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Autore: HamletRedDiablo    17/05/2010    5 recensioni
Si portò con lentezza luttuosa alla finestra, e scandagliò con i suoi occhi smeraldo il mondo esterno, così misero di oggetti realmente allettanti: il colore cupo della strada, la monotonia dei muri tutti uguali, le glaciali insegne al neon, le nuvole plumbee che ruggivano nel cielo…
Un brivido gli percorse la schiena, reagendo alla freddezza che quell’anonimia gli trasmetteva.
-Under-chan…- bisbigliò, appoggiando la fronte al ghiaccio del vetro. –Perché la primavera non arriva mai?-
[Seconda classificata al contest "Through the Window" indetto da DarkRose86]
Genere: Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Red Diablo
Titolo: 
Primavera di Novembre
Fandom: 
Kuroshitsuji
Numero scelto: 
4
Personaggi/Pairing: 
Sebastian, Ciel, Grell, Undertaker; [SebastianCiel, accenni UndertakerGrell]
Genere: 
Drammatico
Rating: 
Arancione
Avvertimenti: 
Yaoi, AU (Alternative Universe), OneShot, Angst, Death Charachter
Beta-reading: 

Note dell'Autore ( se ce ne sono ): 
ho inserito in fondo le NdA per evitare spoiler ^^
Introduzione: 
Si portò con lentezza luttuosa alla finestra, e scandagliò con i suoi occhi smeraldo il mondo esterno, così misero di oggetti realmente allettanti: il colore cupo della strada, la monotonia dei muri tutti uguali, le glaciali insegne al neon, le nuvole plumbee che ruggivano nel cielo…

Un brivido gli percorse la schiena, reagendo alla freddezza che quell’anonimia gli trasmetteva.

-Under-chan…- bisbigliò, appoggiando la fronte al ghiaccio del vetro. –Perché la primavera non arriva mai?-

 

 Dedicata alla sorella angst e a Shino-kun <3

Perchè sono scrittrici fantastiche ed amiche ancora migliori ^_^

 

Primavera di Novembre

 

La sigaretta agonizzò lentamente prima di spegnersi contro la superficie del posacenere.

-Ancora ad incancrenirti i polmoni con quella robaccia?- disapprovò una voce alle sue spalle.

-Lasciami soddisfare le mie pulsioni suicide- rispose mellifluo l’interpellato, lasciandosi cadere sul divano.

-Se proprio vuoi ammazzarti, potresti farlo in un modo meno pestilenziale- protestò il giovane, sventagliandosi il viso con una mano. –Mi ci vorranno ore per togliere questo tanfo dalle tende!- si lagnò, esaminando quasi con disperazione il tessuto impregnato di quell’odore acre.

-Potresti fumare fuori- fece notare una terza persona, stesa sul pavimento in un’improbabile posizione yoga.

-No, non potrei- ribatté serafico colui che aveva appestato l’ambiente. –E’ gennaio: la temperatura è decisamente troppo bassa per uscire-

-Solo tu riesci a vedere la primavera in questo mese, Grell- dichiarò il ragazzo dal viso seminascosto dalla lunga frangia argentea, rotolando prono. –Te lo diceva sempre anche…-

Un soffocante velo di silenzio calò sui tre, pesante come lo sanno essere solo i ricordi felici ottenebrati dal grigiore del presente.

Fu Grell ad interrompere quella specie di imbarazzo funereo:

-Sebas-chan, Under-chan, che ne dite di andarlo a trovare? Sarà felice di rivederci-

Undertaker si stuzzicò il mento con una delle sue lunghe unghie nere prima di borbottare:

-Sì, penso anche io che una nostra visita gli farebbe piacere…-

Due teste scattarono verso l’unico individuo che ancora non aveva esplicitato il suo volere, in un invito piuttosto pressante a condividere con loro i suoi pensieri.

Ma Sebastian si rifiutò di proferire parola: si alzò con lemma dal divano e si coprì le spalle con la giacca prima di avviarsi verso la porta di casa.

-Sebas-chan, aspe...- tentò di trattenerlo Grell, ma venne fermato dalla mano di Undertaker, che corse rapida ad afferrargli il braccio.

