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Autore: Bellis    30/06/2010    5 recensioni
Un unico, madornale errore. Uno di quelli che lasciano il segno nella vita d'un uomo.
(Attenzione: character death, angst.)
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Avviso il gentile Lettore che questa oneshot non è solamente opera mia. Il prompt è di Miss Lady, la cui idea mi ha colpita nel profondo; ella ha inoltre trovato un titolo appropriato al prodotto finale. I congiuntivi sono tutti di DaTaLoRe, e se qualcuno non lo è, allora è sbagliato (sì, lei è la mia insostituibile beta). Un ringraziamento particolare va al dottor Joseph Bell, il quale ha difeso la sottoscritta dalla veemenza dei due protagonisti, adiratissimi nei confronti della mia non indifferente vena di cinismo.
I consueti avvertimenti.
Attenzione: on-screen main character death (morte di un personaggio principale narrata direttamente), angst diffuso.
Se vuoi continuare la lettura, Hic Sunt Leones.



Without a Brother

"Holmes, amico mio. Non potete biasimarvi per questo."

La sua figura si stagliava nel rettangolo di pallida luce che filtrava dalla porta socchiusa della mia stanza; la destra ancora posata sulla maniglia, i lineamenti del viso atteggiati a profonda preoccupazione: per la mia condizione psicologica, senza dubbio.

Eppure, la sua presenza non mi fu di alcun conforto. Anzi, risvegliò in me la prorompente e travolgente verità che da giorni ottenebrava le mie acute facoltà di ragionatore e mi precludeva ogni attimo di sollievo. Mi coprii gli occhi con le mani, cercando l'oscurità a tentoni, così come il naufrago avrebbe disperatamente desiderato il salvagente, o un cieco avrebbe percorso una via sconosciuta nello straziante bisogno del proprio bastone.

"Holmes? Mi state ascoltando?"

Il tono era quasi allarmato, ed un passo risuonò nei pressi della soglia. Volli considerare con distacco la situazione, e riuscii solo ad aggiungere sale ad una già bruciante piaga.

"Andate via." mormorai debolmente.

Le tenebre mi avvolsero, e l'uomo svanì, per un momento.

La notte era di un profondo buio nel quale qualsiasi essere umano avrebbe temuto di perdersi, ma il mio fedele Boswell non aveva voluto approfittare del mio consiglio: invece di rimanere nei pressi dello scoppiettante focolare al 221b di Baker Street, aveva insistito per accompagnarmi nella perigliosa ma prevedibilmente infruttuosa spedizione presso il molo orientale. L'East End, zona scarsamente illuminata e poco frequentata anche dalle volenterose forze di polizia, era insanabile ricettacolo della più bassa malavita che infestava come un incurabile morbo la nostra città.

Avevo la sensazione che, quella sera, nulla sarebbe riuscito ad impedire a Watson di zoppicare fuori dal nostro appartamento e seguirmi attraverso la nebbia giallastra. Con la sua rivoltella d'ordinanza infilata nella tasca del soprabito, salì in carrozza appena dopo di me, e partimmo alla volta della soluzione da noi tanto agognata.
Elettrizzato da quell'avventura, che possedeva tutti gli ingredienti per formare uno dei suoi oltremodo fantasiosi resoconti dal sapore romanzesco, egli ascoltava le mie deduzioni con la diligente attenzione di uno scolaretto di fronte alla cattedra. Intimamente appagato dal suo interesse, proseguivo a confermargli come quel caso avesse una tale rilevanza da potersi definire di spicco tra tutti quelli che insieme avevamo affrontato, e dettagliavo con aria noncurante la sbalorditiva serie di causa ed effetto che mi avevano portato a trarre le mie deduzioni ed a svelare il mistero che si celava dietro ad una inquietante serie di omicidi.

"Eccezionale, Holmes. Chi altri avrebbe mai potuto mettere in relazione quei fatti?"

"Banale, mio caro Watson! Si tratta di allenare la mente a concatenare, collegare, dedurre."

