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Autore: Novelist Nemesi    03/07/2010    8 recensioni
Perché lei, oltre che femmina, è un’umana. Che si sta aggrappando spudoratamente alla speranza di essere salvata. Anzi, lo dà proprio per scontato. Come se si burlasse di sua eccellenza Aizen, come se si burlasse di lui, che la tiene chiusa là dentro, che le dà da mangiare, la fa dormire accanto. Okay, rapiscimi pure, tanto Kurosaki verrà a salvarmi e allora sarà finita per te. Questo le dice inconsciamente quell’aria innocente. Potrebbe ucciderla in qualsiasi momento. Ma non può. e in fondo, nemmeno vuole.
Genere: Malinconico, Introspettivo, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inoue Orihime, Schiffer Ulquiorra
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fatti sentire, principessa tessitrice.
The lust.

Possiedo un cuore, dunque invidio.
Non sa bene come ci sia finita nelle sue stanze. È una presenza irrequieta, non fa che fissare la finestra, poi si siede, poi si rialza, passeggia a vuoto, incrocia le mani al petto e aspetta. Aspetta i suoi amichetti che la salvano dalle grinfie del mostro brutto e cattivo.
Poi si volta, vede che è arrivato. Salta, grida, balbetta qualcosa di incomprensibile. È irritante, quand’è così.
La snobba, perché non c’è altro da fare con quella femmina se non farla sentire mediocre.
Lo fissa, ne ha paura. Ha il terrore di quegli occhi che ricordano molto lo smeraldo. Ha paura di quell’aria malinconica. Ha paura di ciò che rappresenta. Ha paura di riconoscersi in quella cosa. Non vuole dargli ragione. Sicuramente verranno a salvarla. Non si rassegna.
È questo che teme di più, nella sua personalità. L’idea di rassegnarsi.
Allo stesso tempo, però, ne prova invidia. Perché lo vede forte, nella sua corazza nichilista. Intangibile, incolore, in scalfibile. Invincibile. Vorrebbe rifugiarsi in essa, a volte. Estraniarsi dalla speranza di essere salvata. Perché, se l’epilogo si rivelasse la morte dei suoi amici, di Kurosaki, sarebbe davvero finita. E non avrebbe più nessuno a cui aggrapparsi, per cui sentirsi utile, indispensabile. Aizen l’ha voluto perché il suo potere è pari a quello di dio. Ancora meglio. Ricrea ciò che dio ha plasmato. Questo dovrebbe farla sentire una principessa, come dice il suo nome. Forse si è calata troppo in quel ruolo fiabesco; ora vorrebbe scappare dal castello e cercare il vero amore, invece che sottostare ai voleri del re che le ha affiancato un principe troppo triste, che ha dei magnetici occhi color smeraldo, ma sono tristi. Che la schiaccia con la sua superiorità, non fa che umiliarla.
In fondo, ne prova invidia. Vorrebbe perdere l’importanza delle cose come fa quel principe dalle candide vesti.

Possiedo un cuore, dunque divoro.
Non sa bene come sia finita nelle sue stanze. A dormire in un letto accanto al suo. Un enorme letto a baldacchino, con le tende che la proteggono dal resto del mondo, da Kurosaki. La notte, a volte, attraversa furtivamente quelle tende candide e la osserva, dormiente, mentre sospira. Sembra tranquilla. Così fragile, così bella.
Si avvicina un po’, la scorge meglio, le tira via i capelli che le coprono le labbra. Dorme quasi sempre su un fianco, le braccia che abbracciano il cuscino, stringendo il seno, rendendolo più grande di quel che è già. Rendendolo invitante.
Poi torna a letto. Non vuole spingersi oltre. Non deve spingersi oltre. Aizen non l’ha richiesto.
Gli basta mangiarsela con gli occhi. Gli basta cercare di scrutare tutto con la sola vista, con quell’occhio prodigioso che può vedere tutto e può memorizzare ogni cosa. Anche se osserva il soffitto da molto, ricorda bene i suoi lineamenti. La vede quasi sempre, deve occuparsi di lei. La sua fisionomia occupa la sua mente anche mentre combatte ed esegue gli ordini.
Non la odia. E nemmeno la ama. È una femmina, non vale neanche uno straccio di sentimento. L’indifferenza, solo questo merita. Perché lei, oltre che femmina, è un’umana. Che si sta aggrappando spudoratamente alla speranza di essere salvata. Anzi, lo dà proprio per scontato. Come se si burlasse di sua eccellenza Aizen, come se si burlasse di lui, che la tiene chiusa là dentro, che le dà da mangiare, la fa dormire accanto. Okay, rapiscimi pure, tanto Kurosaki verrà a salvarmi e allora sarà finita per te. Questo le dice inconsciamente quell’aria innocente. Potrebbe ucciderla in qualsiasi momento. Ma non può. e in fondo, nemmeno vuole.
Vorrebbe divorarla. Succhiarle via tutto. il latte del suo seno, le lacrime dei suoi occhi, il sudore della sua paura o stanchezza. Vorrebbe divorare il suo cuore e togliersi la soddisfazione di sentirne il sapore.
Se quel sapore lo avesse saziato per sempre e coprire quel buco che per poco non gli sfiora la cassa toracica, i polmoni, il cuore. Quello che pulsa.
Sbuffa, pensando che siano solo scempiaggini.