-Lascialo andare- gli consigliò. –Non credo ci voglia con sé in questo momento-

Il ragazzo più impulsivo si arrese a malincuore, inghiottendo controvoglia il groppo amaro che sembrava ostruirgli la gola.

Si portò con lentezza luttuosa alla finestra, e scandagliò con i suoi occhi smeraldo il mondo esterno, così misero di oggetti realmente allettanti: il colore cupo della strada, la monotonia dei muri tutti uguali, le glaciali insegne al neon, le nuvole plumbee che ruggivano nel cielo…

Un brivido gli percorse la schiena, reagendo alla freddezza che quell’anonimia gli trasmetteva.

-Under-chan…- bisbigliò, appoggiando la fronte al vetro ghiacciato. –Perché la primavera non arriva mai?-

L’interpellato rimase in silenzio, lanciando un’occhiata al ritaglio di giornale abbandonato sul tavolo: quell’inusuale finestra di mattoni, così erosa dal tempo e sbiadita dalla filigrana scadente del giornale, non gli era mai apparsa tanto simile al cancello dell’Ade.

 

Erano amici da tanto tempo.

Forse troppo.

Per questo entrambi potevano intuire con esattezza

quali pensieri affollassero la mente di Sebastian,

mentre i piedi lo conducevano alla sua meta.

Quali ricordi venissero risvegliati dal suo animo tormentato.

Non c’era niente che facesse male come il passato.

Non era tanto l’impossibilità di tornare indietro per correggere gli errori,

quanto il fatto che si poteva ricordare ciò che era stato infinite volte,

fin nei minimi particolari,

ma non si poteva mai riviverlo davvero.

Le emozioni provate, le sensazioni innescate, i pensieri formulati…

non sarebbero mai stati evocati con l’intensità che li aveva resi degni di essere vissuti.

Era questo che faceva male del passato.

 

***


Gemmea l'aria, il sole così chiaro 
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore, 
e del prunalbo l'odorino amaro 
senti nel cuore...[*]

 

-Io dico che quest’anno la primavera arriverà in anticipo- dichiarò Grell, stiracchiandosi sonnacchioso come un gatto.

-Impossibile- lo liquidò impietoso Sebastian, senza neppure distogliere lo sguardo dal caffè che la macchinetta automatica stava generosamente versando nella tazzina.

-Ma quanto sei borioso! Sentiamo, perché è così improbabile, secondo te?- lo rimbeccò il primo, porgendo contemporaneamente una pasta al cliente al di là del bancone: l’irritazione, però, gli fece serrare le dita con troppa forza, ed il malcapitato avventore si ritrovò con la marmellata presente più sul tovagliolo che all’interno della pasta.

-Per quanto sia un’ipotesi originale, è escluso che la primavera anticipi tanto il suo corso da arrivare in novembre- spiegò serafico il secondo, poggiando il caffè richiesto sul piano di legno sintetico.

-Temo che Sebastian abbia ragione…- s’intromise Undertaker, di ritorno dal giro di ordinazioni ai tavoli.

-Ah, quindi io avrei torto? Bene, tu stasera dormi sul divano!- s’irritò Grell, voltandosi di scatto in modo da frustare con la chioma scarlatta il volto del maldestro fidanzato.

Assistere a quegli scontri di lotta verbale era uno dei motivi di maggior richiamo del locale gestito dai tre. La gente si divertiva un  mondo ad assistere alle loro schermaglie, peraltro condotte in perfetta sincronia con il lavoro del bar, quasi per loro fossero naturali come respirare: servivano un caffè e bisticciavano, prendevano le ordinazioni e battibeccavano, pulivano per terra e si provocavano.

Ciò che attivava quel processo esilarante erano i caratteri opposti dei tre interessati: il moro distaccato e altero, il rosso incendiario e permaloso, ed infine il… il ragazzo con quelle inquietanti cicatrici sul viso, sempre pronto a ridere su tutto, che fosse un numero comico o una persona squartata.

-Vi sembra il caso di fare tutto questo chiasso di fronte ai clienti?- li ammonì l’ultimo arrivato sulla scena.

Da qualche mese, a quella strana compagnia si era aggiunto un quarto elemento: un ragazzino austero in ogni fibra del suo essere e costantemente chiuso in un silenzio superbo, interrotto solo dalle sporadiche occasioni in cui sentiva la necessità di manifestare la sua disapprovazione per certi comportamenti poco contenuti.

