La dea e il demone
Capitolo1
Amaterasu
Con passi furtivi, il
guerriero calpestava con lenta cadenza l’erba secca di quel terreno arido. Solo
polvere e roccia rivestiva la maggior parte di quei pendii. La notte era
silenziosa e la luna piena ben visibile da quel picco isolato. Lo youkai, avvolto in un candido ed innaturale pallore, aveva
percorso una lunga ed impervia salita per giungervi. Finalmente, sulla vetta
più alta, con l’aria rarefatta ed il vento gelido ad infastidirlo, si fermò.
Non vi era traccia di vita a parte la sua. Un’innaturale quiete riempiva l’aria,
mentre come unica e attenta spettatrice, la luna con il suo unico ed immenso occhio,
lo seguiva.
I capelli del demone,
scivolavano liberi, allontanandosi dal corpo e risplendendo sotto i raggi
argentei. Una coda vaporosa che appariva avvolta da uno strano alone mistico
ondeggiava in bilico sul precipizio, mentre con naturale compostezza il suo
corpo rimaneva immoto e superbamente rigido, fasciato nell’elegante kimono da
viaggio. Si volse e quell’immenso varco oscuro gli si parò di fronte. Quella
bocca profonda nella roccia, pareva in attesa ci si addentrasse nei suoi
cunicoli umidi. Il guerriero posò lo sguardo ambrato sull’accesso della
caverna, serrando le palpebre ed aguzzando i sensi man mano che la sua mente vi
si addentrava, in cerca di chissà cosa. Un sussurro, un eco, un sibilo.
Qualcosa lo invitava a entrare. Un richiamo silenzioso che gli perforava la
volontà e lo guidava, lo stesso che lo aveva condotto fino a quello sperduto
meandro e che ora continuava. Una delle spade strette al fianco, ruppe quel
sommo momento, iniziando a tremare convulsamente e cozzando l’elsa contro l’armatura
che ne rivestiva il fianco. La mano artigliata dello youkai
l’afferrò con fermezza, sentendo quella vibrante supplica d’attenzione salirgli
lungo il polso e raggiungere la spalla.
Titubò ancora, guardingo per
gli improvvisi eventi a cui non dava ancora spiegazione, eppure qualcosa lo
smuoveva ad obbedire. Una forza ignota, supplichevole e muta, ma al contempo
ferma ed insistente si ostinava a trascinarlo all’interno dell’anfratto
naturale. A stento resisteva; a stento tratteneva i piedi al suolo, evitando di
compiere anche il più lieve passo. Tenseiga
ricominciò a vibrare fastidiosa, con più forza di prima. Pareva volesse
schizzare via, conducendolo con lei. Si udì di nuovo. Quel sussurro flebile
eppure incredibilmente penetrante: “Vieni
…”quella voce lo risucchiava. “…
fidati.” E di nuovo Tenseiga si fece più feroce,
frustandolo, mentre a stento la tratteneva nel fodero. Compì il primo passo e
di nuovo udì quella voce, indescrivibile con appellativi conosciuti. “Così. Vieni …” ne seguirono altri due.
Il suo corpo non riusciva più a fermarsi, esattamente com’era accaduto per
tutto il tragitto che lo aveva condotto lì. Non capiva cosa lo smuovesse e se
da prima l’aveva assecondato, incuriosito ed ansioso di scoprire cosa si
nascondesse dietro a tutto, ora il suo orgoglio veniva lacerato dalla
consapevolezza di non riuscire a resistergli. Entrò nella caverna senza
rendersene conto, mentre il buio della terra lo avvolgeva. I suoi occhi ci
misero poco ad abituarsi e finalmente abbozzò le prime sagome di colonne e
stalagmiti. Era un labirinto, eppure senza indugio variava la sua direzione,
guidato da quel qualcosa. Qualcosa
che lo attendeva.
Molti passi a cui non poté
resistere seguirono i precedenti. Inutile risultava qualsiasi forma di
resistenza e ben presto Sesshomaru smise di combatterla.
Tap. Tap. Riecheggiava il suo avanzare, quasi l’eco si facesse beffa della sua
condizione. Tap. Tap. Continuava con
solennità fuori luogo. Tap. Tap. Svoltò
ancora con inspiegabile certezza.