Possiedo un cuore, dunque depredo.
Alla fine è arrivata, la spazzatura. Corre con in braccio una mocciosa dai capelli verdi. Ha una spada troppo grande, troppo bruta. Quella femmina si è affidata alla spada di un marmocchio inesperto, una spada che non ha stile, non ha forma, è grossolana. Ha preferito una mannaia alla grazia e maestria della sua Murciélago. Preferisce la luna che sta lì, sempre ferma, non ascolta nessuno, sorge e tramonta imperterrita, al pipistrello che ne approfitta, deride la luna vagando nella notte.
Vuole prendersi gioco di lui. Scende le scale, con tranquillità. Lo vede sorpreso, sa anche il suo nome. Ne è quasi onorato, ma quella spazzatura non è meritevole di sapere cosa pensa lui.
Vuole dargli subito la bella notizia. Una sua amica è morta. È riuscita a uccidere il numero nove. Spazzatura, praticamente. A dire il vero non ha appurato personalmente se sia morta o no, ma glielo dice lo stesso, con convinzione. E Kurosaki se ne va, lo ignora. Ha la faccia tosta di ignorarlo. Fa il saggio, dice che anche se è un nemico non ha ammazzato nessuno con le sue mani.
A mali estremi, estremi rimedi. Si spinge più in là. dice che è stato lui a rapire quella femmina. E ottiene l’effetto sperato. Lo attacca, ripetutamente. Per una femmina. Spazzatura.
Eppure, lo stuzzica. Prova piacere a vederlo disperato nel sapere che quegli occhi verdi gli hanno portato via una persona a cui teneva facendogliela sotto il naso, senza che se ne accorgesse. Vuole di più. vuole fargli capire che è inutile, che ormai lei appartiene ad Aizen. E a lui.
Ci mette foga. Pensa che, dopotutto, è stato nobile il suo tentativo di mettersi sullo stesso piano. Lo trapassa, da parte a parte, sotto il collo. Lo rende simile a lui. Perché i grandi nemici hanno sempre qualcosa in comune.
Ora, oltre che avere una femmina da volere a tutti i costi, avevano anche un buco.

Possiedo un cuore, dunque sono pigro.
Non vuole mangiare. Non ha fame e non gli va. Kurosaki è stato sconfitto. Non vuole sentire altro. vuole solo lasciarsi andare.
All’inizio si mostra paziente. Va bene, non mangia oggi, mangerà domani. Prima o poi non resisterà alle tentazioni della fame. è solo un’umana, cederà.
Non cede. È maledettamente resistente. Ma si sciupa. Le guance, una volta rosee e dalla morbida consistenza, sono ora scavate. Nessuno lo nota, perché è un cambiamento impeccertibile. Solo lui se n’è accorto. Perché la osserva, tutte le notti, e la ricorda in ogni istante.
Non vuole che si sciupi. Non vuole farla morire per Kurosaki.
Per lui è disposta a morire. Anche se si chiede il perché, non otterrà risposta, e lei non mangerà.
Si siede anche lui, al tavolo, piccolo e rotondo. Si versa del tè, lo beve con naturalezza, accavalla le gambe, assumendo una posa tipicamente umana. Solo per farla sentire meno sola. Per farle capire che anche lui può sentire fame e che non la uccide mica se si siede accanto a lui e inizia a mangiare la carne che hanno preparato appositamente per lei.
Ma gli dà le spalle. Rivolge nuovamente lo sguardo alla finestra. Lui non lo sopporta. È più importante una finestra? È più importante il ricordo di Kurosaki?
Si alza, la sorprende, la fa cadere a terra, la fa sbattere contro il divano lungo, candido, ben curato. Le blocca le mani mettendoci un ginocchio sopra. Prende il piatto, la forchetta, con una mano la costringe ad aprire la bocca. La imbocca. La costringe a masticare. Glielo ordina. Perché è una femmina umana che deve nutrirsi, altrimenti muore, e con essa le aspettative di Aizen. E con essa, la sua visione celestiale che si concede tutte le notti.

