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Autore: endif    23/05/2010    52 recensioni
“«Edward…» non mi accorgo neppure di avere sussurrato il suo nome, ma forse l’ho fatto perché lo vedo girarsi verso di me come a rallentatore. Il tempo si cristallizza qui, in questa stanza, in questo momento, restando sospeso a mezz’aria.
Sgrano gli occhi a dismisura quando capisco chi è tra le sue braccia.
No. Non può essere.”
Piccolo spoiler per questa nuova fic, il seguito di My New Moon. Ci saranno tante sorprese, nuove situazioni da affrontare per i nostri protagonisti. Un E/B passionale e coinvolgente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Change' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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EPILOGO

BELLA
La sua risata è dolce, pulita, chiara.
Sembrano cento angeli che ridono insieme.
Alza le manine in su, inarcandosi all’indietro, mentre Emmett la fa volteggiare in aria per poi caricarla sulle sue spalle con un gesto rapido, ma delicato.
Con i pugnetti stretti, afferra una ciocca dei suoi capelli e tira con forza.
Alla risata di mia figlia, si accompagna quella di Emmett, cui seguono quelle di Alice e di Jasper, i suoi angeli custodi.
Alice non la perde mai di vista. Mai.
Dal momento in cui Reneemse è venuta al mondo, tra loro due s’è instaurato un legame strano, unico.
Alice non ha più avvertito alcun tipo di dolore dall’istante esatto in cui mia figlia è uscita dal mio grembo e la piccola l’ha guardata per la prima volta dritto negli occhi.
La sua mente s’è come schiarita, come se tutta la nebbia che l’avvolgeva si fosse dipanata d’un tratto. E nel momento in cui l’ha presa tra le braccia e le sue manine piccole ed esitanti le hanno sfiorato il viso, Alice è rimasta folgorata.
Reneesme è l’esatta antitesi del suo dono.
Mentre Alice vede il futuro, lei racconta il passato.
E, poiché il passato di Alice era buio ed inconsistente nella sua mente, per lo più legato ad esperienze dolorose che, con naturale meccanismo di difesa, il suo cervello aveva rifiutato, anche il primissimo contatto tra loro due è stato dello stesso tipo.
Dolore.
In pochi secondi, Reneesme le ha raccontato mesi di sofferenze da umana di cui Alice non aveva più memoria evocando nella mente di quest’ultima dei ricordi che la sola Alice aveva sepolti nel recessi della sua mente.
Poi, più nulla.
Secondo Jasper, la bambina ha avvertito la necessità di condividere queste memorie dolorose, a lei sconosciute, con Alice ma, avendo percepito con chiarezza il disagio di quest’ultima ha come “scelto” di non arrecarle ulteriore sofferenza.
E adesso Alice gravita intorno a lei timorosa, eppur affamata, di ulteriori ricordi.
Le voci dal giardino dove quasi l’intera famiglia sta provvedendo a divertire mia figlia con ogni sorta di intrattenimento capitanata da Emmett, mi raggiungono nuovamente, attutite dal vetro della finestra della mia camera da letto.
«Piccola tigre, se tiri ancora un po’, zio Emmett diventerà calvo…». In risposta alle parole dello zio, Reneesme alza trionfante una ciocca di capelli venuta via nelle sue manine, mostrandola allo zio Jasper, il suo maestro di strategie.
«Brava, tesoro. Ben fatto. Colpire sempre nei punti deboli …»
Emmett ringhia a suo fratello e la piccola gli assesta un pugnetto sul naso.
Guai a chi le tocca zio Jasper.
Le labbra mi si distendono automaticamente in un sorriso triste, mentre, con la fronte appoggiata al vetro, non riesco a distogliere gli occhi dai riccioletti color rame di mia figlia che le sfiorano già quasi le spalle.
Una crescita straordinaria.
E inquietante.
Un mese di vita e mia figlia sembra averne dieci.
Distolgo lo sguardo e mi giro verso l’interno della camera, lanciando una lunga occhiata all’intera stanza.
Una camera che mi ha ospitato per pochi, intensissimi mesi. Mesi in cui la mia vita è radicalmente cambiata.
Gli occhi si fermano sulla porta, quindi alla sua destra, dove tre valige sono state sistemate con cura, in attesa di essere trasportate in auto.
Il mio beauty è ancora sul letto, aperto.
Tiro un sospiro e con una scrollata di spalle decido che è ora di chiudere anche questa ultima borsa.
