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Autore: Fiamma Drakon    20/07/2010    0 recensioni
Domani era il compleanno di Gina e io non le avevo preso niente! Anzi, ancora più grave: me ne ero totalmente dimenticato!
“Che fare? Che fare? Avanti, Brian... fatti venire in mente qualcosa!!!” pensai, appoggiandomi al piano della cucina.
Niente: ero stanco e mettere così alla prova il mio cervello a quell’ora non mi avrebbe aiutato affatto. A sorpresa, però, i miei neuroni riuscirono a darmi un’idea: Gina l’indomani mattina sarebbe andata a lavorare e sarebbe tornata solo nel tardo pomeriggio.
Sarebbe stata la mia occasione per uscire e andare a cercarle un regalo...!

[Personaggi: Brian Basco, Gina Timmins - Brian/Gina]
Genere: Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Happy birthday, Gina! Inverno.
Nevicava senza sosta da ormai tre giorni e sembrava che dovesse continuare per chissà quanto altro tempo. Le strade iniziavano a divenire impraticabili, completamente sommerse dalla neve che con ostinazione gli spazzatori continuavano a togliere per poi vederla ricomparire di lì al giorno successivo.
Be’, non era certo un problema mio, finché non mettevo il naso fuori di casa. Ecco, allora sì, diventava anche un mio problema.
- Etcì! - starnutii, raggomitolato davanti al fuoco del caminetto del nostro piccolo cottage alla periferia della città.
- Potevi risparmiarti il viaggio fino al supermercato, oggi... -.
Il commento di Gina mi giunse dalla mia destra, convincendomi a voltarmi verso di lei: stava appoggiata contro il davanzale della finestra chiusa, accanto al termosifone, e osservava la neve che fioccava imperterrita all’esterno.
Poi, si voltò verso di me, avvicinandosi.
- ... la temperatura si è abbassata di altri cinque gradi. Potevi aspettare domani per uscire! - mi rimproverò, sedendosi sul divano accanto a me, appoggiandosi contro la mia spalla e giocherellando con un lembo della coperta che avevo addosso.
Convenni silenziosamente con lei: avrei potuto aspettare il giorno dopo per uscire, ma avevo voluto fare di testa mia e andare comunque.
Risultato: raffreddore e rischio di congelamento.
Mi strinsi di più la coperta addosso e sospirai, tirando su col naso. Me l’ero cercata, tutto qui. Niente di più, niente di meno.
Puntai stancamente gli occhi sul fuoco scoppiettante davanti a me, perdendomi nell’osservare le fiamme guizzare allegramente.
Gina non mi dava fastidio, appoggiata contro la mia spalla, anzi, il suo corpo emanava un piacevole tepore che riuscivo a sentire nonostante la coperta.
- Etciù! - starnutii di nuovo.
Sì, me l’ero proprio cercata.
- Salute... - mormorò Gina in tono affettuoso, allungando una mano ad accarezzarmi una guancia.
- Grazie... - sussurrai, con il naso tappato.
Lei rise sommessamente, quindi si protese e mi strappò un bacio, che mi lanciò una scarica elettrica lungo la spina dorsale.
- E se avessi la febbre? - domandai, inarcando un sopracciglio.
- Saresti moribondo... - concluse semplicemente lei, con una leggera scrollata di spalle e un altro bacio.
Non mi piaceva ammetterlo perché suonava estremamente frivolo, ma mi piacevano le coccole. Soprattutto quelle innocenti che ci scambiavamo di tanto in tanto sul divano, invece che quelle più intense e passionali di solito riservate ai nostri giochini sotto le coperte. Erano più sincere, più... fanciullesche.
- Forse... dovremmo andare a letto - disse ad un tratto Gina, riscuotendomi dalla mia trance.
- Sì - convenni semplicemente: ero distrutto.
Camminare nella neve fino alle ginocchia era sfiancante oltre ogni dire.
Ci alzammo.
Gina spense il camino e io mi avviai in camera con ancora indosso la coperta. Appena arrivato, mi accostai al mio lato del letto e mi tolsi la coperta, che piegai e riposi su una sedia in un angolo. Voltandomi, osservai distrattamente il calendario e mi ricordai che dovevo strappare la pagina del mese di gennaio: domani sarebbe iniziato febbraio, con la speranza che la temperatura e le condizioni meteorologiche migliorassero.
Tolsi la pagina e l’appallottolai, guardando senza particolare interesse la pagina sottostante. Il mio sguardo si fermò sull’appunto scritto velocemente sulla riga accanto al primo giorno e mi sentii cadere letteralmente il mondo addosso. Mi scivolò di mano la pagina accartocciata, andando a finire sotto al letto, così mi chinai a raccoglierla, ma nella fretta di rialzarmi sbattei la testa contro il bordo del letto.