-E poi, Grell, dovresti saperlo che Sebastian ha l’insopportabile vizio di avere sempre ragione- sentenziò perentorio, assestando il grembiule lievemente stropicciato.

-Condividi la mia opinione?- si sorprese l’uomo dai capelli corvini, esprimendo la sua meraviglia con un unico movimento del sopracciglio destro.

-Quando una persona è nel giusto, lo è a prescindere da quanto sia sgradevole nella vita reale- si limitò a spiegare Ciel, tornando rapido alle sue mansioni.

-Uno minaccia di far dormire sul divano il prossimo, l’altro insulta…- meditò Undertaker, con il consueto tono strascicato e derisorio. –E’ una specie di rivolta, per caso?- ghignò.

-Non hai nulla di più produttivo da fare?- s’inviperì Grell, rassettando i capelli sfuggiti alla presa dell’elastico. –Ad esempio servire i clienti?- specificò, intuendo immediatamente che quell’imprevedibile ragazzo dal sogghigno sardonico non gli avrebbe concesso altra risposta che non fosse un largo, insolente sorriso canzonatorio.

-Io vorrei sapere perché quel nanerottolo si schiera sempre contro di me!- s’invelenì Grell, rivolgendo uno sguardo incollerito al collega di bancone.

-Perché lui possiede un realismo migliore del tuo- si defilò Sebastian, riprendendo con noncuranza il suo lavoro. –E non scambia il caso fortuito di una giornata mite per l’arrivo della primavera-

-Tu saresti da ammazzare, Sebas-chan- decretò Grell, scattando stizzito al suo posto.

Un enorme sospiro di disappunto si levò nel locale, nel vederli tornare alle loro attività.

Per quel giorno, lo spettacolo della guerra domestica era finito.

 

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante 
di nere trame segnano il sereno, 
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante 
sembra il terreno.[*]

 

Le dita lisciarono alacremente ogni più minuscola piega della divisa, riponendola con impeccabile cura all’interno dell’armadietto.

-A domani, Sebas-chan!- trillò Grell, avviandosi rapido alla porta: non odiava il proprio lavoro, ma era ben felice quando le lancette dell’orologio gli davano il diritto di tornarsene a casa.

-Cerca di sopravvivere fino a domattina- lo salutò Undertaker, sparendo nella notte con una delle sue inconfondibili risate.

Chissà gli psicoanalisti cosa avrebbero pensato della strana amicizia che univa i tre: forse avrebbero detto che Sebastian soddisfaceva i suoi reconditi desideri masochistici torturandosi con la compagnia di persone che non facevano altro che contraddirlo; oppure avrebbero supposto che gli inconsci intenti sadici di Undertaker spingessero quest’ultimo a tenere accanto a sé due persone da seviziare psicologicamente; o, ancora, avrebbero dichiarato che la traboccante libido di Grell attirava inesorabilmente gli altri due come il nettare fa con le api.

-Se ne sono andati?- domandò una voce sottile, mentre un viso che ancora non aveva perso del tutto le rotondità dell’infanzia si affacciava alla porta.

Ed anche quel ragazzino costituiva un interessante caso per gli psicologi: quale moto irrazionale poteva spingere un giovane serio e composto come lui a rimanere in compagnia di simili individui palesemente affetti da nevrosi?

-Già- confermò quieto Sebastian, richiudendo l’armadietto.

Silenzioso, Ciel si portò al suo fianco e, lento e metodico, cominciò a spogliarsi a sua volta della divisa.

-Non capisco perché Grell si ostini a vedere la primavera dove c’è l’inverno- rimuginò, sbottonando la camicia.

-E’ una malattia piuttosto comune di questo tempo: si chiama “idiozia”- asserì Sebastian, appoggiando le spalle all’armadietto in modo da essere più comodo nell’attendere il ragazzo.

-Non ha senso essere ottimisti…- ribatté Ciel, piegando con più forza del dovuto il capo appena tolto. -Non vi è nulla che lasci presagire qualcosa di buono in questo mondo…-

Non vi era nulla, e lui lo sapeva bene.

Non vi era alcun senso dietro le azioni umane.

Tutti si illudevano che il proprio agire si riversasse in un qualche piano superiore,

in cui ogni cosa etichettata come maligna si sarebbe rivelata portatrice di bene.

