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Autore: Isangel    27/05/2010    12 recensioni
Un matrimonio combinato. Un odio profondo. Un amore dissoluto.
Sicilia, seconda metà dell’Ottocento. Marianna è una contadina ventenne allegra e impavida, amata da tutti gli abitanti di Santoro, il villaggio in cui è nata e cresciuta. Orfana di madre da quando aveva dodici anni, Marianna vive con il padre vedovo e lavora nei campi con la madrina Pinuzza, moglie del pescatore Calogero, e sua figlia quattordicenne, Tiziana.
L’arrivo inaspettato di don Pietro Ripamonti, il nuovo padrone delle terre su cui si estende il paese dalla morte del padre, getta nello scompiglio la sua vita. Il villaggio è sotto le tormentose angherie dei suoi cortigiani e l’unico modo per calmare le acque è offrire uno sposalizio. Essendo l’unica donna nubile del quartiere, Marianna si sacrifica per sposare il giovane e dissoluto conte.
Pietro è più che felice di accettare Marianna come sua sposa, avendole già messo gli occhi addosso.
L’odio che la ragazza nutre per il marito oscura completamente il desiderio che lui prova sin dall’inizio. I rapporti tra i due sono tesi e complicati: lui, dominatore stoico e deciso, non riesce a sottometterla e lei, fiera e indipendente, non ha intenzione di lasciarsi calpestare.
Solo quando entrambi abbasseranno l’ascia di guerra, a bordo di una barca sul mare sotto il cielo di luglio, le prospettive cominciano a cambiare.
Pietro vede Marianna come la sua unica donna, la sola per cui nutre un rispetto profondo e sincero. Marianna comprende più che mai che quello che riteneva il demonio in terra è una persona con un cuore, sepolto dall’antico dolore per la morte dell’amata sorella, Laura.
Entrambi si amano appassionatamente, in un amore senza veci e denso di possessione urticante e bruciante. Un amore malato che sarà diviso da un’imminente tragedia, in cui Pietro vede la sua unica donna nelle vesti di un angelo paradisiaco. E quando tutto finisce, entrambi capiscono ciò che da molto tempo temono.
Perché non è difficile lasciarsi incantare dai dolci occhi di Marianna, celesti come il cielo di luglio.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
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Come il cielo di luglio

 

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1.

Marianna Bruno si perde nei suoi pensieri in riva al mare.

Pietro Ripamonti decide di partire

 

 

Marianna guardò la barca in lontananza, ammirando le leggere increspature dell’acqua al suo passaggio. Sorrise appena, rapita da uno spettacolo di così grande bellezza.

Aveva vent’anni, eppure la sua ingenuità era rimasta tanto intatta da stupirsi per ogni piccola cosa. Da un fiore che sbocciava, alla bellezza del mare in tempesta, dalla gentilezza dei siciliani, alla grandezza di palazzo Ripamonti. Marianna aveva sempre sognato di poter sbirciare la vista da quegli enormi balconi, ma ovviamente era un sogno proibito. Quella era la casa del padrone assoluto, colui che amministrava l’enorme latifondo su cui si estendevano i campi e il piccolo villaggio di Santoro. Spesso sognava di visitare quella roccaforte fissa sulla scogliera, stagliata dai raggi lunari o da quelli mortiferi del tramonto.

Ricordava quanto alla mamma sarebbe piaciuto abitare in quella casa sfarzosa e parte integrante della roccia. Si rattristò appena al pensiero della madre.

Marianna aveva perso Lucia da quando aveva dodici anni e, nonostante fosse ormai passato un bel po’ di tempo, le mancava moltissimo. Assomigliarle come una goccia d’acqua era stata una prova ardua per Michele Bruno, suo padre. In quel periodo, le persone a lei più care erano perennemente turbate e scosse.

