Era inverno nel reparto
frigorifero del supermercato. Una donna si strinse nel suo leggero maglioncino, mentre si sporgeva per prendere un pacchetto
di burro. Un altro uomo controllava la data di scadenza
delle mozzarelle.
“Quante buste di latte?” chiese Musica fermando il
carrello davanti al bancone.
“Prendine quattro o cinque” rispose Reina osservando una
bambina bionda portare un pacco più grosso di lei fra le braccia. “Vorrei
provare a fare un budino”
“Un budino? Tu?” Lui la guardò stranito,
quindi si voltò per non scoppiarle a ridere in faccia.
Reina incrociò le braccia, finendo solo per far risaltare
i seni. “Che significa quella risata?” Due ragazzi si
voltarono a guardarla.
“Solo che… Non ti vedo molto come cuoca…” Si voltò a
sorriderle. “L’immagine che ho di te è di amazzone…”
“Bene, se è questo che vuoi” L’aria attorno a lei iniziò a
condensarsi in sottili punte d’argento.
“Va bene, va bene, mi arrendo!” Iniziò a
gettare scompostamente buste di latte nel carrello mezzo vuoto.
Reina camminò più avanti, ondeggiando. “Sei
impossibile…”
Una ragazza passò fermandosi al bancone degli yogurt. Una
madre fu costretta ad interrompere il litigio fra due gemellini
dai capelli mori, incapaci di accordarsi sul gusto del gelato da prendere.
“Aspetta” Lui abbandonò al suo destino il carrello e la
fermò afferrandola per la vita. Com’era morbida, anche se magra, sotto il corto
vestitino rosso. “Non volevo offenderti…” le sussurrò nell’orecchio come un
vento caldo che le agitò le ciocche rosse. Le mani si alzarono leggermente
sotto i seni, mentre i loro corpo aderivano
perfettamente. I due ragazzi abbassarono lo sguardo, allontanandosi delusi.
Facendo un sorrisino felino, Reina si staccò senza dargli
la soddisfazione di un bacio. “Adesso è troppo tardi per fare il ruffiano”
Osservò con finto interesse i banchi a fianco. “Per farti perdonare dovrai fare
da cavia a tutti i miei esperimenti culinari”
Musica recuperò il carrello. “Ma io non voglio morire
giovane…” Entrambi sorrisero. Dopo essere
sopravvissuti all’endless e alle Dark Bring, sarebbe proprio stata un’ironia del destino essere
uccisi da un pranzo cucinato male.
Una commessa offriva ai clienti assaggi di prodotti in
sconto. Davanti al balcone dei salumi, due clienti litigavano per il turno.
Dall’altra parte, una donna chiacchierava al telefono ferma
in mezzo al corridoio.
“Io non ti conosco affatto” disse ad un certo punto Reina,
mentre controllava il numero delle calorie di una scatola di
biscotti in offerta.
“Che intendi?” Musica si bloccò,
finendo per ostruire il passaggio ad una signora, che gli scoccò un’occhiata
furente, prima di cambiare strada.
“Ho deciso di preparati il budino” affermò lei. “Ma non so assolutamente se ti piaccia o no!” Le sue labbra
rosse presero una piega sospetta.
Lui sorrise leggermente, pensando come una stupidaggine di
quel genere potesse preoccuparla più di uno dei
combattimenti che avevano affrontato in passato. “Tutto quello che tu fai mi
piace”
“Questo lo so” Reina non accolse il complimento. “Ma vorrei piuttosto sapere cosa piace a te… A prescindere
dal fatto che ci sia io” Rimise a posto la confezione di biscotti. “Vivo con un
perfetto estraneo, che condivide con me solamente i miei poteri” Proseguì il
cammino.
La commessa della cassa in chiusura si alzò per fermare un
cliente che voleva mettersi in coda. Questi allora superò la cassa da dieci
pezzi, nella quale stavano aspettando una dozzina di persone, e si posizionò in quella a fianco, dietro ad una signora con un
bambino nel carrello.
Musica prese Reina per mano e la trascinò alla cassa vuota
più vicina. “Anch’io ho i miei gusti, come tutti”
Iniziò a disporre i prodotti sulla cassa. “Ma vuoi
davvero che te li elenchi, come se rispondessi ad un test dallo psichiatra?”
Con l’indolenza tipica delle persone stanche del proprio
lavoro, la cassiera iniziò a contare i prezzi. Accanto, la collega terminava
l’orario di lavoro.