Ci attende un lungo viaggio.


«Starà bene, vedrai. Rosalie si prenderà cura di lei»
«Lo so» rispondo, lo sguardo perso sul paesaggio che sfila via veloce al lato del mio viso, la fronte inclinata sul vetro del finestrino della Volvo.
«E Jasper la difenderebbe a costo della vita» continua Edward a voce bassissima.
«Lo so» la mia voce, ancora priva di espressione.
«Carlisle ci terrà informati su ogni minimo cambiamento» prosegue lui.
«So anche questo» nella mia voce una traccia di preoccupazione. Sospiro e chiudo gli occhi.
Sento le sue dita gelide avvolgere le mie, abbandonate, inermi, sul mio grembo. Le stringe dolcemente.
«Bella, se vuoi possiamo aspettare. Torniamo indietro anche subito, se lo desideri» La voce di Edward è tesa.
Sorrido leggermente, restando nascosta dietro alle mie palpebre chiuse.
«Non ci penso nemmeno. Abbiamo già perso troppo tempo» riapro gli occhi e mi volto nella sua direzione. E’ concentrato sulla guida.
E questo non è da lui.
«Non devi essere preoccupato» aggiungo con voce dolce.
Resta immobile per qualche secondo, poi le mani si rilassano sul volante:«Lo so» emette un breve sospiro.
«A che ora arriveremo?» gli chiedo, decidendo di cambiare discorso.
«Fra un’ora saremo all’aeroporto. Sei ore di viaggio in tutto. Faremo solo una breve sosta per scalo a Vancouver e poi saremo a destinazione. L’Alaska, in fondo, non è in capo al mondo» conclude mesto.
«Lo dici per rassicurare me o te stesso?» gli chiedo inarcando un sopracciglio.
«Entrambi» risponde dopo un attimo di incertezza, con la voce tranquilla, ma roca.
Passano un paio di minuti in cui restiamo entrambi in silenzio, persi nei rispettivi pensieri.
Edward continua a guidare con una mano sola, mentre con l’altra mi accarezza le dita, con dolcezza.
Richiudo gli occhi e reclino il capo sul poggiatesta.
Ho bisogno di un po’ di tempo per me stessa, per elaborare la tristezza e l’ansia che si sono impossessate di me nell’istante in cui ho posato un ultimo bacio sulla fronte di mia figlia e ho lasciato che Jasper l’accogliesse tra le sue braccia.
I suoi occhi, nocciola come i miei …
Come può una bimba così piccola aver capito cosa stava succedendo? Come può essere stato il suo sguardo così serio, così comprensivo?
Quando è venuto il turno di Edward di salutarla, gli si è aggrappata con le braccine al collo, stringendolo forte. Lui le ha sussurrato qualcosa con il capo inclinato al lato del suo orecchio e lei s’è scostata un pò, posandogli le manine ai lati del viso.
Edward s’è irrigidito per un momento, e poi ha sorriso.
Chissà cosa si sono detti … lei con le sue immagini, lui con le sue parole.
«Edward?» sussurro piano, interrompendo il silenzio nell’abitacolo.
«Mmm?»
«Pensi … » sospiro «pensi che le mancheremo troppo?» domando sforzandomi di mantenere ferma la voce.
Il ronzio soffuso del motore è l’unico suono tra noi per quasi un minuto intero.
«Certo che le mancheremo, Bella. Siamo i suoi genitori» risponde calmo «Ma sa che torneremo presto e che l’abbiamo lasciata a malincuore. Lei …» prende un breve respiro «si fida di noi. E … di me».
Volto il capo verso di lui e lo fisso attentamente:«Cosa ti ha “detto”?»
Le sue labbra si piegano in un accenno di sorriso:«Non so come sia possibile, ma è come se sapesse che sta per accadere qualcosa di importante, in cui io avrò un ruolo cruciale».
Stringe un po’ la presa sulle mie dita:«Ha evocato nella sua mente il primo giorno in cui ci siamo conosciuti, la nostra lezione di biologia» con un gesto rapido si porta la mia mano alle labbra.
Assorbo queste informazioni con avidità.
Edward può leggerle nella mente e lei comunica le sue emozioni evocando dei ricordi per ognuno di noi.
Per tutti.
Ma non per me.
Carlisle ha addotto diverse possibili spiegazioni per questa eccezione, ma quella che a me sembra essere la più valida è che si tratti dello stesso, oscuro meccanismo che preclude la mia mente ad Edward.