Ma lui non era il tipo da credere a facili superstizioni.

Non esistevano né il bene né il male.

Solo il nulla.

E questa forse era la cosa peggiore.

Perché il bene o il male erano entità che potevano essere definite, seguite o combattute…

Il nulla no.

Con la sua consistenza impalpabile, figlia della caducità, il nulla non si poteva afferrare, né descrivere, né razionalizzare.

E gli uomini non possono reagire a ciò che non comprendono se non con la cieca paura.

Il nulla si subiva e basta.

-Stai tremando-

La constatazione, veicolata dalla voce vellutata dell’uomo, lo ridestò dalle sue meditazioni come uno scossone.

Sperando ardentemente di non aver fatto trasparire il suo turbamento durante quel momento di debolezza, riprese impassibile a spogliarsi della divisa, sorvegliato da due occhi rubino che lo puntavano con l’insistenza di un falco che caccia la preda.

-Forse anche tu aspettavi con tanta impazienza la primavera da non resistere alla tentazione di alleggerire il vestiario come faresti nella bella stagione?- una lieve nota di scherno colorò la voce ed il ghigno del moro, quando quest’ultimo formulò quella frase. –E’ per questo che tremavi…-

-E’ solo perché ho le spalle scoperte- sbottò inespressivo il ragazzo più giovane, percependo il disgustoso sapore della presa in giro nelle parole dell’uomo, sebbene abilmente mascherato da dolci, quanto fasulle, gentilezze lessicali.

La carezza liscia del tessuto dell’interno di una giacca vezzeggiò le sue spalle infreddolite, regalandogli una sensazione di calore per nulla spiacevole.

-Abbi più cura della tua salute- si raccomandò Sebastian, tornando ad incrociare le braccia dopo aver protetto con il suo giubbotto il torso nudo del ragazzo da ogni possibile spiffero maligno. -Sarebbe un vero fastidio doverti sostituire al lavoro- aggiunse, premuroso di rimarcare il fatto che quel suo gesto non era una gentilezza gratuita, ma unicamente una mossa ben calcolata per evitare disturbi futuri.

Il capo del ragazzo si inclinò di lato, mentre gli occhi blu si vestivano di un manto di ineguagliabile fierezza.

-Se non vuoi che mi ammali, allora fai qualcosa per non farmi più tremare- ordinò il ragazzino, con la stessa nobiltà ed alterigia che un conte avrebbe serbato per impartire un comando al suo maggiordomo.

-Non è un posto un po’ troppo… disadorno?- disapprovò Sebastian, criticando con lo sguardo lo spogliatoio in cui si trovavano.

-Io ho freddo adesso- dichiarò il giovane, stringendo i lembi della giacca in modo da trattenere meglio il calore. –Non so se lo avrò anche dopo…- soppesò, allungando una mano per prendere la maglia da infilarsi.

Ma il braccio sottile si ritrasse velocemente per non essere ghigliottinato dall’anta dell’armadietto, chiusa di colpo da una mano che si era stancata di aspettare.

Ciel avvertì un brivido elettrico accapponargli la pelle quando la bocca morbida dell’uomo scese a viziargli con sapienza la pelle sensibile dietro l’orecchio, prima che i denti scherzassero con la cartilagine, stringendola delicatamente tra di loro.

Le mani del più giovane si lasciarono andare contro la superficie metallica dell’armadietto, scivolando su di essa quasi volessero imitare la discesa delle labbra dell’uomo lungo il collo, ricoperto con celerità di baci umidi.

Sebastian trattenne a stento un ghigno contro la pelle nivea del ragazzo, quando sentì i suoi muscoli tendersi nel soffocare un sospiro.

Lo divertiva assecondarlo nei risvolti più dignitosi, quasi principeschi, del suo carattere, così come ridacchiava nell’intimo del suo animo diabolico quando quel ragazzino gli si rivolgeva sdegnoso quasi fosse il suo padrone. Era decisamente piacevole illuderlo di avere il comando: non sarebbe stato altrettanto appagante capovolgere la situazione, altrimenti.

-Forse è meno sciocco di quanto si pensi- flautò l’uomo, avvolgendo l’esile vita semiscoperta del ragazzo con le braccia forti.