Un gioioso sorriso incurvò i baffi del mio camerata, ed il mio orgoglio di artista, adeguatamente stimolato da quella spontanea ammirazione, spinse il mio recalcitrante intelletto, già teso nella pianificazione minuziosa della nostra perquisizione, a dettagliare la serie di osservazioni e a descrivere ogni anello della catena che aveva portato inequivocabilmente alla conclusione corretta.

Senza possibilità di errore...


L'eco della ben nota voce non si era ancora spento, nelle mie orecchie, che esso si ripresentò, con un vago accento di allarmata premura.

"Vedo una strana luce nei vostri occhi, e se vorrete perdonare la mia franchezza, tutto ciò non mi piace affatto."

"Di quale luce parlate? Non vedo che nebbia intorno a me. Non vedo che la fosca realtà. Se veramente v'è luce nelle mie iridi, allora esse debbono averla catturata tutta, e risucchiata dal mondo."

Un fruscìo, un movimento accanto alla mia spalla.
"Calmatevi, ora. Cosa vi succede?"

Balzai dalla sedia e feci del mio meglio per reprimere il turbamento, per scacciarlo dalle mie fattezze, ch'esso avrebbe deturpato nella barbara maniera dei primitivi. Mi resi conto di ciò che ero incline a fare, e rabbrividii.

"Holmes." venne la paziente risposta al mio inespresso tumulto, "Va tutto bene."

Impietrito da quelle poche sillabe, fissai il vuoto di fronte a me.
In un impulso irrefrenabile, mi lanciai sulla porta e fuggii nel salotto.

"Giusto Cielo, Holmes, sembra una persona pericolosa! Avrete portato la vostra arma, voglio sperare."

Gli mostrai la mia pistola dal grilletto sensibilissimo. "Confido tuttavia che non dovremo usare la violenza, vecchio mio. Il nostro uomo dovrebbe trovarsi fuori dal suo covo."

"Dove andate?"

Mi voltai di scatto, e parlai con una veemenza che non avrei mai creduto possibile dimostrare, soprattutto alla persona il cui volto serio stava di fronte a me senza il minimo accenno di esitazione nel contegno onesto e leale.
"Non avvicinatevi. Non fate un passo di più! Lasciatemi."

Uno sparo. Spalancai la porta.

"Holmes!"

Una seconda deflagrazione, il cui suono minaccioso riconobbi come proveniente della Webley del medico.

"Holmes."

"Ho detto di lasciarmi solo!"

Faticai a riconoscere il mio grido sconnesso, per il quale trovai impossibile non provare una subitanea vergogna; tremando chinai il capo.

"Siete già solo."

La mia mente, un tempo formidabile ed ora annichilata, non potè altro che rifugiarsi nell'ombra.

Il frastuono di una colluttazione, il gemito di un corpo scagliato contro il pavimento polveroso e sudicio. Puntai la torcia sul corridoio, e come un lampo improvviso nella tempesta, il fascio di luce parve immobilizzare le due forme che permanevano nell'adito.

Lanning era in piedi, il revolver di Watson stretto nella mancina. Il mio amico, ansimante, era a terra, una mano poggiata sulla nuca. Sollevai la mia arma, la livellai e presi la mira: la spalla del criminale era un bersaglio facile, da quella distanza.

Sfortunatamente, anche il mio amico e collega pensò la stessa cosa del braccio del suo avversario, quando vide che la bocca da fuoco si spostava per collimare nella mia direzione. Si lanciò verso di lui, nell'intento di atterrarlo. I due corpi avvinti formarono un'unica massa. Il mio indice era già teso sul grilletto.

Una terza esplosione. Un grido. Passi di corsa. Un uomo caduto, riverso al suolo.

"Watson!"

"Come - come ho potuto..."

Immaginai fosse quello il prezzo da pagare. Ritenni si trattasse di un contrappeso necessario a mantenere l'equilibrio in un già vetusto ed esperto Universo. Sicuramente i filosofi avevano già riscontrato, sin dai tempi antichi, come al bianco si dovesse necessariamente contrapporre il nero, ed i poeti hanno certo composto su questo concetto elaborate metafore, traendo spunto dalla notte, che immancabilmente segue il giorno per poi ritornare.

