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Autore: HarleyQuinn11    25/07/2010    1 recensioni
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NdAmministrazione: secondo il regolamento, l'introduzione deve contenere un accenno alla trama o una citazione significativa ripresa dalla storia. L'autore deve perciò provvedere a modificare questa introduzione (può contemporaneamente cancellare in autonomia questo messaggio)
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dove va un uomo quando non si sente da nessuna parte?

 

C'è chi dice che qui siamo solo di passaggio, su questa terra intendo. C'è chi dice che tutti i nostri morti sono in un posto migliore di questo. C'è chi dice che nell'inferno ci siamo già.

Ma quanti davvero sanno cosa vuol dire essere morti? Morti dentro intendo.

Credete davvero che non sia possibile vivere e allo stesso tempo essere morti?

Credete davvero che una canzone, una siringa, un bicchiere di vino, un sorriso, o un messaggio che aspettavi da tempo possa far resuscitare una anima che non è più in bilico, ma è caduta in una fossa da cui risalire non si può?

Sospesa, come a metà strada tra questo e l'altro mondo, ecco com'è l'anima.

Ci credete nei fantasmi? Quei fantasmi mascherati da una madre, una figlia, un vecchio zio, o la tua vicina di casa. Sono morti dentro. Punto. Non resta che ignorare o, se sei coraggioso e parecchio curioso, cercare di capire; ma in questo caso si rischia di diventare come loro. Ed è questo che mi è accaduto. Semplicemente pensavo troppo. La mattina mi alzavo e decidevo a chi dedicare la mia giornata, se alla parrocchia, ai bimbi dell'orfanotrofio, ai poveri sotto il ponte, ai matti del manicomio (e quindi anche a mia madre).

 

Una di quelle mattina mi sono alzata e ho deciso di uccidermi.

 

Era una notte d'estate, c'era la luna piena che accarezzava i profili degli oggetti nella mia camera. Il sonno mi prese appena spensi la bajour.

Parlami. Avanti parlami! Ma perché non mi parli? Urlo più forte ma non mi sente. Lei non sente più nulla. Mi guarda però. E i suoi occhi sono così profondi e sinceri che più non si può. Ha il viso roseo e delicato di un bambino ma dai suoi occhi esce il dolore e la sofferenza di un adulto. Mi sembra di avere davanti ora una mamma che perde il proprio figlio, ora un uomo che desidera l'impossibile, ora una ragazza in cinta di un uomo che non la ama, ora una ballerina che beve qualche bicchiere di troppo, ora un pittore che dipinge fogli bianchi, ora un musicista nero e aveva negli stessi occhi le risate di chi si concede ai lussi sfrenati, alla cupidigia, all'indifferenza. Tutto questo io vedevo in un istante quando all'improvviso lei iniziava a chiamarmi e a tirarmi.

  • Uno due tre quattro cinque e sei.. Gioca con me Rebecca!

Poi ancora.

  • Uno due tre quattro cinque e sei..dai Rebecca, vieni da me!

Cercavo di liberarmi ma la mia forza era come quella di una farfalla contro quella di un aereo.

Mi trascinò in un tunnel che sembrava simile a quelli dei film di fantascienza, ma io non me ne curavo piuttosto la cercavo:non era più con me. Ero sola e cadevo o salivo o forse ero immobile, ma niente mi avrebbe mai più turbato quanto i suoi occhi e non desideravo altro che scoprire cosa volesse da me. La curiosità non va sempre a mio vantaggio ma questa era una di quelle volte in cui ti impedisce di tremare dalla paura. Immagini veloci e incomprensibili correvano intorno a me in un vortice di suoni, urla strazianti e risate isteriche. Dopo giorni o forse ore o forse solo una manciata di minuti, mi ritrovai nella sua stanza. Finalmente la vidi lì nel suo lettino, dalla porta entra il suo papà ubriaco come al solito che non le rimbocca le coperte, ma si infila nel suo letto e lì ha crocifisso l'angelo che c'era in lei. Asciuga le lacrime col suo peluche e anche quella notte ci chiude in se, non può dirlo al parroco e forse neanche a Dio, ma deve sotterrarselo nel cuore. Nessuno può sapere ciò che sta trattenendo e nasconde i lividi con la biancheria di pizzo. Desiderava non essere mai nata. Ma i suoi sogni le danno le ali e lei si alza attraverso il vento e la pioggia in un posto dove è amata veramente. Ecco che qualcuno grida nella luna della notte. I vicini sentono ma si rintanano sotto le lenzuola. Nel frattempo un'anima fragile è stata catturata dalle mani del destino. E quando sarà mattino sarà troppo tardi. Il vortice ricomincia ed eccomi difronte ad una statua. E' un angelo e inciso c'è il nome di un cuore spezzato che il mondo ha dimenticato. Ero sudata fradicia quando un raggio di sole mi illuminò il viso svegliandomi. Avevo tenuto l'articolo di giornale sotto il cuscino. C'era ancora. Era morta ieri stesso ed abitava nella mia città. Sino a domenica, quando sarebbe stata calata in una buca profonda e solitaria, potevo far finta di conoscerla. Potevo crogiolarmi nel pensiero della sua dipartita. Domenica era ad anni luce di distanza.