Probabilmente l’unica persona inflessibile a quel cambiamento era stato Calogero, il suo padrino. Abile pescatore e amante dei paesaggi marini, Calogero Sabbati era la persona più tranquilla che Marianna avesse mai conosciuto. Spesso si chiedeva come un uomo così calmo e metodico avesse potuto sposare Pinuzza, donna attiva e scattante. Aveva almeno venticinque anni più di Marianna, ma era sveglia e infaticabile.

Marianna adorava Tiziana, la loro ultima figlia. I primi tre maschi erano andati via da Santoro in cerca di fortuna, sentendosi condannati a quella vita così misera. Calogero non protestò come fece spesso Pinuzza. Mentre quella sbraitava che servivano braccia forti per mandare avanti il latifondo Ripamonti, quelli la salutavano per sempre sull’uscio di casa.

Tiziana aveva sei anni meno di Marianna, ma la sua indole era talmente dolce e comprensiva, quasi malinconica, da averla resa più matura di quanto si potesse sperare. Era riflessiva e obbediente, l’esatto opposto di Marianna, tanto da averla invidiata spesso in passato.

“Sei così irruente, Marianna. Ti invidio assai”, sospirava, giocherellando con i capelli castani.

Marianna non aveva mai saputo dire se la sua indipendenza fosse un pregio o un difetto. Lucia non aveva fatto che incoraggiare questo suo aspetto, ma Michele non fu altrettanto d’accordo. Temeva che nessuno avrebbe voluto sposare una donna indisciplinata e dalla lingua lunga.

Marianna inspirò appieno il vento salmastro, chiudendo gli occhi e abbandonandosi alla sua morbida carezza. Adorava la Sicilia, l’isola in cui era nata. E anche se la vita le aveva riservato la fatica nei campi, non le importava. Per lei vivere era già il più bel miracolo che Dio potesse offrirle. Senza di esso, non avrebbe potuto assaporare l’affetto o la gioia, la felicità e il miracoloso paesaggio marino. Spesso il giardino primordiale che tanto la Bibbia descriveva lo immaginava proprio come la spiaggia di Santoro.

“Marianù!”, chiamò una voce conosciuta.

Marianna aguzzò la vista allo sventolio di una mano. Calogero stava appena rientrando nel ristretto porto del paese, le braccia ancora vigorose che smorzavano l’acqua con un remo. Il vecchio legò la barchetta con la robusta corda, per poi uscirvi con un agile salto.

Marianna si alzò in piedi e gli andò incontro, sorridendo gentilmente. “Ciao, Calogero”, salutò gaia, le mani incrociate sul petto.

Il vento le scostò impetuoso i folti capelli ricci e scuri, coprendogli la visuale. Ridacchiò appena e li trattenne con entrambe le mani.

Calogero sorrise, sospirando appena. Marianna sapeva a cosa stava pensando, ma non osava chiedergli niente per la paura che confermasse i suoi sospetti. Non voleva sentirsi ripetere nuovamente quanto fosse simile a sua madre. “Che stavi facendo, Marianù?”, chiese allora il vecchio, avvicinandosi e circondandole le spalle con un braccio.

Marianna fece una smorfia annoiata, guidata dallo stanco dondolio di Calogero verso le modeste casupole di Santoro. “Niente di che, guardavo semplicemente il mare”

Calogero scosse la testa, divertito. “Quando tu guardi il mare, pensi. E in questo periodo stai pensando troppo, Marianna”

“Almeno dimostro di essere un essere pensante”, ribatté prontamente la ragazza, salutando con la mano una persona di sua conoscenza.

“Come è andato il lavoro?”, chiese Calogero, accigliato.

Marianna si strinse nelle spalle, questa volta cupa e imbronciata. “Solito. Noioso e faticoso, ma meglio che niente”

Il vecchio sospirò. Sapeva che cosa intendesse dire la sua protetta. “Questa è la nostra vita, picciridda. Abituati”

Marianna non replicò.

 

* * *

 

Michele Bruno stava aspettando impazientemente il ritorno della figlia a casa. Non gli aggradava molto il fatto che scorrazzasse libera e sola in paese, i tempi erano troppo brutti. Ormai nemmeno l’isolato villaggio di Santoro era più un posto sicuro per una donna. Lì si conoscevano tutti, il paese era piccolo come un quartiere. Ma non gli piaceva. Men che meno da quando aveva saputo chi sarebbe arrivato di lì a poco.

