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Autore: Hellspirit    05/05/2010    7 recensioni
Tony è ossessionato da un caso e Ziva vuole capire perchè. *SPOILER 7x21*
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anthony DiNozzo, Ziva David
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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One-shot altamente speculativa basata sugli spoiler della 7x21. Sicuramente sarà totalmente diversa dalla puntata, ma è questo il bello delle fanfiction XD

Dedicata ad Alyss.., che ha avuto l'idea di questa trama.


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I can’t turn this around
I keep running into walls that I can’t break down
I said I just wander around
With my eyes wide shut because of you
 

Adam Lambert, “Sleepwalker”

 

 
Ziva seguì con lo sguardo il suo collega, che continuava a camminare avanti e indietro come un animale in gabbia. Ogni tanto si fermava davanti al plasma e fissava pensieroso la foto della reporter scomparsa, per poi tornare a muoversi irrequieto tra le scrivanie.

Sentiva che doveva fare qualcosa per lui, perché quel caso a cui stavano lavorando lo stava lentamente logorando. Tony era sempre stato una brava persona oltre che un ottimo agente, ma non era normale lasciarsi coinvolgere in quel modo da una persona che non aveva mai visto prima. Invece, da quando avevano spostato le indagini dall’omicidio del capitano Hutton alla scomparsa della sorella, la sua era diventata una vera e propria ossessione, tanto da non riuscire a pensare ad altro e a lavorare ininterrottamente, senza nessun riguardo per la propria salute.

 “... Tony.” Ziva lo chiamò, cercando di nascondere la sua crescente preoccupazione, interrompendolo mentre riepilogava ad alta voce, per l’ennesima volta, le informazioni che avevano raccolto su Dana Hutton.

Le fu subito accanto, incollando gli occhi allo schermo del suo computer. “Qualche riscontro?”

“Non ancora. Ma--”

“Dannazione!” Tony si passò nervosamente una mano tra i capelli, frustrato per la mancanza di progressi.

“Tony.” Lei lo chiamò nuovamente, notando non per la prima volta che evitava di guardarla negli occhi. “E’ tutto il giorno che vai avanti senza fermarti un attimo, hai bisogno di riposarti.”

“Io sto benissimo. Ma lei non lo starà ancora per molto, se continuo-- se continuiamo a stare con le mani in mano.”

“Stiamo facendo tutto il possibile per--”

“No, non stiamo facendo abbastanza!” Sbottò, con gli occhi che brillavano di un misto di rabbia e disperazione. “In questi casi le prime 48 ore sono fondamentali e non possiamo sprecare neanche un secondo!”

Nel tentativo di smorzare la tensione, McGee si unì alla discussione. “Stiamo prendendo in considerazione tutte le piste, ma non abbiamo ancora nessuna prova che la Hutton sia stata davvero rapita.”

“Oh, certo, aspettiamo pure di ritrovarla sepolta in qualche bosco! Dopotutto, è solo una coincidenza se è sparita dopo che il fratello è morto in una sparatoria!” Tony replicò con un sarcasmo pungente. “E comunque...” Aggiunse più pacatamente, quasi tra sé e sé, abbassando gli occhi. “Una persona non dovrebbe sparire così, come se non fosse mai esistita... Senza che nessuno la cerchi...”

“Forse dovremmo sentire ancora l’ex fidanzato: avrà anche un alibi, ma è stata lei a lasciarlo e sappiamo che lui non l’ha presa affatto bene. Potrebbe aver assunto qualcuno per--“

A quelle parole qualcosa scattò in Tony, che si irrigidì e diventò sempre più rosso in viso. Mentre si dirigeva con fare minaccioso verso la scrivania di McGee, strinse i pugni talmente forte da sbiancare le nocche. “Non. Dire. Un’altra. Parola.” Gli intimò, sibilando a desti stretti.

In quel momento Ziva non riuscì a trattenere un brivido: quello non era il Tony che conosceva. Che fine aveva fatto l’uomo che si fingeva un ragazzino immaturo, per potersi nascondere dietro all’ironia e agli scherzi non appena la realtà diventava difficile da affrontare?

Le tornò in mente la furiosa discussione che avevano avuto l’anno scorso in ascensore, l’unica volta in cui lo aveva visto in uno stato simile: quando, per un istante, Tony aveva smesso di fingere, dando libero sfogo ai sentimenti che aveva a lungo represso. Ma, a differenza di quella volta, ora non riusciva a capire cosa poteva scatenare una simile reazione.