Cominciavo a chiedermi se morire fosse, dopo tutto, una buona idea. Non volevo morire. Ma ero infelice e mi sentivo di troppo. C'era qualcosa che non andava in me. Se Dio mi avesse trasformato in una bambina normale come tutti i miei amici, o se mi avesse allontanato dalla rabbia di mio padre, forse avrei potuto essere felice e non perennemente angosciata e nervosa. Sabato pomeriggio le feci visita prima della sua sepoltura. Mi si chiuse lo stomaco, sudavo freddo, e non riconoscevo nessuno. Guardai verso la bara e la vidi con un abito rosa,le stava d'incanto e lo avrebbe indossato per sempre, e non sarebbe ritornata mai più, perché non era possibile fare ritorno da dove era andata.

 

  • Buongiorno, signora Scott! Come va oggi?

Nessuna risposta.

  • Signora Scott? C'è qui sua figlia. È venuta a trovarla.

Nessuna risposta.

  • Mamma? Sono io, Rebecca.

Nessuna risposta.

  • Mamma ricordi quando ero piccola e mi cantavi sempre una canzone prima di andare a dormire?

  • Dormi dormi mio cuoricino io son qui vicino, ovunque tu sarai io sarò sempre qui con te e per te.

  • Proprio quella, mamma.

Lo sguardo fisso oltre la finestra oltre quella vita che non le apparteneva più, la sedia su cui sedeva era vuota perché lei era un fantasma. Mia madre morì quella notte. Ha stretto la corda attorno alla sua gola bianca. L'ho odiata per avermi lasciato. Mio padre mi ha detto: “Tua madre era clinicamente depressa, niente di più”. Scrivono sempre che il papà è il primo amore di ogni bambina ma non precisano mai che quell'amore può ferire. Non sempre quel rapporto padre-figlia va come vorremmo. Mia madre è morta perché tu papà l'hai picchiata, perché tu hai approfittato del suo cuore puro e buono che ti amava. Ti amava maledettamente. Non sono altro che il frutto di un amore insano. Come hai potuto non amarla? Nei suoi occhi c'era il cielo e tu non l'hai amata. Nel suo cuore c'erano cascate d'amore e fiumi di generosità, e tu non l'hai amata. Sai qual'è stato però il suo più grande errore? Perdonarti. Ne sono sicura, non poteva andarsene senza dirti che ti amava ancora. Nel momento in cui era in piedi sulla sedia,e si stava infilando l'ultimo gioiello, una corda spessa per reggere il suo peso, avrà chiesto a Dio di prendersi cura di te,e se ci aveva ripensato se voleva ancora vivere era troppo tardi: l'aria le mancava già.

La compagna di stanza di mia madre si chiamava Ruth. Era schizofrenica. Aveva gli occhi nocciola , che ti catturano al primo sguardo, aveva lunghi capelli castani e un corpo magro, troppo magro, forse per i medicinali. Parlavamo spesso dopo la morte di mamma. Una volta una donna parlando con un'amica disse:

-Sono stanca di fare da balia a questo matto da strapazzo.

Il matto era suo marito. Ruth che aveva sentito tutto si alzò di scatto le andò incontro e le disse: -Vuoi sapere chi sono i matti ? I matti siete voi! Siete solo voi che entrate qui con le vostre bella torte al cioccolato e nel cuore l'amarezza per non aver più un marito ma un pazzo... le pazze siete voi! Voi! Voi! Voi! _le infermiere le bloccano le braccia_Voi! Voi! Voi! Matte ! Matte!

