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Autore: Frances    19/07/2010    3 recensioni
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
[Rufus x Tifa]
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rufus Shinra, Tifa Lockheart
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Parte VI - Handcuffs//Deception

 

Non le rimisero più quelle insopportabili manette.

Tifa non capiva perché.

Non riusciva a comprendere il motivo per cui gliele avesse tolte solo adesso, dopo tutti quei giorni, tutte quelle settimane.

A che scopo levargliele? Forse Rufus era sicuro che non avrebbe più tentato la fuga? A che scopo obbligarla a tenerle fino a quel momento, se non le permetteva neanche di schiudere la porta della sua stanza? Se la sorvegliava in continuazione e non smetteva di minacciarla di sequestrarle la chiave?

Era una cosa che aveva notato da relativamente poco tempo, ma rimuginando, sfogliando le pagine di Loveless - lo aveva letto e riletto almeno una ventina di volte ormai - aveva iniziato ad intravedere nei suoi gesti dei sospetti messaggi cifrati, sentire parole non dette, scorgere cose che lui sembrava volerle tenere nascoste.

Ma erano quelle manette, quei cerchi rossi leggermente sbiaditi che ancora le turbavano la pelle bianca dei polsi a renderla sospettosa.

Forse in fondo, ciò che l'aveva tenuta lì andava aldilà dell'enorme ritardo di quel maledetto Presidente.

Rufus entrò nella sua stanza senza bussare, come al solito. Le chiese se aveva mangiato, se voleva qualcosa in particolare, poi uscì chiudendosi la porta alle spalle.

Tornò a sera tarda, per darle la buonanotte, come ai bambini.

Tifa gli aveva permesso di comportarsi in quel modo sin da quando si era stancata di combattere e aveva iniziato a sopportare passivamente, senza reagire.

Ma quella sera non aveva intenzione di andare a letto presto, di spegnere la luce quando veniva lui a premere l'interruttore.

Si alzò dal letto con uno slancio incontrollato, qualche istante dopo averlo visto richiudersi la porta alle spalle per lasciarla dormire. Le avevano sciolto i capelli e le avevano fatto indossare un abito di un colore scuro che si coordinava armoniosamente ai suoi occhi, ma non le importava più nulla. Lasciò che la vestaglia trasparente frusciasse intorno alle sue caviglie e spalancò la porta, correndogli incontro a piedi nudi, inseguendolo, cercando di indovinare la direzione che avevano preso i suoi passi.

Voleva delle risposte. Voleva capire esattamente cosa stesse accadendo in quel posto di cui vedeva solo quattro mura, una finestra, un letto.

Quando lo raggiunse, fece appena in tempo a sgusciare in una stanza sconosciuta assieme a lui, accelerando la veloce chiusura della porta poggiandoci sopra la schiena.

Clack. Chiusa.

La sala era ampia e ancora buia, l'unica fioca luce proveniva dalla luna pallida che filtrava oltre l'enorme finestra di fronte all'entrata; gli unici elementi di mobilia erano un divano, un tavolo da lavoro ed una lunga libreria. Sembrava un ufficio.

Spiò le spalle larghe di Rufus che la sovrastavano, chiedendosi se stesse semplicemente giocando a tenerla sulle spine. Era impossibile che non si fosse accorto di lei.

Non gli diede il tempo di accendere la luce o di pronunciare una singola parola:

« Ora tu mi ascolterai, Rufus ShinRa.» scandì a voce alta, la gola che le vibrava.

« Non mi sono mai rifiutato di farlo.» rispose lui semplicemente, voltandosi a guardarla. Sul suo volto non c'era alcun tipo di sorpresa.

« Voglio che tu mi parli sinceramente.» aggiunse, minacciosa, facendo qualche passo verso di lui. Non le importava di essere in vestaglia, di essere mezza svestita, di avere un abito adatto solo alle tende discrete del suo letto da principessa. Non le importava di essere così vulnerabile, piccola e bassa in confronto a lui. Voleva delle risposte e le avrebbe ottenute in un modo o nell'altro. Non poteva dare pugni o calci, ma poteva graffiare.

Lui non arretrò di un solo passo, rimase immobile nella luce lunare, aspettando.

« Non ricordo di averti mai mentito prima d'ora. Almeno...» sembrò sorridere appena, nella penombra «...non l'ho mai fatto di proposito. Mai per ferire i tuoi sentimenti.»

« Non lo faresti mai, vero?» lei completò la frase con sarcasmo, la voce tremante che cominciava a riprendere il suo vecchio calore, quello che le aveva infiammato la gola durante quei giorni in cella.   

« Mai.»

Sembrava in qualche modo sincero, ma Tifa non aveva intenzione di farsi interrompere o ingentilire. Inspirò fino a riempirsi completamente i polmoni.

