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Autore: ElderClaud    30/05/2010    5 recensioni
Una volta qualcuno gli aveva detto, che la vita di una persona poteva essere paragonata ad una oliva. Semplice, essenziale, con un tocco aspro nella polpa verdognola. All'epoca in cui gli venne dettato tale paradigma, per Kratos non poteva esistere idiozia più grande. Non poteva immaginarsi che tale affermazione però, sarebbe stata più vera di quanto si sarebbe mai aspettato.
[Kratos centric]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Breve oneshot ambientata in un ipotetico pre “God of War 1”, e tutta incentrata su Kratos e il suo passato.
Non chiedetemi il perchè del paragone con le olive, ma ai miei occhi sembrava un paragone azzeccato, e perchè no pure poetico.
Alcuni si scordano che Kratos, per quanto sia spietato e sanguinario, è pur sempre un uomo che ha perso moglie e figlia. E per giunta di propria mano.
Vabbè, vi lascio alla lettura e spero apprezziate! Tra l'altro, questa è la prima volta che scrivo sul fandom di un videogame.
Buona lettura!


La vita è una oliva (ed è aspra sulle tue labbra)


Una volta qualcuno gli aveva detto, che la vita di una persona poteva essere paragonata ad una oliva. Semplice, essenziale, con un tocco aspro nella polpa verdognola.

All'epoca in cui gli venne dettato tale paradigma, per Kratos non poteva esistere idiozia più grande.
Non poteva immaginarsi che tale affermazione però, sarebbe stata più vera di quanto si sarebbe mai aspettato.
La vita era una oliva, ed era aspra dentro la sua bocca.

Con una mano pallida di ceneri perennemente ardenti, frugò annoiato nella cesta di vimini prelevata ad un banco di frutta abbandonato, per pescare l'ennesimo frutto suo magro pasto di quel dì.
Una smorfia disgustata affiorò lievemente sul suo volto duro come la roccia, nel constatare che quel misero contenuto altro non erano che verdi olive dalla polpa succosa.
Ne prese in mano un paio, e sotto la luce di un sole morente che stendeva d'oro il mare all'orizzonte, se le cacciò in bocca con fare sbrigativo.
Ancor prima di una vita di vagabondaggi; ancor prima di essere noto a tutto il mondo come il “Fantasma di Sparta”; egli era semplicemente il generale Kratos, servitore della nazione Sparta e devoto al dio della guerra.
Altri tempi, e quei ricordi gloriosi con il tempo si erano trasformati nel suo incubo peggiore.
Da glorioso soldato, a efferato assassino della propria famiglia, il passo era grande. E l'ombra delle sue imprese passate ora più che semplici sassi, erano macigni che gravavano incessanti sulla sua schiena.

I molari schiacciarono con forza la verde polpa del piccolo frutto, generando così un suono umido e volgare all'interno della bocca, mentre il succo dell'oliva si riversavano nel palato.
Kratos mugugnò a quell'aspra sensazione, distratto nel guardare il mare e il sole del dio Elio morire tra le sue onde, dal piccolo molo su cui aveva deciso stupidamente di riposarsi.
Ad ogni suo passaggio la gente fuggiva al suo sguardo assassino come se stesse passando una empusa in pieno giorno.
Lo guardavano terrorizzati, ricordandogli in ogni istante il mostro in cui si era trasformato in una notte di tanto tempo fa, decretando così la sua fine da stupido umano in cerca di gloria.
Una gloria effimera che lo appagava costantemente ogni volta che gridava il nome di Ares in battaglia, ma che mai come in quegli anni di solitudine si era ritrovato a maledire con tutte le proprie forze.
E allora ecco che i ricordi tornavano prepotenti all'interno della sua testa, trasformandosi in tormento di giorno, scanditi dai colpi inflitti in battaglie senza fine, a incubi che lo avvolgevano durante la notte.
Togliendogli il sonno e facendolo risvegliare in un bagno di sudore freddo.
Un sudore che mai e poi mai avrebbe lavato via il pallido segno di quell'infausta notte, segnandolo nella psiche come un fregio nella roccia.
Una vita aspra e dura, il cui paragone con una oliva era quanto mai azzeccato.

Non poteva non paragonare le sensazioni di gusto che provava all'interno della bocca, ai momenti più interessanti della propria esistenza.
Ad attimi preziosi condiviso con persone speciali, che rappresentavano tutta la sua vita.
Collegare il sapore aspro che in quel momento gli pizzicava le labbra, a sua moglie e alle sue labbra che spesso toccavano le sue.
Al ricordo torturatore di quando facevano l'amore, all'insolita dolcezza che lei gli riversava quasi come una madre al figlio.
Una dolcezza sostituita unicamente dall'immenso coraggio di quella donna nell'affrontare le sue decisioni, senza abbassare la testa come avrebbe fatto qualunque altra femmina.
Non lei, non una qualunque spartana di tutta la Grecia.
Una donna che, per produrre anche una sola goccia d'olio, si sforzava lei di muovere la pietra del mortaio di modeste dimensioni dentro casa, anziché lasciarlo fare ad un qualunque schiavo come lui costantemente le ricordava di fare.
Inconfondibile il sapore delle olive in bocca applicato ai ricordi della sua defunta moglie. Aspro e dolce al contempo, un particolare che lo portò ad abbozzare miseramente un sorriso stanco sulle labbra sporche di ceneri perenni.

Poi la polpa finiva.
Poi finiva quel gioco quasi perverso tra il gusto aspro e dolce dell'oliva, e si giungeva a toccare il nocciolo duro come la roccia.
I molari di Kratos strinsero forti e sorpresi quella piccola pietra traditrice, rischiando di spezzarsi per la troppa pressione esercitata nell'atto di spezzarlo.
Il bianco guerriero mugugnò contrariato a quella spiacevole sensazione, sputando a terra il primo nocciolo e tentando di distruggere il secondo rimasto in bocca.
Stizzito, se lo rigirò e rigirò in bocca, avvertendo sempre di più i nervi tendersi per il paragone naturale che gli veniva da fare a quel piccolo seme.

Gli avevano detto che la vita era come una oliva, e quando giungeva la fine, quando la polpa raffigurante l'intera esistenza di una persona se ne andava via, rimaneva la dura realtà della morte.
Il nocciolo, sempre e comunque era duro anche per i denti più forti in assoluto, e nella sua semplice durezza ben si adattava alla fine della vita di Kratos.
La sua fine giunse per sua stessa mano, la notte in cui sua moglie e sua figlia perirono e affogarono nel proprio sangue. Per intercessione di un dio aveva fatto ciò che nessuno avrebbe mai dovuto fare, spolpando del tutto quell'aspra oliva e toccando il nocciolo con i denti fino a spezzarseli.
Facendosi male. Ma davvero tanto male.

Il sole sull'Egeo nel frattempo, si era inabissato all'orizzonte dei regni di Poseidone, tingendo di cupo rosso un manto notturno in procinto di coprirsi di stelle.
La roccia sulla quale si era seduto in precedenza, stava iniziando a raffreddarsi con l'avvento della notte, e con l'arrivo dei suoi fantasmi più noti.
Per tal motivo il Fantasma di Sparta non aveva più motivo di rimanersene li, e fare stupidi paragoni con le olive e la propria, squallida, esistenza.
Sputò sul selciato di pietra anche il secondo nocciolo dal guscio traditore, e si apprestò ad abbandonare quel piccolo villaggio di pescatori tutti fuggiti in preda al panico appena lo avevano visto arrivare.

Se la vita era come una oliva, la sua decisamente assomigliava interamente ad un nocciolo.

   
 
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