La mia cara, vecchia anomalia … Reneesme non ha mai mostrato fastidio o irritazione a riguardo. Gioca tranquilla con me più che con gli altri e, anche se spesso ha poggiato le mani sul mio viso, non ho mai avuto l’impressione che fosse per mostrarmi qualcosa.
«Quel giorno per te non è stato un bel giorno» rifletto ad alta voce «volevi …» mi blocco imbarazzata «non è stato un giorno facile» concludo in un sussurro.
«E’ vero. Ma è il giorno in cui la mia vita è cambiata per sempre. E’ il giorno in cui sono rinato» mormora sereno e si volta verso di me abbagliandomi con un sorriso luminoso «la strada per il paradiso è in salita. Percorrerla non è mai semplice».
Gli sorrido di rimando.
E mi domando quanto sarà difficile per me percorrere il mio personale sentiero per la felicità.
Sarà doloroso, lo so. Ma quanto?
Sospiro sommessamente. Non voglio mostrargli alcuna titubanza. Ho tutto il viaggio per cercare di tranquillizzare il mio animo e prepararmi al momento cui anelo da quando l’ho conosciuto.
E ormai, è questione di ore.


EDWARD
Il suo respiro è regolare, profondo.
Il suo seno si alza e si abbassa lentamente tendendo la stoffa della camicetta, sotto la spinta dei polmoni e il suo viso è sereno, disteso nel sonno che l’ha accolta dopo appena un’ora dal decollo.
La testa reclinata sulla mia spalla, lascio che il suo respiro mi solletichi la mascella e la porzione di pelle tra il collo e la maglia in una dolcissima carezza.
Ripenso in un lampo a tutte le volte che l’ho osservata dormire, momenti di cui ho avuto la fortuna di poter godere quasi ogni notte da quando Bella è entrata nella mia vita.
Mi mancheranno, penso con una punta di rammarico.
Faccio un segno con la mano per richiamare l’attenzione della hostess che si avvicina rapidamente ai nostri posti.
«Mi porterebbe un cuscino, per cortesia?» le chiedo lanciando un’occhiata a Bella, profondamente addormentata al mio fianco.
La ragazza annuisce e dopo un minuto ritorna e mi porge un cuscino piccolo e quadrato, defilandosi subito dopo con un accenno di sorriso sulle labbra.
Con delicatezza, posiziono il cuscino giusto di lato al suo capo e lentamente lo faccio scivolare sotto, al posto della mia spalla. Bella mugola nel sonno, ma non si sveglia.
Le accarezzo lievemente la guancia e le sistemo una ciocca di capelli allontanandogliela dal viso.
«Edward …» mormora nel sonno, strofinando la testa sul cuscino.
Sorrido.
Parla di nuovo mentre dorme, da quando è nata Reneesme.
«Resta, non andare …» continua il suo inconscio discorso.
Avvicino le labbra al suo orecchio e comincio ad intonare la sua ninna nanna.
Il cipiglio della sua fronte si distende immediatamente e un sorriso affiora soddisfatto sulle labbra.
«Reneesme …» sussurra serena il nome di nostra figlia, probabilmente rievocando un ricordo piacevole.
La sua ninna nanna è diventata anche la musica preferita di nostra figlia. Più volte al giorno, Reneesme mi chiede di cantargliela, posizionando le manine sul mio viso e sommergendomi dei ricordi in cui facevo lo stesso per la sua mamma.
Quando ho tentato di comporre un’altra melodia esclusivamente per lei, ha mostrato il suo disappunto con un musetto delizioso, mi ha tirato per la camicia verso di sé e ha riproposto nella sua e nella mia mente altri ricordi con la vecchia nenia. Pazientemente. Come se dovesse ripetere ad un bambino un po’ duro l’ennesima, ovvia spiegazione.
Bella si agita un po’ nel suo posto e il cuscino scivola leggermente verso il basso. Con un veloce movimento lo riposiziono sotto la sua testa e lo fermo dal mio lato con la mia spalla.
Con gli occhi fissi sul su viso, registro i cambiamenti visibili e non che la nostra nuova situazione ha portato nelle nostre vite.
E’ incredibile quanto Bella sia sempre la stessa eppure sia notevolmente cambiata.
Esteriormente è identica.
La sua pelle è sempre liscia e vellutata, il viso un po’ più smagrito e con ancora i segni della recente, ultima disavventura che ha concluso la sua eccezionale gravidanza.
