Crossover
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Autore: StephEnKing1985    27/07/2010    0 recensioni
Ventiquattr'ore, sette storie di un giorno comune. Sotto il cielo di Roma sette personaggi vivono la loro vita, in un giorno come tanti, che forse segnerà la svolta della loro esistenza: Bulma ha un tumore ed un matrimonio in fallimento con suo marito Vegeta. Lui la tradisce con una giovane impiegata di banca, Hikaru, la quale è combattuta sul fatto di avere un uomo sposato come fidanzato; Takao è innamorato pazzo di Kei, e vorrebbe vivere con lui; Poi c'è Madoka, laureata in statistica che non riesce a trovare lavoro e viene bistrattata da tutti; Lorenzo decide che vuole farla finita con la sua vita e gira nel suo taxi con una rivoltella, ma Jason gli restituisce voglia di vivere ed amare di nuovo; Kyosuke è un medico che crede di riconoscere il responsabile dell'incidente che ha ridotto suo fratello a finire i suoi giorni su una sedia a rotelle e vuole farsi giustizia da solo. Sette personaggi come tanti, che in un normalissimo giorno d'inizio estate, in una Roma dei giorni nostri, troveranno la soluzione ai loro problemi, in un modo o nell'altro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Anime/Manga
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Camomilla o tisana

Camomilla o tisana? Tè o caffè nero?

Con i barattoli in mano, Bulma non sapeva decidersi se stimolarsi con un po’ di tè o caffè oppure rilassarsi con della buona camomilla o un’aromatica tisana al gelsomino.

 

“Se è vero ciò che i medici mi hanno detto, fra non molto il mio riposo sarà eterno.”

 

Ancora una volta, le venne da ridere. Com’era possibile prevedere che una persona non ci sarebbe stata più a partire da una certa data? Chissà. Lei non ci capiva niente, dato che in tutta la sua vita si era solo occupata di gestire la sua azienda…

 

“A proposito del lavoro. Non ho neanche tanta voglia di essere lì, dopodomani… Che palle, sempre le solite facce, sempre il solito posto… E io domani devo morire! Mi domando chi me lo fa fare di…”

 

All’improvviso, le venne un’idea, come un fulmine a ciel sereno. Mollò i quattro barattolini nella dispensa ed andò a prendersi un eccitante di cui si serviva suo figlio… Non lesse nemmeno le avvertenze, prese quattro pastiglie e se le ficcò in bocca, accompagnate da un bicchiere d’acqua. Poi andò in camera da letto a cambiarsi.

 

“La notte è ancora giovane… è sabato… e io sono sola.”

 

Aprì l’armadio e da lì tirò fuori ogni ben d’Iddio comprato in giro per boutique del centro: vestiti, tailleur, pantaloni, camicie… Erano talmente tanti che a veder l’armadio c’era da chiedersi come facesse a contenerli tutti. Il letto non era disfatto. E lei era sveglia con il pigiama… erano un po’ di mesi (diciamo pure anni) che dormiva sul divano con una sola coperta a riscaldarla. Ancora un po’ e intorno a quel divano ci avrebbe costruito una tenda da campo, per quanto tempo ci passava… Pomeriggi su pomeriggi passati a guardare Maria De Filippi ed il suo programma “Uomini e Donne”, oppure “Verissimo” quando era ancora in programma, e poi “Chi vuol essere Milionario”. Già… Quanti pomeriggi e quante serate sprecate a casa a vedere e sentire storie di vita che non erano le sue, mentre suo marito era protagonista della sua vita più di quanto lei era protagonista nel lavoro.

 

“E va bene, Vegeta. L’hai voluto tu. Adesso io scelgo un bel vestito da sera, di quelli che mi sono comprata quando tu mi lasciavi sola; prendo la macchina e vado in uno di quei locali che il telegiornale chiama con l’appellativo di “Movida”, rimorchio un povero imbecille e…

 

…E poi?

Con un vestito in mano, Bulma si girò a guardare verso il comò. Il mobile era composto da uno specchio e da quattro cassetti. Sopra di esso c’erano alcuni profumi, un portagioie, e delle fotografie. Una raffigurava lei e Vegeta il giorno delle nozze. Lei sembrava una bambina, nell’abito bianco.. Lui invece un attore di telenovela. Si avvicinò e prese in mano la fotografia incorniciata. Sospirò, guardandola… quella foto era forse stato l’inizio della fine, per lei… Che ricordasse, era sempre stata con Vegeta. Mai un amante, mai una scappatella extraconiugale… mai niente di niente. Solo lavoro e casa, casa e lavoro, e ultimamente…. Malattia.

