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Autore: veronica94    14/06/2010    1 recensioni
questa storia parla di due ragazzi: Dario e Agnese. i loro destini si incontreranno e sta a voi scoprire come si svolgerà la vicenda.
Genere: Generale, Romantico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Dario
Uscii sbattendo la porta, elegantemente intagliata, il più possibile.
“brutto maledetto, la porta non si sbatte mai a quella maniera!” urlò mio padre da dentro casa.
Voltai le spalle a lui e alla casa e mi diressi verso l’adorato cancello automatico di mio padre, che l’aveva appena chiuso sperando che questo futile gesto potesse impedirmi la fuga.
Povero illuso.
Lo scavalcai con agilità.
A questo punto lui uscì da casa infuriato e mi fece la solita ramanzina: ”lo sai benissimo che non voglio vederti scavalcare il mio cancello: con quello che costa dovrebbe essere intoccabile!”
Mi girai per un ultimo sguardo, notai che anche mia madre stava uscendo, dopodiché mi voltai verso la strada deserta e arsa dal sole forte del sud, quindi iniziai a correre.
Corsi fino a non avere più fiato. Dalla grande casa, da dove ero fuggito, mi diressi verso il centro del mio paesino, dopo presi le strade secondarie strette e isolate, nessuno passava mai da quelle vie. Fuorché alcuni vecchietti. Ma in quel momento mi preoccupavo solo di correre e di sfogarmi dalla rabbia che portavo dentro.
Quando giunsi alla fine della parte storica del paesino, mi sedetti e iniziai a pensare.
La discussione con i miei nacque da un banale voto di scuola: un quattro in matematica.
La materia più importante per i miei, per me la più inutile.
Finché dissi:” voi vi preoccupate tanto per me, mentre mia sorella, che avrebbe più bisogno delle vostre attenzioni, la trascurate.” Allora nacque il pandemonio; iniziarono ad urlare frasi del tipo:” non dire che trascuriamo tua sorella!” disse mio padre, “lei ha tutto quel che può desiderare.” Mia madre, “al contrario di te lei va benissimo a scuola!” “è un angelo.” Aggiunse mia madre. Ad ogni affermazione rispondevo: “ è vero...” e avrei voluto aggiungere altro. Ma avrei solo peggiorato la situazione, non mi piace litigare con i miei, anche se negli ultimi tempi era diventato inevitabile. Allora chiusi la conversazione andandomene.
Ero ancora seduto sul muretto di pietra in fondo al paese, quando arrivarono i ragazzi più stupidi del circondario. Tutti in jeans attillati con magliette viola o a righe ficcate dentro i pantaloni. In quel gruppetto i ragazzi sono strafottenti e le ragazze si credono carine anche se sono tutt’altro a causa della loro stupidità infatti vestendo con minigonne cortissime e camicette troppo scollate non fanno certo una bella impressione... decisi di andare via prima di essere visto, sapendo di essere il bersaglio preferito delle loro battute.
Scappai giù sui campi arati dalle macchine e le campagne non ancora intaccate dalle macchine e dai concimi chimici.
Con lo sguardo cercai l’ombra preziosa dell’albero sotto il quale avevo l’abitudine di sedermi per proteggermi dal caldo eccessivo del sud. Quando lo trovai mi sdraiai sotto le sue fronde e iniziai a guardare le nuvole fino a che non mi ritrovai assorto dalla grandiosità delle vallate attorno a me.
Improvvisamente mi sentii stanco e le palpebre si chiudevano per la fatica della corsa.
Mi addormentai.
A notte fonda mi destai dal sonno profondo che mi aveva colto all’improvviso e, nonostante il buio riuscii a ritrovare la strada di casa.
Non mi stupii quando, una volta arrivato, non trovai nessuno sveglio. I miei si erano abituati a questa mia strana routine quindi non mi stupii di trovare tutte le luci spente a parte una: quella della camera di Marta, mia sorella, era ancora accesa. Come sempre mi aspettava con la scusa che doveva studiare.
Nel giardino c’era una pianta dove era facile arrampicarcisi sopra, era stata piantata proprio sotto la finestra di Marta, situata al secondo piano, mi arrampicai su di essa fino a raggiungere la sua stanza. Bussai al vetro e aspettai che lei venisse ad aprirmi.
Quando mi sentì si affrettò a venire da me, quando entrai vidi che studiava, come al solito, e con un’occhiata veloce all’orologio sulla parete constatai che erano le una passate.
Quindi con grande rammarico guardai mia sorella, i suoi occhi stanchi per il poco riposo mi fissavano, il volto scarno era serio, il solito sguardo che aveva negli ultimi anni, era da molto ormai che non sorrideva a causa della sua depressione, per colpa della quale aveva iniziato col non mangiare più niente e mi parve strano che riuscisse a restare in piedi con il corpo magro e ossuto che si ritrovava. 
“cosa guardi?” chiese irritata dal mio fissare.
“niente, pensavo che... è troppo tardi per studiare, sei già la più brava della classe! Sono già le una. È tardissimo.” Risposi.
“ma io devo superare anche me stessa.”