Possiedo un cuore, dunque sono superbo.
Non sa bene come sia finita nelle sue stanze. Si sente infettato, sporco, contaminato. Vorrebbe mandare via subito quella spazzatura. È di bell’aspetto, ma è sempre immondizia. La ripudia, perché lo fa sentire inferiore.
È bella, anche troppo. Un essere umano non può avere lineamenti così perfetti. Ha dei capelli che gli ricordano vagamente un sangue passionale, che lo irrita e al contempo lo stuzzica. Ha degli occhi indefinibili, per colore e temperamento. Alle volte sembrano grigi, alle volte toccano il castano. Qualunque sia il loro colore, sono sempre innocenti. Troppo. Quell’innocenza è fasulla, ne è convinto.
Sono occhi speranzosi. Che guardano ancora quella finestra. Giura a sé stesso che farà murare tutto, prima o poi.
Perché quegli occhi non rivolgono uno sguardo più approfondito a lui? Alla sua persona? Perché non capisce che ora la sua vita la deve condividere con lui? Che Kurosaki non vale niente?
La risposta non gliela darà mai. Ed è questo che lo fa sentire inferiore. Ma non lo vuole dimostrare. Non a spazzatura simile.
Lei ogni tanto lo guarda quando lui è distratto. È colpita dalle sue labbra. Ha un labbro superiore completamente nero, che non è dovuto a un rossetto. I suoi occhi sono completamente cerchiati di nero, fanno un tutt’uno con le sopracciglia folte e corrugate in quella perenne espressione triste, si uniscono alle profonde linee verdi che calano sulle guance. Tutto ciò non fa che mettere in risalto quel verde che prima o poi maledirà. Verde, colore della speranza, ma anche dell’invidia. Non sa come interpretare quegli occhi. Grandi, dalle piccolissime e strette pupille che rendono lo sguardo quasi innocente, bambinesco. Se non fosse per i lineamenti duri del viso, per i capelli spinosi, sempre neri, per la maschera che cela parzialmente il suo essere. Se non fosse per la sua corporatura, coperta da una giacca aderente che le lascia intendere un corpo che ha resistito a tante torture fisiche, a tanti combattimenti. Ha mani leggermente spigolose, esili, dalle dita lunghe e fini, unghie laccate di smalto nero che rendono ancora più rudi quei lineamenti. Ha un buco che gli strapassa lo sterno e un quattro tatuato sul petto. Ogni tanto lo intravede. Intravede un corpo che a volte le fa venire pensieri strani. A volte le dà la sensazione che possa abbracciarla. Ma lui è superiore. Non ha tempo da sprecare per consolare una femmina come lei.
Preferisce non guardarla, una persona così. La fa sentire una feccia.

Possiedo un cuore, dunque mi adiro.
Non fissa la finestra. Finalmente lo osserva, lo guarda dritto negli occhi. Ma con odio. Non sopporta che si parli di Kurosaki. Non sopporta che lui parli di Kurosaki. Non sta dicendo cose carine. Ma non ce la fa più. lo deve dire. Deve farle sapere che razza di uomo ha scelto, a chi ha affidato le proprie speranze.
Ma lei non lo sopporta, ha detto una parola di troppo.
Il gesto è veloce. Non se ne accorge. Ha già la testa rivolta al muro, alla sua destra. Sente un leggero bruciore alla guancia. Fissa il muro più volte. Non ci vuole credere. Vuole pensare che non sia successo, che lei non gli abbia dato davvero uno schiaffo per difendere quella spazzatura.
La guarda di nuovo. Suda. È furiosa. Ha la mano ancora a mezz’aria. Trema. Ha paura, sa cos’ha osato fare. Sa a chi ha dato lo schiaffo. Sa che potrebbe non respirare più, senza accorgersene.
Eppure lui non la uccide. Non la vuole uccidere. Preferisce andarsene e ignorarla. La lascia sola. Perché sa che a lei da enormemente fastidio essere sola.
Così impara. Sì, imparerà, la femmina. Imparerà che Kurosaki vale anche meno di uno schiaffo.

