Parte Prima
1
“
Sfiderò la sorte con un bello stranieroHo guardato dentro i tuoi occhi
E il mio mondo è crollato giù
Sei il diavolo mascherato”
Madonna - Beautiful Stranger (1997)
Il mattino era spuntato da un pezzo oramai. Nei buchi della tapparella verde
fissata alla finestra della minuscola camera filtravano i bianchi raggi del
sole. Metà dei raggi si stampavano sul pavimento di legno, l'altra metà sul
muro di fronte. Colpivano anche la libreria accanto, un misero scaffale
impolverato che accoglieva numerate le copie del Timber Maniacs. Nessuno di quei
raggi però colpiva il letto e quindi non recavano disturbo al ragazzo che
dormiva beato sotto le coperte verdognole e leggermente consunte. In fondo al
letto, vicino ai piedi del ragazzo, un grosso gatto grigio era appallottolato,
intendo anche lui a riposare. Dal piano di sotto giungevano rumori di pentole e
padelle, e ogni tanto anche qualche imprecazione. Sul comodino subito accanto
dove il ragazzo riposava non c'era alcuna sveglia. Solamente un libro vecchio la
cui copertina giallastra era ormai illeggibile. In quella casa il tempo non era
scandito dagli orologi, ma dal passare dei treni. Alla sera passava un treno e
si cenava. Al pomeriggio passava un treno e si usciva. Di notte un treno passava
e dopo si rimaneva svegli mezz'ora a tentare di riprendere sonno, mentre intanto
ne passava un'altro ancora.
Il gatto si svegliò. Alzò di scatto le orecchie, aprì gli occhi e incominciò
a stirarsi. Sbadigliò, e scendendo dal letto emise un miagolio assonnato e non
molto felice. Avrebbe voluto dormire ancora un po'.
Il comodino incominciò a vibrare leggermente. La vibrazione aumentò e si
estese alle assi del soffitto e alla libreria, facendo muovere quel mucchio di
carta inutile che suo padre collezionava. Un rombo si fece sentire subito dopo e
il ragazzo finalmente aprì gli occhi. Alzò la schiena di scatto e si mise a
sedere, scompigliandosi con una mano i capelli castani. Sbadigliò anche lui,
proprio come il gatto. La vibrazione si era trasformata in un terremoto.
L'intera costruzione della casa tremava e dalle assi del soffitto pioveva la
polvere.
"Ho capito, ho capito!" Disse ad alta voce il ragazzo, stufo di quel
rumore, mentre abbandonava il letto e si vestiva. Il frastuono si indebolì e
scomparve del tutto dopo qualche decina di secondi. La pioggia di detriti finì.
Il ragazzo sbuffò come per dire "Era ora" e scese le scale a due a
due. A metà strada, nella sua mente, maledisse di avere la casa sul ciglio
della ferrovia.
La scala conduceva nella cucina, un'altra stanza poco spaziosa, con una stufetta
a legna in un angolo e un tavolo esattamente al centro, quadrato. Una parete
accoglieva tutte le pentole e gli arnesi da cucina, compreso il frigorifero (con
un'ammaccatura sul portello) e gli armadietti degli ingredienti. Al loro interno
ogni scatola, ogni boccetta era nominata con un'etichetta scritta in corsivo ben
curato. Nella parete a sinistra di quella c'era la porta di ingresso e
nell'altra ancora una finestra. L'arredamento consisteva in quello.
Il ragazzo avanzò fino al tavolo. Il suo gatto era seduto vicino ad una delle
tre sedie disposte intorno al tavolo. La sedia che prendeva sempre lui. Quella
che dava alla finestra. Sbadigliò per la seconda volta ed abbandonò il suo
corpo su di essa. La madre del ragazzo era intenta con i suoi arnesi da cucina.
"Buongiorno, mamma." Disse il ragazzo mentre accarezzava il gatto, che
ricambiava con delle fusa sommesse.
"Oh, ciao Stef. Non ti avevo sentito."
Bugia. La scala scricchiola. Soprattutto negli ultimi gradini a scendere.