La mia suprema lucidità, il mio acume, che mi aveva consentito di fare dell'esatta arte della deduzione un mio mestiere, richiedeva un sottofondo di follia - ma ora avvertivo, con intimo orrore, che quelle due componenti fondamentali del mio essere si mescolavano, prendendo l'una il posto dell'altra. Il genio era sommerso, ed il folle prendeva il sopravvento.

"Non dovete fuggire. Non da voi stesso."

"Watson." sussurrai. "Come ho potuto?"

Mi trovai inginocchiato accanto a lui, determinato a scostare freneticamente la mano che artigliava il soprabito, intriso di sangue; il respiro affrettato e mozzo malcelava sofferenza.

"Mio Dio - Watson."

"Va tutto bene, amico mio. Tutto bene."

I nostri occhi si incontrarono, ed entrambi sapemmo che non era affatto così.

"Non è nulla, Holmes." abbozzò un cinereo sorriso, "Non è -" ripetè in un sussurro, deglutendo a malapena un singhiozzo quando premetti il mio fazzoletto sulla ferita. Non capii, in quel rapido momento, che voleva veramente rassicurare me, non se stesso.

Le gote stavano diventando progressivamente bianche, e tutte le sue energie parevano esaurite da una forza maligna. Dalla strada, non un suono.

"Qualcuno avrà udito gli spari. Qualcuno accorrerà a vedere cosa sia accaduto. Watson -" abbassai sulle sue palpebre socchiuse il mio sguardo indagatore; resistetti all'impulso di scrollare la sua figura tremante, "Dottore. E' consigliabile muovervi?"

"No." esalò lui, serrando una mano intorno alla mia, "Dovete - d-dovete... cercare aiuto."

Rimasi impetrito a fissarlo. Esitai a lasciarlo solo, e sùbito dopo mi maledissi per quel tentennamento. Come se quello fosse il mio peccato. Come se quel sottile slancio di banale umanità fosse il fardello che avrei dovuto sopportare per tutta la vita.

Restai dov'ero. Watson afferrò la manica del mio soprabito, flebilmente, una scintilla interrogativa in quel contegno sofferente.

Io non mi mossi. Non riuscivo più ad arginare la piena delle emozioni che minacciavano di prendere il controllo della mia disciplinata intelligenza. Non riuscivo più a pensare a nulla tranne che a quel freddo ambiente, a quell'insieme di assi ruvide, alla figura del mio amico, la cui vita si stava spegnendo.

"Holmes..." mi chiamò lui, accennando un sorriso che avrebbe voluto rassicurarmi; rifiutai ancora una volta di accettare un'eventualità la cui drammatica certezza iniziava solo ora ad irrompere nella mia coscienza. Tuttavia, infine compresi.

Capii che il mio volto sarebbe stato l'ultimo che il mio fedele Boswell avrebbe visto.
Che sarebbe morto, e che io ne sarei stato l'omicida.
L'orrore mi invase, e presi la sua mano tra le mie, atterrito dalla repulsione istintiva per quell'atto - per quel fratricidio - da me commesso.

Il suo sguardo si posò sul mio viso - senza dubbio pallido e teso da un innaturale terrore - e lo percorse con l'esperienza che solamente il mio buon camerata avrebbe potuto vantare nei miei confronti. Quindi, una vena di genuino ammonimento attraversò quelle iridi scure ed esauste, quella bonaria severità che riservava a me.

"No, no, vecchio mio. Non dovete biasimarvi. Non è colpa vostra." riuscì a bisbigliare.
Poi, le palpebre calarono sui suoi occhi, ed egli spirò.

Impossibile stimare quanto tempo rimasi immobile, col capo del mio più caro amico reclinato sul mio braccio, la mia mano ancora stretta su di lui, come a volerlo tenere in un mondo terreno del quale ormai non faceva più parte.

"Non pensateci nemmeno!"

Stavo soppesando la rivoltella che aveva esploso quel maledetto colpo, contandone i proiettili ancora rimasti nel tamburo.