- Brian, ma che fai? -.
La voce di Gina mi gelò il sangue nelle vene.
- Eh? - dissi, rialzandomi, massaggiandomi la testa dolorante - Niente...! - aggiunsi, cercando di assumere un tono e un aspetto innocenti, sapendo perfettamente di aver fallito miseramente.
Lei mi guardò, perplessa, quindi iniziò a spogliarsi.
Io sgattaiolai via alla velocità della luce, fermandomi solo una volta giunto in cucina. Accesi la luce e, nel gettare la carta, mi sentii assalire da un senso di colpa abissale.
Domani era il compleanno di Gina e io non le avevo preso niente! Anzi, ancora più grave: me ne ero totalmente dimenticato!
“Che fare? Che fare? Avanti, Brian... fatti venire in mente qualcosa!!!” pensai, appoggiandomi al piano della cucina.
Niente: ero stanco e mettere così alla prova il mio cervello a quell’ora non mi avrebbe aiutato affatto. A sorpresa, però, i miei neuroni riuscirono a darmi un’idea: Gina l’indomani mattina sarebbe andata a lavorare e sarebbe tornata solo nel tardo pomeriggio.
Sarebbe stata la mia occasione per uscire e andare a cercarle un regalo...!
Benedissi tra me e me il fatto che il mio giorno libero fosse proprio domani e non lo stesso di Gina, quindi me ne andai. Riattraversai la casa e socchiusi la porta della camera quel tanto che mi bastò a passare.
Lei era già a letto e la luce era già spenta.
A tentoni, avanzai nel buio, temendo di sbattere di nuovo contro qualcosa. Quella volta, fui fortunato e non urtai niente.
Dato ero già in pigiama, m’infilai alla svelta sotto le coperte e mi voltai su un fianco, dando le spalle a Gina.
Chiusi gli occhi e attesi che il sonno sopravvenisse, ma all’improvviso sentii il braccio della mia partner strisciarmi lungo la schiena e scavalcare il mio fianco, cingendomi in vita e avvicinandomi a lei.
Non potevo togliermela di dosso, altrimenti avrebbe capito che c’era qualcosa che non andava e, con il suo incredibile “potere di persuasione femminile”, mi avrebbe strappato la risposta in men che non si dica.
No, dovevo rilassarmi e far finta che non ci fosse niente che mi assillasse.
- Buonanotte, Brian... - mi sussurrò dolcemente, la voce già impastata dal sonno. Com’era dolce...
- Buonanotte Gina - replicai io, la voce perfettamente sveglia, come me del resto.
Impiegai decisamente più tempo del solito a prendere sonno. Un’ora circa. Il tempo sembrava non passare mai e io mi sentivo sprofondare ogni secondo di più nella certezza che avrei perso il sonno completamente se non mi fossi dato una calmata e avessi iniziato a pensare positivo: il giorno dopo avrei rimediato alla mia maledetta sbadataggine, per cui non dovevo preoccuparmi di niente. Sarebbe filato tutto liscio, Gina avrebbe avuto il suo regalo, io magari qualche bacio e stop. Non ci sarebbe rimasto male nessuno.
Alla fine, mentre continuavo a pensare a ciò, il mio cervello staccò la spina e finalmente presi sonno.
Ma le mie preoccupazioni non erano certo finite con l’arrivo di Morfeo, anzi, si erano intensificate in modo esponenziale, tanto da invadere in modo non indifferente addirittura i miei sogni. O, per meglio dire, incubi.
Sognai di non riuscire a trovare un bel niente da regalarle e tornare a casa a mani vuote, confrontandomi con la sua amara delusione.
Sognai di venire scoperto mentre sgattaiolavo via di casa.
Sognai Gina che mi aggrediva verbalmente strillando che mi ero dimenticato del suo compleanno, che ero un fidanzato più che deludente ed altri insulti davvero orribili.
Infine, assieme ad un ultimo “BRIAN TI ODIO!”, mi ridestai di soprassalto, spalancando gli occhi sul soffitto della camera.
Mi passai le mani sul viso, scoprendolo madido di sudore benché non facesse esattamente caldo.
Allungai una mano alla mia sinistra e, con un moto di sollievo, scoprii il materasso vuoto. Gina se n’era già andata.
Mi alzai e andai in bagno, deciso a farmi una doccia. La prima cosa che notai nello specchio sopra il lavandino, nel passarci davanti, fu il pallore del mio viso e il fatto che sembravo un morto vivente più che un vivo e basta.