Ma un’altra foto le schiarì le idee.

La foto di lei che teneva in braccio un bimbo dagli occhi grandi e scuri, moro di carnagione, con i capelli di un nero tendente al blu. Suo figlio. Sorrise a quella fotografia, e decise di portarsela con sé.

Intanto, si era decisa su che vestito mettersi. Aveva optato per un tubino blu con uno scialle color prugna. Un accostamento di colori che avrebbe mandato ai pazzi qualunque stilista, ma che a lei piaceva tantissimo. Si sorrise allo specchio, poi andò in bagno a darsi una sistemata ai capelli. Li pettinò e si profumò il corpo con due gocce di Chanel N.5. Dopodiché, passò al viso: un velo di rossetto, un po’ di mascara… e una leggera spolverata di ombretto sulle palpebre. Che altro…? Ovviamente, non poteva mancare lo sguardo da predatrice di uomini.

 

-Raaaurgh.-

Bulma mia, sembri pronta per fare la pubblicità di una casa di moda. Vediamo quanti uomini riesci a rimorchiare stasera…

-…Alla faccia di quello stronzo di mio marito.-

 

E anche alla faccia della sua malattia.

Se mai ne aveva una, di faccia…

 

*****

 

Velocemente scese nel parcheggio dove c’era la sua Lancia Musa ad aspettarla. Schiacciò il pulsante dell’allarme e la macchina lampeggiò con le frecce, segno che la sua padrona poteva salire. Si accomodò al volante e pronunciò la parola “ACCENSIONE”, che fece accendere il computer di bordo sulla plancia. Una voce femminile la salutò dagli speaker.

 

-Buongiorno, Bulma. Benvenuta. Per selezionare il navigatore, pronuncia “Navigatore”; Per selezionare il browser, pronuncia “Internet”; per ascoltare la radio, pronuncia “Radio”-

 

Mentre inseriva la marcia ed apriva il cancello con il telecomando, pronunciò “Navigatore”.

 

-Hai selezionato “Navigatore”. Dove vuoi andare?-

 

E disse l’unica parola che le venne in mente.

 

-Hai pronunciato “Discoteca”. Caricamento…-

 

Uscì con una certa eccitazione. Si era guardata allo specchio e si era piaciuta da morire. Quella notte, ne era certa, avrebbe fatto sconquassi. Per lei non significava nulla tradire suo marito, a differenza di molte donne... Spesso le donne tradiscono perché il loro caro maritino non le accontenta come si deve, o perché sono stufe della loro condizione di casalinghe disperate e cercano altrove ciò che non riescono ad avere in casa… Ma lei no. Lei, Bulma, voleva solo assaggiare quanto fosse buono il miele della vita, per quel poco che le restava da vivere.

Cambiò marcia. Mentre faceva ciò, avvertì una leggera fitta di dolore allo stomaco. Un gemito di dolore le sfuggì dalla gola, ma cercò di non badarci. Accostò, accese le quattro frecce e frugò nella borsetta.

 

“Meno male che me le sono portate.”

 

Alla visita medica, la dottoressa che le aveva diagnosticato il cancro allo stomaco, oltre a consigliarle di entrare in terapia, le aveva dato delle pillole per alleviare il dolore. Inizialmente lei le aveva guardate con disprezzo, ma poi si era convinta ad accettarle. Le portava sempre nella borsetta, ma non le aveva mai usate. Ora era il momento buono.

Svitò il tappo del flaconcino e ne trangugiò due (secondo le avvertenze). Poco dopo stava già meglio.

 

-Niente alcool questa sera.-

 

Disse, rimettendo il flaconcino nella borsa e ripartendo in sgommata.

 

*****

 

Nel frattempo, Takao aveva continuato a camminare. Conosceva bene Roma, e sapeva che era troppo grande da attraversare tutta a piedi. Gli tremavano le gambe per lo sforzo, quindi si fermò e si sedette su un muretto lì vicino. Meditò se prendere un autobus notturno oppure un taxi per tornare a casa, dato che quella notte non aveva voglia di dormire allo studentato.

 

-Certo che se avessi una compagnia… sarebbe meglio.-

 

Di compagnia ne aveva anche troppa. Gli sarebbe bastato entrare in un qualsiasi locale gay di Roma e tutti gli avrebbero steso ponti d’oro. Il fatto era che non gli andava un’altra storiella da una serata, perché ormai nei suoi pensieri e nel suo cuore, c’era Kei. Si tastò la tasca destra dei jeans. Il suo portafogli c’era ancora, quindi decise che si sarebbe concesso il lusso di prendere un taxi.

