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Autore: Mannu    27/05/2010    2 recensioni
Miki è sempe più confusa: senza lavoro, senza denaro, senza l'affetto di cui ha bisogno. Si rifugia in una inutile lotta contro il proprio corpo che non le piace, travolgendo anche colui che potrebbe starle vicino.
Nota: precedentemente erroneamente intitolata "Approdo fantasma".
Genere: Avventura, Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ferraglia spaziale'
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Doppio sospetto
1.


Spossata, si fermò a contemplare il lavoro fatto appoggiandosi al lungo manico della rotospazzola. Il Coyote era ridiventato suo, finalmente. Due giorni passati a pulire dappertutto come una massaia, e non come un'astronauta. Si era fermata a riposare di tanto in tanto, approfittandone per occuparsi di incombenze meno faticose e più attinenti al suo ruolo di comandante e proprietaria di una astronave da carico. Aveva comprato del carbocomburente per rifornire i motori di manovra, riproponendosi di non trascurare più l'obsoleto propellente liquido. Aveva scoperto che il suo committente era finito in galera e quindi che per l'ultimo viaggio non sarebbe stata pagata. Viste com'erano andate le cose, non ci aveva fatto affidamento su quei soldi, ma valeva la pena provare. Come poteva sapere che nel container di deperibili da consegnare a una colonia penale si nascondevano le armi per una rivolta di carcerati? Il giudice le aveva fatto capire che non era stata incriminata dando per scontata la sua buona fede, e che le era già andata bene così. Quindi una volta vistosi annullato il contratto, nonostante lei lo avesse onorato da parte sua, si era guardata bene dal protestare. Niente male come primo ingaggio, si disse piena di amarezza.
Era stanca e sentiva tutti i muscoli indolenziti. Ci aveva dato dentro con vigore per tutto il tempo, contenta di sfogarsi esprimendo la sua forza fisica per pulire e sistemare tutto quanto. Aveva speso un piccolo capitale per riparare tutti i danni e per rifare meglio lavori eseguiti in precedenza con un po' troppa approssimazione. Come le staffe di ancoraggio della sua branda sovradimensionata. Ora non scricchiolavano più poiché non erano fissate attraverso il rivestimento della parete, ma si congiungevano direttamente alla struttura portante metallica. Risistemare il rivestimento era stato un lavoraccio, ma alla fine non si vedeva nulla ed era soddisfatta. Con la stessa energia, con lo stesso ardore quasi guerresco aveva riparato i danni provocati dai galeotti evasi che l'avevano tenuta ostaggio a bordo della sua stessa corvetta. Non l'avrebbe mai detto che gli arredi del bagno sarebbero giunti a essere così costosi. Forse era il mercato di Prometeo, dov'era ormeggiato adesso il Coyote, a essere un po' troppo caro.
Puntò la rotospazzola sulla parete ed eliminò un'ombra scura che le era incredibilmente sfuggita fino a quel momento. Al pensiero che la sua nave conservasse ancora qualche traccia del passaggio di tutti quei maledetti bifolchi, le venne il sangue alla testa. Conosceva un solo modo per calmarsi: scalciò dentro la sua cabina le ciabatte di gomma che aveva comprato sulla Terra e a piedi nudi percorse lo spinale per tutta la sua lunghezza, più volte, esaminando con cura pavimento, pareti e perfino il soffitto. Poi entrò nel bagno, nella cabina dell'equipaggio rimessa a nuovo, nella mensa, nella sua stessa cabina. Anche se quello era il primo posto che aveva pulito in modo maniacale e ossessivo, controllò di nuovo che non vi fossero tracce né odori alieni. Perquisì anche il ponte di comando alla ricerca di macchie e sporcizia, ma a parte un capello scuro, lungo e riccio, quindi certamente suo, non trovò altro. Passò ugualmente la rotospazzola qua e là, per sicurezza. Ne approfittò per spegnere la console che aveva collegato a una emittente di notiziari letti da cronisti per farsi compagnia con una voce umana. Era da un'ora che blaterava unicamente di una comunità post-nucleare recentemente ritrovata sul pianeta, nella parte dell'Europa dell'Est che aveva subito gli effetti dell'olocausto nucleare più di altre regioni. Ogni tanto qualche sopravvissuto riemergeva dai rifugi antiatomici: si chiese quanti invece non sarebbero mai più riemersi, ma la sua mente non indugiò a lungo su quell'ozioso pensiero. Aveva infatti gettato uno sguardo lungo il corridoio spinale della sua corvetta e si era resa conto che aveva pulito la camera d'equilibrio e il locale adiacente solo un paio di volte. Strappò con forza la rotospazzola dal pavimento, al quale quella aderiva saldamente grazie a potenti magneti regolabili, e ripassò da capo entrambi i locali, con rinnovato ardore, incurante del freddo metallo sotto i suoi piedi scalzi.