Be’, non che mi sentissi molto meglio di quel che apparivo, anzi, me ne sarei tornato volentieri a letto sperando di riuscire a dormire sul serio stavolta, ma avevo da fare. Dovevo andare a cercare il regalo per Gina. Avrei recuperato il sonno quella notte, quando non avrei avuto più alcun motivo di preoccuparmi.
Mi spogliai e m’infilai nella doccia, aprendo sovrappensiero l’acqua, che mi piovve addosso dannatamente fredda, mozzandomi di netto il fiato.
Mi appiattii contro la parete, evitando il getto, e regolai la temperatura.
Quando iniziai a sentire l’aria farsi più calda, misi una mano sotto l’acqua, sentendola calda abbastanza da osare espormi ed esserne investito.
Uscii insieme ad una voluta di vapore caldo e, avvolto nel mio accappatoio, andai in cucina.
Dire che dormivo in piedi era un semplice e blando eufemismo.
“Tutta colpa delle mie paranoie...!” mormorai tra me, stizzito, preparandomi una tazza di caffè caldo.
Mentre bevevo, appoggiato al piano della cucina accanto ai fornelli, il corroborante potere della caffeina riuscì a risvegliarmi abbastanza da permettermi di ragionare lucidamente.
Evviva la caffeina!
Finita la mia cosiddetta “colazione”, tornai in camera e mi vestii.
Scelsi l’abbigliamento più pesante che avevo, dato che non volevo ripetere lo stesso, sciocco errore di ieri.
Completai il tutto infilandomi il mio giaccone azzurro e calcandomi un cappello dello stesso colore in testa, quindi uscii.
Fuori nevicava ancora, com’era prevedibile, ma non più come i giorni prima: adesso c’era pure un forte vento che trasformava la nevicata in una specie di piccola bufera.
M’incamminai nella neve, che con mio sommo sgomento notai arrivarmi a mezze cosce. Perché gli spazzatori non pensavano pure a togliere la neve dai vialetti d’accesso alle case?
Sentivo le raffiche di vento strisciarmi addosso, insinuarsi sotto la giacca, frustarmi il collo e il viso. Procedevo a piccoli passi lungo il selciato che divideva la porta di casa dalla strada, cercando di ignorare le fitte di dolore alle gambe, che bramavano un briciolo di calore che io di certo non potevo fornire.
Quando finalmente arrivai in fondo, sbucai nella strada principale, dove la neve era stata tolta, infatti non arrivava nemmeno a coprirmi le scarpe.
Mandai un vivo e fervido ringraziamento a coloro che avevano pensato a sbarazzarsi della neve almeno lungo le strade principali e mi diressi verso il centro, conscio che sarebbe stata una lunga passeggiata, ma d’altronde, avevamo una sola macchina e il luogo dove lavoravo io era più vicino di quello presso cui era impiegata Gina, per cui l’auto la utilizzava lei.
Io mi facevo a piedi quella strada quasi tutti i giorni, per cui ci ero abituato. L’unica cosa a cui non ero abituato, e alla quale non sarei mai riuscito ad abituarmi, era la neve che mi turbinava intorno e addosso.
Fortunatamente, avevo deciso di mettere dei pantaloni adatti alla situazione, altrimenti me li sarei dovuti tenere bagnati fintanto che non tornavo a casa.
Proseguii spedito verso la città, che non era poi così distante: in men che non si dica, infatti, mi trovai immerso nelle strette strade che correvano tra gli immensi grattacieli e i condomini squallidi.
Tirai avanti velocemente: non avevo tempo per ammirare la senz’altro dubbia bellezza di edifici fatiscenti in cui vivevano donne con quattro o cinque bambini da tirar su senza un soldo.
Dopo quasi un’ora arrivai finalmente nel centro vero e proprio della città, la parte a mio parere migliore: i negozietti di fattura antica che facevano bella mostra della loro merce migliore nelle vetrine immacolate erano ancora più belli sotto la neve.
Era il cuore storico attorno a cui era sorta il resto della città, perciò circondato da una sorta di bolla invisibile che lo escludeva da tutto il resto. Entrare in esso era come varcare una soglia e tornare indietro nel tempo di qualche decennio, quando esistevano ancora le donne che, pazientemente, cucivano vestiti su misura in un piccolo negozio di famiglia.
A volte io e Gina ci inoltravamo lì per qualche romantica passeggiata, soprattutto in primavera, nelle belle giornate di sole, per cui avevo già constatato che c’erano delle gioiellerie che vendevano articoli davvero carini.
