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Autore: Parsifal    26/06/2010    4 recensioni
Questa è la storia di Alessandro ed Efestione così come loro me l’hanno raccontata. Sono venuti nei miei pensieri, ne hanno preso possesso e hanno dettato quello che è stata la loro storia dal loro punta di vista. La “storia” dentro la Storia. Mi ha emozionata scriverla, mi hanno emozionato i loro ricordi, la loro struggente emotività .Ogni cosa. Spero che piaccia anche a voi così come è piaciuta a me. \\ Non avevo paura. Così come non ne avevo in vita se morire voleva dire permettere a lui di vivere non ne avevo li, davanti a lui, nell'oscurità più totale.\\
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Alessandro il Grande, Efestione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ecco qui il secondo capitolo di questa fic che non è stata ancora completata.
Questo è quello che ho scritto, il resto devo ancora terminarlo ma è in dirittura d'arrivo.
E' tutto qui, nel mio cuore e "loro", Alesndro ed Efestione, verranno a scriverlo al più presto...forse in questo fine settimana ^_^''.
Un grazie di cuore a Mizar, Adamic e Aglaja per aver commentato questa storia e a quanti lo faranno adesso.
Dedicato a Yukino che li adora e mi sta "leggermente" spingendo a terminarla!
Ma, appena lo farò, voglio il commento, hai capito Yukino???
Buona lettura a tutti.
Parsy

2° Cap.
* Parlare adesso che la luce ha avvolto la mia, la nostra esistenza, di ciò che eravamo prima, non è facile.
Adesso che sai cos'è l'Amore, come fai a parlare di quello che
scambiavi per Esso?
La felicità, quando avevamo un corpo, era stare insieme.
Un fuoco con gli amici, il calore del vino che ti scivola in gola, il
mantello a scaldarti la pelle e il suo sguardo per scaldare il cuore.
Questo bastava per dire a me stesso che stavo bene e non desideravo altro.
Leggere nei suoi occhi la gioia che gli dava affondare lo sguardo nei miei.
Avere la conferma che io ero con lui.
Gli amici erano tali di nome, pochi di fatto.
Il vino dava l'illusione momentanea di forza e di effimero benessere.
Il giorno che moriva portava con sé le debolezze, le fragilità di
uomini che si illudevano di essere grandi con la forza.
Eppure ci dicevamo felici... quanto eravamo presuntuosi!
Adesso che vivo un presente perenne, adesso che nella mia anima c'è davvero l'Amore, so che quando siamo sulla terra ci affanniamo per le cose sbagliate e rischiamo di perdere di vista l'essenziale.
Quello che è invisibile agli occhi ed è racchiuso nella parte più
profonda di noi.
Quanti giri di chiave ha il nostro cuore?
Quante volte abbiamo sotterrato la nostra capacità di amare?
Me ne stavo lì a vegliare su di lui e questo bastava a me stesso per dirmi felice.
Non chiedevo altro agli dei che quello:
Vegliare, proteggere, soccorrere il mio Re, colui che per me lo
era, prima ancora della morte di Re Filippo.
Alzare lo sguardo sull'uomo divenuto tale, contro ogni legge e regola umana, per forza di regalità.
Per diritto di nascita.
E trovarsi davanti la ragione della mia vita.
Solo questo contava per me. Niente altro.
Non rimpiango nulla di quello che ho vissuto, provato e fatto sulla
terra.
Ma se avessi avuto la coscienza che ho adesso, se non l'avessi fatta dormire sotto strati di polvere... polvere che erano le mie certezze e le mie convinzioni, avrei potuto dire veramente a me stesso, di averlo amato con tutte le mie forze.
E di essere stato felice.