Prima del parto avevamo fatto in modo di supportarla con un surplus di “nutrimento”che aveva reso Reneesme particolarmente forte. Subito dopo l’anestesia totale, la piccola ha avuto una reazione imprevista e, spaventata, ha cominciato a farsi strada da sola attraverso il corpo di Bella.
Rottura dell’utero ed emorragia interna.
Quando il suo cuore s’è fermato per shock circolatorio, le mie labbra erano già poggiate sul suo collo, i miei denti pronti per affondare nella sua giugulare.
Poi, con un sussulto, il suo cuore ha ripreso a battere.
Carlisle ha estratto Reneesme dal suo ventre martoriato e ha assistito Bella con rapidità e competenza, mentre io mi tormentavo tra il desiderio di morderla e la volontà di rispettare la promessa che le avevo fatto di non trasformarla se non in caso di assoluta necessità.
Lentamente, i suoi parametri vitali si sono stabilizzati. Ma, svanito l’effetto del’anestesia, lei non s’è svegliata.
Coma.
Bella è stata in coma per una settimana.
La settimana più lunga di tutta la mia eternità.
In condizioni così insolite, Carlisle mi aveva suggerito di attendere e di non cedere alla tentazione di morderla. Non potevamo prevedere la reazione del suo cervello, che con la trasformazione si sarebbe congelato in questo oscuro stato di limbo, perennemente in bilico tra la vita e la morte.
Sarebbe potuto essere un limbo eterno.
Ogni singolo secondo di quella infinita settimana, i miei occhi sono rimasti incollati al viso di mia moglie, i miei sensi tesi a cogliere anche la più impercettibile delle variazioni del suo corpo.
Sapevo che la piccola stava bene, che Bella era nelle più che ottime mani di Carlisle, ma non sarei riuscito a staccarmi da lei per nulla al mondo.
Poi, una sera, le dita della sua mano destra si sono mosse e dopo un minuto ha aperto gli occhi, ritornando da me.
E, come un richiamo tanto potente quanto silenzioso, in quello stesso momento Reneesme ha preso a dibattersi tra le braccia di Rosalie al piano terra, sbracciandosi per indicare la via per il piano superiore e, di lì, per la stanza mia e di sua madre.
Solo una volta che Rose l’ha condotta lì, lei si è calmata.
E dal momento in cui Bella l’ha tenuta tra le braccia, in assoluto quello è stato eletto a luogo prediletto dalla bambina.
Se anche interagiva con gli altri componenti della famiglia, Reneesme doveva essere sicura che la madre fosse nei paraggi.
Nella sua mente, la bambina ha mostrato sempre una sorta di … senso di protezione nei confronti di Bella, comprendendo pienamente la differenza esistente tra lei ed il resto della famiglia.
Scegliendo di non turbarla con i ricordi legati alla sua vita di umana, ma evocandoli ugualmente e inconsciamente nella sua mente.
E, dunque, a tratti ho “spiato” la vita di mia moglie a Phoenix, alcuni suoi ricordi di bambina, le lezioni di danza con sua madre, la torta con le mele della nonna Swan, i castelli di sabbia a La Push …
Fino a quando Reneesme semplicemente ha scelto di non pensarci più. Almeno di non farlo più in mia presenza.
Decisamente, una bimba molto perspicace … penso mentre un sorriso affiora sulle mie labbra.
La voce metallica del pilota ci annuncia che siamo prossimi all’atterraggio a Vancouver e con delicatezza allaccio la cintura di sicurezza intorno alla vita di Bella.
Si muove un po’, ma non si sveglia.
E’ come se il suo corpo avesse finalmente deciso di prendersi il suo riposo, come se la sua mente avesse scelto di abbandonare il controllo ferreo sul resto del suo organismo e Bella si stesse rilassando solo ed esclusivamente in questo momento.
E’ dal momento in cui s’è svegliata dal coma che attende a tutte le necessità di Reneesme con dedizione infaticabile, o meglio, a quasi tutte le sue necessità.
La piccola predilige la nostra alimentazione.
Ma non ha mai voluto nutrirsi in presenza di sua madre, bensì solo con me. Con me e nessun altro.
Questo, unito a tanti altri piccoli dettagli ha consolidato in me la certezza che Reneeme sia dotata di una eccezionale sensibilità e che abbia sviluppato un naturale istinto di protezione nei riguardi di sua madre. Infatti, in sua presenza, cerca di non mostrare mai le sue “differenze” da lei.