-Chi?- chiese di malavoglia Ciel, senza riuscire a dissimulare del tutto la sua seccatura per quell’interruzione.

I palmi dell’uomo imposero la loro volontà sul corpo del ragazzo, costringendolo a girarsi in modo che la noncuranza distaccata degli occhi blu potesse essere incenerita dall’incandescente lussuria delle iridi amaranto.

-Grell- annunciò Sebastian, issando senza sforzo il sottile fisico del giovane sui suoi addominali, sostenendolo per le cosce e facendogli appoggiare la schiena, ancora difesa dalla giacca, contro la sottile parete dell’armadietto. –L’altro giorno mi ha spiegato perché il suo ottimismo sarebbe la giusta chiave di lettura del cosmo-

-Quell’esagitato avrebbe afferrato il senso dell’esistenza?- diffidò il più piccolo, torcendo le labbra in una smorfia dubbiosa e stringendo le gambe attorno al bacino dell’uomo. -E quale sarebbe?-

-Mi ha confidato che, secondo lui, si può vedere la primavera anche quando non c’è… è sufficiente che ci sia qualcuno a riscaldarci se ci renderemo conto che in realtà è inverno- disse, distanziando i bordi della giacca così che il petto scoperto del ragazzo potesse essere raggiunto ed accarezzato dalla sua mano. –Un pensiero molto comodo per rischiare nella vita e allo stesso modo avere… le spalle coperte, non trovi?- domandò lusingatore, lanciando un’occhiata sardonica alla giubba adagiata sulle scapole del ragazzo.

-La vita è un inferno, non è un tripudio di colori- dichiarò secco Ciel, al quale la disillusione aveva spento da tempo ogni sorriso residuo. -Però, se la tua ipotesi è corretta…-

-Io ho l’insopportabile vizio di avere sempre ragione, rammenti?- gli ricordò l’uomo, slacciando e sfilando con nonchalance la cintura del giovane.

-Forse potrei concedermi il lusso dell’ottimismo, tanto ci sarà sempre la tua giacca a coprirmi le spalle- proclamò, serio.

Non era una richiesta, né una domanda implicita: era una semplice affermazione di verità. Quell’uomo lo avrebbe sempre protetto perché lui aveva deciso così. Non vi era spazio per i dubbi.

-Ma non credo che vedere i fiori dove ci sono i rovi sia compatibile con il mio carattere- concluse infine, senza una sola punta di rammarico nella voce: conosceva la sua indole, sapeva benissimo di essere incline al pessimismo ed al cinismo. Lo sapeva e lo aveva accettato. Inutile sperare di poter condividere il punto di vista spensierato di Grell.

-Temo proprio di no…- convalidò Sebastian, liberando il giovane dal peso della giacca, ormai totalmente inutile: l’epidermide che le sue labbra baciavano era sufficientemente bollente da non aver più bisogno di alcun ausilio per riscaldarsi.

Due persone come loro, una pericolosamente simile ad un demone e l’altra tremendamente somigliante ad un nobile presuntuoso, non potevano certo sperare di ottenere dalla vita la pace o la felicità. Ma era certo che, finché fossero rimasti insieme, sarebbero stati vicendevolmente un ottimo amuleto per esorcizzare la noia.

I gracili muscoli delle gambe del ragazzo si contrassero, sforzandosi di stringere i fianchi dell’uomo con il maggior vigore possibile, mentre il busto si abbandonava in una totale adesione con quello del compagno. Le mani si tuffarono nella chioma corvina, quasi per dare un sostegno al corpo quando le labbra dell’uomo rapirono le sue, rubandogli il respiro.

-Hai ancora freddo?- lo sfidò Sebastian, formulando la domanda a pochi millimetri dalla bocca ansante del ragazzo.

-Solo gli stupidi perdono tempo in domande inutili- fu la secca replica di Ciel, non appena il respiro si fu stabilizzato.