**Che cos'era per me la felicità?
Non mi sono mai fermato a chiedermelo.
In effetti non era importante in quel momento.
Io vivevo nel presente, consapevole che ogni attimo passato insieme era una conquista dura e faticosa.
Una conquista nostra però, soltanto nostra.
Da non dividere con nessuno.
Bastava, a far diventare degna una giornata, il suo sguardo che
scivolava su di me, i suoi occhi scuri che cercavano i miei, che li
accarezzavano.
Che bruciavano di un fuoco soltanto mio.
Per me lui era l'ancora di salvezza e, come ogni ancora, mi bloccava lì, al suolo, fermando con la ragione i miei voli altissimi, e impedendo così cadute rovinose.
Anche se non ci riusciva sempre.
Come si fa a impedire ad un falco di volare? Impossibile.
Non mi ha mai abbandonato, nemmeno quando il mio comportamento rendeva vana ogni ragione, ogni pensiero razionale.
Ed è stato il primo che ha creduto ciecamente in me, che ha messo sul mio capo quella corona simbolica, che faceva di me il condottiero della Magna Grecia.
Colui che avrebbe riunito sotto la sua bandiera, tutte le terre
conosciute.
Ricordo come fosse adesso, l'ultimo mio colloquio con mia madre.
Mio padre era appena morto e il sospetto che lei ne fosse l'artefice, non dava pace al mio spirito e faceva vacillare la mia mente.
Volevo da lei una rassicurazione, che non è mai avvenuta.
In lei leggevo solo odio, un odio sconfinato, che la stava
avvelenando e che mi stava togliendo le forze.
Come riuscii a non metterle le mani addosso, solo il cielo lo sa.
Il cielo così immobile e chiuso sui nostri piccoli drammi.
Chiedevo invano un aiuto a chi non era altro che polvere e
immobilità.
Statue vuote, dei inesistenti e crudeli come solo l'uomo sa esserlo.
E fu in quel momento che capii di essere solo.
Ero solo!
Potevo contare solo su me stesso e sulle mie capacità.
Sul mio cuore che batteva nel petto.
Sul sangue che scorreva nelle mie vene.
Uscii dalle sue camere senza forze, devastato nel profondo.
E vidi Efestione che mi stava guardando dai giardini.
Era con qualcuno, stavano parlando.
Eppure, appena io passai accanto alla terrazza e mi fermai a
guardarlo, lui volse la testa.
Lentamente, tutto il suo corpo si voltò verso di me.
Si protese, richiamato dal mio sguardo.
E io ritrovai la ragione.
Non ero solo.
Anche se il mondo mi avesse voltato le spalle, io non ero solo.
Abbassò leggermente il capo e io, contro ogni logica, contro ogni
apparente ragione... gli sorrisi.