Be’, non avevo altre idee buone per il regalo. Qualcosa di classico come un gioiello immaginavo che non le sarebbe dispiaciuto, anche perché gliene regalavo veramente pochi: il mio misero stipendio da impiegato non mi permetteva di farle regali esagerati tutti i giorni.
Così, mi addentrai nelle viuzze che dividevano i pittoreschi negozi, guardandomi intorno in cerca di una delle gioiellerie.
Gironzolai per un’altra mezz’ora buona, prima di riuscire a trovarne una.
Il mio primo timore fu quello, puerile e scioccamente maschile, di varcare la soglia da solo. Scossi con forza la testa, scacciando così anche i miei stupidi timori, ed entrai.
All’interno c’erano diverse luci bianche disposte sopra le varie teche che ospitavano i gioielli.
La prima cosa che notai fu che c’ero solo io all’interno del negozio, assieme all’anziano commesso, che puntò tutta la sua attenzione su di me.
Mi sentivo un emerito cretino, e a ragione, ma mi feci coraggio e avanzai all’interno.
Benché i gioielli fossero meravigliosi, in quel negozio non trovai niente che vedessi bene indosso a Gina, così uscii e cercai un’altra gioielleria.
Fortunatamente, ne trovai un’altra poco distante.
Appena entrato, due donne intente a discutere animatamente vicino alla commessa mi scrutarono, accigliate e sospettose.
Quando distolsi la mia attenzione da loro, iniziarono a bisbigliare. Cercai di ignorarle, mentre guardavo se trovavo qualcosa per la mia amata, ma i loro mormorii mi stavano urtando i nervi: possibile che non avessero altro di cui parlare che di me?
Ogni tanto lanciavo loro qualche occhiata, ed immancabilmente le trovavo a fissarmi.
Oddio, quant’erano snervanti!
Infine, dopo essermi accertato che non ci fosse niente, uscii guardandole torvo un’ultima volta.
Appena fuori, andai a sedermi su una panchina, curandomi di spazzare via la neve. Mandai un sospiro e starnutii.
- Uff... - sbuffai.
Rimasi lì qualche minuto, poi ripresi a camminare, starnutendo a destra e a manca. Maledetto raffreddore!
Girai altri due negozi, dopodiché mi fermai presso un bar e mi presi una bella cioccolata calda, un buon rimpiazzo per il pranzo. Almeno, mi avrebbe riscaldato un po’: mi sentivo come se da un momento all’altro dovessi andare in pezzi come una comune statua di ghiaccio.
Mi sedetti ad un tavolino un po’ in disparte a sorseggiare la bevanda. Era così calda e dolce... avevo voglia di andare a casa e infilarmi sotto le coperte, ma dovevo cercare il regalo per Gina. Non sarei tornato finché non fossi riuscito nell’impresa.
Finii in fretta di bere e uscii dal bar, riprendendo la mia ricerca.
Dopo più di mezz’ora, quando ormai le mie gambe iniziavano ad essere stufe e stanche di portarmi dovunque e da nessuna parte, trovai un’altra gioielleria.
“Ti prego, fa che sia quella giusta!” mormorai tra me, entrando.
Qualcuno là dentro c’era, ma di certo non si misero a bisbigliare non appena varcai la soglia, anzi, i pochi clienti che c’erano parvero non notare nemmeno la mia presenza. Tanto meglio!
Come con le altre gioiellerie, studiai le teche, finché, arrivato all’ultima, la mia attenzione fu attirata da un girocollo impreziosito da piccole pietre trasparenti come i tre cuori che pendevano al centro. Più o meno, ipotizzai, sarebbero arrivati a posarsi sull’incavo tra i seni.
Era... semplicemente perfetto!
Chiamai la commessa e me lo feci impacchettare, ottenendo un piccolo regalo avvolto in carta argentata lucida che brillava di luce riflessa. Estremamente carino a vedersi.
Così, me ne tornai finalmente a casa, anche se durante il tragitto iniziai a sentirmi decisamente stanco e ad aver freddo.
Una cosa era certa: avevo bisogno di dormire. L’effetto della caffeina non dura in eterno e, dopo una camminata di una mattina e mezzo, mi ci voleva un po’ di riposo.
Appena arrivatoa casa, nascosi il regalo e mi spogliai, m’infilai qualcosa di caldo e di comodo e, presa la coperta della sera prima, andai a stendermi sul divano, davanti al camino acceso.
Inutile dire che scivolai nel sonno decisamente alla svelta...

- Brian...? Brian, amore... svegliati -.
Non avevo voglia di aprire gli occhi: volevo dormire ancora, ero stanco.