Il primo era troppo impassibile per lasciarsi coinvolgere in discorsi romantici, il secondo era troppo arrogante per permettere a se stesso di sciogliersi in parole sentimentali. Ma il corpo non soffriva le stesse limitazioni delle parole: le mani non avevano restrizioni per le carezze, che esploravano audaci tutto il corpo dell’altro, curiose di scoprire quali reazioni avrebbe scatenato il loro tocco lascivo. Allo stesso modo, la bocca non aveva intenzione di accettare alcun limite alla sua libertà: lavorava quasi freneticamente sulla pelle sconosciuta, talmente avida di quel sapore da rimarcare con vistosi segni rossi il suo possesso esclusivo su quell’epidermide inebriante. Neppure le orecchie accettarono compromessi: assorbirono avide ogni suono, che fosse un ansito soffocato od un gemito sfuggito al controllo.

Solo gli occhi si mantenevano saldi all’indole dei padroni: le iridi cremisi non cessavano di lanciare occhiate perfidamente maliziose agli oceani cerulei, che ricambiavano con sguardi di sufficienza, quasi disgustati dalla perversione di quei pozzi sanguigni.

-Oh cielo, tremi di nuovo- constatò beffardo Sebastian, notando il tremito che scuoteva i muscoli magri del giovane tra le sue braccia. –Forse questo non è il metodo migliore per ottenere calore…-

-Se ti sembra di non aver adempiuto al tuo dovere, allora datti da fare per rimediare- protestò Ciel, allontanando risentito la testa.

Quell’espressione perentoria tipica di un padrone fece sbocciare un ghigno sarcastico sulle labbra dell’uomo, prima che esse tornassero ad imprimersi su quelle del giovane, vincendo dopo qualche istante la reticenza impermalita delle compagne più piccole.

Non riusciva ad illudersi di vedere la primavera… ma in quei momenti trovava estremamente accogliente il suo inferno personale.

E questo era sufficiente.

 

***

 

Silenzio, intorno: solo, alle ventate, 
odi lontano, da giardini ed orti, 
di foglie un cader fragile. E' l'estate 
fredda, dei morti.[*]

 

Il posto era proprio quello: un muro di mattoni con un foro rettangolare nel mezzo, che con un po’ di fantasia si sarebbe potuto definire “finestra”.

Proprio come era raffigurato nella foto di quel maledetto giornale che aveva dato loro la notizia. Ciel era passato bruscamente dall’essere una persona ad essere un numero: era stato divorato da quelle cifre ingrossate ogni anno dal sangue dei giovani assassinati senza apparente motivo.

La polizia si interrogava sulle possibili cause di quella tragedia: forse il gesto sconsiderato di un ubriacone, oppure il desiderio malato di un pazzo. O magari, come diceva Ciel, non esisteva una vera spiegazione, poiché non vi era alcun senso superiore dietro le azioni umane: era successo e basta.

Il tempo di sferrare quattro pugnalate, e tutto era finito.

Game over.

Cosa aveva provato, Ciel, nel capire che tutto stava finendo? Quando aveva realizzato che quel sangue che gli imbrattava i vestiti era il suo, a cosa aveva pensato? Quanto terrore gli aveva causato la consapevolezza che la morte era vicina ed inevitabile?

Chissà se aveva rivisto tutta la sua vita, come si dice avvenga alle persone ad un passo dall’aldilà. Se era successo, sicuramente doveva aver commentato, con le labbra lorde di sangue: -Che spreco di tempo-.

Chissà se aveva mantenuto la sua aria aristocratica anche in punto di morte, o se si era lasciato andare alla disperazione.

Chissà se aveva avuto tempo di sentire il dolore tra una pugnalata e l’altra, se aveva avuto modo di provare a difendersi, quale percorso lo aveva portato a stramazzare proprio in quel punto…

Non lo sapeva, e mai avrebbe potuto scoprirlo.

Lui non era stato lì, in quel momento.

La sua giacca non aveva protetto le spalle del piccolo da quell’uragano invernale.

C’era una cosa, però, di cui era certo: sicuramente lo stava osservando con il naso arricciato da un qualche punto indefinito nel cielo, rinfacciandogli: -Hai visto? Non ha senso tutto quello che ho fatto e per cui mi sono prodigato nella vita: è terminato tutto per la follia improvvisa di un perfetto estraneo. Alla fine, ciò che domina le nostre vite è solo il nulla-

Magari prima o poi avrebbero trovato l’assassino. Ma a che sarebbe servito? Anche strappandogli una confessione o costringendolo a subire l’iniezione letale, nulla avrebbe fatto correre al contrario le lancette dell’orologio supremo: Ciel era morto, e tale sarebbe rimasto qualunque cosa fosse successa su quel piccolo atomo dell’universo chiamato “Terra”.

