A Roberta.♥
«Halo»
Flying Away.
Indaco
dagli occhi del cielo
Invece No.
"I
sogni sono illustrazioni dal libro che la tua anima sta scrivendo su di
te."
(A. Drew)
«E
se un giorno guardandoci negli occhi sentiamo che non è
più la stessa cosa ce lo diremo..»
Quelle parole risuonavano vane
nel loro compimento, nelle stanze di quella casa vuota.
Era finito tutto.
Tutto era terminato nuovamente, anche se, questa volta, il potere
d’incidere la parola ‘fine’ era custodito
nel volere di lei.
Adriano se n’era
andato e, insieme a lui, erano fuggite tutte le sue cose, tutte le sue
parole ed il loro stesso, impercettibile rammarico d’amore.
Non era amore
e Monica era arrivata a comprenderlo, ma solo nel momento in cui
poté giungere al rincontrare la passione e la dolcezza
infinita di quelle labbra.
Nulla era sopravvissuto alla
sua memoria, non dopo quel sospiro di baci..
Lo voleva ancora, anche se fosse stato solo per lei e per un immenso
scambiarsi sguardi di profondo che raccontassero di loro per sempre.
Adriano non era lui.
Davanti al ripercorrersi
incessante del ricordo d’un angelo, che
si voltava a sorriderle di nostalgia, in quello che diveniva il loro
addio, lei non poteva amare di nuovo.
Non poteva esser amante
d’un estraneo che non possedesse quell’anima,
a cui la sua s’era sottomessa per rimanerne prigioniera.
Quei mattini, trascorsi a
mentire allo specchio, sbiadivano la verità di vivere e
sorridere sinceramente: basta menzogne!
Così, era arrivata a cedere a confessare il suo amore
mancato.
Adriano, in quel periodo,
scorgeva da lontano il gelo schermatosi tra loro, ma, nel sentirsi
impotente, non aveva affrontato il rischio di incontrare sofferenza e
di doversi vedere arreso a lasciare l’amore.
E poi,fu solo una frase:
«Adriano,
io non ti amo.»
Quelle parole erano scaturite
dalla bocca di Monica, nell’esasperazione provata fino ad
allora per trovar la forza di ammetterlo a sé.
Solo attingendo coraggio dal viso del suo bambino, aveva potuto
confessarsi, pur sentendosi colpevole d’aver provocato
un’ulteriore delusione all’altro, in quel caso
all’uomo che aveva accanto.
Adriano aveva atteso quel
momento.
Sapeva che sarebbe giunto e non sarebbero esistiti compromessi, scuse,
difese: era la verità a ribadire che il suo destino non era
l’amore di quella donna fatale.
Lo sentiva, ne aveva sempre
posseduto sapienza : quella donna non avrebbe mai
potuto appartenergli.
Per Monica sfuggire da lui era
inevitabile perché la carezza della libertà
l’accompagnasse sempre ed ancora, perché potesse
rivivere della luce che, con un soffio d’immenso, si era
cullata in lontananza e sempre più via da lei con il volo di
quell’angelo, così sospirato.
Adriano disse addio a quella vita, a quella casa.
Non domandò il perché.
Forse, quel segreto che
svelarsi non voleva, si era sempre rivelato vivo e limpido nel profondo
di quell’uomo: quella risposta aveva sempre dipinto la sua
presenza nella sua anima.
Chiudendo alle sue spalle
quella porta, lasciò il vuoto dietro sé.
~
Parlami come il cielo con la sua terra.
Non ho difese,ma ho scelto di essere libera.
Adesso è la
verità,l’unica cosa che conta. ~
Avrò
cura di tutto quello che mi hai dato.
Monica era accovacciata sulla
manona.
Custodiva, nella dolcezza della culla che erano le sue braccia, stretto
a lei e al battito del suo vivere, ciò che della vita e del
suo senso e poesia le rimaneva.
Lo abbracciava profondamente,
respirando alla luce di quegli occhi grandi.
La sua vita o ciò che ne restava era stretta a lei.
Senza lui, senza il suo farsi
sentire, senza il suo agitare i piedini in quel vestitino blu e bianco,
si sarebbe sentita perduta, dimenticata, troppo avvolta di solitudine
per custodire ancora la voglia di vita.
Invece, si abbandonava nel
sospirare del rivivere lui, nello splendore della creatura che
proteggeva.
Lui, in quel ridere
d’innocenza estrema e nient’altro.
Lui, in quella manina che accarezzava le sue dita
per impedirle d’abbandonarlo.
Lui, nella forza che quel visino, ora mai
addormentato, riusciva a trasmetterle semplicemente esistendo.