Diciamo che non aveva voluto sentirlo. Questo pensiero balenò in mente al
ragazzo (o Stef, se preferite), ma preferì tenerselo per sè. Avrebbe scatenato
una fastidiosa lite mattutina, e quel giorno si era già svegliato di malumore.
La mamma appoggiò di fronte a lui la tazza con il latte caldo, e fece a Stef un
sorriso distratto. Lui ricambiò con un cenno del capo, ma probabilmente lei non
lo vide neanche.
E' bello essere desiderati.
2
Stef finì la sua colazione. Sorprendentemente, non pensò a niente durante
quella parte della mattinata. Proprio lui, che era uno dei pochi con "il
cervello funzionante" fra la combriccola di amici che si ritrovava. Quasi
sempre era lui che studiava dove andare, che portava informazioni "alla
banda", che decideva cosa fare. I genitori dei suoi amici lo adoravano, a
causa della sua gentilezza, educazione, sagacia, intuito. Si può dire che
avesse la risposta pronta per ogni tipo di situazione. Le idee saltano e
rimbalzano all'interno del cervello, bisogna solo avere la forza di
afferrarle.....e ovviamente scartare quelle cattive. Lui aveva buon gusto su
quali idee scartare e su quali utilizzare. Si era guadagnato il rispetto per
questo.
I suoi genitori a quanto pare non la pensavano così.
"Il nostro figlio è un furbo, bisogna starci attenti. Chi si crede di
essere?" Quante volte aveva già sentito dire quella frase da uno dei suoi
parenti? E' vero, Stef aveva la lingua tagliente, era sincero. E, cosa non meno
importante, capiva la gente. Lo sguardo di una persona è il particolare più
loquace nel descriverla. Il ragazzo lo aveva scoperto, e nonostante i suoi 14
anni era già diventato un discreto osservatore. In quattordici anni di vita
aveva osservato fin troppo a lungo gli sguardi e i comportamenti dei suoi, ed
aveva compreso che nonostante le sgridate abbastanza frequenti, avrebbe potuto
avere abbastanza libertà per fare ciò che voleva. Era libero, e quindi aveva
un piccolo "Qualcosa" in più degli altri. O forse Gli Mancava un
piccolo "Qualcosa". Questo era uno dei dubbi che Stef non riusciva a
risolvere, uno dei pochi.
Il sole brillava sulla vivace città di Timber. I tetti riflettevano in parte
quella luce; dall'alto la città sarebbe stata uno spettacolo. Aveva marinato la
scuola quel mattino. Non ci andava quasi più. I suoi genitori non lo
apprezzarono, e Stef ricevette la più forte dose di punizioni proprio per
questo motivo. Lui non era fatto per studiare giorno e notte, incollato ad un
banco ammuffito. Potrebbe sembrare un atteggiamento da irrispettoso ma lui era
certo delle sue ideologie. E sotto sotto provava un poco di autocompiacimento
nel fare questo. Era forte, andava contro il sistema, ribelle contro tutti. Lui
era Stef e un giorno tutti avrebbero conosciuto il suo nome. Quello che lui
reputava un nome stupido, banale, sarebbe diventato il più importante sulla
faccia del pianeta. In un modo o nell'altro.
-Buongiorno signora.- Stef abbassò umilmente il capo.
-Oh, Stef caro! Cerchi Evans?- La madre di Evans lo guardava con un'espressione
rapita di affetto.
-Si, la ringrazio-
-Oh, ma quando ti deciderai a darmi del tu?- La donna fece un sorriso frivolo e
rientrò in casa, facendolo accomodare nel capiente salotto. La casa di Evans
era completamente diversa dalla sua. Loro avevano qualcosa che la sua famiglia
non aveva. Loro avevano la sostanza, i soldi. Se i suoi amici avessero visto la
casa di Stef sarebbe stata la catastrofe. Avrebbe perso rispetto, sarebbe potuto
diventare lo zimbello della banda, invece che il capo. Non avrebbe potuto
sopportarlo, Mai. Per questo andava sempre lui a trovare i suoi amici o si
faceva trovare in piazza quando giravano insieme. Non parlava mai ai suoi
genitori delle sue amicizie (e loro d'altro canto non chiedevano mai nulla al
loro unico figlio) per paura che potessero invitare qualcuno di sua conoscenza.