- Briaaaaan... -.
Un sussurro e al tempo stesso una dolce esortazione mi ridestarono in parte, poi un paio di labbra mi sfiorarono la fronte. Solo allora aprii gli occhi, ritrovandomi a fissare il viso di Gina, piegata su di me, sorridente.
- Gina... - mugugnai, mettendomi a sedere.
- Ben svegliato! - esclamò, allegra.
- D-da quanto sei qui? -
- A dire il vero, sono rientrata giusto ora... perché? -.
“Fiuuu... menomale” pensai, quindi mi misi seduto e la guardai negli occhi.
- Aspettami qui - le dissi semplicemente, alzandomi.
Andai in camera e presi il regalo dal cassetto del comò, dove l’avevo nascosto, quindi glielo portai.
La trovai seduta sul divano, in curiosa attesa.
- Buon compleanno! -.
- Awww, Brian...! - esclamò, quando le posai in grembo il pacchetto.
Mi baciò su una guancia e avvampai.
La osservai mentre lo apriva e, quando estrasse il girocollo, vidi i suoi occhi accendersi di felicità.
- Grazie - disse, gettandomi al collo le braccia - ... è un pensiero veramente carino! -.
Le sorrisi.
Ebbi una vertigine improvvisa e traballai.
Lei allora mi fissò improvvisamente preoccupata.
- Brian... ti senti bene? - mi chiese, alzandosi e sorreggendomi, senza perdere di vista un solo istante il mio sguardo - Hai una brutta cera... -.
In effetti, ora che mi ci faceva pensare, la testa minacciava di esplodermi da un momento all’altro e... be’, avevo freddo. Molto freddo.
- Sto bene - mentii, cercando di sembrare convincente, ma quando lei mi mise una mano sulla fronte, avvertii perfettamente la differenza di temperatura e la cosa non mi piacque affatto, così come non piacque a lei.
- Brian, ma tu bruci! - esclamò, allarmata.
- No, tranquilla... sto bene... - continuai a ripeterle, cercando di convincere sia lei che me stesso della veridicità di quelle parole.
Non avevo più energie e non ci volle molto perché lei riuscisse a convincermi ad alzarmi e lasciarmi accompagnare  a letto. M’infilò sotto le coperte.
- Gina... - la chiamai, esanime.
Volevo dormire, niente di più. Lei mi fece cenno di star zitto.
- Riposati e stai tranquillo... va bene? - esclamò, poi se ne andò.
Quando mi risvegliai, lei era seduta accanto a me, e mi teneva un panno bagnato e freddo sulla fronte.
- Come ti senti...? - mi chiese.
Chiusi di nuovo gli occhi, per un attimo, poi li riaprii.
- Non molto bene... - confessai infine.
- Sfido io... hai la febbre a trentotto! -
- Cosa? -
- Be’, adesso si è abbassata un po’... ma non così tanto... - s’interruppe un istante - ... come hai fatto ad ammalarti così? Fino a ieri... era solo un semplice raffreddore...! -
- Eh-eh... già... - convenni, cercando di assumere un debole tono innocente.
Lei mi guardava, arrabbiata, il che non era affatto un buon segno.
- C’è qualcosa che dovrei sapere? -
- No! Niente - esclamai, troppo in fretta per dargliela a bere.
- Brian... - mi richiamò, in impaziente tono di rimprovero.
Abbassai gli occhi e sospirai, poi starnutii.
Allora le raccontai della mia piccola “escursione” in città. Non che volessi, ma fui costretto: Gina riusciva ad essere estremamente persuasiva, quando voleva.
- Non posso crederci! Sei uscito per comprarmi quel regalo con questo freddo e raffreddato, per giunta! -
- Mi ero dimenticato di comprartelo e non volevo deluderti... - mi giustificai, in un fil di voce.
Lei sbuffò, irritata, quindi mi tolse il panno che avevo sulla fronte e se ne andò. Rimasi solo pochi minuti, poi le ritornò con la pezza nuovamente bagnata.
Mentre me la sistemava sulla fronte, la sentii mormorare: - Non dovevi farlo. Sei sempre il solito, dolce stupido... -.
- Ma sono il tuo dolce stupido... - commentai io, cercando di tirarle un po’ su il morale, anche se non mi sentivo esattamente in vena di scherzare.
A quanto parve però, ci riuscii, perché mi sorrise.
- Sì, solo mio... - disse, sorridendo a sua volta.
Rimanemmo a fissarci per alcuni minuti, poi mi addormentai di nuovo, stremato dalla febbre e dalla stanchezza.
   
 
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