Le fanno una siringa e Ruth crolla per terra. Quando si riprese io ero lì. Lei mi sorrise. Da quanto tempo qualcuno non lo faceva così, ormai ero abituata a sorrisi falsi e di circostanza.

-Buongiorno Ruth! Dormito bene?

-Tesoro cosa mi è successo?

-Oh niente! Ti sei solo un po agitata con quella donna..

-Oh capisco.. l'avrei presa a schiaffi se non fosse stato per la torta al cioccolato che aveva in mano!

-Non credi che anche io sia una matta vero?

-Ah, Rebecca, Rebecca. Sei uguale a tua madre. Un matto è solo una persona diversa dalle altre. Egli vive nel suo mondo e ha diritto anche lui di morire o vivere come gli pare! Se fossero schizofrenici o depressi tutti quelli che sono lì fuori da queste mura e noi quelli “normali” allora saremmo comunque noi i matti perché siamo diversi. Pensano di essere normali perché fanno tutti le stesse cose.

 

Sognavo di volare , era l'unico mio sogno, l'unico mio desiderio.

Non desideravo nulla su questa terra né abiti, né gioielli, né successo, né tanto meno desideravo amici. Io non appartenevo più a quel mondo. Ogni attimo di felicità era un illusione che si alternava ad attimi di dolore e di sofferenza. Ma desideravo vederlo dall'alto poter allontanarmi da tutto e da tutti con il mio corpo non solo con la mente.

Credete sia un sogno stupido? Credete che tutti gli uomini sognino di volare?

Non tutti gli uomini però decidono che il loro primo volo sarà anche l'ultimo , non tutti gli uomini hanno il coraggio di mettere fine alla propria vita per il semplice gusto di sentirsi liberi e con il vento sulla faccia per un istante un istante solo, quello dopo hai già il cranio fracassato sull'asfalto. La mia esistenza non è che una morte vivente e allora perché non affrettare l'inevitabile, risparmiandomi la fatica di vivere? Io non ho nulla da perdere, il mondo non piangerà la mia morte, i giornali pubblicheranno forse un articolo di due righe alla ventesima pagina e una foto di mio padre che disperato piangerà sulla mia tomba e 10 minuti dopo sarà sulla sua scrivania a fare conti su conti. Scriverò una lettera a Ruth prima di andarmene per sempre, le dirò che le voglio bene e che le saluto la mamma.

 

Settembre. È arrivato il momento.

Mi dirigo verso il palazzo più alto della città. Il palazzo dove mio padre sarà troppo assorto nel suo lavoro per accorgersi che salgo all'ultimo piano per suicidarmi.

Da casa mia al palazzo sono circa 500m, serve la macchina per andarsi a suicidare? Mi farebbero una multa per sosta eterna in un parcheggio. Eccomi all'ultimo piano, sull'orlo del cornicione con lo sguardo perso nel vuoto; niente di nuovo ero sempre stata così. Vidi il mare all'orizzonte, dopo la città, dopo i palazzi e la gente vidi il mare puro e azzurro dove il sole si tuffava ogni giorno. Era meraviglioso, ma non era una giustificazione valida affinché io vivessi. Lascio la ringhiera a cui mi trattenevo e nel momento in cui il mio corpo finiva in avanti delle mani mi afferrano con forza.

Non sapevo chi fosse ma mi aveva appena salvato la vita.

Respiravo a stento, il cuore batteva all'impazzata, le sue mani erano calde e le sue braccia possenti, mi abbracciava e io piangevo. Piangevo. E con le lacrime bagnavo la sua maglietta nera aderente e il suo profumo mi inebriava la mente. Lo guardai negli occhi e vidi lo stesso mare azzurro di pochi attimi prima. Era in lui che io dovevo cadere, era lì che io dovevo rinascere: nei suoi occhi. Da quel momento in poi ci amammo e lui non mi chiese mai il motivo del mio gesto. Lo sposai e nello stesso tempo decisi di combattere di non fermarmi più agli ostacoli della vita. Quando sei ad un bivio e trovi una strada che va in giù e una che va in su, prendi quella che va in su. È più facile andare in discesa, ma alla fine ti trovi in un buco. A salire c'è più speranza . È difficile, è un altro modo di vedere le cose, è una sfida, ti tiene all'erta. Ho imparato che bisogna vivere per qualcosa, correre per qualcosa, per un motivo che sia la libertà di volare o semplicemente di sentirsi vivo... quando un uomo non si sente da nessuna parte è proprio in quel momento che sta vivendo, è proprio in quel momento che la vita lo sottopone ad una dura prova.