Piazzandosi davanti alla scrivania, Tony sbatté violentemente i palmi delle mani sulla superficie, facendo sobbalzare il suo collega più giovane. “Lui non c’entra nulla, quante volte te lo devo ripetere? Non potrebbe mai farlo, mai... perché la ama... anche se lei lo ha lasciato...” Concluse con la voce incrinata, che tentò di coprire schiarendosi la gola.

 “... Okay.” Nonostante la mancanza di logica e imparzialità del suo collega, McGee sospirò e alzò le mani in segno di resa. Ormai sapeva per esperienza che era inutile ragionare con lui in quelle condizioni. “Proverò a... cercare eventuali moventi dei colleghi, allora.”

Ziva aggrottò le sopracciglia, confusa anche da quell’atteggiamento: non solo McGee, ma anche Abby e Ducky erano molto remissivi verso Tony, per nulla sorpresi dal suo improvviso cambiamento. Perfino Gibbs lo assecondava, lasciandogli addirittura le redini del caso senza nessun valido motivo. Era evidente che i suoi colleghi sapevano qualcosa che lei ignorava, e aveva la spiacevole sensazione che la stessero tenendo apposta all’oscuro.

Tony intanto, sempre più irrequieto, andò alla propria scrivania e prese rapidamente giacca, pistola e distintivo. “Dite a Gibbs che torno al locale dove è stata vista per l’ultima volta: magari a qualcuno è venuto in mente qualche cosa di strano, qualche particolare... o qualcosa del genere.”

Quando le passò accanto per raggiungere l’ascensore, Ziva riuscì a intravedere per un attimo la sua espressione tormentata e, in quel momento, decise che se quel caso era così importante per lui, allora lo era anche per lei. Ma prima voleva capire perché.

Non appena sentì le porte di metallo chiudersi, si alzò e si piazzò davanti alla scrivania di McGee, nello stesso punto che Tony aveva occupato. “Questa non è la prima volta, vero?” Esordì senza preamboli, incrociando le braccia al petto.

Il suo collega inarcò le sopracciglia. “Non capisco a cosa ti riferisci...”

McGee.”

Terrorizzato dalla minaccia che la sua voce neanche troppo velava, lui deglutì e smise di fingersi inconsapevole. “... Purtroppo non è una cosa semplice da spiegare.”

“Provaci.”

“E’ vero, questo suo modo di comportarsi non è una novità per noi. Tu non c’eri... Questa estate, quando abbiamo saputo della Damocles, eravamo tutti devastati. Ma Tony... non so, era come se qualcosa dentro di lui si fosse rotto per sempre. Era ossessionato, voleva vendicarti ad ogni costo...”

Per Ziva quello era abbastanza: ora era tutto più chiaro. “Ho capito, grazie.” Annuì con aria assente, trovando difficile parlare con la gola così stretta.

Tornata al suo posto, riprese a lavorare con maggiore determinazione. Si era ricordata di avere un grosso debito da ripagare, e intendeva iniziare a farlo aiutandolo a salvare quella donna, con cui non poteva fare a meno di identificarsi.

Voleva chiudere quel caso il più velocemente possibile, perché dopo la attendeva una conversazione che aveva rimandato troppo a lungo.

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Il caso si era rivelato molto più complicato del previsto. Dopo due giorni di lavoro incessante e un viaggio in Messico, Ziva si ritrovò finalmente davanti alla porta di Tony, stringendo nervosamente l’oggetto che teneva in mano. Bussò solo dopo aver sentito che la sua televisione era accesa: non era tardi, solo le nove di sera, ma sapeva che aveva molto sonno arretrato da recuperare e non voleva disturbarlo.

Stava quasi per andarsene, pensando che doveva essersi addormentato in soggiorno, quando udì dei passi seguiti dallo scatto della serratura. Tony non sembrò molto sorpreso di vederla e, con un cenno quasi impercettibile del capo, la invitò a entrare.

Allarmata dal suo insolito silenzio, Ziva lo seguì all’interno con passi lenti e misurati, guardandosi intorno per accertarsi che non ci fosse nulla di strano: nel suo appartamento regnava il tipico e familiare disordine ma, per fortuna, non c’erano bottiglie o lattine in giro. Una scatola di pizza, a cui mancavano solo un paio di fette, giaceva abbandonata ai piedi del tavolino da caffè.

