Disperazione delle sirene di fronte al rifiuto di Ulisse.
Partenope
[...]
pensa d'ascoltar
delle sirene il coro,
dal
cui dolce cantar tenace e forte,
mascherata
di vita, esce la morte.
[G.B.
Marino, L'Adone, canto IV, ottava CV]
"Ulisse
vieni, vieni da noi... non senti quant'è soave il nostro
canto? Quant'è dolce la nostra melodia: è come il
miele! Potrai conoscere ogni cosa, quello che vuoi, tutto lo scibile
del mondo, l'armonia e le leggi del cosmo. Vieni, vieni a cibarti del
nostro bel canto: banchettare con noi è come nutrirsi di
nettare e di ambrosia, si diviene simili a dèi. Nessun
tormento sarà più nel tuo animo, solo una continua,
serena, perpetua tranquillità, un'infinita soddisfazione dello
spirito inebrierà i tuoi sensi, sarai in grado di racchiudere
tutta la potenza dell'universo in un sol pensiero, in un sol punto in
sé completo. Sappiamo anche di Telemaco, allora forza vieni,
rompi ogni indugio: che fai, stolto, resisti? Eccolo, è qua
con noi Telemaco: venire qui è averlo fra le braccia, come se
non l'avessi mai lasciato. Saprai tutto di tuo figlio e solo da qui
lo potrai aiutare, con noi, tu sarai come un dio. Vieni, sappiamo che
il tuo animo è nobile, acuto, un uomo come te non può
ignorare quanto la conoscenza sia cibo illuminante per lo spirito: ti
si spalancano davanti le porte del sapere, e tutto, tutto quello che
vuoi, ogni cosa, senza limite sarà tua. Percepiamo ardere il
tuo desiderio di scoperta, qual bagliore mandano i tuoi occhi, brami
più di qualsiasi mortale! Lieta sorte, quella d'averci
incontrate! Vieni allora fra le nostre braccia, forza, più in
fretta che puoi. Vieni ad addolcirti al suono della nostra voce di
miele.
"Ulisse
torna, dove vai? Non vedi che la tua nave veloce si sta allontanando?
O forse scappi? Ma tu non sai da cosa fuggi e proprio per questo
fuggi! Ruota bene la tua nave e falla tornare davanti al nostro
scoglio, increspare di bianca schiuma questo mare più blu
degli zaffiri. Qui da noi c'è tutta la beltà del mondo:
il mare infinito, la sua ampiezza è pari alla nostra
conoscenza, il nostro sguardo si perde di fronte alla vastità
dell'orizzonte come rimane stupito davanti alla vertigine della
nostra conoscenza; e se volti lo sguardo, ecco la costa, la costa!,
col rigoglio della natura che esplode in queste terre feconde e
amene, baciate dal sole e premiate dalla benevolenza degli dèi;
e ancora i piaceri della mente invasa da ogni sorta di benessere, gli
spiriti colmi di perpetua soddisfazione, di null'oltre abbiamo
bisogno; e i nostri corpi perfetti fusi insieme, la nostra duplice
natura già in sé svela la molteplicità del
nostro sapere, che copre tutto, tutto il tuo desiderio acquietando
irrequieto spirito. Pensa Ulisse, da mortale che sei a divinità,
dalla tua condizione di essere effimero e caduco ad immortalità
beata dominata da una possessione della conoscenza in sé
perfetta. Non temere, se non sai cosa temi! Accosta con maestria la
tua nave, le nostre candide braccia sono tese verso di te, vogliamo
soddisfarti, non ti ricordi forse più di Telemaco? E' giusto
che un padre sappia del figlio, è così bello ed
aitante; vieni, e lo vedrai. Vieni, e saprai ciò che vuoi.
"Ulisse,
fuggi? Ma da cosa? Nessun uomo ha mai resistito alle nostre lusinghe,
noi possediamo quello che più desiderate e v'affannate tutta
l'esistenza per cercare, senza trovare. Tutto il sapere del mondo è
già solo reso dalla dolcezza della nostra voce, non serve
altro. Una conoscenza così grande che non può nemmeno
esprimersi a parole, è uno svelare e contemplare i segreti
dell'universo che ti si schiudono davanti agli occhi come i petali di
un fiore. Una conoscenza talmente elevata che colpisce direttamente
l'intelletto nostro spirito.” dicevano questo le sirene
ammaliatrici, ma inutilmente, la sagoma della nave rimpiccioliva
sempre più e prometteva a breve di scomparire dall'orizzonte.
Interruppero il loro canto per irrompere in lamenti e in sospiri
angosciati, le mani al capo si strappavano i fini capelli biondi che
ricadevano lungo il petto arrossato, graffiato dalle loro unghie e
dibattuto dai loro stessi pugni, piccole gocce di sangue stillavano
dalle ferite.
Presto
i lamenti si trasformarono in stridule grida, lancinanti, acute,
fortissime, le sentirono fin gli dèi dalle loro sedi nel
cielo, fin lo stesso Helios che guardava dall'alto la scena. Lacrime
amare rigavano le guance delle sirene, che si rotolavano fra le ossa
delle loro vittime, le rosee bocche spalancate mostravano i loro
denti aguzzi e affilati, pronti ad affondare nelle carni dei mortali,
incauti malcapitati che osavano approdare sul loro scoglio. Ed eccole
che in quel momento presero ad affondare proprio quei denti nella
loro stessa carne, mordendo le loro braccia da cui prese ad uscire
vivo sangue rosso. Una di esse grattò con forza la roccia e
staccato qualche sasso lo lanciò rabbiosamente nel mare, nella
direzione verso la quale la nave d'Ulisse era scomparsa; la sirena
più vicina l'aiutò gettando delle ossa.
Ma
le grida non cessarono, continuarono a rimbombare per l'aria e ad
espandersi, a giungere fin sulla costa, a riecheggiare fra gli
alberi, spaventando fin le fiere, impaurite da quello strano suono
mai udito. Fu allora che Partenope si girò in cerca delle sue
sorelle, ma lo scoglio non le accoglieva più, le chiamò
per aria e per mare, mentre il pianto scendeva copioso e dal mento
andava a ricadere sulle rocce battute dalle lievi onde cristalline.
La sirena scelse così di abbandonarsi sul suo scoglio mentre
fra i singhiozzi mormorava il nome delle sorelle, si lasciò
cadere, come se fosse stata senza forza, e continuò a
piangere: il sole negli occhi l'accecava e la bruciava, i singhiozzi
le facevano sobbalzare il petto. Dopo un tempo indefinito le parve di
udire una voce, che giungeva lontana, quasi celestiale, essa aveva in
sé un che di accogliente “Non lasciarti ardere da me, io ti
consumo”.
Guardò
ancora più intensamente il sole, che le bruciava la pelle,
sempre più secca, che le abbagliava gli occhi e le confondeva
la mente, Partenope si ritrovò la gola talmente asciutta da
non aver quasi la forza di parlare “Perché si odia la
conoscenza? Li vedi? Preferiscono ignorare.” e stette lì
finché i raggi del sole non la consumarono del tutto.
Amathea N.d.A.:
Il sole Helios rappresenta la luce della conoscenza che illumina ma
può anche accecare, abbagliare, bruciare, ardere fino a
consumare ciò che fa vivere le sirene. Sirene che sono colpite
dalla loro stessa arma.