Era un segreto difficile da nascondere, ma lui lo celava con una cura maniacale,
attento ad ogni dettaglio. Però un segreto è stato creato apposta per essere
scoperto, come le regole per essere infrante.
3
Era stato con i suoi amici fino a poco prima. Era stato un giorno importante,
perchè aveva nominato finalmente Evans il suo secondo. Il suo Vice. Stef
riuscì a captare l'invidia dei compagni, il sentimento negativo attraverso le
loro espressioni e il clima che si era fatto sentire durante l'intero giorno. Si
erano radunati nel vicolo vicino alla Stazione Tv. Il ragazzo era salito su una
scatola di cartone e aveva zittito prontamente tutti, doveva iniziare il
discorso. Fortunatamente, conoscendo i suoi compagni, giunge subito al sodo.
-Amici, è giunto il momento di investire Evans della carica che si merita.-
Un ondata di mormorii si diffuse fra i 7 ragazzi che lo ascoltavano.
-Dovete capire che lui è stato con me fin dall'inizio, da quando eravamo degli
stupidissimi bambini. Più stupidi degli stupidi! Quindi mi sembra giusto
nominarlo ora Vice, e ne aprofitto anche per fargli le mie scuse, perchè avrei
dovuto pensarci molto prima!-
Così successe che Stef nominò Vice Evans. Ora, a tarda notte, nel Pub di
Timber, il ragazzo capì le conseguenze che avrebbe potuto produrre quel suo
gesto. Colpì con un pugno il tavolo su cui era seduto, facendo tremare il
bicchiere di birra che aveva appena svuotato.
"Ma noi hai visto le facce degli altri? Non hai visto come hanno guardato
te e poi Evans? Non hanno gradito assolutamente" Disse una voce nella sua
testa. E' vero, si erano arrabbiati, ma non voleva dire niente. Lui era il Capo
e loro dovevano sottostare agli ordini che lui impartiva. Era la regola. E poi
era solo un gioco. Uno stupidissimo gioco fra bande di amici! Lui era il Capo,
si, ma cosa voleva dire? Nulla. Era solo un titolo, mica li comandava a
bacchetta! Non era dispotico, egoista, tiranno con loro. Giocavano insieme,
camminavano per la città. Ogni tanto si lasciavano andare un po' troppo, ma
Stef pensò che era normalissimo, dopotutto erano ragazzi. Se non si fanno
queste cose in giovane età, quando mai si fanno? Per un attimo pensò a se
stesso, a cinquant'anni, che correva come un matto per la città. Il massimo
della pateticità.
-Come mai ridi?-
Quella domanda colse il ragazzo impreparato. I suoi battiti del cuore
schizzarono e lui si girò di scatto verso la direzione da cui veniva la voce.
In quell'infinitesimale lasso di tempo a Stef passò per la mente qualunque
cosa. Poteva essere un delinquente, un ladro, avrebbe potuto ucciderlo, no, il
pub era affollato, ci sarebbero stati troppi testimoni.
L'uomo che gli aveva parlato indossava un lungo mantello nero, il volto coperto
da un cappuccio. Aveva il viso chino verso il tavolo dietro a quello di Stef. Ma
non aveva ordinato niente. Non era molto alto, però incuteva abbastanza paura.
Non aveva mai visto nessuno vestito in quel modo così bizzarro, enigmatico e
diciamocelo, così orribile.
-A lei...cosa gliene importa?- Maledizione, pensò Stef. Non riusciva a
nascondere quella paura crescente dentro di lui. I suoi occhi castani erano
fissi sull'uomo, che gli dava le spalle.
-Nulla, non me ne importa nulla.- Nessun movimento sospetto. L'uomo era fermo,
il timbro di voce freddo e stabile. Il ragazzo non riusciva a capire se lo
straniero aveva un'arma, ma dedusse che una persona così ne avesse sicuramente
una. Ci avrebbe giocato la mano sinistra, quella buona.
Per qualche minuto rimaserò fermi. Stef scrutava il suo mantello nero come
l'oblio, e l'ombra che la figura proiettava sul muro del Pub. Le voci, le urla,
gli schiamazzi della gente si attutirono di colpo. Il tempo sembrò rallentare.