L'amore, l'amore può salvarti.

Dove va un uomo quando non si sente da nessuna parte?

 

C'è chi dice che qui siamo solo di passaggio, su questa terra intendo. C'è chi dice che tutti i nostri morti sono in un posto migliore di questo. C'è chi dice che nell'inferno ci siamo già.

Ma quanti davvero sanno cosa vuol dire essere morti? Morti dentro intendo.

Credete davvero che non sia possibile vivere e allo stesso tempo essere morti?

Credete davvero che una canzone, una siringa, un bicchiere di vino, un sorriso, o un messaggio che aspettavi da tempo possa far resuscitare una anima che non è più in bilico, ma è caduta in una fossa da cui risalire non si può?

Sospesa, come a metà strada tra questo e l'altro mondo, ecco com'è l'anima.

Ci credete nei fantasmi? Quei fantasmi mascherati da una madre, una figlia, un vecchio zio, o la tua vicina di casa. Sono morti dentro. Punto. Non resta che ignorare o, se sei coraggioso e parecchio curioso, cercare di capire; ma in questo caso si rischia di diventare come loro. Ed è questo che mi è accaduto. Semplicemente pensavo troppo. La mattina mi alzavo e decidevo a chi dedicare la mia giornata, se alla parrocchia, ai bimbi dell'orfanotrofio, ai poveri sotto il ponte, ai matti del manicomio (e quindi anche a mia madre).

 

Una di quelle mattina mi sono alzata e ho deciso di uccidermi.

 

Era una notte d'estate, c'era la luna piena che accarezzava i profili degli oggetti nella mia camera. Il sonno mi prese appena spensi la bajour.

Parlami. Avanti parlami! Ma perché non mi parli? Urlo più forte ma non mi sente. Lei non sente più nulla. Mi guarda però. E i suoi occhi sono così profondi e sinceri che più non si può. Ha il viso roseo e delicato di un bambino ma dai suoi occhi esce il dolore e la sofferenza di un adulto. Mi sembra di avere davanti ora una mamma che perde il proprio figlio, ora un uomo che desidera l'impossibile, ora una ragazza in cinta di un uomo che non la ama, ora una ballerina che beve qualche bicchiere di troppo, ora un pittore che dipinge fogli bianchi, ora un musicista nero e aveva negli stessi occhi le risate di chi si concede ai lussi sfrenati, alla cupidigia, all'indifferenza. Tutto questo io vedevo in un istante quando all'improvviso lei iniziava a chiamarmi e a tirarmi.

  • Uno due tre quattro cinque e sei.. Gioca con me Rebecca!

Poi ancora.

  • Uno due tre quattro cinque e sei..dai Rebecca, vieni da me!

Cercavo di liberarmi ma la mia forza era come quella di una farfalla contro quella di un aereo.

Mi trascinò in un tunnel che sembrava simile a quelli dei film di fantascienza, ma io non me ne curavo piuttosto la cercavo:non era più con me. Ero sola e cadevo o salivo o forse ero immobile, ma niente mi avrebbe mai più turbato quanto i suoi occhi e non desideravo altro che scoprire cosa volesse da me. La curiosità non va sempre a mio vantaggio ma questa era una di quelle volte in cui ti impedisce di tremare dalla paura. Immagini veloci e incomprensibili correvano intorno a me in un vortice di suoni, urla strazianti e risate isteriche. Dopo giorni o forse ore o forse solo una manciata di minuti, mi ritrovai nella sua stanza. Finalmente la vidi lì nel suo lettino, dalla porta entra il suo papà ubriaco come al solito che non le rimbocca le coperte, ma si infila nel suo letto e lì ha crocifisso l'angelo che c'era in lei. Asciuga le lacrime col suo peluche e anche quella notte ci chiude in se, non può dirlo al parroco e forse neanche a Dio, ma deve sotterrarselo nel cuore. Nessuno può sapere ciò che sta trattenendo e nasconde i lividi con la biancheria di pizzo. Desiderava non essere mai nata. Ma i suoi sogni le danno le ali e lei si alza attraverso il vento e la pioggia in un posto dove è amata veramente. Ecco che qualcuno grida nella luna della notte. I vicini sentono ma si rintanano sotto le lenzuola. Nel frattempo un'anima fragile è stata catturata dalle mani del destino. E quando sarà mattino sarà troppo tardi. Il vortice ricomincia ed eccomi difronte ad una statua. E' un angelo e inciso c'è il nome di un cuore spezzato che il mondo ha dimenticato. Ero sudata fradicia quando un raggio di sole mi illuminò il viso svegliandomi. Avevo tenuto l'articolo di giornale sotto il cuscino. C'era ancora. Era morta ieri stesso ed abitava nella mia città. Sino a domenica, quando sarebbe stata calata in una buca profonda e solitaria, potevo far finta di conoscerla. Potevo crogiolarmi nel pensiero della sua dipartita. Domenica era ad anni luce di distanza.

