La musica… che mai morì
… Sentiamo ora, cos’ha
da confessare lei? Tanto vale conoscere i nostri lati peggiori, prima di
metterci a vivere insieme…*
Ed entrambi credevano di aver detto tutto dei loro difetti , di aver confessato ogni cosa…
ma la notte da sempre fa brutti scherzi.
lassù
cantano le colombe
della guerra
mentre quaggiù
urlano ai crocevia le trombe
tutti a terra giù
e ancora non fa giorno su questa via
e il gelo tutt'intorno va come una spia
negli occhi di chi piange poesia
e come te sta lì
tu e il tuo strumento che non ha suonato più
Quanto sangue contiene
il corpo umano? Una stima approssimativa parla di 5 litri… ma non è più così
convinto di quel calcolo. Certo deve esserci un errore basilare nel risultato,
perché adesso davanti a lui c’è un soldato, morto – ucciso dal suo fucile – che
non smette di perdere sangue, anche se la stima di 5 litri è stata superata.
Smettila di sanguinare, maledizione! grida nella mente il soldato Sei morto,
non devi più sanguinare!
Ma il morto non lo
ascolta, il flusso non si ferma – lo spettacolo raccapricciante come degna
punizione per gli occhi di un assassino. E l’assassino trema, ora trema come
una foglia scossa dal vento di autunno e solo quando un altro soldato lo chiama
smette di fissare il cadavere e va via, il cervello bloccato, il corpo che si
muove come un automa.
Non ha idea di quanto
tempo sia passato e non gli importa. Non pensava che sarebbe stato così
uccidere un uomo ed ora non riesce a fare nulla, è letteralmente bloccato da
quel volto bianco e quel corpo rosso. Sarebbe potuto essere suo fratello o il
suo migliore amico – sicuramente era il fratello o l’amico di qualcuno… ed ora
non c’è più. La sua vita è stata fermata. Da lui.
Che senso ha questa
guerra? Che senso ha morire così? No… non c’è un senso…. Non esiste.
«Watson»
La voce di un camerata
lo trascina via da quei pensieri e il soldato riprende il fiato che, senza rendersene
conto, aveva trattenuto fino allo stremo. Gli occhi dell’altro lo interrogano
senza ricevere risposta. Lui li fugge per nascondere le lacrime che li
inumidiscono. Piangere è talmente sciocco, patetico – non è un comportamento
adeguato per un soldato che ha ucciso il proprio nemico. Dovrebbe, anzi,
esserne fiero: fa questo per la patria, per chi ha di caro sul suolo
britannico. Eppure non ci riesce.
«Bisogna muoversi»
ordina l’altro tirandolo con un braccio «È scoppiata una nuova guerriglia»
E quella frase sa come
un pugno in pieno stomaco. No. Non vuole di nuovo uscire. Non vuole di nuovo
vedere la sabbia rossa dell’Afganistan. Si sente morire… ed ora sarebbe una
cosa tanto dolce.
Lui non è un soldato.
Ecco il punto.
Laurea in medicina, specializzazione
in chirurgia. Si era presentato con
questo titolo. Lui… lui doveva salvare vite umane, non stroncarle come aveva
fatto con quel ragazzo.
Alza gli occhi ed il
sole li ferisce con sdegno e indifferenza. Cammina, senza sapere come, verso il
nuovo campo di battaglia. Senza forza, senza cuore, senza alcun sentimento…
Un
grido lacerante distrusse in un attimo la quiete notturna di Baker Street.
Ancora una volta John H. Watson stava rivendo la terribile guerra
dell’Afganistan, le morti, i ferimenti, il dolore… e i suoi omicidi. Perché si
era sempre sentito così: un assassino impunibile dalla legge. E perché poi?
Perché era la guerra… e in guerra
tutto è concesso. Che assurda massima. Chi mai ha avuto la brillante idea di
pronunciarla la prima volta?
Un secondo grido indicò che il sogno
andava avanti, nuovi cadaveri cadevano, nuovi uomini si macchiavano le mani di
sangue… e lui fra loro.
e
allora fatti avanti mettiti là
non siamo così tanti ma se accordi un la
ci diamo un avvio sperduti già
in mezzo al crepitio
qua come uno supplica che cerca un Dio
Spalancò gli occhi, sentendo la
pressione di una grossa inquietudine sul suo petto. Rabbrividì: cosa diavolo
stava succedendo quella notte? Cosa gli prendeva?