Stef si sentì isolato dal mondo. Non avrebbe dimenticato quell'incontro per
tutta la sua vita.
4
Stef era sbalordito. Quello sconosciuto era riuscito a spaventarlo. Anzi,
terrorizzarlo. Non gli era mai successo. Non aveva mai provato terrore per
qualsiasi cosa: nè per i suoi genitori e neanche per le imprese spericolate,
che gli davano solamente un divertimento ed un senso di sfida. Era impreparato
alla situazione che stava affrontando. Pensò che era ora di darsi una mossa.
Asciugò il sudore freddo che gli imperlava la fronte e prese qualche lungo
respiro prima di fare un'altra domanda all'uomo vestito di nero.
-Dove avete preso questo vestito? N-non vi dona.- Ora ci si metta anche la
balbuzie! Potrebbe aver rovinato tutto! C'era solo da sperare che l'uomo non
abbia fatto caso a quell'ennesima incertezza. Ma aveva fatto male i suoi
calcoli. L'uomo con cui dialogava non era certamente uno stolto.
-Ti faccio paura? o soggezione?- Gli aveva letto nel pensiero. Ciò che provava
Stef era un miscuglio di quei due sentimenti. Capiva che era un uomo importante.
Dal vestito poteva essere anche un delinquente, anche dal suo modo di parlare
poteva esserlo. Enigmatico. Forse sapeva usare anche qualche magia. Oppure, può
darsi che fosse solo uno che non vuole farsi riconoscere. Non passava molta
gente misteriosa a Timber, nonostante la Guerra Civile. Il ragazzo, come è già
stato detto, non era preparato.
-Paura, signore.-
Lo straniero si girò molto lentamente. Passò le dita inguantate sul tavolo che
aveva di fronte. Il cappuccio che aveva gli copriva quasi completamente il
volto. Sembrava...un'ombra. Ecco cosa sembrava. Un brivido percorse la schiena
del ragazzo, che tentava con difficoltà di trattenere le sue emozioni. Ora
l'uomo era di fronte a lui. Non vedeva la sua faccia, quindi Stef lavorò di
fantasia. Si immaginò di parlare con una persona che conosceva, forse avrebbe
potuto parlare con più sicurezza.
-E' colpa di questo vestito. Mi dispiace. Ma preferisco rimanere anonimo in
mezzo ad un mare di stupida gente come questo. Escludendo tu, ragazzo.-
Stef capì che era giunto il momento della Domanda Fatale. Chissà se il quesito
avrebbe aiutato il ragazzo o avrebbe peggiorato la situazione.
-Che cosa vuole da me?-
L'uomo alzò di poco il capo. Stef tentò di sbirciare attraverso il cappuccio
ma riuscì a vedere solo qualche capello, che ricadeva sul collo dell'uomo.
Strano colore. Castani, ma molto più chiari di quelli del ragazzo. Emanavano
dei riflessi argentati.
L'uomo esitò un istante.
-Lo saprai a tempo debito ragazzo.-
Qualcosa colpì il tavolo di Stef. Il ragazzo voltò lo sguardo e vide una
moneta. 5 guil. Che spreco.
-Tieni. Comprati un'altra birra. Domani sarà una giornata dura.-
L'uomo lasciò il pub. Stef lo vide andarsene, in un turbinio di tessuto nero.
Come un'ombra nella notte. L'oste del pub si lamentò, in quanto l'uomo non
aveva ordinato nulla per tutta la sua permanenza nel locale. Stef invece prese
un'altra birra, rimirandosi fra le mani quella banalissima monetina da cinque
guil.
5
Il sole stava finendo di tramontare. Stef non riusciva bene a pensare in
mezzo al mare di confusione che aleggiava nel pub. Sarebbe andato a casa.
Coricato nel letto, con il suo gatto fra le mani che sonnicchiava, avrebbe
pensato sul da farsi. Prese la strada più lunga per giungere a casa in modo da
godersi la brezza che tirava quella sera. Avrebbe presto avuto una brutta
sorpresa.
Evans era al secondo piano, e con un dito passava in rassegna le copie del
Timber Maniacs accatastate sulla fragile libreria. Nella cucina al piano di
sotto gli altri sei componenti della banda osservavano ridendo (non che ci fosse
molto da osservare, comunque) la pochezza di arredamento della casa.