* I suoi sorrisi.
Quanto erano rari e quanto erano preziosi.
Non parlo di quelli fatti con gli amici mentre si mangiava e si
beveva.
O di quelli di circostanza, dovuti quasi.
Ma dei sorrisi veri, profondi, unici in quanto sentiti.
Non aveva molte cose su cui ridere.
Il peso di un regno che era diventato precocemente suo, un regno che lui non voleva come peso, ma come amore.
Amici che tramavano alle sue spalle.
Generali che lo vedevano troppo giovane.
Una madre malata, che lo amava malsanamente e si serviva di lui.
Come poteva trovare qualcosa per cui sorridere, in mezzo a tutto
questo?
Eppure qualche volta lo faceva.
L'ho visto sorridere davanti a un gioco di bimbi.
L'ho visto sorridere davanti a una nuova vita, qualunque essa sia.
E ogni volta il suo animo si apriva, facendomi intravedere l'uomo che serbava nel profondo.
Quando poi sorrideva a me, a me che ero nulla davanti a lui, mi
rendeva consapevole della mia fragilità.
Del mio essere come cera calda nelle sue mani.
Mi modellava con i suoi sorrisi rari, mi uccideva a me stesso,
facendomi rinascere in lui.
Quando andò a parlare a sua madre, subito dopo la morte di Re
Filippo, fu il momento peggiore della sua vita.
Quella vissuta e quella ancora da vivere.
Cercava negli occhi di chi l'aveva messo al mondo, una conferma alla sua innocenza.
Il mio Alessandro.
Era diventato Re di un popolo immenso e si rifiutava di credere che sua madre arrivasse a tanto.
Rivoleva indietro le sue certezze, la sua seppur fragile umanità, che derivava in gran parte dall'amore per colei che gli aveva dato solo rancore e odio verso chi l'aveva resa schiava delle proprie passioni.
Ne uscì sconvolto.
Aveva sul cuore un peso immenso e l'anima ,completamente solitaria, si cibava di dolore e distruzione.
Deluso per l'ennesima volta dal cielo immoto.
Privo del Padre e ora, definitivamente, anche della madre.
Io stavo parlando nel cortile con uno dei figli di un generale di suo padre.
Un uomo giovane che aveva verso di me del rispetto, misto a timore reverenziale.
Mi guardava anche con curiosità, che derivava, probabilmente dalle ore passate a chiedersi se era vero quello che dicevano di me.
E con desiderio.
Io gli piacevo, lo si capiva subito.
E se questo, in parte mi faceva innegabilmente piacere, allo stesso tempo, mi infastidiva tantissimo.
Non volevo che qualcuno potesse guardarmi in quel modo.
Quel modo particolarmente caldo e avvolgente.
Io appartenevo a una sola persona, anima e corpo.
Sentii su di me il suo sguardo, prima ancora di percepirne la
presenza.
Trafiggeva il mio corpo e quello del ragazzo accanto a me.
Come una freccia scoccata in maniera precisa ed efficace la sentivo colpire in profondità e lasciarmi dentro tutta la sua disperazione per essere rimasto solo.
La sua ira, per lo sguardo di quel giovane uomo incosciente.
Il suo amore che mi invocava...
Mi voltai lentamente verso di lui, mentre già il mio essere, in tutta la sua completezza, si protendeva verso la fonte della sua esistenza.
I suoi occhi dorati, profondi e capaci di piegare qualsiasi volontà,
mi incatenarono.
Mi fecero intravedere i suoi abissi imperscrutabili.
Mai gli avrei permesso di restare solo.
Mai.
E questo lui doveva saperlo.  Se davvero mi conosceva a fondo.
Mi inchinai a lui, al Re che era diventato. All'unico essere che mai se lo meritava.
Al proprietario delle mie emozioni.
E lui mi fece vedere quanto era grande il suo amore per me.
Con il suo sorriso.

**L'ultima notte che passai nel palazzo dove c'era mia madre fu la più intensa della mia vita.
E pensarci adesso che vedo oltre e che sento ogni cosa, me la rende ancora più cara.
La passai con lui.
Infischiandomi di coloro che vedevano tutto lo mandai a chiamare, non volevo restare solo in quelle stanze pensate da "lei" per me.
Sarei definitivamente impazzito.
Del resto era normale per tutti, come se avessi mandato a chiamare una donna.
Quello che cambiava per loro era che lui era Efestione, uno di "loro".
E avevano paura del potere che aveva su di me, ora che ero il Re.
Lui non era manovrabile e il suo amore per me era più forte di ogni cosa.
Ed era forte.
Molto più di tutti loro.
Lo temevano e in quel momento iniziarono ad odiarlo.
Quando eravamo insieme racchiusi l'uno nell'amore dell'altro, mi
decisi a fargli quella domanda.
Quella domanda che era un'affermazione ma che mi faceva sentire, in una qualche maniera, vulnerabile.
-Quel ragazzo ti ama-
Tutto qui.
Del resto era una cosa certa.
Forse inutile ma certa.
Sentii il suo sorriso senza vederlo, sulla mia pelle, mentre gli
cingevo le spalle.
E la sua frase mi fece capire quanto il resto del mondo non
esisteva più per lui.
Quanto la sua vita ruotasse su di me.
- Non importa-
Basta.
Solo questo.
Non importa.
E lì disse tutto.
Lo amai quella sera come mai io avevo amato.
Con ogni fibra di me stesso.
Con ogni cellula del mio corpo.
Con tutto il mio sangue.
Eravamo noi due soli, in un mondo che mi accingevo a fare mio ma che non capivo.
E che mi rifiutava.
Mandai lontano quel giovane uomo.
Lo mandai in una mie delle terre conquistate, con una scusa più o meno buona.
Non perché avevo paura che Efestione cedesse ma perché non volevo che il piccolo si illudesse ulteriormente.
Mai lo avrebbe amato.
Mi ero scoperto geloso e possessivo e, per il suo bene, era importante che lo tenesse ben presente.
Quella notte scaldò la mia anima per molto, molto tempo.

   
 
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