Lo osservò mentre si lasciava cadere sul divano e tornava a fissare apaticamente lo schermo della televisione. Se possibile, Tony le sembrava ancora più stanco e invecchiato rispetto a quando stavano lavorando al caso, come se tutta l’adrenalina che l’aveva sostenuto in quei giorni fosse scomparsa, lasciando dietro di sé un guscio vuoto. Come temeva, l’aver salvato la reporter non era bastato per far tornare tutto come prima.

Ziva tentò di coinvolgerlo in una discussione. “E’ stato un caso molto faticoso, vero?”

 “... Sì.” Lui mormorò senza staccare gli occhi dal televisore. Nonostante l’apparenza, si era accorta che stava fissando l’apparecchio senza realmente vederlo.

“Ma, come si dice, tutto è bene quel che finisce meglio.” Commentò con un leggero sorriso, aspettandosi che la correggesse come al solito.

“Già.”

Ormai era chiaro che non gli avrebbe strappato altro che monosillabi e, visto che non era brava a fare conversazione, decise di arrivare direttamente al punto. O, per meglio dire, ai punti, dato che era venuta per due motivi... uno dei quali molto più difficile da trattare dell’altro.

Partendo dal più semplice, Ziva si avvicinò e gli consegnò un piccolo contenitore blu scuro. “Siamo rimasti tutti allibiti quando non ti sei presentato.” Cercò di usare un tono di voce divertito, per non far emergere la sua preoccupazione. “Ancora più incredibile è stato vedere Gibbs farsi avanti per ritirarla al tuo posto!”

Distogliendo lo sguardo dallo schermo, Tony aprì la confezione e lanciò un’occhiata disinteressata al suo contenuto, per poi richiuderla subito dopo. Con un’alzata di spalle, la appoggiò non molto delicatamente sul tavolino che aveva davanti. “E’ solo un pezzo di metallo.”

In qualsiasi altra circostanza, Ziva sarebbe scoppiata a ridere sentendo un simile commento uscire dalla bocca di Tony, colui che aveva un intero cassetto pieno di medaglie e targhe non sue. Ora, invece, non poteva che provare una profonda tristezza a vederlo così.

Quell’atteggiamento eccessivamente modesto, quasi noncurante, le ricordava di quando, appena tornati dalla Somalia, erano stati accolti dall’applauso dei loro colleghi: anche lui era al centro dell’attenzione, come aveva sempre desiderato, eppure si era scansato e aveva raggiunto silenziosamente la sua scrivania. Come se non se lo meritasse.

Ziva non poteva più sopportare il pesante silenzio che si era formato di nuovo tra loro due, ma non sapeva neanche come affrontare l’argomento successivo, il motivo principale per cui si trovava lì, ed era costretta ad ammettere di essere spaventata. Non era abituata a sentirsi così e se ne vergognava, perché il coraggio era l’unica cosa che non le era mai mancata. Ma ormai sapeva bene che, quando si trattava di Tony, niente era in bianco e nero.

Sapeva che, anche se non ne parlavano e continuavano a fare finta di niente, alla fine tutto sarebbe tornato più o meno alla normalità. In passato era già accaduto molte volte. Non questa volta, però: era davvero stanca di fingere, e lo era anche lui.

“So perché il caso era così importante per te.” Ziva serrò la mascella e raddrizzò le spalle, ostentando una sicurezza che in realtà non possedeva. “E’ stato come rivivere questa estate: io ero come Dana Hutton, scomparsa nel nulla senza dire niente a nessuno, e tu... tu eri come il suo ex fidanzato... che non ha mai smesso di preoccuparsi per lei, anche se lo aveva lasciato... E quando ha saputo cosa le era successo, si è sentito in colpa...”

Si bloccò, senza più fiato, troppo scossa da quell’improvvisa rivelazione per continuare. Aveva capito perché Tony si era preoccupato tanto per una reporter sparita, ma aveva completamente frainteso il ruolo che lui stava rivivendo: non il salvatore... ma l’uomo abbandonato e ferito che, nonostante tutto, era in preda ai sensi di colpa per non aver potuto impedire quello che le era successo.