Non appena i motori dell’aereo si spengono, Bella si sveglia.
«Ehi, bentornata» sorrido al suo sguardo confuso, gli occhi ancora un po’ lucidi per il sonno, mentre lancia un’occhiata veloce dinnanzi a sé e poi fuori dal finestrino alla sua sinistra.
Si raddrizza con una smorfia sul viso ed il cuscino scivola in mezzo a noi.
«Oh. Siamo già arrivati?» chiede, e la sua voce è ancora un po’ arrochita.
«E’ solo la prima tappa, appena saremo sul volo per l’Alaska potrai riposare un po’ di più» le sussurro piano, consapevole della sua necessità di riprendere contatto con la realtà lentamente.
Acciglia la fronte osservando l’affaccendarsi rapido di tutti i passeggeri che raccolgono i propri bagagli a mano e che si affrettano verso l’uscita. Pasticcia con la fibbia della cintura di sicurezza, fino a strattonarla con gesto stizzito.
L’aiuto, slacciandole la cintura con calma :«Aspettiamo che scendano tutti» mormoro.
Annuisce e la sua fronte si distende.
Bella è tesa.
Benché cerchi di mostrarsi serena, il suo cuore non mente e nemmeno i suoi occhi.
Non che abbia tentennamenti, no. Ma è in uno stato d’ansia subliminare dal momento in cui, tre giorni prima, mentre le porgevo il piatto con la colazione, mi ha fissato dritto negli occhi e con fermezza ha pronunciato una frase che mi ha fatto balzare via il cuore dal petto:«Credo che sia il momento di partire per l’Alaska» ha detto in un soffio.
L’Alaska è stata un’idea sua e di Jasper.
Bella è terrorizzata dall’eventualità di poter fare del male a qualcuno, prima fra tutti a nostra figlia, per metà umana. Allontanarsi da ognuno, prima della sua trasformazione, le è parsa la scelta migliore, seppur la più sofferta.
Jasper, consapevole dell’instabilità dei neonati, s’è detto subito d’accordo, sebbene sia incerto della reale reazione di Bella, comunque predisposta ad una trasformazione volontaria.
Inoltre, preferendo avere qui tutti i componenti della famiglia a sorvegliare Reneesme, era necessario comunque essere in un posto abbastanza isolato, ma nello stesso tempo a “portata” di orecchio di qualcuno che avrebbe potuto aiutarci in caso di necessità.
I vampiri di Denali sono stati più che felici di saperci a poca distanza da loro, e hanno subito espresso la loro più completa disponibilità in caso di bisogno.
Ovviamente, confido nel fatto che non si renderà necessario.
Bella ed io risiederemo in un cottage molto isolato, difficile da raggiungere per qualsiasi essere umano.
In una delle nostre valige, ho provveduto a sistemare viveri e nutrimento per un paio di mesi, senza mettere al corrente Bella di questa mia iniziativa.
L’ultima cosa che voglio è affrettare questo passo così importante per lei.
Un passo che la porterà a superare un limite dal quale non potrà più retrocedere. E voglio che lei abbia tutto il tempo che ritiene necessario prima di procedere.
In una borsa speciale, ho sistemato della morfina.
Deglutisco al pensiero di quello che l’attende.
E darei un braccio se solo potessi prendere la sua imminente sofferenza su di me.
Ma sarò lì con lei e non la lascerò mai sola.
L’attesa per il volo successivo non è molto lunga, e non appena mettiamo piede fuori dall’aereo Bella comincia ad armeggiare con la sua borsa. Trova il cellulare e mi osserva di sottecchi, spiando la mia reazione. Sorrido sommessamente e la libero del suo bagaglio a mano, mentre lei si affretta a comporre il numero di casa dal suo cellulare.
Dopo due squilli risponde Carlisle. Nonostante il trambusto intorno a noi sento chiaramente la voce pacata di mio padre che aggiorna Bella sulle condizioni di Reneesme.
“Sì, ha mangiato... No, non si è addormentata nemmeno per un pisolino... In questo momento gioca alla bambole con Alice... No, non ha pianto quando vi siete allontanati... Le misurazioni di altezza e circonferenza cranica le faremo alle sette di sera, come al solito… Certo che vi terremo informati anche per ogni minimo dettaglio…” Le parole di Carlisle non sono beffarde e non c’è traccia di ilarità nella sua voce. Risponde con pazienza e gentilezza alle domande ansiose di Bella, il cui tono diviene via via più sereno.