Si stava così bene senza di loro. Da quando don Stefano Ripamonti era morto, nessuno aveva più sopportato angherie e soprusi nei dintorni. Tutti lavoravano tranquillamente nei latifondi, comandati e pagati da un datore invisibile. E adesso quella bolla di tranquillità si stava infrangendo del tutto.

Il giovane Ripamonti sarebbe presto giunto in paese, mantenuti e comandanti al seguito. Michele ricordava bene l’odio che aveva sempre covato per quell’insano Stefano Ripamonti, uomo crudele e senza scrupoli. Chissà perché, immaginava il figlio dello stesso stampo. Il che non era affatto un bene.

Sospirò, passandosi una mano sugli occhi stanchi e affaticati. Gli mancava terribilmente Lucia, sua moglie. Lei era tutto ciò che aveva potuto avere dalla vita. Era dolce, gentile, onesta e obbediente. La sua bellezza era riuscito ad incantarlo giorno per giorno, come un adolescente innamorato. Gli aveva donato un maschietto, purtroppo presto stroncato da una polmonite a tre anni. Poi era arrivata lei. Non avrebbe mai permesso che a Marianna, la sua unica figlia, accadesse qualcosa. La amava con tutta l’anima. E poi, era così simile a Lucia…

“Michele? Michele!”. La voce di Pinuzza risuonò improvvisamente nella catapecchia, accompagnata da picchi sulla porta.

“Vieni, Pinuzza, vieni!”, urlò Michele, raddrizzandosi immediatamente sulla sedia.

Pinuzza apparve in tutta la sua improvvisa vitalità, i capelli ormai grigi decisamente sconvolti. Michele si accigliò nel vedere la preoccupazione della moglie del suo migliore amico dipinta negli occhi scuri. Gli giunse alla mente solo una cosa. Lei sapeva.

“Chi te l’ha detto?”, domandò semplicemente, facendo un cenno allo sgabello di fronte a lui.

Pinuzza colse l’invito. Si sedette immediatamente di fronte a lui, ravvivandosi i capelli per sistemarli il meglio possibile. “Me lo ha detto stamattina Carmela, quella che vive vicino alla spiaggia. Dice che è questione di un giorno”. Pinuzza deglutì a forza, seriamente allarmata. Quella notizia piaceva quanto a lui.

“Sai come si chiama?”, si informò Michele, pensieroso.

Pinuzza annuì, facendo una smorfia. “Pietro. Si chiama Pietro. Avrà il nome di un apostolo, ma sicuramente come il padre è! Cattivo sangue non mente!”, esclamò infervorata.

Michele assentì, completamente concorde. “Già. Un giorno… chissà com’è il figlio del padrone”

Pinuzza sospirò, gli occhi improvvisamente fissi sul tavolo tarlato che li divideva. “Dicono che è davvero bello, ma non è né sposato né promesso a qualcuno. Ha appena preso le redini delle rendite di famiglia, il padre è morto da poco. Mi hanno anche riferito che sia solo come un cane: la madre è morta quando era un bambino, il fratello si è rotto l’osso del collo cadendo da cavallo e la sorella è morta di parto. Dio, speriamo che la sfortuna della sua famiglia ricaddi anche su di lui!”

Michele le lanciò un’occhiata severa da sotto le lunghe ciglia. “Dio non voglia, Pinuzza! Magari questo Pietro Ripamonti è diverso dal padre, magari più buono. Non dico per aumentarci la paga, ma perlomeno per lasciarci in pace. La morte non si augura a nessuno, questo la mia Lucia diceva sempre”

Entrambi si rabbuiarono al ricordo di Lucia.

“Hai ragione”, sussurrò Pinuzza, le mani nodose che torturavano insistentemente il grembiule. “Speriamo in bene”

“Abbiamo un giorno di preghiera, Pinuzza. Speriamo che sia un giovane buono e magnanimo”, ribadì Michele.