Non era l’unica ad essere turbata. Tony, finalmente ridestato dall’apatia, aveva spento la televisione e si era alzato in piedi, fissandola a bocca aperta. “Come... Chi te l’ha--?”

“Non ha importanza. Quello che conta è: le cose stanno davvero così?”

“... Immagino di sì.” Lui ammise, lasciando vagare lo sguardo per tutta la stanza prima di guardarla dritto negli occhi. Sentiva, come sicuramente aveva sentito anche lei, che era arrivato il momento di essere sinceri l’uno con l’altra e, soprattutto, con se stessi. “Volevo salvarla a ogni costo: non potevo permettere che la storia si ripetesse...”

Confusa dal suo ragionamento, Ziva aggrottò le sopracciglia. “Ma tu ce l’hai fatta, mi hai salvata!”

“L’ho fatto davvero?” Tony domandò retorico, con parole tristi e amare. “O una parte di te è ancora imprigionata in quella cella?”

Lei aprì e chiuse la bocca diverse volte per ribattere, ma nessun suono uscì dalla sua gola. “Ci siamo.” Pensò rassegnata, sentendo solo i battiti del proprio cuore rimbombarle nelle orecchie.

Tony inspirò profondamente e si fece coraggio. “Vorrei che mi raccontassi cosa ti è successo in Somalia.”

Ziva deglutì nel tentativo di sciogliere il nodo che sentiva in gola. Quando aveva deciso di andare da lui, aveva preventivato che avrebbero affrontato quell’argomento... Non solo, lei stessa aveva voluto aprirsi e parlargliene, accettando l’aiuto che sapeva le avrebbe offerto per liberarsi da quel peso.

Adesso però, dopo aver visto come si stava ancora tormentando, aveva dei ripensamenti: sapeva bene che Tony era molto più sensibile di quanto lasciava credere e lei temeva che, raccontandoglielo, non avrebbe fatto altro che fomentare i suoi ingiusti sensi di colpa. Aveva già fatto così tanto per lei, non poteva accollargli anche quel fardello.

 “Credimi... è meglio di no. Ti pentiresti di averlo voluto sapere.”

“Hai ragione, forse non voglio saperlo. Ma ne ho bisogno... e anche tu.” Lui la fissò con un’intensità tale da toglierle il fiato. Nei suoi occhi verdi, più chiari del solito, si riflettevano al tempo stesso angoscia, determinazione e qualcos’altro che non riusciva bene a identificare. “Lo so che può sembrare stupido, ma sono certo che dopo ti sentirai un po’ meglio. Lascia che ti aiuti.”

A quelle parole Ziva distolse lo sguardo, sbattendo ripetutamente le palpebre per rimuovere l’umidità che sentiva sugli occhi. Capì che era anche sua la responsabilità per quanto accaduto in quei giorni. Da quando era tornata dalla Somalia, pur di non mostrare agli altri e soprattutto a se stessa la sua debolezza, aveva preferito tenersi tutto dentro e tentare di guarire da sola, allontanando involontariamente tutti quelli che volevano aiutarla. Specialmente Tony che, sentendosi tagliato fuori da quello che stava passando senza capirne il motivo, per compensare aveva rivissuto l’esperienza con un’altra persona. Ma fin dall’inizio voleva solo una cosa: finire ciò che aveva iniziato a settembre e salvarla, questa volta completamente.

Tony fece un passo verso di lei. L’ultima cosa che voleva fare era metterla sotto pressione, ma sapeva che se in quel momento non insisteva, non lottava, lei si sarebbe chiusa di nuovo in se stessa. “Ti prego, Ziva, solo per questa volta... fammi entrare.”

Nonostante tutto, Ziva si sentì affiorare sul viso un lieve sorriso. Aveva fallito, tutti gli sforzi che aveva fatto per allontanarlo erano stati inutili. Anzi, più lo faceva e più lui era determinato a tornare... o, forse, la verità era che non se ne era mai andato: solo adesso comprendeva appieno il significato di quella canzone che a volte Tony cantava, I’ve Got You Under My Skin.

Quando infine la vide annuire, Tony lasciò andare il respiro che stava trattenendo senza accorgersene e, con un mezzo sorriso di incoraggiamento, tese la mano verso di lei. Ziva la accettò senza fare domande e si lasciò condurre verso il divano.