-Ehi ragazzi! 284!-
-284 cosa?-
-Le copie del Timber Maniacs che ci sono su questo orribile scaffale!-
-Come se valessero qualcosa! Ahah!-
-Oh...ciao Stef.-
L'espressione del ragazzo era un misto. Rabbia, tristezza e sorpresa. Come
avevano fatto a scoprire il loro indirizzo? I genitori avevano parlato?
-Come...come avete fatto?-
Silenzio. Evans scese velocemente le scale, per parlare in qualità di vicecapo.
-Ci ha dato il permesso tuo zio.-
Zio? Non aveva nessun maledetto zio.
-Tu menti. Io non ho zii.-
-Eppure....lui aveva detto di esserlo.-
Incredibile. Una cospirazione contro di lui! Qualcuno stava cercando di
rovinargli la vita, e quanto pare ci era già riuscito!
Uno degli amici di Stef si fece avanti, prendendo la parola.
-Passiamo ai fatti, caro Stef. Dopo aver esaminato attentamente la tua
casa...abbiamo deciso che tu non hai le qualità per rimanere il nostro capo.
Sei Povero. Noi no. E per tanto, un povero non può comandare un ricco.-
Gli altri ragazzi annuirono. Tranne Evans, che rimase impassibile. Stef era
sconvolto.
-Ma...è un gioco! Non è una cosa seria! Cosa centrano i ricchi e i poveri?-
L'amico che prima aveva preso la parola continuò.
-Tu ce lo hai nascosto! Non avresti dovuto!-
-Se ve lo dicevo subito, mi avreste fatto giocare con voi? Sareste diventati
miei amici comunque??-
Nessuno aprì più bocca. Per trenta lunghissimi secondi Stef e la banda si
squadrarono, si sfidarono con gli sguardi. Dopodichè Evans fece un gesto con il
capo. Gli altri annuirono e cominciarono ad uscire.
Evans, l'unico rimasto nella stanza insieme a Stef, si mise le mani in tasca,
abbassò la testa e mormorò.
-Mi dispiace.-
Poi se ne andò. Il ragazzo salì di sopra, nella sua stanza. Prese il gatto in
braccio, si sdraiò sul letto e pensò. Per tutta la notte. Non riuscì a
piangere.
6
I suoi genitori non c'erano. Stef aveva l'intera giornata libera. Si alzò,
si vestì e fece colazione come se fosse una giornata qualunque. Ma non lo era.
Nessuna giornata d'ora in poi sarebbe più stata "qualunque". Stef
aveva finito di vivere il suo personale Giorno della Marmotta.
Era deciso a trovare quell'uomo. Il ragazzo era sicuro che era stato lui a
rovinare la sua vita. Inoltre, l'individuo gli aveva celato un segreto in quel
memorabile incontro nel pub. Cosa voleva da lui era un mistero. Sarebbe stato
ancora tale per un po'.
Incominciò dai giornali. Sarebbe stata una cosa futile, vista la dubbia
attendibilità del Timber Maniacs, ma da qualche parte doveva pur cominciare.
Passò delle ore a spulciare i giornali che collezionava il genitore, cercando
nelle fotografie o negli annunci qualcuno che somigliasse al misterioso uomo.
Timber Maniacs - 4 Febbraio
"Ancora nessuna notizia del Garden di Galbadia! Secondo fonti sconosciute,
il Garden più grande dei tre è scomparso da circa quattro mesi. Si teme che
sia caduto da qualche parte, forse per un'avaria ai motori, oppure che sia stato
attaccato dai mostri. Rimaniamo in attesa, sperando che non sia accaduto nulla
ai maestri, agli studenti e ai soldati che la struttura accoglieva."
Timber Maniacs - 17 Marzo
Nuovo attacco alla nostra città da parte dell'esercito Galbadiano, che dopo
aver ricostruito una parte della base Missilistica andata distrutta in
circostanze misteriose sedici anni fa, si è accampato costruendo la Fortezza
del Distretto D. Al momento è l'unico (e si spera ultimo) avamposto
dell'impero. L'attacco a Timber, avvenuto ieri pomeriggio, non ha causato nessun
morto. Sono stati registrati 3 feriti per fortuna non gravi. Saranno dimessi
entro pochi giorni."