Quasi faceva fatica a respirare, come
se avesse trattenuto il fiato fino a quel momento. Assurdo.
Un grido lo fece sussultare. Allora
non era nel sonno che lo aveva immaginato! Quel grido era vero! E poteva venire
solo da una stanza…
Si alzò in fretta e corse verso la porta
del suo nuovo coinquilino per capire cosa stesse succedendo. In soggiorno era
tutto buio e normale – nulla era fuori posto. Le grida, come previsto, venivano
dalla stanza da letto di Watson ed era proprio l’ex-soldato a gridare
disperatamente.
Holmes si era creduto molte volte
privo di gran parte della sensibilità data normalmente agli uomini, ma quelle
dolorose grida gli fecero stringere il cuore e correre brividi lungo la
schiena. Il suo nuovo camerata stava soffrendo un dolore indicibile per gli orrori
che i suoi occhi avevano visto nella guerra dell’Afganistan.
Non era difficile comprendere il
motivo del suo dolore. Sin dalla prima volta che aveva incrociato i suoi occhi
azzurri, aveva notato sul loro fondo – nascosto ai più – un dolore solidificato
come una cicatrice sull’anima di quell’uomo che tanto aveva dato alla patria e
che tanto aveva ricevuto – se si può definire “qualcosa di ricevuto” dolore e
immagini e sensazioni che mai lo avrebbero lasciato solo.
Un nuovo, implorante grido lo fece sussultare:
doveva fare qualcosa… aiutarlo. Non poteva restarsene lì, non così, mentre
quell’uomo soffriva pene senza scampo. Il respiro si era fatto irregolare e accelerato,
quasi come sa ad ogni supplichevole lamento, una ferita gli lacerasse il petto.
Se il suo grande cervello avesse
potuto vederlo in questo momento, nella sua disumana, estrema razionalità, una
risata sadica e priva di emozioni avrebbe invaso la stanza vuota. Ma quello era
uno dei pochi momenti in cui anche in Sherlock Holmes i sentimenti zittivano la
logica e facevano ciò che era più consono dal loro, personale punto di vista.
E mentre cercava una soluzione, gli
occhi spaziavano nell’oscurità come una muta supplica rivolta a quel Dio a cui
molti si abbandonavano e alla fine si posarono sul violino.
Sì… il violino…
e
ancora pioggia scura come caffè
che inzuppa di paura e dietro di sé
trascina follia sopra il pavé
di un mondo in agonia
che alza un lamento sulla scia di un lungo
requiem
Grida. Indicibili grida
che rompono il silenzio della sabbia. Tuoni, piccoli tuoni mortali, rumori di
proiettili, battiti d’ali delle decine di angeli della morte pronti a portar
via le anime dei soldati che cadono senza sosta.
E la pioggia cade sulla
sabbia, c’è pioggia sui corpi dei soldati. Scura, calda pioggia.
Se solo gli uomini si
fermassero a riflettere in quell’istante capirebbero che quella non è pioggia.
No… decisamente non è
acqua dal cielo.
Uno schizzo sporca il
volto del soldato, la lingua assapora un po’ di quel liquido: il gusto
metallico sulle labbra sa di morte e di dolore e stavolta vere gocce di acqua
salata cadono sulle guance pallide di quell’uomo che non ha più nulla di quel
nome.
Non è uomo. Non è
animale. Non è nulla… Vuoto. È già morto senza neanche essere ferito.
«Watson! Sta giù!»
La voce è tanto lontana…
lamento quasi alle orecchie dell’uomo che ha deciso di morire. E lo vede: il
nemico è lì, davanti a lui, il fucine imbracciato, gli occhi folli di paura e
la pioggia scura che gli ha bagnato la casacca del colore sbagliato.
E spara. Non ci pensa su
e spara. Watson è a terra, la pioggia scusa ha infine bagnato anche lui, come
tanti prima e altrettanti dopo.
Non siamo che piccole formichine si dice osservando la sabbia, ora alla sua
altezza Piccole, inutili formichine. E se qualcuno ci calpesta, uccidendoci,
è come se non fosse successo nulla. Della nostra specie ce ne sono così tanti
su questa terra che uno in più o uno in meno non cambia nulla. È il nostro
valore. Nulla.