Anche se si erano seduti a una certa distanza l’una dall’altro, le loro mani erano ancora unite: sapevano entrambi che lei aveva bisogno del suo spazio, ma nessuno dei due voleva rinunciare a quel gesto così semplice e confortante.

Con un sospiro tremante, Ziva raccolse il coraggio per aprirsi completamente. Lui meritava di sentire la vera storia, non la versione edulcorata e piena di omissioni, raccontata con pieno distacco emotivo, che aveva rifilato alla psicologa dell’NCIS. A cominciare dai sentimenti che aveva provato, anche quelli che preferiva dimenticare. “Quando mi avete lasciata in Israele... mi sono sentita tradita. Solo dopo ho capito che è stato ingiusto da parte mia pensarlo, specialmente dopo aver costretto Gibbs a scegliere uno di noi due... Ma Eli--”

“Avevi... avevi ragione.” Anche se si era ripromesso di non interromperla, Tony non poté fare a meno di intervenire con voce strozzata. “Diciamo sempre di essere una squadra, invece alla prima difficoltà ti abbiamo abbandonata--”

“Non è stata colpa vostra.” Lei replicò con veemenza, fissandolo dritto negli occhi fino a quando lui annuì debolmente. Non voleva assolutamente lasciargli pensare una cosa simile. “Eli non si è lasciato sfuggire l’occasione, e l’ha sfruttata per convincermi ad accettare la missione. Sapeva che, senza di voi, non avevo altra scelta che fidarmi di lui... cosa che ho fatto ciecamente. Era mio padre, non ho preso neppure in considerazione l’idea che lui...” Si morse il labbro inferiore per impedirgli di tremare e chiuse con forza gli occhi, ricacciando indietro le lacrime che minacciavano di cadere. “... Ho sbagliato tutto...”

Si rilassò solo quando Tony le strinse di più la mano, tracciando delicatamente con il pollice dei cerchi sulla sua pelle: non sapeva come, ma gli era bastato un piccolo gesto per comunicarle tutta la sua vicinanza e partecipazione per quello che stava rivivendo. Ziva, ora più che mai grata di averlo al proprio fianco, riuscì a ricomporsi e a continuare col racconto anche se, non essendo sicura di poter continuare a sostenere il suo sguardo, preferì spostare gli occhi sulle loro mani intrecciate.

Descrisse i preparativi del viaggio e quello che era successo sulla Damocles, di cui probabilmente lui era già a conoscenza. Gli parlò di come aveva scelto di continuare la missione, anche se era un suicidio annunciato, e in che modo era riuscita a infiltrarsi nel campo, arrivando a un soffio dal suo obiettivo.

Passò poi a raccontargli della sua prigionia, senza nascondere nulla ma risparmiando i dettagli più cruenti. Gli disse quello che aveva subito, dalla semplice abitudine di tenerla rinchiusa in una cella buia, per farle perdere la cognizione del tempo, fino ai molti metodi che avevano usato per distruggerla fisicamente e psicologicamente, degradandola a qualcosa di meno di un essere umano. Gli confidò che, pur sapendo che nessuno stava venendo ad aiutarla, durante i primi tempi non aveva mai perso la speranza di riuscire a liberarsi... Ma, alla fine, si era arresa e non poteva far altro che aspettare di venire liberata dalla morte.

Mentre gli parlava, anche se teneva gli occhi abbassati, Ziva capiva molto di quello che Tony provava grazie alle loro mani, ancora unite: se esitava a causa di una memoria particolarmente dolorosa, sentiva il battito del suo polso accelerare all’impazzata; non appena aveva bisogno di conforto, il suo tocco si faceva più caldo e delicato; quando raccontava quello che aveva subito, le sue mani tremavano per la rabbia.

Ziva, una volta arrivata verso la fine, non poté fare a meno di sentirsi esausta ma anche fiera di se stessa per essere arrivata così lontano. Era stato più difficile del previsto, ma era riuscita a tenere sotto controllo le sue emozioni, a parte alcuni istanti in cui la voce l’aveva abbandonata e gli occhi si erano arrossati.