Possiedo un cuore, dunque desidero tutto di te.
È notte. Non sa bene come sia finita nelle sua stanze, ma dorme accanto a lui, in quel letto. Ormai però è abituato. Non vuole neanche osservarla, quella notte. Tanto non se ne sarebbe mai accorta. Vuole solo dormire. Si leva la giacca, fa caldo, le coperte lo opprimono. Le tiene fino alla vita. Osserva il soffitto per un po’ e infine chiude gli occhi, con la speranza che Morfeo lo abbracci subito. Con la speranza che non la veda anche nei sogni.
Anche se dorme, ci sono altri movimenti. Stavolta è lei. Si è svegliata. O forse non ha mai dormito. Esce con fare furtivo dalle coperte e resta in piedi, davanti a lui, a osservarlo. Osserva il suo pettorale nudo, osserva la sua espressione finalmente tranquilla, che dorme. Mantiene sempre quell’espressione triste, ma sembra tranquillo. Sereno. In estasi. Vede il buco che fa capire che non è umano. È grande, ci entrano almeno quattro dita. Lei ha una mano piccina. Fa una scommessa col proprio cervello. Vuole vedere se entra un suo pugno. Non lo sfiorerà neanche, altrimenti si sveglierà. E la ucciderà nuovamente con lo sguardo.
Si china leggermente. Avvicina la mano. Tre dita passano perfettamente attraverso quel buco che la disgusta ma al contempo la incuriosisce. Non succede nulla. Non c’è nessuno a tagliarle le dita. Non sta facendo niente di male.
Quattro, cinque dita. Entrano perfettamente. Ma un pugno no. Già la mano piatta è a rischio di contatto non voluto.
La fa uscire nuovamente, e poi la inserisce di nuovo. Si diverte, potrebbe giocarci tutta la notte. Ma no, non ha tempo. E nemmeno la possibilità. Perché lui si è svegliato. Ha aperto gli occhi, splendenti in quel buio irreale di Las Noches. L’ha sorpresa, talmente tanto che con facilità le blocca la mano che si divertiva a giocare col suo corpo, o meglio, con ciò che mancava del suo corpo. Le chiede che sta facendo. Non c’è rabbia nelle sue parole, ma lei lo interpreta così. Chiede di essere lasciata andare. Vuole tornare a letto, dice che è stanca. No, non è affatto stanca. Lo capisce. Ha un polso che va a mille. Ha paura. Paura immotivata. Avrebbe dovuto capirlo già da un po’ che lui non può farle del male. Vuole farglielo capire. Ora o mai più. Non può ucciderla. Non desidera più farla sparire. Vuole altro da lei. Vuole qualcosa che Kurosaki non ha mai avuto. Vuole essere superiore, avere tutto. privarlo di tutto. E poi, sentiva il suo respiro sin dall’inizio. Irregolare, forte, impaziente. Anche lui è impaziente, ormai. La vuole. E sa che la cosa è reciproca. Lo sa e basta. Perché lei è umana e ha delle tentazioni.
Lui non è umano, ma si fa portavoce delle tentazioni.
È così vicina. Non ne può più. le afferra la testa e non le dà via di scampo. Lei sospira, non se l’aspettava. Ma asseconda. La sua lingua fa uno splendido lavoro. Asseconda in tutto. la mano va a toccare agilmente il petto. Scorre velocemente dappertutto.
Le strappa via i vestiti, letteralmente. La vuole e basta. Farà realizzare altri abiti per lei, non ha importanza. Vuole solo che il suo seno sia finalmente libero, nudo, di fronte a lui. Lo abbraccia, mentre si china a baciarlo e morderlo con vigore. Lo asseconda, si fa guidare dalle sue mani, che scendono pericolosamente verso il basso. Non è affatto docile. Obbedisce, ma non è docile. Anche lei vuole. Pretende. Lo trattiene, attaccato al suo seno che lo soffoca. È troppo grande. Sta per scoppiare. Non ce la fa più. La getta sul letto.
La vuole, disperatamente. Lì, in quel preciso istante. Anche lei lo vuole. Gongola nella sua disperazione. Invoca il suo nome più volte. Il suo nome. Non Kurosaki. Vuole essere penetrata da lui. Vuole lui.
La accontenta. Anche lui lo vuole. Anche lui gode. Anche lui sospira.  Vuole continuare, su è giù, innumerevoli volte. Non vuole arrivare al limite, perché finirebbe tutto. Vuole rinchiudersi in quella dimensione parallela all’infinito. Non vuole lasciarla andare via.
Cerca di consolarsi con l’urlo di puro piacere che lancia lei. È insopportabile. Irresistibile.
La vuole, in tutto e per tutto. Anche dopo quel rapporto morboso, passionale, forse violento, eppure bellissimo e piacevole. Vuole stringerla a sé anche dopo aver finito, anche se è stanco morto. La desidera e basta.
Forse perché si è roso conto di avere un cuore. E vuole farglielo sapere.
Ma lei forse ha paura di conoscerlo. Si riveste, torna nel suo letto. Lui la segue. Lei piange. Non sa cosa le sia preso, dice. Nemmeno lui lo sa, ma credeva che non avesse importanza.
Stava cadendo in una botola profonda e insidiosa nel cui fondo c’erano solo lance, aghi, che gli avrebbe fatto solo male.
Ma lei lo ha tentato troppo. Gli ha fatto vedere troppe cose del cuore. E ora lo vuole. Vuole coprire quel buco a tutti i costi.
Anche se sa che ciò potrebbe costargli la vita. Sicuramente gli costerà la vita.

