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Autore: Sweet__Jane    17/06/2010    6 recensioni
[American Psycho]
Questa è la mia prima fanfic, quindi siate comprensivi (: Come inizio ho voluto dedicarmi a un film che mi ha colpito molto, American Psycho. Ho cercato di analizzare in maniera personale (nonstante abbia anche letto il libro, quindi in una certa maniera influisce) il personaggio dello psicopatico Patrick Bateman, presupponendo come potrebbe cambiare parte della sua visione della vita se riuscisse veramente ad innamorarsi della sua segretaria, Jean. Non è certo un modo per esprimere ammirazione nei confronti di questo personaggio ai limiti del mostruoso; bensì ho voluto provare a regalarli un briciolo di umanità e a immaginare il suo concetto del mondo secondo quello che ho capito e che mi ha fatto riflettere dopo aver visto il film e aver letto il romanzo. Credo che Christian Bale sia riuscito ad interpretare un personaggio così particolare in maniera splendida; è anche un modo di onorare uno dei miei attori preferiti e, secondo me, fra i migliori della sua generazione.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“ You might think I'm crazy, but I don't even care… “

 

Huey Lewis canta nel walkman di Patrick Bateman, mentre il mondo fuori continua a muoversi. Tutti tranne Bateman, il ragazzo della porta accanto, lo yuppie leccaculo, il sadico torturatore. Ragazzo,leccaculo,sadico,yuppie,torturatore,porta accanto. In fondo, anche se inverti l’ordine dei fattori, il risultato non cambia. E’ questo che pensa Pat mentre il desolante spettacolo dell’orgia di mendicanti che riempe New York gli scorre davanti, trasmutato dal finestrino del taxi in cui si trova. L’autista, probabilmente armeno, blatera qualcosa contro la radio che non funziona, ma a Patrick non gliene può fregare di meno, né di lui né del barbone che ha fatto fuori la sera prima, lasciandolo sanguinante sul marciapiede della Broadway. Non è il tipo di persona che si preoccupa per tali sciocchezze, lui. Oggi ha già dovuto sopportare abbastanza le angherie del collega Van Patten , indeciso su come indossare una cravatta; il tutto seduto a un tavolino terribilmente posizionato da Pastels. L’unica cosa che è riuscita a consolarlo è stato, come di consuetudine, l’odore del sangue e della disperazione, del dolore e dell’angoscia. Patrick non è vivo se non quando prende in mano un coltello, una pistola, un’ascia. Non è vivo mentre sorseggia J&B on the rocks da Au Bar. Non è vivo quando solleva pesi all’Xclusive. Non è vivo quando discute di cameriere corpoduro coi colleghi di Wall Street. Lui se ne rende conto, ma in fondo è il mondo in cui vive, pensa, e lui vuole essere dentro. La sua vita assume quotidianamente la stessa consistenza di quella di uno zombi; è solo un minuscolo punto elegante nella folla di altri punti eleganti come lui, e la consapevolezza di essere terrificante per qualcuno gli infonde speranza, potenza. La violenza è come l’abbraccio caloroso di una madre; l’odio un padre vigile e attento. E mentre pensa questo si sente la persona più placida del mondo, quasi che le cose che ama fossero la norma. Eppure tutto sommato esse sono normali: la sua doppia vita scorre inosservata tra le strade della città, quasi si tratti di un tranquillo, sonnacchioso fiume di sangue. Nessuno si angoscia delle scorribande notturne di Patrick, mietitore yuppie in giacca Emporio Armani. Ammettiamolo: chi arriverebbe a credere che, dietro lusso e bellezza, si celi pazzia e male? L’occhio umano si ferma alle apparenze, la bocca parla di cose che non conosce, l’animo tenta di provare compassione, quando essa ormai è già andata persa tra un drink e un video su MTV.

 

“ But I know the reason why you keep your silence up, no you don't fool me. The hurt doesn't show; but the pain still grows, it's no stranger to you or me… “

 

Dolore. Una parola costante, nella vita di Patrick. Sia che lo infligga agli altri oppure che lo provi sulla sua pelle, così mostruosa eppure così simile alla nostra. Il diavolo si nasconde nei dettagli, diceva qualcuno. Nessuno si rende conto nel diavolo che regna nella chioma di Bateman, nel suo sorriso ammicante; sono tutti ignari del ciuffo di capelli che stringe in un pugno, del frammento di osso che tiene nel taschino della camicia Polo. Sofferenza. Sinonimo di dolore, probabilmente. Eppure sono parole talmente diverse; la sofferenza riesci a nasconderla dietro un sorriso perfettamente curato e soprattutto è spesso innocua, è il sentimento degli innamorati e dei perdenti, e certamente Patrick non è uno di loro. Il dolore, invece, è qualcosa di tremendamente più istintivo, capace di far vacillare animi certamente più saldi di lui. Niente sfugge al vero dolore, quello forte e distruttivo, quello che cancella in un istante ogni attimo di felicità precedente. Il dolore è un’onda anomala, inghiotte e distrugge, è una primadonna, vuole sempre essere un gradino sopra gli altri.

