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Autore: Amathea    23/05/2010    4 recensioni
Disperazione e strazio delle sirene di fronte al rifiuto d'Ulisse.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Partenope (rivisto e corretto)

Disperazione delle sirene di fronte al rifiuto di Ulisse.

Partenope

[...]
pensa d'ascoltar delle sirene il coro,
dal cui dolce cantar tenace e forte,
mascherata di vita, esce la morte.
[G.B. Marino, L'Adone, canto IV, ottava CV]

"Ulisse vieni, vieni da noi... non senti quant'è soave il nostro canto? Quant'è dolce la nostra melodia: è come il miele! Potrai conoscere ogni cosa, quello che vuoi, tutto lo scibile del mondo, l'armonia e le leggi del cosmo. Vieni, vieni a cibarti del nostro bel canto: banchettare con noi è come nutrirsi di nettare e di ambrosia, si diviene simili a dèi. Nessun tormento sarà più nel tuo animo, solo una continua, serena, perpetua tranquillità, un'infinita soddisfazione dello spirito inebrierà i tuoi sensi, sarai in grado di racchiudere tutta la potenza dell'universo in un sol pensiero, in un sol punto in sé completo. Sappiamo anche di Telemaco, allora forza vieni, rompi ogni indugio: che fai, stolto, resisti? Eccolo, è qua con noi Telemaco: venire qui è averlo fra le braccia, come se non l'avessi mai lasciato. Saprai tutto di tuo figlio e solo da qui lo potrai aiutare, con noi, tu sarai come un dio. Vieni, sappiamo che il tuo animo è nobile, acuto, un uomo come te non può ignorare quanto la conoscenza sia cibo illuminante per lo spirito: ti si spalancano davanti le porte del sapere, e tutto, tutto quello che vuoi, ogni cosa, senza limite sarà tua. Percepiamo ardere il tuo desiderio di scoperta, qual bagliore mandano i tuoi occhi, brami più di qualsiasi mortale! Lieta sorte, quella d'averci incontrate! Vieni allora fra le nostre braccia, forza, più in fretta che puoi. Vieni ad addolcirti al suono della nostra voce di miele.
"Ulisse torna, dove vai? Non vedi che la tua nave veloce si sta allontanando? O forse scappi? Ma tu non sai da cosa fuggi e proprio per questo fuggi! Ruota bene la tua nave e falla tornare davanti al nostro scoglio, increspare di bianca schiuma questo mare più blu degli zaffiri. Qui da noi c'è tutta la beltà del mondo: il mare infinito, la sua ampiezza è pari alla nostra conoscenza, il nostro sguardo si perde di fronte alla vastità dell'orizzonte come rimane stupito davanti alla vertigine della nostra conoscenza; e se volti lo sguardo, ecco la costa, la costa!, col rigoglio della natura che esplode in queste terre feconde e amene, baciate dal sole e premiate dalla benevolenza degli dèi; e ancora i piaceri della mente invasa da ogni sorta di benessere, gli spiriti colmi di perpetua soddisfazione, di null'oltre abbiamo bisogno; e i nostri corpi perfetti fusi insieme, la nostra duplice natura già in sé svela la molteplicità del nostro sapere, che copre tutto, tutto il tuo desiderio acquietando irrequieto spirito. Pensa Ulisse, da mortale che sei a divinità, dalla tua condizione di essere effimero e caduco ad immortalità beata dominata da una possessione della conoscenza in sé perfetta. Non temere, se non sai cosa temi! Accosta con maestria la tua nave, le nostre candide braccia sono tese verso di te, vogliamo soddisfarti, non ti ricordi forse più di Telemaco? E' giusto che un padre sappia del figlio, è così bello ed aitante; vieni, e lo vedrai. Vieni, e saprai ciò che vuoi.
"Ulisse, fuggi? Ma da cosa? Nessun uomo ha mai resistito alle nostre lusinghe, noi possediamo quello che più desiderate e v'affannate tutta l'esistenza per cercare, senza trovare. Tutto il sapere del mondo è già solo reso dalla dolcezza della nostra voce, non serve altro. Una conoscenza così grande che non può nemmeno esprimersi a parole, è uno svelare e contemplare i segreti dell'universo che ti si schiudono davanti agli occhi come i petali di un fiore. Una conoscenza talmente elevata che colpisce direttamente l'intelletto nostro spirito.” dicevano questo le sirene ammaliatrici, ma inutilmente, la sagoma della nave rimpiccioliva sempre più e prometteva a breve di scomparire dall'orizzonte. Interruppero il loro canto per irrompere in lamenti e in sospiri angosciati, le mani al capo si strappavano i fini capelli biondi che ricadevano lungo il petto arrossato, graffiato dalle loro unghie e dibattuto dai loro stessi pugni, piccole gocce di sangue stillavano dalle ferite.
Presto i lamenti si trasformarono in stridule grida, lancinanti, acute, fortissime, le sentirono fin gli dèi dalle loro sedi nel cielo, fin lo stesso Helios che guardava dall'alto la scena. Lacrime amare rigavano le guance delle sirene, che si rotolavano fra le ossa delle loro vittime, le rosee bocche spalancate mostravano i loro denti aguzzi e affilati, pronti ad affondare nelle carni dei mortali, incauti malcapitati che osavano approdare sul loro scoglio. Ed eccole che in quel momento presero ad affondare proprio quei denti nella loro stessa carne, mordendo le loro braccia da cui prese ad uscire vivo sangue rosso. Una di esse grattò con forza la roccia e staccato qualche sasso lo lanciò rabbiosamente nel mare, nella direzione verso la quale la nave d'Ulisse era scomparsa; la sirena più vicina l'aiutò gettando delle ossa.
Ma le grida non cessarono, continuarono a rimbombare per l'aria e ad espandersi, a giungere fin sulla costa, a riecheggiare fra gli alberi, spaventando fin le fiere, impaurite da quello strano suono mai udito. Fu allora che Partenope si girò in cerca delle sue sorelle, ma lo scoglio non le accoglieva più, le chiamò per aria e per mare, mentre il pianto scendeva copioso e dal mento andava a ricadere sulle rocce battute dalle lievi onde cristalline. La sirena scelse così di abbandonarsi sul suo scoglio mentre fra i singhiozzi mormorava il nome delle sorelle, si lasciò cadere, come se fosse stata senza forza, e continuò a piangere: il sole negli occhi l'accecava e la bruciava, i singhiozzi le facevano sobbalzare il petto. Dopo un tempo indefinito le parve di udire una voce, che giungeva lontana, quasi celestiale, essa aveva in sé un che di accogliente “Non lasciarti ardere da me, io ti consumo”.
Guardò ancora più intensamente il sole, che le bruciava la pelle, sempre più secca, che le abbagliava gli occhi e le confondeva la mente, Partenope si ritrovò la gola talmente asciutta da non aver quasi la forza di parlare “Perché si odia la conoscenza? Li vedi? Preferiscono ignorare.” e stette lì finché i raggi del sole non la consumarono del tutto.






Amathea


N.d.A.: Il sole Helios rappresenta la luce della conoscenza che illumina ma può anche accecare, abbagliare, bruciare, ardere fino a consumare ciò che fa vivere le sirene. Sirene che sono colpite dalla loro stessa arma.


  
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