Cominciavo a chiedermi se morire fosse, dopo tutto, una buona idea. Non volevo morire. Ma ero infelice e mi sentivo di troppo. C'era qualcosa che non andava in me. Se Dio mi avesse trasformato in una bambina normale come tutti i miei amici, o se mi avesse allontanato dalla rabbia di mio padre, forse avrei potuto essere felice e non perennemente angosciata e nervosa. Sabato pomeriggio le feci visita prima della sua sepoltura. Mi si chiuse lo stomaco, sudavo freddo, e non riconoscevo nessuno. Guardai verso la bara e la vidi con un abito rosa,le stava d'incanto e lo avrebbe indossato per sempre, e non sarebbe ritornata mai più, perché non era possibile fare ritorno da dove era andata.

 

  • Buongiorno, signora Scott! Come va oggi?

Nessuna risposta.

  • Signora Scott? C'è qui sua figlia. È venuta a trovarla.

Nessuna risposta.

  • Mamma? Sono io, Rebecca.

Nessuna risposta.

  • Mamma ricordi quando ero piccola e mi cantavi sempre una canzone prima di andare a dormire?

  • Dormi dormi mio cuoricino io son qui vicino, ovunque tu sarai io sarò sempre qui con te e per te.

  • Proprio quella, mamma.

Lo sguardo fisso oltre la finestra oltre quella vita che non le apparteneva più, la sedia su cui sedeva era vuota perché lei era un fantasma. Mia madre morì quella notte. Ha stretto la corda attorno alla sua gola bianca. L'ho odiata per avermi lasciato. Mio padre mi ha detto: “Tua madre era clinicamente depressa, niente di più”. Scrivono sempre che il papà è il primo amore di ogni bambina ma non precisano mai che quell'amore può ferire. Non sempre quel rapporto padre-figlia va come vorremmo. Mia madre è morta perché tu papà l'hai picchiata, perché tu hai approfittato del suo cuore puro e buono che ti amava. Ti amava maledettamente. Non sono altro che il frutto di un amore insano. Come hai potuto non amarla? Nei suoi occhi c'era il cielo e tu non l'hai amata. Nel suo cuore c'erano cascate d'amore e fiumi di generosità, e tu non l'hai amata. Sai qual'è stato però il suo più grande errore? Perdonarti. Ne sono sicura, non poteva andarsene senza dirti che ti amava ancora. Nel momento in cui era in piedi sulla sedia,e si stava infilando l'ultimo gioiello, una corda spessa per reggere il suo peso, avrà chiesto a Dio di prendersi cura di te,e se ci aveva ripensato se voleva ancora vivere era troppo tardi: l'aria le mancava già.

La compagna di stanza di mia madre si chiamava Ruth. Era schizofrenica. Aveva gli occhi nocciola , che ti catturano al primo sguardo, aveva lunghi capelli castani e un corpo magro, troppo magro, forse per i medicinali. Parlavamo spesso dopo la morte di mamma. Una volta una donna parlando con un'amica disse:

-Sono stanca di fare da balia a questo matto da strapazzo.

Il matto era suo marito. Ruth che aveva sentito tutto si alzò di scatto le andò incontro e le disse: -Vuoi sapere chi sono i matti ? I matti siete voi! Siete solo voi che entrate qui con le vostre bella torte al cioccolato e nel cuore l'amarezza per non aver più un marito ma un pazzo... le pazze siete voi! Voi! Voi! Voi! _le infermiere le bloccano le braccia_Voi! Voi! Voi! Matte ! Matte!

Le fanno una siringa e Ruth crolla per terra. Quando si riprese io ero lì. Lei mi sorrise. Da quanto tempo qualcuno non lo faceva così, ormai ero abituata a sorrisi falsi e di circostanza.