La voce di Phil Collins risuona nella mente annebbiata di Patrick, un groviglio di musica, pensieri e disordine. Ben presto doveri più importanti lo riportano alla realtà: un pezzo di cibo incastrato tra i denti, la mousse che si sta seccando sui capelli perfetti. Si specchia frettolosamente nel riflesso della scrivania del suo ufficio, quando vede Jean, la sua segretaria, indugiare sulla porta, fragile e delicata come solo lei riesce ad essere. Jean è palesemente innamorata di Patrick, e lui non riesce a non provare un leggero fastidio al pensiero, dato che si potrebbe definirla, per usare le sue parole, come “una crocerossina del cazzo”. Eppure stamani Pat si sente invincibile e onnipotente, e senza neanche accorgersene invita Jean, la sua segretaria così orribilmente innamorata di lui, a cenare all’Arcadia. Si ritrova seduto a un tavolo discretamente posizionato, a blaterare tenendo occupati i pensieri altrove. Jean è così tenera, pensa in un impeto di romanticismo, non si meriterebbe quello che sarei capace di farle, e all’improvviso la serata sembra acquistare senso, perché sente di avere davanti probabilmente l’unica persona capace di guardarlo senza prima osservare il suo completo, di metterlo a nudo con uno sguardo; se non fosse una questione di principio non ammetterlo, Patrick converrebbe che la cosa che lo infastidisce di Jean è il suo saperlo prendere in ogni momento, non la sua devozione totale. E’ di questo in fondo che ha bisogno: di una persona da amare. Non vuole far del male a Jean, non ne sarebbe capace, vorrebbe solo stringerla a sé, sfiorare i suoi capelli color grano con le labbra, tenderle la mano per scoprire le dita affusolate, il polso magro, la pelle così sensibile e rosea, e farla sua per sempre. Ma questo è solo l’inconscio di Pat, un minuscolo pensiero nella sua personalità così confusa; mentre è seduto a osservare sconsolato il suo piatto, non riesce a pensare ad altro che alla puntata di stamani del Patty Winters show, e si limita ad annuire distratto alla volta di Jean, la sua segretaria così pateticamente innamorata di lui.

 

“ How can I just let you walk away, just let you leave without a trace, when I stand here taking every breath with you, ooh, you're the only one who really knew me at all…

 

Jean. J – E – A – N. E’ come se un drappo di seta lo tenesse collegato a lei, e adesso Patrick se ne rende conto, lascia che i pensieri fluiscano senza affogarli nella vuotezza della sua scintillante, fatiscente esistenza. I suoi capelli color grano, pensa. Le sue labbra rosse e carnose, sussurra. Per Patrick è difficile ammettere che forse, in un futuro remoto, sarebbe capace di ricambiare anche solo un quarto dell’amore che Jean prova per lui, eppure elabora la propria scoperta, come i bambini che si arrendono all’evidenza che Babbo Natale non esiste, è solo un’illusione, ma che vi sono tante cose più belle al mondo che vale la pena scoprire. Stranamente, non prova più la stessa sete sanguinaria di qualche giorno prima, la sua mente lavora a un senso solo, un senso che porta ad unica direzione: Jean. E’ il vero Patrick che pensa queste cose, prova questi nuovi sentimenti, si sente per una volta capace di, è strano ammetterlo, voler rendere felice una persona; è quella parte di lui che ormai credeva persa tra un viaggio ad Aspen e un’asciata sul viso di Paul Allen. Che sia un accenno di… umanità, quello che lo sconvolge? Mentre formula questi pensieri si trova a camminare tra i marciapiedi di New York, lungo la strada che, aspetta un po’, porta proprio da Jean. La trova fuori dal portone e la prende per mano, nella luce di un nuovo giorno che nasce. E mentre l’alba arrossisce i grattacieli della città e il viso di Jean, non pensa più a quanto il sole che nasce somigli a un rivolo di sangue, bensì a quanto sia simile alle guance infuocate della sua segretaria così orribilmente pateticamente crocerossina del cazzo adorabilmente innamorata di lui.

  
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