“Non volevo dire questo” Reina prese
un sacchetto di nylon e vi infilò dentro i prodotti. “Solo che… Mi sembra
sempre di non conoscerti abbastanza” Con una forza ben superiore a quella che
dimostrava, sollevò il sacchetto pieno e lo depose nel carrello vuoto. “Ho
sempre pensato di dover essere un tutt’uno con la persona che amo…”
Musica consegnò i soldi alla commessa, riservandole un
sorriso da playboy che la fece avvampare. Reina, capendo di star parlando con
due orecchie tappate, si allontanò trascinando dietro il carrello, solo per non
perdere tutta la spesa. Musica la raggiunse correndo leggermente, e poggiò una
mano a fianco della sua sul manico del carrello.
“La tua visione dell’amore non è sbagliata” le disse.
“Solo… Incompleta?” Sospirò, perché non riusciva a spiegarsi. “Ho sempre
pensato che due persone non possano capirsi
perfettamente, proprio perché sono diverse. Non tutti i comportamenti possono
essere compresi alla prima occhiata, né i desideri e i sogni segreti” Le porte
automatiche del supermercato si aprirono. “E’ solo
passando del tempo assieme, condividendo tutto della propria vita, che si può
provare a prevedere con buona probabilità i comportamenti dell’altro”
“Ma quando succederà io sarò
vecchia!”
Musica scoppiò a ridere. “Ti ci vedo proprio, vecchietta,
sul divano a fare la maglia!” Suo malgrado, anche lei sorrise.
Una panda grigia girava a passo d’uomo per il
parcheggio, cercando un posto che non si trovava. Un ragazzo apriva il
bagagliaio dell’auto per deporvi la spesa. In lontananza, il
rumore di una frenata alla precedenza.
“Non ti farò mai la maglia” disse pericolosamente Reina,
mentre apriva la portiera della loro decappottabile rossa e saliva, sedendosi
nei sedili leopardati come una top model.
“Morirò di freddo” replicò lui alzando le spalle. Gettò i
sacchetti della spesa sui sedili anteriori e salì, infilando la chiave e
mettendo in moto.
“Guidi tu?” indagò Reina con finta preoccupazione.
“Non farmi da mamma” scherzò lui, ricordando che lei aveva
qualche anno più di lui.
“Non lo farei, se non avessi già perso sedici punti” fece
innocente la rossa, osservandosi le unghie perfettamente modellate.
“Vigili bastardi…” digrignò, mentre sgommava superando i
limiti di velocità. “Ma me la pagheranno”
Per la strada, le macchine sfrecciavano non meno che la
loro. I pedoni rimanevano fermi alle strisce, osservando tutto fuorché le auto,
ben sapendo che nessuno li avrebbe fatti passare.
“Siamo in riserva, fermati
al distributore” ordinò Reina, indicando il benzinaio. Quando assumeva quel
tono, ricordava troppo la Oracion
Sein che era stata. Musica tirò dritto. “Ma hai sentito cosa ti ho detto?!”
“In quel distributore ci sono troppi maniaci” rispose lui,
continuando a fissare la striscia delle ruote dell’auto davanti.
“Ohh” Reina si finse
impressionata. “Così sei tu a essere geloso…” Mosse le
labbra, incredula.
“Io ti do forse ragioni per esserlo?” chiese lui,
scoccandole un’occhiata mentre metteva la freccia per girare a destra.
“Decisamente si” Lei si slacciò
la cintura di sicurezza.
“Dimmene uno”
“La nostra cameriera”
Un gatto attraversò la strada come un lampo, di modo che
lui non dovesse neppure sfiorare il pedale del freno, tra la frizione e
l’acceleratore. L’animale scomparve poi dentro il bosco.
“Dimmene due”
“Te ne dico una ventina, quante sono le commesse del
supermarket” La voce di Reina voleva essere gelosa, ma in realtà sembrava solo
divertita, forse perché Musica, in quel momento, era seduto di fianco a lei.
“Colpito” ammise lui, parcheggiando la macchina davanti
alla loro villetta indipendente, posta esattamente sopra una scogliera
scoscesa. “E non sai quanto” aggiunse ammiccando.
I due ragazzi scesero contemporaneamente, con una
simmetria degna dei pattinatori sul ghiaccio. Musica afferrò le borse della
spesa, non riuscendo ad impedire che la maggior parte della roba cadesse sui
sedili. Reina sorrise e per vendicarsi non si
preoccupò nemmeno di aiutarlo, andando ad aprire la porta di casa.
Quando lui ebbe raccolto tutta la roba e fu entrato in
casa, la trovò che fissava con uno strano interesse
Silver Ray.
“Perché non la distruggi?” gli
domandò, indicandola.
Musica aprì il frigorifero e vi posizionò
le buste del latte e tutti gli altri prodotti che necessitavano del freddo.