Quando si salutano e lei ripone il suo cellulare in borsa, la sto fissando senza nemmeno rendermene conto.
Mi lancia uno sguardo di scuse ma, scuotendo il capo, mi avvicino a lei per accarezzarle una guancia:«Bella, non devi scusarti se sei in pena per Reneesme. E’ normale, e ti avrei chiesto io stesso di telefonare. Anzi, chiameremo non appena arriveremo al cottage, giusto per sicurezza» e le strizzo l’occhio, mentre le sue labbra si distendono in un sorriso riconoscente.
Il resto del viaggio prosegue molto più agevolmente.
L’aereo è più grande e Bella sprofonda nei sedili di prima classe con un sospiro di sollievo. Dopo mezz’ora dal decollo si addormenta di nuovo. La cosa non mi stupisce. Il corpo umano tende a risentire molto più degli stress emotivi che non di quelli fisici. E per Bella, lasciare nostra figlia, rappresenta un dolore immenso.
Al nostro arrivo, dopo aver ritirato i nostri bagagli, mezza intontita, si lascia trascinare da me verso un Cherokee, l’auto in cui Eleazar ci sta attendendo. Lo saluto rapidamente e lei gli lancia un sorriso tirato. La faccio accomodare sui sedili posteriori e mi sistemo al suo fianco:«Tesoro, ti senti bene?» non riesco a fare a meno di chiederle, cercando di mascherare la mia apprensione.
Annuisce :«Sì. E’ solo che mi sento un po’ stanca, non so spiegarmelo nemmeno io …» mormora confusa.
«E’ del tutto naturale Bella» interviene allora Eleazar girandosi verso di noi, un braccio dietro il poggiatesta del sedile del passeggero «il clima qui è molto più rigido e l’organismo tende al risparmio energetico. Per questo il tuo cervello è intorpidito. Ci farai presto l’abitudine. Hai fatto bene a coprirti così» e con un sorriso avvia il motore per immettersi rapidamente nel traffico. Bella lancia uno sguardo incerto al pesante giaccone che le ho fatto indossare e alla sciarpa con il cappello che le ho infilato mentre ancora era nel dormiveglia, un momento prima di scendere dall’aereo, ma poi poggia il capo sulla mia spalla voltando il viso verso il finestrino.
Con un braccio sulle spalle di mia moglie, discorro con Eleazar a voce, per non escludere Bella dalla conversazione, ma lei resta con lo sguardo fisso alla sua destra.
Lo informo sul occupazioni e progetti della famiglia. Lui mi aggiorna sul resto del clan di Denali.
Man mano le mie risposte divengono più scarne, fino a trasformarsi in monosillabi, mentre non faccio nemmeno più finta di osservare davanti a me, e mi giro completamente con il busto verso la nuca di mia moglie:«Bella … »
Non si volta, non mi ha sentito.
Con una mano le sfioro i capelli e lei sussulta:«Ehi … siamo quasi arrivati» le dico a voce bassa, constatando, non senza una punta di inquietudine, quanto sia tesa. Aggrotto le sopracciglia, mentre lei deglutisce e si volta nuovamente con gli occhi sul finestrino.
“Edward, non preoccuparti. Dalle tempo. E’ la scelta migliore” faccio un cenno in direzione di Eleazar, ringraziandolo per il suo pensiero gentile, ma la mente è ferma sugli occhi lucidi di mia moglie.
E’ preoccupata, penso. E automaticamente ritorno alla valigia con i viveri che ho portato con noi.
L’arrivo al cottage è di lì a pochi minuti. Eleazar si propone di aiutarmi con i bagagli mentre io apro la porta di casa con un movimento fulmineo e ritorno all’auto mentre Bella sta aprendo la portiera dal suo lato. La sera è molto fredda e cerco di coprirla con il mio corpo mentre saliamo i pochi gradini che ci separano dall’ingresso.
Una volta dentro, Bella comincia a guardarsi intorno.

In The Arms Of an Angel – Sarah McLaughlin

Kate ha provveduto a riscaldare l’ambiente prima che arrivassimo, e nel piccolo salotto un fuoco scoppietta nel camino. Eleazar si congeda rapidamente augurandomi buona fortuna a mente e Bella lo saluta distratta, mentre si toglie giaccone, sciarpa e cappello posandoli su una poltrona.
E’ ancora ferma nel mezzo del salotto, quando ritorno da lei dopo aver portato le nostre valigie al piano superiore.