Guarda caso, ce n’era uno che stava arrivando. Era una Fiat Brava bianca, e la luce spenta indicava che non era occupato.

Velocemente Takao si alzò dal muretto e agitò la mano per farlo fermare.

 

-TAXI!!!!-

 

Rallentando, il taxi si fermò, e Takao salì a bordo, accomodandosi sui sedili posteriori. Il tassista, un ragazzo che gli sembrava giovane, lo apostrofò con voce piatta.

 

-Ciao, dove andiamo?-

-Strada dei Girasoli, numero centoventuno.-

-Okay…-

 

Il giovane tassista impostò il tassametro. Aveva i capelli castani mediamente lunghi, ben ordinati. Era un po’ in carne, ma non esattamente grasso… Solo un po’ robusto. Niente foto di fidanzate in giro sul cruscotto, soltanto la licenza appiccicata accanto al tassametro. Lesse il nome. Il ragazzo si chiamava Lorenzo Marchetti ed era nato il Primo Maggio 1985. Dopo qualche minuto di silenzio, Takao pensò di esordire facendo conversazione, per riempire la distanza che lo separava da casa.

 

-…Ha visto che notte? Non è molto freddo.-

-Già…-

-Di solito mi piace passeggiare, fa bene alla circolazione.-

 

Takao sorrise, ma in risposta ottenne solo una fugace occhiata del tassista, che lo guardò attraverso lo specchietto retrovisore. Guidava tranquillamente, guardando la strada e cercando di non perdersi in chiacchiere. “Finalmente un tassista discreto” pensò Takao, che tutte le sante volte che andava in taxi, trovava un tassista chiacchierone che a momenti non lo lasciava nemmeno uscire… Invece questo Lorenzo era tutt’altra persona. Era molto taciturno, e Takao pensò che forse aveva troppi pensieri per la testa.

Lorenzo incrociò lo sguardo del suo passeggero nello specchietto retrovisore, poi guardò la strada, poi lo riguardò di nuovo.

 

-Lei è giapponese?-

-Eh? …Non esattamente. Sono nato in Italia, ma i miei genitori sono di Tokyo.-

-Capisco.-

-Lei è molto giovane per fare il tassista…-

-Ho soltanto venticinque anni.-

-Mi lasci indovinare. Lei lavora e suo padre è in pensione?-

-Mio padre non c’è più. È morto.-

 

Takao mormorò un “oh.. mi dispiace”, talmente sottovoce che Lorenzo scosse la testa in segno di diniego, senza ben capire cosa il passeggero avesse detto.

 

-Prima che morisse, io studiavo lettere e filosofia alla Sapienza…-

-Davvero? Allora com’è che non ci siamo mai incrociati? Io studio lì!-

-Che cosa studi, allora?-

-Economia del turismo!-

-Interessante. Un percorso molto utile, per chi vive in una città come Roma.-

 

Affermò Lorenzo, mentre con le mani sterzava in un viale. Takao sorrise. Poi porse la mano destra al tassista, da dietro i sedili. Lorenzo lo guardò stranito.

 

-Io mi chiamo Takao. Piacere!-

 

Porgendogli la mano, Lorenzo gliela strinse piano.

 

-Io Lorenzo. Piacere mio.-

 

Felice di aver scambiato quattro chiacchiere con il ragazoz, Takao guardò poi fuori dal finestrino, notando la movida della notte… prostitute e spacciatori, sotto i lampioni e seduti sui marciapiedi. Il viale proseguiva verso una salita, che Lorenzo conosceva bene. Quello era il settore degli omosessuali. E lì incominciò la sfilata: Ragazzi giovani, ben vestiti, alcuni con dei pantaloncini così corti che si poteva intravedere il loro fallo anche senza bisogno di toglierli… Alcuni con pettinature ricercate, altri che mostravano il sedere a quell’auto bianca che passava… “Che cosa sono costretti a fare…” Pensò Lorenzo, con le mani sul volante. Intanto Takao osservava fuori dal finestrino, in una sorta di religioso silenzio.

Poi, all’improvviso… lo vide.

Gli attraversò il finestrino in una frazione di secondo, e come se fosse stato un caso di emergenza, Takao toccò la spalla al tassista.

 

-Ehi fermati, presto!!!-

 

Spaventato, Lorenzo inchiodò l’auto, che si fermò con uno stridore di pneumatici sull’asfalto, attirando l’attenzione di più d’una persona. Alcuni spacciatori si stavano avvicinando, le loro espressioni erano minacciose. In più il motore dell’auto si era anche spento. Lorenzo imprecò silenziosamente, mentre Takao scendeva dall’auto, pregandolo di aspettarlo.