Accarezzò quasi distrattamente i mattoni della strana finestra: moltissime persone vi sarebbero passate davanti, in futuro, e a tutte loro sarebbe apparsa un’innocua costruzione di mattoni.

Solo lui avrebbe sempre visto un corpo minuto e sconquassato riverso sul suo sinistro davanzale, solo lui avrebbe sempre visto lo sbiadito colore di quei mattoni rinvigorito da una cascata di sangue giovane…

Era assurdo odiare una cosa inanimata. La responsabilità di quanto accaduto non era certo di quella parete, la cui unica colpa era quella di avere fatto da scenografia all’ultimo atto della vita troppo breve del ragazzo dai distanti occhi blu.

Eppure lui non riusciva proprio a trovare piacevole la sua vista. Non perché, come avrebbe detto Grell, “sarebbe dovuta crollare sulla testa di quel maniaco omicida per difendere quel moccioso sciocco ed ingenuo”, quanto perché aveva offerto asilo e copertura alla persona che lo aveva privato di uno dei suoi più valenti collaboratori.

Era un vero incubo lavorare al bar, senza di lui: non solo dovevano coprire i suoi turni, ma erano costretti a subire la compassione esagerata che tutti i clienti si sentivano in dovere di esibire platealmente, quasi facessero a gara a chi soffriva di più per loro; a lui parevano più simili a dei pavoni esibizionisti che a delle persone sinceramente commosse.

-Ti rendi conto della situazione assurda ed imbarazzante in cui ci hai messo?- domandò alla muta finestra. –Non avresti potuto avvertire in qualche modo quel ragazzino sprovveduto?-

No, non avrei potuto.

I miei mattoni sono stati cementati tra loro tanto tempo fa, proprio da voi uomini.

Come avrei potuto aiutare quel giovane?

Non ho una bocca per urlare,

né braccia per allontanare i malintenzionati.

Credi che mi sia divertita a vedere un innocente massacrato da un pazzo?

No.

Ho assistito impotente alla scena.

L’unica cosa che ho potuto fare è stata offrire un riparo a quello sventurato

 dove esalare l’estremo respiro.

Non so se ti farà piacere saperlo, ma il suo ultimo fiato

suonava molto simile a:

“La primavera… non esiste”

L’uomo non sentì la replica della finestra: era stata formulata con una voce incorporea, quella che solo i bambini riescono a sentire quando affermano ingenuamente di poter parlare con le bambole.

Il gelo del vento dicembrino lo fece sussultare, convincendolo che era giunta l’ora di lasciare quel posto lugubre.

“Quei due” lo avrebbero sicuramente assillato di domande sul perché fosse tornato senza giacca, ma non importava: quel tessuto nero aveva trovato il suo posto lì, a riscaldare le pietre su cui il corpo del ragazzino si era raggelato.

Non poteva affermare di sapere cosa Ciel avrebbe incontrato nel prossimo mondo, o addirittura se esistesse effettivamente un aldilà… ma, in qualunque posto si trovasse in quel momento, sarebbe stato più al sicuro con una giubba a proteggergli le spalle.

Si distanziò con flemma dalla finestra, prima che un pensiero lo cogliesse a metà strada.

Si voltò, e rivolse al rettangolo complice dell’assassinio la cosa più simile ad una preghiera che il suo animo miscredente e scettico potesse formulare:

Spero solo una cosa per te, ovunque tu sia…

Il vento giocò con il tessuto della giacca, sollevando una manica quasi l’indumento lo stesse salutando.

Spero che lì la primavera duri tutta una vita…

 

 

 

 

 

Note dell’autrice:

[*] Giovanni Pascoli, “Novembre”

 

Dunque, il primo e l’ultimo spezzone sono ambientati nel presente, mentre le due parti in mezzo ambientate nel bar e nello spogliatoio fanno parte del passato.

Ho deciso di avere uno scarto netto tra presente e passato perché, a parer mio, quando una persona si immerge nei ricordi il secondo prima è nel presente, quello dopo è giù immersa nel passato, tanto che spesso occorre chiamarla più volte per ottenerne l’attenzione.