«E’ carino qui» mormora a voce bassa, dandomi le spalle e fissando il fuoco.
Mi avvicino a passo umano, e da dietro le cingo la vita, poggiando il mio mento sulla sua spalla:«Sì, è vero»
Ruota il corpo tra le mie braccia e si porta con il viso di fronte al mio viso, allacciando le mani dietro al mio collo.
Si alza sulle punte e mi bacia delicatamente sulle labbra.
Quando si discosta, mi osserva intensamente ed io di rimando.
«Sei molto stanca. Perché non vai su a rinfrescarti un po’? Io preparo la cena, intanto» le suggerisco con tono dolce.
«Ok. Non ci metterò molto» e con un sorriso, esce dalla stanza per dirigersi in camera da letto.
Con rapidità apparecchio il tavolo in soggiorno, lì dove il calore del camino è più intenso e preparo un’omelette.
Dopo che l’acqua della doccia smette di scorrere, porto il piatto in tavola con il pane riscaldato in forno e una bottiglia di vino rosso.
Ma trascorrono dieci minuti e Bella non scende.
Decido di salire e, fuori dalla porta della camera da letto, resto in ascolto.
Silenzio.
Busso leggermente :«Bella, è tutto ok? Posso entrare?» e faccio capolino dalla porta.
Bella è distesa sul letto, in accappatoio e dorme profondamente.
Mi avvicino silenziosamente e osservo i suoi capelli scompigliati sul cuscino, il suo viso disteso e sereno nel sonno.
Con leggerezza, tento di toglierle l’accappatoio umido e di farle indossare qualcosa di asciutto, ma subito lei si sveglia.
Sbatte le palpebre un paio di volte e si guarda intorno incerta, non riconoscendo la stanza in cui si trova.
Poi riposa gli occhi su di me:«Mi … mi sono addormentata» sussurra «scusami».
Mi siedo sul letto al suo fianco e le sfioro una guancia:«Tranquilla, fa niente. Devi mettere qualcosa di asciutto, però. Altrimenti ti ammalerai» mormoro piano.
«Credo che tu abbia ragione» dice dopo un attimo «faccio subito e poi scendo» e si alza dal letto avvicinandosi alle valigie.
Rovista un po’ al loro interno e poi si blocca.
«Cos’è questo?» dice, alzando la borsa speciale, piccola, nera e imbottita.
La raggiungo e mi posiziono al suo fianco:«Morfina» dico.
Riporta lo sguardo per una frazione di secondo sulla borsa e poi me la porge, con gli occhi bassi, senza dir nulla.
Afferro la borsetta e lei si allontana da me verso la sua valigia, riprendendo a rovistarci dentro. Seguo il suo movimento solo con lo sguardo, la borsa ancora fra le mani.
«Bella, è solo una precauzione. Non è detto che la useremo» sottolineo, cercando di rassicurarla.
Ferma le mani ai lati della valigia e abbassa la testa:«Lo so che è … sciocco da parte mia, ma … io non voglio che tu me la somministri» sussurra in un alito di voce.
Mi porto di fronte a lei e le spingo il mento in su delicatamente:«Bella, puoi cambiare idea in qualunque momento. Io non ti farò nessuna pressione. Non hai firmato un contratto che dica che devi trasformarti per forza. Aspetteremo» concludo e le mie parole sono accorate. Sento l’urgenza premere nel mio petto e mi devo trattenere per non stringere le mani sul suo corpo, gesto automatico che accompagna il mio fervore.
Mi guarda confusa prima in un occhio, poi nell’altro.
«Stringimi» mormora «Stringimi, Edward» ripete, le braccia lungo i suoi fianchi.
Assecondo la sua richiesta immediatamente, eco del mio bisogno di lei.
Restiamo così, fermi, abbracciati, senza dir nulla.
«Io … vorrei che l’ultima cosa che ricordo sia tu, non un ago» mormora roca, poi porta il capo all’indietro per cercare i miei occhi «non mi importa del dopo … se ce l’avete fatta tutti, posso farcela anche io» e il cuore mi si stringe in una morsa guardandola in quegli occhi enormi e sinceri.
Annuisco con un unico cenno del capo.
Poggia la testa sul mio petto e ondeggia piano sui suoi piedi, come se stesse ballando una danza lenta, stringendomi con tutta la sua forza.
«Non voglio più aspettare» mormora contro la mia maglia ed il mio respiro si blocca.