-Buongiorno Ruth! Dormito bene?

-Tesoro cosa mi è successo?

-Oh niente! Ti sei solo un po agitata con quella donna..

-Oh capisco.. l'avrei presa a schiaffi se non fosse stato per la torta al cioccolato che aveva in mano!

-Non credi che anche io sia una matta vero?

-Ah, Rebecca, Rebecca. Sei uguale a tua madre. Un matto è solo una persona diversa dalle altre. Egli vive nel suo mondo e ha diritto anche lui di morire o vivere come gli pare! Se fossero schizofrenici o depressi tutti quelli che sono lì fuori da queste mura e noi quelli “normali” allora saremmo comunque noi i matti perché siamo diversi. Pensano di essere normali perché fanno tutti le stesse cose.

 

Sognavo di volare , era l'unico mio sogno, l'unico mio desiderio.

Non desideravo nulla su questa terra né abiti, né gioielli, né successo, né tanto meno desideravo amici. Io non appartenevo più a quel mondo. Ogni attimo di felicità era un illusione che si alternava ad attimi di dolore e di sofferenza. Ma desideravo vederlo dall'alto poter allontanarmi da tutto e da tutti con il mio corpo non solo con la mente.

Credete sia un sogno stupido? Credete che tutti gli uomini sognino di volare?

Non tutti gli uomini però decidono che il loro primo volo sarà anche l'ultimo , non tutti gli uomini hanno il coraggio di mettere fine alla propria vita per il semplice gusto di sentirsi liberi e con il vento sulla faccia per un istante un istante solo, quello dopo hai già il cranio fracassato sull'asfalto. La mia esistenza non è che una morte vivente e allora perché non affrettare l'inevitabile, risparmiandomi la fatica di vivere? Io non ho nulla da perdere, il mondo non piangerà la mia morte, i giornali pubblicheranno forse un articolo di due righe alla ventesima pagina e una foto di mio padre che disperato piangerà sulla mia tomba e 10 minuti dopo sarà sulla sua scrivania a fare conti su conti. Scriverò una lettera a Ruth prima di andarmene per sempre, le dirò che le voglio bene e che le saluto la mamma.

 

Settembre. È arrivato il momento.

Mi dirigo verso il palazzo più alto della città. Il palazzo dove mio padre sarà troppo assorto nel suo lavoro per accorgersi che salgo all'ultimo piano per suicidarmi.

Da casa mia al palazzo sono circa 500m, serve la macchina per andarsi a suicidare? Mi farebbero una multa per sosta eterna in un parcheggio. Eccomi all'ultimo piano, sull'orlo del cornicione con lo sguardo perso nel vuoto; niente di nuovo ero sempre stata così. Vidi il mare all'orizzonte, dopo la città, dopo i palazzi e la gente vidi il mare puro e azzurro dove il sole si tuffava ogni giorno. Era meraviglioso, ma non era una giustificazione valida affinché io vivessi. Lascio la ringhiera a cui mi trattenevo e nel momento in cui il mio corpo finiva in avanti delle mani mi afferrano con forza.

Non sapevo chi fosse ma mi aveva appena salvato la vita.

Respiravo a stento, il cuore batteva all'impazzata, le sue mani erano calde e le sue braccia possenti, mi abbracciava e io piangevo. Piangevo. E con le lacrime bagnavo la sua maglietta nera aderente e il suo profumo mi inebriava la mente. Lo guardai negli occhi e vidi lo stesso mare azzurro di pochi attimi prima. Era in lui che io dovevo cadere, era lì che io dovevo rinascere: nei suoi occhi. Da quel momento in poi ci amammo e lui non mi chiese mai il motivo del mio gesto. Lo sposai e nello stesso tempo decisi di combattere di non fermarmi più agli ostacoli della vita. Quando sei ad un bivio e trovi una strada che va in giù e una che va in su, prendi quella che va in su. È più facile andare in discesa, ma alla fine ti trovi in un buco. A salire c'è più speranza . È difficile, è un altro modo di vedere le cose, è una sfida, ti tiene all'erta. Ho imparato che bisogna vivere per qualcosa, correre per qualcosa, per un motivo che sia la libertà di volare o semplicemente di sentirsi vivo... quando un uomo non si sente da nessuna parte è proprio in quel momento che sta vivendo, è proprio in quel momento che la vita lo sottopone ad una dura prova.

L'amore, l'amore può salvarti.

   
 
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