Voi umani possedete un cuore, dunque venite feriti.
Possedete un cuore, dunque perdete la vita.

__

Note; Orihime è formato dalle parole ori, tessere/tessuto, e hime, principessa. Quindi è traducibile come principessa tessitrice. Voleva intitolare questa one-shot giocando sul nome di Orihime, ma non sono sicura di aver fatto un buon lavoro. Odio intitolare le cose. È così difficile spiegare tutto in poche parole.

Commento; questa one-shot mi è venuta in mente oggi, tra un ripasso e l’altro per la maturità. Ultimamente non penso altro che a scrivere e disegnare. Sono un caso disperato…
Così mi sono precipitata a scriverla, tutta in un colpo. Perché quando arrivano certe idee ti devi sbrigare e basta, lasciarti andare.
Se vi aspettavate una cosa romantica, mi dispiace, ma non sono fatta così. Non sono affatto portata per le cose romantiche. Tendo sempre a evitare la rima cuore-amore, non fa per me, non viene mai abbastanza soft. Inoltre, ho sempre visto il rapporto di Ulquiorra e Orihime come un qualcosa di possessivo, con un forte senso di appartenenza, pieno di passione. The lust.
Sono una grandissima fan di questa coppia. È tra le più affascinanti e magnifiche in cui mi sia imbattuto. Il caro Noriaki, meglio conosciuto come Tite Kubo, non è riuscito, o non ha voluto, approfondire la cosa tra i due, ma a posteriori meglio così. Ci ha già dato tantissimo nel capitolo 354, che mi fa sempre piangere.
Ringrazio in anticipo chiunque leggerà, recensirà, inserirà la fan fiction da qualche parte!

 

 

 

Bet and wait mood; on.
Ehi, tu! Fai parte di EFP? Allora corri a recensire, e diventa miliardario!
È un comunicato commerciale; va interpretato.
La ditta Novelist Nemesi dà inizio alla settimana etica.
Leggi una fan fiction senza recensire?

Male. Scrivere aiuta a imparare meglio l’italiano. Rendere partecipi le altre persone dei propri pensieri è un bene preziosissimo.
Se non è essere etici questo!
Non essere spilorcio! Resencisci! Altrimenti dovrete consultarvi con l’avvocato Beppe Centripeto per qualsiasi disguido!

  
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