«Qui, qui è il posto dove voglio essere per tutto il resto della mia esistenza. Nelle tue braccia. Nelle braccia di un angelo» continua mentre i miei occhi si chiudono alle sue parole.
«Sei sicura, Bella?» sussurro con la voce più bassa che abbia mai avuto in tutta la mia vita.
«Sì. Sono pronta» alita contro il mio petto e poi rialza il capo a guardarmi.
Riapro gli occhi per immergermi nei suoi, dolcissimi, nocciola, vivi.
«Saranno le mie labbra l’ultima cosa che ricorderai. Te lo prometto, amore mio».
E mentre le sue palpebre si abbassano, con una carezza percorro la lunghezza del suo collo, scostandole i capelli e lasciando che lo reclini verso la mia spalla.
Con un unico movimento, scendo sulla sua pelle, la respiro, sfiorandola appena con le labbra.
Trovo il punto in cui il suo sangue pompa furioso e chiudo gli occhi a mia volta.
E, dopo un attimo, la mordo.

FINE


NOTA DELL’AUTRICE:
Non sono brava in queste cose, non lo sono mai stata.
Per questo cercherò di non dilungarmi più del necessario.
Ho scoperto di voler scrivere per caso, quando, bloccata in casa (o meglio a letto) per problemi con la mia seconda gravidanza, sono incappata su Efp.
Da quando ho cominciato a farlo non mi sono più fermata. Più di una passione, parlerei di necessità.
Come dice una carissima persona che ho apprezzato da subito, “scrivere è come respirare”. Cara Mirya, lo è davvero. Grazie per le nostre chiacchierate “filosofiche”per aver dedicato parte del tuo prezioso tempo (ancor più prezioso perché sei una super mamma!) alla lettura della mia storia, per avermi espresso la tua opinione in maniera schietta, ma sempre corretta e gentile. Grazie per essere riuscita ad arrivare fino a qui.

Questa storia si conclude. Non posso negarvi che digitare quelle quattro lettere mi sia costato in maniera indicibile e la parola “Fine” ha faticato enormemente a trovare la sua strada dal mio cuore al monitor del mio pc.
Vorrei ringraziarvi.
Tutti.
Chi mi segue fin dall’inizio, chi ha cominciato a farlo solo da poco, chi mi ha sempre recensito, chi l’ha fatto di rado, chi non l’ha mai fatto ma ha solo letto.
Per questi ultimi mi auguro sempre che il tempo sia stato loro nemico ma che, intimamente, abbiano trovato questa fan fiction di loro gradimento.
Ringrazio gli amici di facebook e coloro che mi seguono tutti i giorni su twitter.
Nonostante abbia lasciato alcune dediche ad personam per certi capitoli, ne avrei voluto scrivere in numero sufficiente per potervi regalare un capitolo a testa. E nel timore di dimenticare qualcuno non vi citerò singolarmente, eccetto che per due persone. Il mio rapporto con loro ha bucato lo schermo ed il tempo che trascorro su Efp. Spero che nessuno se ne abbia a male se spendo due parole per loro.

Francesca, sei la lettrice ideale. Sempre acuta, sensibile. Non hai mai dimenticato di esprimere il tuo gradimento nemmeno per un capitolo.
Mai.
Ed ogni volta che l’hai fatto, hai avuto sempre una parola di conforto e di lode per me. L’ho apprezzato più di quanto possa esprimere in questa sede.
Oltre alla tua spiccata sensibilità, apprezzo molto anche la tua lealtà, una dote che molto di rado ho riscontrato nelle persone di mia conoscenza.
Camilla. Parole semplici da dirti non bastano e non sarebbero mai sufficienti. Poche, pochissime volte ho trovato una tale affinità d’animo con un’altra persona, come è successo con te.
La nostra reciproca “psicoterapia” quotidiana è ormai parte integrante delle mie giornate e di questo non sarò mai abbastanza grata ad Efp che mi ha dato modo di conoscere una persona speciale come te. I love you, baby.

Questa storia, iniziata per gioco si è arricchita volta per volta di emozioni, di riflessioni, di sensazioni che parlano di me e che spero vi abbiano mostrato un piccolo scorcio del mio intimo. Anche solo attraverso una canzone che vi ho linkato o una situazione che vi ho descritto.
Se sono arrivata fino a qui oggi, lo devo a voi tutti, lettori, ma in particolare a queste due ragazze, Francesca e Camilla.
A loro, è dedicata “In the arms of the angel”
Grazie.
M.Luisa

   
 
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