“Non potrei mai distruggere l’ultimo ricordo di tuo padre”
“Ma così non rispetti la volontà
del tuo maestro” Parlava senza guardarlo, come se non desiderasse veramente
quella conversazione.
“Credo che avrebbe voluto distruggerla solo se fosse
caduta in mani sbagliate” cercò di giustificarsi lui, mentre gettava tutto il
resto della spesa dentro un cassetto, alla rinfusa. “Qui è al sicuro”
Dopotutto, adesso che la guerra tra Rave e Dark Bring era finita e il regno di Shinphonia
ricostruito, nessuno l’avrebbe più usata. Lui meno che gli altri.
“C’è dell’altro?”
I vetri tremarono sotto il rumore della sirena di una nave
che salpava dal porto vicino, fendendo il mare calmo con la sua chiglia
appuntita. Nella scogliera di sotto, un pescatore imprecò per
quelle onde improvvise, che rischiavano di spaventare tutti i pesci.
Musica esitò. “Silver Ray
rappresenta il motivo del nostro legame” ammise, arrossendo fino alla punta dei
capelli a spazzola. Non erano proprio da lui simili smancerie, dopotutto. Ma con lei era diverso, perché poteva accettarlo per
qualunque cosa. Almeno, così sperava.
Reina corse verso di lui e lo abbracciò, ricoprendogli il
collo di baci. “Grazie” Musica si imbambolò sotto
quella stretta, sentendo il suo cuore esplodere. A quel punto, anche morire
sarebbe stato troppo poco. Alla fine, lei si staccò, continuando a fissarlo
strana. “Ah, non è da me” mormorò, sistemandosi i capelli rossi dietro le
spalle.
Nessuno è più sé stesso quando si innamora.
Eppure, è ironico ammetterlo, pensando che la persona amata è
colei che accetta tutto di te. Ma tutto di
quale te stesso?
Musica si avviò verso un quadretto storto rappresentante
un arcobaleno che era appeso accanto alla porta.
“Aspetta!” lo fermò lei. “Non raddrizzarlo”
“Perché mai?”
“Perché non possiamo essere certi
che non sia la casa ad essere storta”
Un gabbiamo gracchiò nel cielo,
mentre si avviava verso il sole, sempre più in alto. Un soffio di vento colpì
le finestre, ondeggiando i fiori sul balcone come in una samba al carnevale
brasiliano. Il pescatore, sotto, aveva rimesso in acqua la lenza ed ora
sonnecchiava con il cappello calato sugli occhi. La nave stava ormai per
sparire oltre l’orizzonte racchiuso tra due azzurri.
“Va bene” acconsentì lui alzando le spalle. “Ti va un tè?”
Reina scoccò un’occhiata all’orologio, che scandiva
inesorabilmente i secondi, con una melodia da tragedia. “Certo” Il ticchettio venne coperto dai passi di Musica che apriva l’alta della
credenza per prendere due tazze e appoggiarle sul tavolo.
La porta della casa si aprì. “Buongiorno, Musica!” Haru, esaltato come al solito,
fece il suo ingresso trionfale nella stanza, pestando forte a terra.
Lo seguiva Elie, sexy e
infantile come al solito. “Ciao, ciao”
“Ciao, ragazzi” rispose Musica, osservando attraverso la
fessura della porta la moto parcheggiata praticamente
in mezzo alla strada. Poco male, tanto raramente qualcuno, oltre a loro,
raggiungeva la punta della scogliera.
Elie afferrò una sedia e si sedette
sorridendogli tutta contenta. “Ho appena vinto un sacco di soldi al casinò”
esultò. “Stasera ti portiamo a cena fuori!”
“Un invito gratis non si rifiuta mai” accettò volentieri
Musica.
“Non so davvero come faccia, questa qua…” Haru le passò un braccio dietro la schiena. “Viene anche Let”
“Oh, bene” Musica abbassò lo sguardo. Sembrava che il
Dragon Race avesse finalmente superato lo shock per aver dovuto uccidere la sua
Giulia, seppur in forma di drago selvatico.
Elie notò solo in quel momento le due
tazze con i quadratini ai bordi, poggiate sulla tovaglia decorata ad olive.
“Per chi sono queste due tazze?”
Il gabbiamo, gracchiando, si
buttò come un missile sul pelo dell’acqua, afferrando il pesce prima che questi
venisse attirato dall’esca della canna. Il pescatore, sulla spiaggia, russava.
L’uccello volò di nuovo alto nel cielo per posarsi, incurante, sulla lapide
posta sulla punta della scogliera. Tra il becco stringeva forte la sua preda.
“Per voi, no?” Musica scostò lo sguardo,
mentre Haru, in preda ad una mania di precisione
strana per lui, raddrizzava il quadro. “Un tè?”