Tap. Tap. E finalmente, all’aprirsi del cunicolo appena percorso, intravide una luce
debole e flebile. Avvolgeva l’intera stanza
scavata naturalmente, eppure dalle pareti concave e fin troppo lisce.
Tenseiga smise di vibrare e Sesshomaru comprese che era giunto
alla fine di quel bizzarro viaggio. Il disagio dell’ignoto evento prossimo lo
invase, mentre quella luce sospesa a mezz’aria si deformava, rendendone
visibile la fonte. Uno specchio ottagonale volteggiava su se stesso con un
lento sibilo musicale, avvolto da una luce calda e contenuta. “Dillo …” di nuovo quella voce, più
palpabile in quel luogo e più irruente. “Dillo!”
Percepì una strana
familiarità al cospetto di quell’oggetto e un nome gli premette sulla lingua,
desideroso di uscire pronunciato dalle sue labbra. “Dillo!” e consapevole dell’imminente incontro schiuse la bocca,
rimanendo nella sua solita compostezza. “Yata … Yata no …” si trattenne, serrando i denti. “Chiamami!” sentì ancora e la morsa
della sua mascella si sciolse.
Fissò l’oggetto con
espressione di sfida, furente e poi si arrese all’inevitabile. “Yata no kagami.” Un bagliore
improvviso esplose a quel suono, costringendolo a distogliere lo sguardo per
non restarne accecato. Ogni cunicolo della grotta fu pervaso da quell’energia
inarrestabile, mentre l’alone che avvolgeva lo specchio si espandeva travolgendo
ogni cosa con prepotenza senza arrecare alcun danno e poi, in un risucchio
repentino, la luce tornò al suo centro d’origine, attenuandosi.
Sesshomaru aprì appena le
palpebre. Puntini scuri gli disturbavano la vista, permettendogli di scorgere appena
quella presenza comparsa all’improvviso. Riconobbe la sagoma sospesa di una donna,
ma ancora non poteva distinguerne i tratti. Solo dopo pochi battiti di palpebra,
svanì quel fastidioso velo e poté guardare l’aspetto della sua guida. Una luce
più dorata e splendente della precedente avvolgeva quella creatura, fra le cui
mani era stretto lo stesso specchio che l’aveva evocata. Pallida e perfetta era
la sua pelle che risplendeva e luccicava come le stelle della sera. I suoi
occhi erano disumani, non un solo colore li dipingeva, ma erano cangianti e ad
ogni nuova occhiata parevano avere sfumature diverse: ora azzurri, no verdi,
anzi rossi ... Tutti e nessuno.
I capelli ondulati e lisci, morbidi
come seta e lungamente infiniti si muovevano vivi, riempiendo la stanza come
raggi di luce. Pareva incorporea eppure palpabile, mentre la sua lunghissima e
ricca veste, di un oro purissimo, ed i gioielli che tintinnavano come cristallo
creavano un mondo a sé, sospeso fra due mondi. Sesshomaru la fissò a lungo,
cercando di carpire la natura delle sue intenzioni. “Giovane youkai, perché non chini il capo
davanti Amaterasu?” la stessa voce di prima
serpeggiò per l’antro circolare, nonostante le labbra della dea non si
schiudessero. Nessun eco la seguì, riproducendola, confermando quella presenza
come divina. “Perché un demone dovrebbe inchinarsi ad un Kami
ningen?” rispose altezzoso e poco cortese. Quell’incontro
non lo spaventava, anzi, la solita freddezza gli dipingeva il volto. Un sorriso
rese terreno quell’inespressivo e meraviglioso viso femminile. “Amaterasu è certa
che voi inu-youkai siate di certo i demoni più avventati
e stolti del vostro mortale mondo. Per
questo Amaterasu è qui …” di nuovo nessun movimento
di labbra serrate in quell’immoto sorriso.