Quando ebbe terminato ripose la preziosa rotospazzola ormai bisognosa a sua volta di una bella ripulita e si sedette spossata sul telaio della sua cuccetta maggiorata. Si guardò la pianta dei piedi: fu felice di constatare che non sembrava affatto sporca. Non si illudeva: non sarebbe durata a lungo tutta quella nettezza. La polvere la faceva da padrona ovunque, anche sulle astronavi. La sua unica consolazione era che la polvere è direttamente proporzionale alla quantità di equipaggio imbarcato.
Era di nuovo sudata fradicia, al punto che la maglia le si era fastidiosamente appiccicata addosso. Tenere basso il riscaldamento non si era dimostrata una buona idea: appena interrompeva il suo faticare, cominciava a starnutire. L'alternativa al raffreddore era stare al calduccio e sudare copiosamente per il duro lavoro. Aveva svuotato e riempito da capo i serbatoi di acqua per uso sanitario e quindi non era un problema fare la doccia. Negli ultimi due giorni aveva perso il conto delle volte che si era messa sotto il getto caldo ed era rimasta lì, a farsi scorrere l'acqua sulla pelle per lavare via sudore, fatica, stanchezza e tutto il resto. Ma non i brutti ricordi: quelli le rimanevano appiccicati addosso, dentro.
Scattò in piedi più repentinamente che poté, ignorando le proteste di cosce e polpacci induriti dalla fatica. Non voleva pensarci nemmeno un minuto. Si diresse decisa in bagno e si denudò per farsi una doccia, certa di meritarla. Cercò inutilmente di ignorare l'abbondanza della sua carne: si era illusa di avere perso peso con tutto quell'esercizio fisico ma la bilancia, incapace di mentire, le aveva indicato impietosamente un chilogrammo standard, scarso perfino, di differenza rispetto alla pesata precedente memorizzata prima di partire per Mastodonte. Tutta quella fatica per smaltire un solo chilo. Si odiava. Per consolarsi tese i muscoli delle braccia e provò qualche posa da culturista, imitando alcuni maschioni che aveva visto pavoneggiarsi nella palestra di Spyro. Funzionava anche con lei: i muscoli ingrossati apparvero evidenti. Però sono forte, si disse compiaciuta.
L'acqua calda e il sapone schiumoso e profumato la riconciliarono in parte con se stessa e col resto del mondo. Riuscì a rilassarsi al punto da percepire maggiormente le proteste delle sue membra affaticate. Braccia, gambe, addominali... le doleva un po' dappertutto, perfino il collo. Pensò di essersi maltrattata per due giorni consecutivi, e che era ora di smetterla.
Avvolta nel suo telo di spugna preferito dedicò molto tempo ai suoi lunghi capelli, asciugandoli lentamente e con cura. Sempre folti e ricci per natura, erano l'unica cosa che le dava davvero soddisfazione del proprio corpo. Ma solo da quando aveva cominciato a trattarli massicciamente col balsamo: diversamente erano in grado di diventare in breve tempo una detestabile e incontrollabile massa di nodi, arruffati e fastidiosissimi. Accudire i capelli così a lungo peggiorò i dolori alle braccia, obbligate a stare sollevate: si costrinse a sopportare ma giunse il momento in cui dovette cedere. La doccia le aveva conciliato il sonno e si sentì tanto spossata da infilarsi a letto nuda così com'era, senza nemmeno riporre la spugna umida sull'apposito essiccatoio per il recupero dell'umidità. Si addormentò subito e il suo ultimo, dolce pensiero fu che aveva dimenticato di mangiare e ciononostante non sentiva fame.
   
 
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