Lui, in quegli occhi scuri e tanto grandi, immensi
quel tanto da nascondere e custodire l’intera vita di chi si
soffermava a scorgerli.
Quegli ‘specchi d’anima’ narravano quanto
bruciasse vivo il fuoco del voler sentire le parole del suo uomo ancora
e quanto quella libertà, così improvvisata, fosse
segno del tornare a respirare, nella brezza che rimaneva di quel suo amore
passato e del suo divenire memoria.
Nel perdersi in quel cucciolo
d’uomo e amore perduto, l’abbandonarsi
nell’infinto di ciò che era stato: rivivere il suo
uomo.
Monica rimase sola con i suoi sussurri, intenti a non dare una fine
alla favola che raccontava al sonno del suo piccolo.
«Cucciolo, se non ci fossi tu che
senso avrebbe? » sussurrava Monica ,contemplandolo.
Continuava a cullarlo con la
delicatezza con cui si tiene gelosamente la sinuosità
d’una rosa bianca tra le dita per non privarla
dell’ultimo raggio di sole,come della prima luce di stelle.
Monica si voltò per un
istante verso il portafoto sul tavolino, lì a fianco.
Lacrime.
Gocce di malinconia e amaro dolore le rigavano interminabilmente il
volto.
La luce di quel ritaglio di luna,
curioso d’affacciarsi a quella finestra, faceva risplendere
il divenire reale e visibile di tanta sofferenza.
«Parlami, ti prego. Parlami ancora.
La libertà che ho scelto per me e la solitudine mi
uccidono,Michele…
Io non volevo lasciarti. » sussurrava con voce rotta e
tremante in quella ninna nanna e nel silenzio che, ad essa, si
abbracciava,accompagnandola.
«Io ti sento Michele…
Sarà
questo vento che mi sfiora, ma io ti sento.
Sento ancora le tue mani, Michele.» continuava la voce della
donna imperterrita.
Il suo sussurrare non trovava
quiete in quella notte : continuava morbido e denso di sofferenza.
La sua preghiera al Vento ed al suo padrone Cielo non trovava
stanchezza nello scrivere quanto volesse sentire quella voce
e quel loro sfiorarsi, per
sperare ancora,seppur nella notte e il suo nulla estremo.
Il sonno non possedeva abbastanza
clemenza per concedersi a lei, distrutta dai ricordi.
Allora, si scrollò e
portò il suo piccolo nella culla, baciandolo delicatamente
sulla fronte.
Rimase nella viva speranza di non
svegliarlo, in modo da poter godere della sua immagine tranquilla, fino
a quando si sarebbe sentita abbastanza forte da tentare
d’addormentarsi.
Stanca di quella tortura
incessante, si stese sul letto, accoccolata a ciò che di
quell’uomo le restava.
Quella camicia azzurra divenne,
infatti, l’unica,flebile e profonda speranza di ritrovare il
suo profumo e ubriacarsi d’illusioni dolci: miraggi in grado
di mostrarle ciò che rimaneva d’un baglio di
vitalità distante anni luce dai suoi occhi, ma serbanti un
retrogusto amaro.
Quei momenti erano gli unici in
cui Monica si spogliava della sua maschera di sicurezza, davanti agli
altri fingeva d’essere ferma e risoluta: serbava lo stralcio
più intimo della sua anima solo per sé.
Ma, d’altronde, Monica
sapeva che l’unico capace di scorgere le sue
fragilità era Michele… e, in quel momento, lui
non c’era.
Nella sofferenza che le mani
tentavano di nascondere, strinse la sua camicia e se la mise sulle
spalle; poi, si alzò.
Aveva capito che la notte sarebbe
stata attrice di troppa brutalità perché la sua
anima strutta potesse combatterla sola; per questo, prese tra le
braccia il suo vero senso di vita e si distese
nuovamente.
Si addormentò
cullandolo, ma le lacrime- quelle – non
vennero dimenticate dai suoi occhi, durante il pendolo che si
rivelò quel buio, queste imperlavano i suoi occhi, lasciando
una scia della loro esistenza sul viso, ormai stanco
nell’aspettare l’arrivo
del giorno.
***
Eccomi ^^Questa è la
storia con cui partecipo al contest Return indetto da 'amimy': non
potevo di certo farmi sfuggire l'occasione per far tornare in vita
Michele!!!
La sto ultimando,ma intanto inizio a postarla anche qua.
E' una one-shot molto lunga quindi per comodità e per
accrescere la suspance la pubblico suddivisa in parti.
Spero vi piaccia (=
Smack Smack
Calime.