Anche i due ricordi sono staccati tra loro perché, nel flusso della memoria, difficilmente si segue una linea cronologica rigorosa, ma si tende a concentrarsi sui punti più salienti e ad eliminare gli altri.

Questa è la spiegazione per la disposizione un po’ particolare dei vari passaggi ^_^

Ciò detto, spero davvero che la fic non sia risultata troppo orribile xD

Correttezza grammaticale: 9,5/10 
Stile e lessico:
 10/10 
Trattazione dei personaggi:
 9,5/10 
Attinenza al tema ( l'immagine ):
 10/10 
Originalità:
 9/10 
Apprezzamento personale:
 5/5 

Voto complessivo:
 53/55 

Giudizio:
 stupenda. E' la prima cosa che mi viene da dire. Tu dici che non è un granché, ma io ti smentisco. 
E' incredibile come tutto quello che scrivi riesce ad essere così realistico, così emozionante; hai uno stile unico, gradevole, elaborato ma al contempo diretto ed incisivo. Così come il lessico che utilizzi, curato e ricco, e mai ripetitivo.
 
Grammaticalmente parlando è praticamente perfetta, ho notato solo due errorini, uno di grammatica ed uno di punteggiatura: un "sulla scapole" ed un "sé stesso" che va senza accento. A parte questo, tutto ok. Complimenti anche per la punteggiatura, praticamente impeccabile.
 
Ho apprezzato le citazioni tratte da Novembre, splendida poesia di Giovanni Pascoli, una delle mie preferite; si sposano perfettamente col testo della storia, regalandogli un fascino ancor maggiore.
 
Sai cos'è che mi è piaciuto di più?
 
Il modo in cui hai usato l'immagine che ti ho inviato. E' vero, la finestra appare solo nel finale ( e nella prima parte, ma vi è solo un accenno alla foto sulla pagina di giornale ), e questo inizialmente mi ha fatto un po' storcere il naso, ma poi mi sono ricreduta. La tua finestra è stata in un certo senso personificata, e l'hai fatta parlare con quella voce che, come dici ( splendido questo pezzo, uno di quelli che più ho adorato ), solo i bambini riescono a sentire quando ingenuamente affermano di poter parlare con le bambole. Ho pensato, quando ho letto quella frase, che essa potesse riferirsi anche allo stesso Ciel che, nonostante l'altezzosità e la consapevolezza che al mondo in realtà non esiste nulla di buono, dentro di sé conserva ancora un po' di fanciullesca ingenuità. Forse, prima di esalare l'ultimo respiro, potrebbe aver provato a chiedere perché, alla finestra che silenziosa osservava la sua anima abbandonare il corpo mortale. Ho trovato il tutto molto evocativo e commovente, mi hai davvero toccato il cuore.
 
I personaggi sono stati trattati molto bene, l'unica minima perplessità ce l'ho avuta su Sebastian sul finale, perché mi è parso un pochino troppo "umano"; è vero che, nella tua fanfiction, lui, Grell ed Undertaker sono persone normali e non sono presenti elementi sovrannaturali, però durante tutto il corso della storia Sebastian mantiene il suo carattere ed anche quel non so che di diabolico che lo contraddistingue, mentre alla fine cambia un po', in ogni caso non è risultato fastidioso. Gli altri sono perfetti, nulla da eccepire.
 
Grell l'ho trovato adorabile nel suo cercare la primavera nei timidi raggi del sole di novembre, e nei suoi battibecchi con l'inquietante fidanzato ( ah, quanto ho amato quegli accenni UndertakerGrell! ). Ciel e Undertaker sono assolutamente loro, non saprei cosa dire, se non che sei stata bravissima.
 
Un altro particolare che mi è piaciuto molto è stato il rapporto fra i protagonisti soprattutto nel posto di lavoro ( e poi, come ben sai, io di bar ne so qualcosa XD ).
 
La storia è anche piuttosto originale, non per il suo esito ( l'omicidio è un tema molto trattato, anche dalla sottoscritta ), quanto per il suo svolgimento e per il modo in cui le varie parti che la compongono sono suddivise, e per la trattazione del tema.
 
In conclusione una fanfiction splendida sotto tutti gli aspetti, mi è piaciuta veramente moltissimo e, lo ammetto, ho versato qualche lacrima sul finale.
 
Complimenti!
 

   
 
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