Timber Maniacs - 9 Aprile
"Attacco alla Fortezza! Il Garden di Balamb ha attaccato la base
missilistica (ancora incompiuta) e l'avamposto. Sono stati mandati circa 1.500
SeeD, ed è stato registrato un deceduto soltanto, insieme a qualche decina di
feriti. Il preside del Garden non ha voluto comunicarci il numero esatto delle
vittime. Ciononostante, Galbadia non è stata annientata, e molte truppe sono
ancora nell'avamposto. Non siamo riusciti a capire come mai il Garden non ha
voluto andare fino in fondo."
Timber Maniacs - 12 Ottobre
"Ancora nessuna notizia del Garden. Sembra scomparso nel nulla (come il
Garden di Galbadia) e i parenti degli studenti cominciano veramente a
preoccuparsi. Intanto l'esercito di Galbadia si muove verso Deling City e anche
verso la nostra amata Timber. Si sposta in sordina, tentando di non farsi
scoprire, vista la pochezza delle loro truppe. Non sappiamo se dobbiamo
aspettarci un possibile attacco: la loro posizione è tutt'ora imprecisa.
Speriamo che i SeeD vengano a darci una mano."
Quella era la copia più recente. Il prossimo numero sarebbe uscito il 19
Ottobre. Fra quattro giorni. Stef era rimasto a controllare tutti i giornali che
erano riposti accuratamente sulla libreria cadente. Ora erano sparpagliati per
tutta la stanza. Il gatto era rimasto ad ammirare il putiferio. Il ragazzo era
sudato, lievemente stanco e soprattutto insoddisfatto. Non aveva trovato nulla
che potesse ricondurlo all'uomo.
Il mondo stava passando dei momenti brutti. L'impero di Galbadia era stato quasi
sconfitto dai due Garden, che si erano alleati sotto il comando di un unico
preside, nominato da pochi anni. Il vecchio Cid si era ritirato ed aveva
nominato il suo uomo più competente per dirigere i due Garden. Più che un uomo
solo, ormai era una squadra. Capitanata da Squall LeonHeart. L'uomo che
sconfisse Artemisia.
Nonostante i ripetuti attacchi da parte delle due accademie militari, Galbadia
resistette. L'impero costruì molti avamposti, che prontamente furono rasi al
suolo. La popolazione di tutto il globo attendeva con ansia lo sterminio totale
di ciò che rimaneva della dittatura instaurata dal presidente Deling.
Ora che i due Garden erano scomparsi nel nulla, il panico si era impadronito
della gente. Mentre i SeeD erano via, Galbadia si rinforzava.
Improvvisamente a Stef venne un'idea su come continuare le ricerche. Quella sera
al pub, l'oste si era lamentato di quell'uomo. Poteva andare a chiedere
informazioni a lui. Sicuramente aveva visto l'individuo entrare nel locale, e
forse aveva notato qualche particolare utile a localizzarlo.
Stef uscì di casa correndo in direzione del pub, speranzoso.
7
-Mi ricordo bene quell'uomo. Non ordinò niente, sembrava aspettare qualcuno,
a dire la verità-
La memoria dell'oste del pub era appesantita da qualche boccale di liquore di
troppo, ma sembrò abbastanza convinto di quello che diceva.
-E, da quanto tempo era arrivato, prima che giungessi io?-
Il vecchio aggrottò le sopracciglia.
-Non molto, penso. Una ventina di minuti.-
-Il suo viso era nascosto per tutto il tempo?-
-Per tutto il tempo. Non sono riuscito a capire chi fosse.-
Stef era deluso. L'uomo non aveva lasciato nessuna traccia dietro di se. Non
aveva ordinato, non aveva parlato con nessuno tranne che con il ragazzo, non
aveva un accento particolare. Poteva essere chiunque. L'oste con i capelli
brizzolati osservava distrattamente Stef, con un bicchiere di birra nella mano
destra. Con quella sinistra tamburellava lentamente sul legno del bar. Il
ragazzo stava per andarsene quando il vecchio fu improvvisamente folgorato. Si
era ricordato di qualcosa?