Sesshomaru contrasse i
muscoli ed aguzzò i sensi. Che intenzioni poteva avere quella creatura. Era
imperscrutabile nella sua perenne immutabilità; che volesse combattere? Il
demone strinse l’elsa di Bakusaiga. “Amaterasu è dunque venuta fin qui per uccidermi?” chiese
truce, pronto a scontrarsi senza remora. Una risata profonda, calda e musicale
come un cinguettare d’uccelli serpeggiò nell’aria, mentre la dea si portava una
mano alla bocca, per nascondere le sue labbra contratte in quell’espressione
divertita. La risata smise e gli occhi millenari della dama celeste tornarono a
posarsi sul principe dell’Ovest. “Quanta
superbia!”constatò, riportando la mano sullo specchio. “Per Amaterasu non conti così tanto, youkai Sesshomaru.” Spiegò severa. “Ma la spada che possiedi è affare del nostro mondo, non del tuo.” tese
la mano con inumana lentezza, indicandola. “Non
spetta a un demone brandirla.”Sesshomaru percepì una strana forza d’attrazione
riempire lo spazio fra loro. Ringhiando sommessamente, si preparò a parare
qualsiasi colpo gli avrebbe sferrato, nel peggiore dei casi. La dea inespressiva
si limitò a ruotare il polso, ripiegando l’indice nel pugno. Tenseiga si sfilò con imprevedibile rapidità, schizzando
verso di lei e lasciando di stucco Sesshomaru, preparato a ben altra conseguenza
dai suoi gesti. La zanna del padre si fermò sospesa orizzontalmente di fronte Amaterasu, venendo avvolta dalla sua stessa luce divina.
“Non è per umani brandire un arma che non appartiene a
questo mondo, né per hanyou, né per dai-youkai.” Solenni le sue parole rimbombarono. “L’arma
di un Kami spetta ad un Kami,
così Amaterasu ha deciso.” La luce iniziò ad
intensificarsi, facendo presumere un ripetersi della stessa scena che aveva
preceduto la comparsa della dea. Voleva, forse, sparire con Tenseiga
com’era arrivata? Sesshomaru scrocchiò gli artigli. Come poteva permettersi di
svanire con la zanna di suo padre! “Aspetta!”
“Amaterasu non ha più motivo
per restare.” Rispose fredda
lei, chiudendo gli occhi e continuando ad intensificare il suo bagliore. “Aspetta!
Dannazione!” ringhiò Sesshomaru, venendo deliberatamente ignorato. “Ho detto
aspetta!!” sbraitò furioso, avventandosi contro di lei ad artigli sguainati. Saltò
rapido abbassando con forza le falangi per tranciare quella meravigliosa e
splendente figura. Attraversandola, atterrò dall’altro lato della stanza, con
la terribile sensazione della mancata lacerazione della carne. Si girò di
scatto, pronto a riattaccare, ma la dea riaprì gli occhi e incrociò i loro
sguardi. “Tieni così tanto a quest’arma
da osare sfidare una dea?”
Le vene del braccio di Sesshomaru
smisero di pulsare. Abbassò la mano ungolata e
cercando di placarsi cercò di formulare una frase sensata. “Voi Kami siete tutti così altezzosi da andarvene senza dare
spiegazioni?”
“Perché a voi creature terrene non bastano mai le
risposte?”
“Perché voi non ne date mai?”
Ci fu un lungo silenzio
durante il quale entrambi non distolsero lo sguardo. Sesshomaru era impassibile
e a stento l’odio per la dea non trapelava dal suo sguardo ambrato. L’aveva
condotto lì contro la sua volontà, l’aveva schernito, deriso ed ora si beffava
di lui in quel modo? Lui era Sesshomaru il dai-youkai
principe dell’Ovest, figlio primogenito e legittimo erede di Inu no Taisho! Nessuno poteva
calpestare il suo orgoglio di guerriero, nemmeno la dea del Sole!
“Molto bene.” la Kami ruppe il riflessivo momento.“ Avrai le tue risposte youkai,
ma sappi che la scelta di Amaterasu è irremovibile ed
immutabile come l’ordine delle stagioni. Rammentalo.”
Uno strano vorticare di colori
diversi cominciò a crearsi sulla superficie dello specchio. Lo stesso che la
dea non aveva mai lasciato andare. “Ti
mostrerò il perché della scelta di Amaterasu …”
I colori divennero immagini.
Immagini a lui familiari.
*continua*