Un sorriso triste gli
inonda il viso. Non ha sparato lui. Stavolta lui è la vittima, non il carnefice…
per una volta le sue mani sono sporche solo del proprio sangue.
E la morte giunge come
un sollievo. Un dolce lamento gli invade le orecchie, mentre i rumori della
guerra ormai sono lontani… impossibili da sentire.
E il soldato ha la
sensazione di sentirlo adesso. Il lamento del mondo in agonia ora pare
inondargli la testa… così forte, eppure, composto da un solo semplice sussurro.
Requiem triste di un
esistenza senza più senso.
Grida la vita e vede la
morte, la madre di tutti. E tenta di trasformare la pioggia scura di un colore
più chiaro… di farla svanire… Impossibile. Semplicemente impossibile.
Follia, che grande
follia uccidersi. E per cosa? Per la paura di chi c’è intorno, per paura di
cosa fa l’umano che abita alla porta accanto.
Stavolta il sorriso è di
tutt’altro avviso. Lui l’ha capito, gli ci sono voluti troppi giorni, ma ha
capito come tutto questo non porterà a nulla.
Nelle guerre non
esistono vincitori. E lui adesso lo sa.
e allora suona forte
più di così di più e più che puoi
più forte della morte che è fuori di qui
e dentro di noi
più in alto sì di tutto quanto poi
ché qui è la musica che mai morì
E le note vibrarono con tutta la forza
di chi muoveva l’archetto sulle corde tese del violino. Si muoveva agile e
veloce, suonava una nota dopo l’altra con un impeto che mai aveva provato, come
invaso da un qualche sconosciuto e potente demone.
E le note scorrevano melodiose. Note mai
sentite prima che il cuore dettava come se stesse leggendo uno spartito, in
realtà inesistente.
E alle orecchie giungeva ancora il
grido soffocato dell’uomo, che combatteva contro il suo passato e lui pregò che
le sue note invadessero quell’incubo e lo strappassero al dolore che ora pareva
ucciderlo. La morte lo stava stringendo a sé e lui sperava che la sua musica
fosse una scialuppa di salvataggio.
Davanti agli occhi chiusi, Holmes
aveva stampate quelle immagini di strage che molti veterani gli avevano
raccontato. I corpi mutilati, il sangue ovunque, il dolore e le urla di chi non
capisce cosa fare e come sia possibile che possa accadere una cosa simile. Tutte
in fila e tremendamente vere.
E i suoni aumentavano di intensità: al
crescere delle grida crescevano anche loro. Dovevano sovrastare la voce di
Watson, andare più a fondo e raggiungerlo.
Il vento dalla finestra aperta dava
sferzate di aria fredda e i brividi salivano lungo la schiena. Fermo con le
palle contro la porta della stanza da letto del nuovo coinquilino, il detective
insisteva e non si fermava.
La musica andava avanti, oltre la
morte degli incubi, oltre il dolore delle grida, oltre gli occhi sbarrati dei
soldati e la pioggia rossa del deserto.
E per la prima volta da tantissimo –
troppo – tempo, lacrime salate invasero il viso dell’uomo, come una liberazione
e più scendevano più la forza tornava nelle braccia e la musica continuava a
suonare.
Poi anche la voce si schiuse e intonò
un lamento. Dapprima sottile, quasi impercettibile sotto le forti note del
violino; poi sempre più forte fino a diventare grido intonato, fino a
sovrastare le note e le urla dell’altro.
Fino a strapparlo dalla realtà. Ora non
pensava, solo la voce ed il braccio lavoravano e disperdevano vita dove c’era
morte, sollievo dove c’era dolore.
Ad un tratto tacque. D’improvviso il
silenzio aveva di nuovo invaso il soggiorno del 221b di Baker Street. Watson
aveva smesso di urlare ed Holmes era scivolato lungo il legno della porta fino
ad accasciarsi per terra, lo strumento a lato.
Aveva vinto. La morte era solo un
ricordo, era tornata al suo posto – dentro ognuno di noi, ma ben segregata – e lui l’aveva salvato.