“ma secondo me... No, lasciamo perdere, è inutile discutere. Comunque grazie per avermi fatto entrare anche questa volta. Non sai quanto te ne sono grato. Se non ci fossi te...” non mi permise di andare avanti, con un gesto imperioso mi fermò. Poi disse: ”basta con i ringraziamenti, invece che litigare con mamma e papà per poi scappare, potresti cercare di risolvere questa faccenda.”
“come posso fare?” domandai in ansia. Non capivo che intendesse dire con il “risolvere questa faccenda”.
“devi solo migliorare in algebra. È lì il tuo punto debole... nelle altre materie vai bene!” affermò.
“Tanto vado male ugualmente...” iniziai, avrei voluto anche finire la frase dicendo che era inutile, ma lei mi bloccò.
“ non è vero niente! L’unico modo per migliorare è fare esercizi tutti i giorni, fidati.” Ci aveva già provato, ma il risultato era sempre lo stesso. “però questa volta li fai con me! Vai in camera tua a prendere il libro con qualche foglio. Poi torna qua.” Ordinò.
“va bene...” mormorai piano mentre andavo nella mia stanza.
Il contrasto tra la mia e la sua camera era assurdo: dal paradiso mi sembrava di essere passato all’inferno! La mia aveva le pareti scure, il letto aveva un piumino nero. E la luce fioca non rallegrava di certo l’atmosfera.
La cameretta di mia sorella invece era tutto il contrario: pareti chiare, il copriletto rosa e la scrivania di legno facevano pensare alla stanza di una principessa, e in effetti era così che veniva trattata dai miei.
Presi ciò che mi aveva chiesto e tornai da Marta.
Lei intanto aveva liberato la scrivania molto spaziosa, e ora era seduta su una sedia e mi invitava ad accomodarmi su un’altra libera, con un debole sorriso appena accennato sulle labbra.
Appoggiai di malavoglia i libri sulla scrivania, poi le feci un sorriso. Mi sembrava brutto ripagare i suoi sforzi con i miei modi bruschi e poco gentili. Iniziò a spiegarmi con molta pazienza la teoria, dopodiché passammo agli esercizi.
Finimmo alle tre di notte, poi le ordinai di dormire, ne aveva bisogno.
Io tornai nell’oscurità della mia camera, presi il mio mp3 e ascoltai Farewell degli Apocalyptica, la canzone preferita di Marta. Mentre ascoltavo i giri di note ripetitivi e nostalgici pensavo alla mia adorata sorellina.
“quanto vorrei aiutarla! “ e discutevo con me stesso i modi per convincere i miei genitori a  portarla da qualcuno di bravo per farla curare.
Presto mi addormentai, cercai di lottare contro il sonno, ma era una lotta persa fin dall’inizio.
Mi ritrovai ancora vestito e attorcigliato dal filo delle cuffiette, la musica continuava ad andare, spensi l’mp3 altrimenti si sarebbe scaricato del tutto.
Iniziai a preparare la cartella di scuola con le materie per la giornata. Ma o feci sovrappensiero: la mia testa era persa a pensare al sogno appena fatto.
Ero nella mia camera e ascoltavo la musica mentre facevo un po’ di esercizi di algebra. Quando sentii il campanello suonare insistentemente, mi alzai per andare ad aprire, ma una volta sulla porta vidi mia sorella avviarsi placidamente giù per le scale dicendo: “vado io, non ti preoccupare, è per me.” Ma rimasi con l’incognita di chi fosse venuto a trovarci, poiché mi svegliai improvvisamente. Quindi iniziai a pensare chi potesse essere, sicuramente qualcun che avrebbe potuto aiutare Marta. ma presto smisi di pensare al sogno, poichè avevo appena letto sul diario di scuola che proprio quella mattinata avrei dovuto svolgrere un compito di italiano. "fa lo stesso, anche se non ho studiato niente... mi inventerò qualcosa."
Una volta pronto scesi silenziosamente le scale per non svegliare mia sorella.
Quando arrivai in cucina trovai mia madre che stava bevendo il caffè. La osservai in maniera discreta e mi accorsi che aveva la fronte spianata, serena e rilassata, ma gli occhi erano stanchi; probabilmente non aveva dormito ed era rimasta ad ascoltare me che rientravo e la mia discussione con Marta.
“buon giorno, mamma.” La salutai.
“buon giorno a te, Dario, hai dormito bene?” chiese
“si, grazie.” Risposi, senza chiederle del suo riposo.
“bene... vuoi un po’ di caffè?”
“no, mamma, sono di fretta. Ma grazie lo stesso.” Dissi. Lei annuì ed io uscii.
Quando fui per strada mi sentii più libero, come se in casa qualcosa premesse sul mio petto.
Il mio sguardo cadde sul cancello del mio vicino, il quale vendeva la casa, il cartello vendesi non c’era, doveva essere riuscito nel suo intento!
In quel momento mi sentii osservato e casualmente il mio sguardo scivolò su una delle finestre del piano superiore della casa, misteriosamente attratto e vidi gli occhi che mi stavano osservando; appartenevano ad una ragazza, mi guardava curiosa come se mi studiasse, quando tolse il suo sguardo da me io corsi via. Non mi ero accorto di essermi fermato per la strada.
Andavo verso la scuola, per svolgere una fastidiosa verifica di italiano. 
 
  
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