« E allora, dimmi, signor ShinRa.» scandì perfettamente le sillabe, una ad una « Perché tuo padre non è ancora qui? Perché hai cercato di eludere l'argomento in tutti questi giorni? Voglio una risposta!»

Il suo urlo bisbigliato venne inghiottito da un silenzio pesantissimo.

Dapprima sul viso di Rufus non apparve alcun tipo di emozione. I suoi lineamenti rimasero immoti, la bocca ferma nell'atto di dire qualcosa. I suoi occhi, per il maledetto Pianeta, i suoi occhi brillavano come pietre preziose, liquidi e pericolosi come il mercurio, un alternarsi continuo di azzurro, verde, ambizione, egoismo, divertimento.

Tifa resistette. Stoicamente.

« Credo sia arrivato il momento di spiegarti qualcosa, Tifa.» cedette lui infine, mentre un sorriso rassegnato gli increspava le labbra. Un rimpianto falso quasi quanto la gentilezza delle sue parole, un sentimento artificiale che neppure gli sfiorava gli occhi.

Lei intrecciò le braccia sul petto, in attesa, le unghie che le si conficcavano nei palmi fino quasi a farli sanguinare. Ormai era ovvio che i suoi sospetti fossero certezza.

« Sono tutt'orecchi.» annunciò, respirando profondamente.

Rufus ebbe un'ultima esitazione prima di riprendere. Si stava divertendo. Si stava divertendo troppo e non avrebbe permesso che tutto quello finisse troppo in fretta.

« Da dove potrei iniziare...» si finse soprappensiero per un attimo, massaggiandosi svogliatamente il collo «...come dire.» alzò di colpo gli occhi verso di lei, una luce spaventosa ad illuminarglieli « Mio padre ha sempre odiato i ritardi. Li considera inappropriati

Tifa batté le palpebre, confusa.

«...cosa vuol dire?»

Rufus sorrise. Un sorriso tagliente, un sorriso che sfiorava il sadico. Tifa strinse forte i denti.

« Significa che mio padre non si concede alcun tipo di ritardo. Semplicemente, non verrà mai a vederti.» scosse il capo nel ripetere « Mai.»

Tifa si morse un labbro, affondando i canini nella carne e nel rossetto che sapeva di ciliegia. Attese che lui finisse.

Il principe parve voler studiare la sua reazione prima di riprendere. Era così maledettamente disgustoso e seducente il modo in cui piegava la testa di lato, la forma della sua bocca che la scherniva, il modo suggestivo con cui i raggi lunari mostravano e nascondevano il taglio elegante delle sopracciglia e degli occhi. Tifa si morse anche la lingua.

« Il Presidente non verrà per un semplice motivo.» quelle parole suonarono come una condanna « Ispezioni a nord. Impegni, appuntamenti. Gli rimane giusto il tempo necessario a delegare al suo giovane vicepresidente di adempiere ai compiti che lui, sfortunatamente, non può portare a termine.»

Tifa rimase immobile. Il suo cuore perse un battito.

Rufus si lasciò andare in quella risata tranquilla che aveva trattenuto fino a quel momento: durò giusto un istante.

« Toccava a me giudicarti. In questo caso, toccava a me. E l'ho fatto.» sollevò le sopracciglia in un'espressione ingenua « Ti ho liberata il giorno stesso in cui ti ho vista là distesa in quella cella. Sei libera da allora.»

Tifa aprì la bocca, sconvolta, ma lui la precedette, guardandola fisso negli occhi:

« Potevi andartene da allora.» fece una pausa, il suo sorriso divenne terribilmente malizioso « Ma sei rimasta. Sbaglio?»

E poi accadde.

Tifa scoppiò. Tutta la rabbia, tutta la vergogna, tutto il dolore, tutto ciò che aveva accumulato, trattenuto e soppresso dentro di sé durante quei giorni, le esplose nel petto con una furia tale che le parve di poter vedere le sue mani bruciare assieme ai vestiti.

Senza più riuscire a distingue la parte razionale da quella irrazionale, si lanciò contro Rufus, gli afferrò con rabbia una manica dell'abito, tirandolo così forte che avrebbe potuto strappare la stoffa. Lo strattonò, la voce che le gorgogliava in gola, lo spinse con tutta la sua forza contro lo stretto divano di pelle nera.

Lui non si oppose, la lasciò fare, ricadde pesantemente sui cuscini, il volto tanto tranquillo da sembrare quasi soddisfatto, compiaciuto; la attendeva, seduto scompostamente sul divano, attendeva solo che lei lo raggiungesse.

E lei non si fece attendere.