 

Raggiungendolo, Takao era indeciso se sorridere oppure essere disperato. Il suo amore Kei era lì, vestito molto elegante, con un completo nero, una camicia bianca mezza sbottonata e un paio di scarpe da ginnastica… Tra le mani teneva una sigaretta, e camminava qua e là facendo finta di niente. Quando vide Takao, lo osservò con stupore. Fece per andarsene, ma Takao lo fermò.

 

-Aspetta…-

-Vai via.-

 

Disse Kei, allontanandosi.

 

-Perché? Io… io vorrei…-

-Cosa? Cosa vorresti? Cazzo. Che … che imbarazzo.-

 

Si riavviò i capelli con fare nervoso, sbuffando una nuvola di fumo dalla bocca e buttando via la sigaretta. Takao lo guardò ammaliato, più innamorato che mai. Non sapeva più cosa dire, però voleva a tutti i costi parlargli.

 

-Allora? Il gatto ti ha mangiato la lingua?-

-No.. io… io volevo soltanto …. Passare la notte con te.-

 

Kei lo guardò di traverso.

 

-La… la notte? Ti rendi conto che io…-

 

Immediatamente, Takao tirò fuori il portafogli, da cui estrasse una banconota da duecento euro. Gialla, abbastanza grossa, e molto… invitante. Kei la guardò quasi stupefatto, e quando Takao gliela mise nella tasca della giacca, per poco a Kei non venne un coccolone. Non aveva nemmeno mai visto la banconota da duecento euro prima d’ora. Intanto, intorno a loro, molti “colleghi” curiosi di Kei si avvicinarono.

 

-Ehi Kei… non ce lo presenti, il tuo amico?-

 

Disse un ragazzetto biondo alto come Kei. I suoi occhi erano azzurri, e in quel visino d’angelo brillava un barlume di lussuria.

 

-Guarda quant’è carino… così moro, così ben piazzato…-

 

Questo invece era un bel ragazzotto muscoloso, capelli corti e neri pettinati a spazzola, che andò a toccare il sedere di Takao. Lui arrossì, e Kei lo portò via tirandolo per un braccio.

 

-Non è un mio amico. E voi tornatevene al lavoro, puttane!-

-Qui l’unica puttana sei tu! Ahahahah!-

 

Fecero quelli, di rimando. Intanto Kei si allontanò portandosi dietro Takao, verso la Fiat Brava bianca con cui era arrivato.

Lorenzo era lì al posto di guida, che parlava con un ragazzo con il ciuffo, in stile Emo.

 

-…Mio padre aveva una macchina così.-

-Ah sì? Beh…-

-E’ molto vecchia…-

-Ha solo tredici anni...-

-Uao. Cinque anni più giovane di me. Ti andrebbe se quando hai finito il tuo turno, mi vieni a trovare? Mi chiamo Davide, e conosco molti trucchi per rilassare i bei ragazzi come te… e poi… di sicuro il mio sedere è molto più morbido da stringere, di quel volante.-

 

Il ragazzino gli fece un sorrisetto ammiccante, a cui Lorenzo rispose con un freddo e distaccato “Grazie, tornerò.”, cercando di contenere l’improvvisa eccitazione sessuale che gli era venuta. Con nonchalance spostò il piede destro dall’acceleratore, cercando di mascherare l’erezione che gli era appena venuta. Davide rise.

 

-Lo sai… Mi piacciono i ragazzi un po’ in carne… ed ho un debole per i tassisti.-

 

Detto ciò, e vedendo che i passeggeri di Lorenzo stavano arrivando, Davide si congedò. Si baciò un dito e lo posò delicatamente sulla guancia di Lorenzo, facendogli l’occhiolino. Poi si allontanò sculettando.

Intanto Kei aprì lo sportello e fece entrare Takao, che si accomodò nel posto dietro a Lorenzo. Una volta entrato, Kei chiuse le sicure.

 

-Dove… dove andiamo?-

 

Takao fece per rispondere, ma Kei lo anticipò.

           

-Il più lontano possibile da qui, prima che qualcuno noti il portafogli gonfio di soldi che ha questo qui.-

 

“che voce dolce, che bello… finalmente passerò un po’ di tempo con lui!!!” pensò Takao.

 

Accanto a lui, Kei pensava a tutt’altro.

 

“Se questo coglione va a dire in giro il mestiere che faccio per arrotondare, posso dire addio alla laurea. Cazzo… Ma tutte a me, devono capitare?”

 

   
 
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