La musica pareva ancora aleggiare
sottile, mentre l’orecchio addestrato del detective avvertì il respiro calmò
dell’ex-soldato. E sospirò anche lui, infine soddisfatto, prima di addormentarsi
lì, davanti la porta, le dita che sfioravano ancora l’archetto.
Albeggiava quando Watson aprì lento
gli occhi. Le coperte del suo letto erano tutte aggrovigliate al suo corpo e si
sentiva come se fosse più stanco di quando era andato a dormire, la sera prima.
Capì subito, allora, cosa fosse quel
senso di oppressione che avvertiva. Perché quello era tutto ciò che restava dei
suoi tormenti notturni. Un senso di inquietudine e spossatezza. E… la gola in fiamme.
Non appena ebbe messo mentalmente a
fuoco quell’ultimo dettaglio, comprese di aver gridato durante l’incubo, di
aver urlato a squarciagola ed un brivido lo attraversò.
Holmes.
Non aveva avuto la forza di
confessargli anche quel difetto durante
“l’interrogatorio” ed ora ne pagava le imbarazzanti e fastidiose conseguenze.
Si alzò di scatto e – indossata una
vestaglia – aprì la porta per vedere se riusciva d incontrarlo prima che
sparisse, come suo solito, per tutto il giorno, impegnato con le sue strane
faccende.
Fu un vero miracolo vederlo appena
in tempo prima di inciampargli sopra. Holmes era lì, davanti alla sua porta,
con la testa reclinata su una spalla e una mano che sfiorava l’archetto del suo
violino. Il petto si alzava ed abbassava ritmicamente denotando il sonno che
ora lo possedeva.
Watson rimase per alcuni secondi a
guardarlo sbalordito, senza capire cosa ci facesse, addormentato, accanto alla
sua porta. Poi la sua mente, quasi volesse dargli la risposta, ricordò una
melodia intensa suonata con un violino.
Una melodia che si era insidiata nel
suo sogno e lo aveva increspato come un sasso gettato a pelo d’acqua ed infine
lo aveva dissolto leggero, riportandolo nell’incoscienza senza immagini né suoni.
E capì. Allora il dottore capì che
il suo nuovo coinquilino lo aveva salvato. Da sé stesso, dalla guerra, dagli
incubi. In una sola volta aveva compiuto un miracolo.
E non ci furono parole per
descrivere ciò che John H. Watson provò. Tutti i sentimenti che avevano un nome
e anche quelli che ancora non ne avevano uno lo inondarono come un fiume in
piena e per la prima volta si sentì stordito dalla felicità e dal calore umano
che quell’uomo, tanto particolare, gli aveva offerto, senza pretendere nulla in
cambio.
Per la prima volta Watson sorrise,
sincero. Tutti i dolori ora erano in un angolo buio del suo passato, sopiti,
ammansiti dalla melodia che ancora risuonava in lui e gli occhi, adesso
luccicanti di pioggia trasparente, si soffermarono ancora su quelle forme tanto
nobili e il cuore provò ammirazione per un uomo realmente fuori dal comune, in
cui, ne era certo, in fondo il cervello era la cosa meno sorprendente.
Lo spazio dell’autrice.
*tratto
da Uno studio in rosso; Capitolo primo: Il mio amico Sherlock Holmes
Evviva! Questa Song.fic è molto…
colorata! Ok, ok lasciamo perdere ‘‘-.-
Innanzitutto volevo ringraziate Samek. Molti di voi, infatti, si saranno
accorti che in linea di massima la scena rappresentata in questa ff è simile ad
una drubble di questa meravigliosa autrice (la drubble la trovate in “Papery Pills of our Queer Story”, fateci
un salto perché non ve ne pentirete!) e lei gentilmente ha permesso che in ogni
caso la pubblicassi. Dunque mille grazie!!!!
Poi ci tenevo a dire che la canzone che
ho usato è “Requiem” di Claudio Baglioni… e vi consiglio di ascoltarla, perché credetemi,
sarà un autore del passato, ma le sue canzoni, tutte, sono uniche!!
Infine, ma non certo per importanza,
ringrazio tutti i lettori, coloro che recensiranno e che metteranno la storia
fra le preferite o quelle da ricordare.
Alla prossima, un bacio a tutti…
La vostra Alchimista <3<3