"Holmes! Dico a voi, bontà divina! Appoggiate quell'arma!"

Quale fervore. Scrutai gelidamente il contegno adirato che appariva ancora di fronte a me.

"Sarebbe solamente un atto di giustizia, non trovate? Un tribunale britannico non potrebbe mai punirmi per un fatale errore. Un giudice non mi comminerebbe la pena di morte, anche se fossi io a domandarla. Neppure un ufficiale dello Yard mi riterrebbe meritevole di una tale sorte. Ma io posso ancora scegliere."

"E sceglierete di riporre quella pistola, per Giove!"

Inclinai il volto, considerando la figura in piedi accanto al caminetto con un freddo, cinico interesse scientifico. "Gli esperti della psiche hanno teorizzato l'esistenza di un forte istinto di sopravvivenza alla base del comportamento umano. Non credevo di poter mai trovare personalmente un contrassegno della correttezza di tali congetture."

"Voi non siete un vigliacco."

"Mi piace pensare a me stesso come ad un uomo giusto."

"Non siete un assassino!"

"E' ciò che invece sono."

"Avete commesso un errore, Holmes -"

"Un errore!" in un impeto di fremente disgusto premetti il pollice sul cane dell'arma, "Un abominio, una scelleratezza - non un semplice errore. Ed intendo rimediare, nel solo modo che io possa concepire."

"Non se io ho ancora voce in capitolo."

Serrai le labbra, chiudendo gli occhi per un attimo, pregando che, quando li avessi riaperti, quello spettro fosse svanito, e che fossi lasciato a decidere del mio stesso destino.
"Watson," sibilai, sopraffatto. "Voi siete morto. Io vi ho ucciso."

"Ed è il vostro desiderio di giustizia a pretendere la vostra dipartita, in conseguenza di ciò? Ragionate un momento, Holmes - pensate. Usate quel vostro miracoloso cervello."

Senza parole, non osai muovermi, attendendo che egli fosse scomparso, che quella voce perdesse i suoi echi nel nulla.

"Temete la solitudine, non è vero? Temete i demoni da essa evocati più di quanto essi temano il vostro ingegno. Credete di esservi perso, e di non riuscir mai più a ritrovare la strada di casa. Barricate la vostra vita contro l'assalto del mondo, aprendovi ad esso solamente quando da voi ritenuto utile. Vi ostinate a non capire, vero, Holmes?"

Riaprii gli occhi, ed incontrai il suo sguardo cupo e serio.

"Siete umano. Per quanto a voi piaccia che il mondo vi veda come un essere senza cuore, voi non potete negare d'esser umano, e come tale soggetto a -"

"E' la mia umanità a farmi aborrire ciò che ho fatto." lo interruppi, facendo fuoriuscire a forza quel sussurro dalla mia gola stretta.

La sua espressione s'addolcì, e mi indirizzò l'accenno di un sorriso che incurvò appena i suoi baffi, "Questo posso capirlo, vecchio mio, ed è importante che anche voi ve ne rendiate conto." i suoi lineamenti si distesero, e quella figura di soldato fece un passo verso di me. Indietreggiai quasi senza accorgermene.

"Voi avete detto bene, Watson. Qui io sono completamente solo, ora, e da solo dovrò fare ciò che ritengo più giusto."

Si fermò dinanzi a me, ed a me si rivolse con gentilezza.
"Se mi conoscete, mio caro Holmes, dunque ricorderete che non fui io a pronunciare quelle parole, ma voi stesso. Lasciate che sia io, per una volta, a farvi notare una grave mancanza: sino a che voi esisterete, esisterò anch'io. Voi lo sapete: non sarete mai solo."

L'oggetto nella mia mano cadde sul tappeto con un tonfo ovattato, mentre i miei occhi grigi incontravano, nel ricordo, un paio di iridi nocciola. Quella realizzazione intervenne nel mio animo avvilito come una scintilla di verità: ma non bastò a fugare il penoso dolore.


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"The error of one moment becomes the sorrow of a whole life." -- Proverbio Cinese




   
 
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