-Mi dica.-
-Ha lasciato un messaggio per te. Sei Stef, giusto?-
-Si! Poteva dirmelo prima!-
-Ho bevuto troppo oggi.- Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un bigliettino
giallognolo e spiegazzato. Lo diede al ragazzo, tentando di sbirciare allungango
il collo.
Stef lo aprì con metodica lentezza, temendo che un Dio-Solo-Sa-Che-Cosa uscisse
improvvisamente. Dopo averlo allargato per benino (frustrando l'oste che cercava
invano di vedere cosa c'era scritto) si mise finalmente a leggere il messaggio.
"Cancello Sud. Al tramonto. Da solo. Le guardie non ci saranno. Stai per
intraprendere un nuovo cammino. Non sbagliare tragitto"
Il biglietto era stato scritto in fretta, si vedeva da alcune leggere sbavature
dell'inchiostro. Ciononostante la calligrafia era ineccepibile. L'uomo aveva
fissato un appuntamento con Stef. E stando alle parole del messaggio, sarebbe
stato molto di più che un normale incontro.
-Grazie.-
Stava per incontrare di nuovo l'individuo misterioso. Aveva bisogno di coraggio.
Doveva tenergli testa questa volta. "Non la passerà liscia" pensava
Stef uscendo dal pub. Era così assorto in quel pensiero da non accorgersi delle
parole dell'oste.
-Ehi, non ordini niente?-
Forse le aveva intenzionalmente ignorate.
Il sole sembrò scendere a passo di lumaca quel giorno. Stef era nella sua
camera. I suoi genitori non erano ancora tornati. Sudava freddo. Ancor prima di
partire alla volta del misterioso "nuovo cammino" di cui accennava il
messaggio. Temeva che i nervi non lo avrebbero retto nel momento in cui
sarebbero serviti. Più aspettava e più impazziva. Non aveva mai avuto molta
pazienza.
Tanto per cambiare, passò un treno.
8
Non lasciò neanche un messaggio ai genitori. Tanto non lo avrebbero neanche
letto. Chissà perchè, ma Stef era sicuro che non sarebbe tornato da
quell'incontro. L'uomo lo avrebbe convinto (o lo avrebbe costretto) a seguirlo.
Il ragazzo lo avrebbe fatto se fosse stato interessato. Non aveva più nulla da
perdere. Eccetto forse il gatto.
Il cielo si faceva rosso e i lampioni si accesero. Il pub era gremito di gente
di timber e di stranieri giunti da poco. La stazione aveva chiuso i battenti da
qualche minuto e le finestre delle case si spegnevano una ad una. Anche le luci
del Timber Maniacs svanirono, e dalla porta principale uscirono i giornalisti,
provati dopo un'intera giornata passata sulle macchine da scrivere. Anche la
stazione Tv smetteva di trasmettere, e il rumore dei treni si indeboliva.
Buonanotte, Timber.
Il messaggio aveva ragione. Le guardie, che di solito stazionavano a turni di
fronte al cancello sud erano assenti. Lo stesso cancello era spalancato. Il
ragazzo non aveva portato nessun vestito con se. Nessun arma (non l'aveva),
nessun ricordo. Solo una cosa Stef si era portata dietro. Non poteva farne a
meno, era l'unica cosa a cui voleva bene veramente. Il gatto.
Ma l'uomo non c'era. Il ragazzo si sedette per terra e aspettò per degli
interminabili minuti. Le prime stelle incominciarono a tremolare debolmente. Non
passava nessuno, i cancelli erano sempre deserti, anche di giorno, la gente
andava e veniva con i treni. Nessuno si sarebbe mai sognato di giungere a Timber
a piedi.
Stef si era addormentato. Fece un sogno abbastanza strano.
Era vestito di blu. Aveva dei guanti neri, senza le dita. Stef vide se stesso
camminare per una struttura a lui sconosciuta. C'era una fontana a forma di
pesce. Un corridoio spoglio. Poi si sentì fluttuare via, e il corridoio e la
struttura svanirono d'incanto. Nuotava in un mare di bianco, ora. Non riusciva a
guardarsi i piedi o le mani e neanche poteva controllare la direzione che
prendeva. Anche perchè gli sembrava di rimanere fermo. Un lampo di luce aprì
uno squarcio in quell'infinito bianco, e per pochi secondi Stef vide un viso.