“Prima del vostro arrivo, mi ero ormai rassegnata alla prospettiva di morire, ma non nel modo che mi era stato insegnato. Già prima di entrare nel Mossad, quando ero ancora una bambina, Eli mi aveva inculcato i valori per cui, secondo lui, un vero eroe doveva sacrificarsi: patria, famiglia, ideologia. Ma se sono resistita così a lungo, senza mai cedere alle torture di Saleem e dei suoi uomini, non l’ho fatto certo per la patria, che mi ha abbandonata al mio destino, per la famiglia, il cui unico legame è il sangue che non si fa scrupoli a versare, o per qualche stupida ideologia.”

Mentre parlava la sua voce si era leggermente incrinata, ma continuò lo stesso. “... L’ho fatto solo per voi. Non mi importava di morire, mi bastava sapere di aver dimostrato la mia lealtà a voi. Avevo un... un unico rimpianto... Può sembrare assurdo, lo so, ma... in questi anni ho sempre dato per scontato che, qualunque cosa mi sarebbe successa, voi tutti sareste stati lì per farmi giustizia: tu e McGee a indagare, Abby ad analizzare le prove, Ducky a... parlare con me e Gibbs a torchiare il colpevole, fino a farlo confessare. E’ così che desidero andarmene: con voi al mio fianco. E in Somalia ero terrorizzata, perché... non volevo morire da sola...”

Proprio quando Ziva pensava di avercela fatta, la sua voce si spezzò completamente. Improvvisamente si sentì soffocare, come se tutte le emozioni che aveva tenuto meticolosamente sotto controllo stessero per esplodere, ed era costretta a strizzare gli occhi perché erano come in fiamme. Non riuscì a credere alle proprie orecchie quando un singhiozzo uscì dalla sua gola, seguito a poca distanza da un altro. E un altro. Era come un effetto domino: non sapeva quanto ancora poteva resistere prima di crollare davanti a Tony, e il suo unico pensiero coerente era di fuggire il più velocemente possibile.

Stava per farlo, quando sentì qualcosa di umido cadere sulla sua mano. Alzò lentamente gli occhi e quello che vide le spezzò il cuore: Tony stava piangendo silenziosamente. Per lei. Senza vergognarsi, senza cercare di nascondersi.

Vincendo l’esitazione, lei gli sfiorò le guance rigate dalle lacrime, come per accertarsi che fossero reali. “Oh.” Ziva pensò, con una traccia di sorpresa, quando sentì scorrere inarrestabili le proprie. Stranamente, non provava nessuna vergogna per quell’atto che, in un passato ormai lontano, aveva considerato una debolezza.

Ancora confuso da quello che gli stava accadendo, Tony vide quella donna forte e indipendente cadere preda del suo stesso tumulto interiore, e si stupì per come appariva giovane e fragile. In quel momento voleva dirle tante cose: che era ok lasciarsi andare di tanto in tanto, che poteva sempre contare su di lui, che non l’avrebbe mai lasciata, che... Ma per quello ci sarebbe stato tempo più tardi, adesso desiderava solo starle il più vicino possibile.

La abbracciò con estrema delicatezza, come se avesse paura di rompere la cosa più importante e preziosa che aveva al mondo. Era talmente concentrato a darle tutto il conforto di cui era capace, senza aspettarsi nulla in cambio, che quasi non notò il leggero movimento con cui Ziva lo strinse a sua volta tra le braccia. Subito dopo la vide appoggiare la testa sulla sua spalla e sentì le lacrime bagnargli la camicia.

Tony non sapeva per quanto tempo erano rimasti così, con lui che le massaggiava lentamente la schiena e lei che con il suo calore lo riscaldava dal gelo interiore che aveva provato negli ultimi giorni, ma alla fine si rilassarono entrambi, perfettamente a loro agio in quella intimità fino allora sconosciuta.

Attraverso il proprio petto, sentì il battito del cuore di Ziva farsi sempre più lento e regolare, fino a quando scivolò in un sonno tranquillo. Osservando la sua espressione serena, Tony capì di essere finalmente in pace con se stesso.

Appoggiò gentilmente la testa sulla sua, respirando a pieni polmoni il suo profumo, e la baciò con dolcezza sui capelli. “Grazie.” Mormorò, senza neanche sapere per cosa esattamente la stava ringraziando. Per tutto, probabilmente.

Mentre stava per addormentarsi, a Tony parve di vedere un sorriso illuminare il viso di Ziva. Non sapeva cosa riservava il futuro a loro due, ma almeno di una cosa era sicuro: lo avrebbero affrontato insieme.

  
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