui era già a conoscenza. Gli parlò
di come aveva scelto di
continuare la missione, anche se era un suicidio annunciato, e in che
modo era
riuscita a infiltrarsi nel campo, arrivando a un soffio dal suo
obiettivo.
Passò
poi a raccontargli della sua prigionia, senza
nascondere nulla ma risparmiando i dettagli più cruenti. Gli
disse quello che aveva
subito, dalla semplice abitudine di tenerla rinchiusa in una cella
buia, per
farle perdere la cognizione del tempo, fino ai molti metodi che avevano
usato
per distruggerla fisicamente e
psicologicamente, degradandola a
qualcosa di meno di un essere umano. Gli confidò che, pur
sapendo che nessuno
stava venendo ad aiutarla, durante i primi tempi non aveva mai perso la
speranza di riuscire a liberarsi... Ma, alla fine, si era arresa e non
poteva
far altro che aspettare di venire liberata dalla morte.
Mentre
gli parlava, anche se teneva gli occhi
abbassati, Ziva capiva molto di quello che Tony provava grazie alle
loro mani,
ancora unite: se esitava a causa di una memoria particolarmente
dolorosa,
sentiva il battito del suo polso accelerare all’impazzata;
non appena aveva
bisogno di conforto, il suo tocco si faceva più caldo e
delicato; quando
raccontava quello che aveva subito, le sue mani tremavano per la rabbia.
Ziva,
una volta arrivata verso la fine, non poté fare a
meno di sentirsi esausta ma anche fiera
di se stessa per essere arrivata così lontano. Era stato
più difficile del
previsto, ma era riuscita a tenere sotto controllo le sue emozioni, a
parte
alcuni istanti in cui la voce l’aveva abbandonata e gli occhi
si erano
arrossati.
“Prima
del vostro arrivo, mi ero ormai rassegnata alla
prospettiva di morire, ma non nel modo che mi era stato insegnato.
Già prima di
entrare nel Mossad, quando ero ancora una bambina, Eli mi aveva
inculcato i
valori per cui, secondo lui, un vero eroe doveva sacrificarsi: patria,
famiglia, ideologia. Ma se sono resistita così a lungo,
senza mai cedere alle
torture di Saleem e dei suoi uomini, non l’ho fatto certo per
la patria, che mi ha abbandonata al
mio
destino, per la famiglia, il cui
unico legame è il sangue che non si fa scrupoli a versare, o
per qualche
stupida ideologia.”
Mentre
parlava la sua voce si era leggermente incrinata,
ma continuò lo stesso. “... L’ho fatto
solo per voi. Non mi importava di
morire, mi bastava sapere di aver dimostrato la mia lealtà a
voi. Avevo un... un unico
rimpianto... Può
sembrare assurdo, lo so, ma... in questi anni ho sempre dato per
scontato che,
qualunque cosa mi sarebbe successa, voi tutti sareste stati
lì per farmi
giustizia: tu e McGee a indagare, Abby ad analizzare le prove, Ducky
a...
parlare con me e Gibbs a torchiare il colpevole, fino a farlo
confessare. E’
così che desidero andarmene: con voi al mio fianco. E in
Somalia ero terrorizzata,
perché... non volevo
morire da sola...”
Proprio
quando Ziva pensava di avercela fatta, la sua
voce si spezzò completamente. Improvvisamente si
sentì soffocare, come se tutte
le emozioni che aveva tenuto meticolosamente sotto controllo stessero
per
esplodere, ed era costretta a strizzare gli occhi perché
erano come in fiamme. Non
riuscì a credere alle proprie orecchie quando un singhiozzo
uscì dalla sua
gola, seguito a poca distanza da un altro. E un altro. Era come un
effetto
domino: non sapeva quanto ancora poteva resistere prima di crollare davanti a Tony, e il suo unico
pensiero coerente era di fuggire
il più velocemente possibile.
Stava
per farlo, quando sentì qualcosa di umido cadere
sulla sua mano. Alzò lentamente gli occhi e quello che vide
le spezzò il cuore:
Tony stava piangendo silenziosamente. Per lei.
Senza vergognarsi, senza cercare di nascondersi.
Vincendo
l’esitazione, lei gli sfiorò le guance rigate
dalle lacrime, come per accertarsi che fossero reali. “Oh.”
Ziva pensò, con una traccia di sorpresa, quando
sentì
scorrere inarrestabili le proprie. Stranamente, non provava nessuna vergogna per quell’atto
che, in
un passato ormai lontano, aveva considerato una debolezza.
Ancora
confuso da quello che gli stava accadendo, Tony vide
quella donna forte e indipendente cadere preda del suo stesso tumulto
interiore, e si stupì per come appariva giovane e fragile.
In quel momento
voleva dirle tante cose: che era ok lasciarsi andare di tanto in tanto,
che
poteva sempre contare su di lui, che non l’avrebbe mai
lasciata, che... Ma per
quello ci sarebbe stato tempo più tardi, adesso desiderava
solo starle il più vicino
possibile.
La
abbracciò con estrema delicatezza, come se avesse
paura di rompere la cosa più importante e preziosa che aveva
al mondo. Era
talmente concentrato a darle tutto il conforto di cui era capace, senza
aspettarsi nulla in cambio, che quasi non notò il leggero
movimento con cui
Ziva lo strinse a sua volta tra le braccia. Subito dopo la vide
appoggiare la
testa sulla sua spalla e sentì le lacrime bagnargli la
camicia.
Tony
non sapeva per quanto tempo erano rimasti così, con
lui che le massaggiava lentamente la schiena e lei che con il suo
calore lo
riscaldava dal gelo interiore che aveva provato negli ultimi giorni, ma
alla
fine si rilassarono entrambi, perfettamente a loro agio in quella intimità fino allora
sconosciuta.
Attraverso
il proprio petto, sentì il battito del cuore
di Ziva farsi sempre più lento e regolare, fino a quando
scivolò in un sonno
tranquillo. Osservando la sua espressione serena,
Tony capì di essere finalmente in pace con se stesso.
Appoggiò
gentilmente la testa sulla sua, respirando a
pieni polmoni il suo profumo, e la baciò con dolcezza sui
capelli. “Grazie.” Mormorò,
senza neanche sapere per cosa esattamente la stava ringraziando. Per tutto, probabilmente.
Mentre
stava per addormentarsi, a Tony parve di vedere
un sorriso illuminare il viso di Ziva. Non sapeva cosa riservava il
futuro a
loro due, ma almeno di una cosa era sicuro: lo avrebbero affrontato
insieme.