Si avventò su di lui, a piedi nudi sulla pelle liscia e scura come la notte, intrappolò le sue gambe fra le proprie, afferrandogli con foga e furia combinate il bavero bianco della giacca. Lo avrebbe colpito con tutta la sua forza.

Avrebbe davvero voluto farlo.

Le loro labbra si scontrarono violentemente, affamate, bollenti, arrabbiate, in una ricerca ossessiva e continua di farsi male e soddisfarsi a vicenda. Quelle di lui la provocavano, la invitavano, si impossessavano di lei improvvisamente, la guidavano e si lasciavano guidare per prenderla in giro. Quelle di lei lo rincorrevano, reclamavano con prepotenza la sua attenzione, cercavano di morderlo per fargli male ma poi si smarrivano e lo baciavano semplicemente.

Lo baciavano con rabbia, con rimpianto, con dolore, bruciando di un amore morboso e carnale che la consumava dall'interno, facendole sentire solo un disperato ed insensato bisogno di ricevere quello stesso amore in cambio del proprio, riceverlo e donarlo, donarlo e riceverlo all'infinito.

Sentì improvvisamente le braccia di Rufus cingerle i fianchi, possessive, cercare la sua schiena, cercare quel contatto fisico che gli aveva negato così strenuamente fino ad allora. E non si era neppure resa conto di aver già avvolto le sue braccia al suo collo con lo stesso identico vigore, le mani che si insinuavano fra i suoi capelli, glieli tiravano fino quasi a strapparglieli, una vendetta dolce, lenta e crudele.

Si avvicinò ancora a lui, stringendo le gambe ai suoi fianchi, guidata solo dal desiderio incontrollato che i loro corpi si toccassero. Anche quel vestito da camera, quell'abito tanto sottile da sembrare quasi trasparente, quello attraverso il quale lui poteva sentire ogni cosa di lei, non era mai stato così comodo come in quel momento.

Tifa trattenne il respiro mentre lasciava che le labbra di lui dischiudessero le sue, intensificassero la passione ed il bisogno con cui le loro bocche si univano e si allontanavano, si assaggiavano a vicenda senza fermarsi mai a riprendere fiato. Gemette appena mentre seguiva la curva della sua mascella tesa, intrecciava ancora le dita alle ciocche bionde sulla sua nuca, si rendeva conto di averlo desiderato con quello stesso rovente tormento fin dal primo sguardo, dalle prime parole, dal primo istante.

Poi furono costretti ad interrompersi, con rammarico, con la stessa rabbia con cui si erano uniti.

Il volto in fiamme, la gola scossa da bassi sospiri, Tifa lo cercò nella penombra, consapevole solo delle sue mani grandi e calde sulla sua pelle, del suo ansimare accaldato che le sfiorava il collo.

E lui era lì, cercava lei, gli occhi socchiusi ed un sorriso stanco sulle labbra, un sorriso che sapeva di soddisfazione, autocompiacimento ed irrequietezza.

« Ero preparato ad affrontare la tua rabbia assassina...» glielo bisbigliò all'orecchio, con voce un po' roca «...ma questo in fondo è molto meglio.»

Lei si chinò sulla sua spalla, arcuando appena la schiena contro le sue dita che continuavano a cercarla, avide, incontentabili, sempre più lente; si nascondevano oltre i lembi del suo vestito, le sfioravano il collo, si insinuavano dolcemente tra i suoi capelli, discendevano le sue braccia scoperte, rasentavano lembi di pelle proibiti lasciandola senza fiato.

Nascose il volto nell'incavo del suo collo, chiudendo gli occhi, mordendosi le labbra per ritrovare quel poco del suo sapore che vi era rimasto sopra.

Ormai sapeva di appartenere a quelle mani, sapeva di essere sua e di non poter più scappare, sapeva che gli avrebbe donato tutta sé stessa senza che lui dovesse chiedere nulla. Ora non servivano le manette a tenerla prigioniera.

Gemette ancora, sommessamente, cercando la sua bocca. Lui si mosse appena per facilitarla, carezzandole il naso con una guancia.

« Sei un maledetto, imperdonabile bastardo.» glielo disse in un basso rantolo, con le labbra sovrapposte alle sue, tesa come le corde di un violino nel momento in cui venivano pizzicate dal musicista.

Sentì solo qualche parola confusa e fioca prima di accogliere ancora il suo respiro dolce fra le labbra, desiderando solo che quel secondo bacio durasse più a lungo, fosse più intenso e più straziante.

« ...ma tu puoi sopportarlo, vero...?»

Tifa si strinse con più forza alle sue spalle, corrugando la fronte, colmandosi di lui fino a che non le parve che il cuore potesse scoppiarle in petto.

Era una risposta abbastanza chiara.

 

[End]

   
 
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