Si congedarono così, con poche parole, la morte nel cuore.

 

* * *

 

“Solo mio padre poteva avere un latifondo in un posto dimenticato da Dio”. Pietro Ripamonti sbuffò rumorosamente alla vista del documento che il notaio gli aveva consegnato.

Lamanna lo osservava attentamente al di sopra dei sottili occhiali, concentrato sulle espressioni facciali dell’uomo.

Un nuovo sospiro irritato gli fece sospendere il respiro. Studiò con attenzione i suoi lineamenti dritti e spigolosi. Le sopracciglia folte e arcuate erano crucciate per l’attenzione e gli occhi nocciola, risaltati innaturalmente dalle braci morenti nel caminetto, scorrevano alla lunga sul foglio. Era bello Pietro Ripamonti. Bello quanto terribile. D’altronde, era figlio di suo padre. Lamanna sorrise tra sé e sé per la sua sciocca battuta.

Pietro lo notò e gli lanciò un’occhiata talmente astiosa da ammutolirlo. “A me sinceramente non diverte, Lamanna. Andare a Santoro è una grande scocciatura”

“Non è poi molto lontano da Palermo, signore”, ribadì il notaio, leggermente risentito dal tono maleducato del giovane. “Il mio è solo un consiglio. Vostro padre è da secoli che non si recava lì, nemmeno per un breve controllo. È bene fermarsi qualche mese anche solo per vedere l’andazzo dei contadini e del lavoro. Ultimamente le rendite sono calate”

“Questo è vero”, concordò Pietro, le labbra piene strette in una smorfia.

Lamanna attese pazientemente che Pietro uscisse dai suoi pensieri, sicuro che avrebbe ceduto. Le statistiche non potevano mentire.

L’enorme sibilo glielo confermò. “Non mi resta che andarci, allora”, mugugnò Pietro, rilassandosi completamente contro lo schienale della sedia.

“Scelta saggia, signore. Vedrete che non vi annoierete. Le bellezze locali sono un vero portento”, cercò di consolarlo Lamanna, gli occhi scintillanti. Le poche volte che era stato a Santoro per conto di don Ripamonti, non aveva di certo sdegnato la vista di bellissime e provocanti fanciulle.

Pietro sollevò le sopracciglia, scettico. “Si, come no. Tutte contadine analfabete e prive di sensualità. Quelle non fanno che darla a tutti, credetemi”

Il notaio sobbalzò a così poco tatto ed arrossì violentemente non appena incrociò lo sguardo divertito di Pietro Ripamonti. Si schiarì la gola, cercando di dissimulare l’imbarazzo crescente. “Quando avete intenzione di partire?”, domandò.

Pietro ghignò, scettico. “Immediatamente”           

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Tutta la vicenda è ambientata nella Sicilia dopo l’unificazione di Italia.

Il villaggio di Santoro è immaginario. Ogni singolo personaggio e ogni avvenimento, eccetto quelli storici, è frutto della mia fantasia.

Sono contenute alcune parole in dialetto siciliano, penso di facile comprensibilità a tutti. 

 

Spero che questa storia vi piaccia come è piaciuto a me scriverla. Mi sono affezionata tantissimo ai miei personaggi, ai paesaggi immaginari di Santoro e al calore della Sicilia. Non sono mai stata in questa magnifica regione, ma conto che un giorno riuscirò a visitarla.

Se questi personaggi riusciranno ad entrarvi nel cuore, saprò di essere riuscita a descriverli e a renderli umani a tutti gli effetti.

So che la sezione “Originali” non è molto frequentata, quindi sarò felicissima di ricevere alcuni commenti,anche di critica costruttiva. Non temete, altrimenti la cestino, non c’è problema!

Se volete seguirmi in questo viaggio denso e tortuoso di sentimenti, aspetto un vostro commento e la vostra presenza nel prossimo capitolo!

Un abbraccio e un bacio a tutti!   

  
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