Non la conosceva, eppure gli era familiare. Era una donna, con dei capelli neri.
Aveva un espressione preoccupata dipinta su quel visino tanto carino. Stef la
voleva toccare. Voleva allargare lo squarcio che stava cominciando a richiudersi
per poter arrivare dalla donna. Ne era attratto.
Poi si svegliò.
Un ragazzo, poco più vecchio di lui, lo scuoteva per le spalle. Era biondo
scuro, anche se con l'oscurità Stef non riusciva a vederlo bene. Notò subito
gli occhi del ragazzo. Verde smeraldo. Ma la cosa che più lo colpì erano i
suoi indumenti. Una specie di divisa, composta da dei pantaloni blu e una
giacchetta dello stesso colore, ornata da ricami dorati. Era aperta, e sotto
c'era una maglietta bianca immacolata. Stef sgranò gli occhi. Quell'innocente
ragazzino era un apprendista SeeD.
-Tu sei Stef?-
-S-si.-
-Io sono Riven. Devo portarti con me.-
-Dove?-
L'apprendista Riven fece una pausa.
-Lo vedrai tu stesso.-
9
Camminarono, uscendo da Timber. Stef non parlò. Aspettava con ansia di
incontrare l'uomo misterioso. Si sarebbe prima di tutto misurato con lui, poi
avrebbe chiesto chiarimenti. Doveva dimostrare a se stesso che era ancora lo
Stef di una volta. Perciò la prima parte del tragitto si svolse in un silenzio
a dir poco tombale, il tempo scandito dai grilli e dagli strani rumori della
pianura timberiana. Quando l'apprendista SeeD aprì il discorso, le luci della
città erano già offuscate dall'oscurità.
-Come si chiama quel gatto?- Volle sapere Riven.
-Sinceramente...non lo so.-
Era vero. Il grassoccio felino era sempre stato con lui, fin da bambino, ma non
si era mai preoccupato di dargli un nome. Tanto aveva un gatto solo. Non c'era
rischio di confondersi, giusto?
-...un nome bisognerà pur darglielo, non credii?-
-Credo di si. Dovrò pensarci.-
Intanto quella gigantesca palla di pelo grigiastra dormiva beata, accoccolata
fra le braccia del ragazzo. A lui di sicuro non importava.
Difficile stabilire quanto camminarono. La pianura di Timber era vasta e piatta,
coperta ogni stagione da una flebile foschia. Ci fosse stato il sole, Stef
avrebbe potuto pressapoco farsi un idea. Ma nell'oscurità assoluta era
impossibile. Comunque era troppo teso per sentire sonno, anche se il suo corpo
non era immune alla stanchezza. Ma qual era la destinazione? Forse l'uomo aveva
piantato tenda nel bel mezzo della pianura? Avrebbe preferito incontrarlo a casa
sua, semmai. E poi, in quel luogo, i mostri potevano attaccarlo. Nonostante la
presenza del ragazzino apprendista, era una prospettiva allarmante. Meglio non
pensarci.
Poi Riven si fermò.
-Siamo arrivati.-
Stef si guardò intorno e non vide nulla. Solo pianura a perdita d'occhio. Se
socchiudeva gli occhi riusciva a scorgere la sagoma di alcuni altopiani
rocciosi.
-Io non vedo nulla.-
-Lo so.-
L'apprendista SeeD si mise due dita in bocca e fischiò con tutto il fiato che
aveva. Il suono si disperdeva nel buio, ma ad un certo punto sembrò tornare
indietro, simile ad un eco. Come se ci fosse stata una specie di barriera che
ostacolava le onde sonore. Quello che vide Stef dopo fu incredibile, tanto che
dimenticò l'intorpidimento. Si aprì una porta, un boccaporto nel bel mezzo del
cielo. Molto grande, un rettangolo di dieci metri per quattro. Anche
l'apprendista SeeD guardava il boccaporto, ma con naturalezza, come se ormai
fosse routine per lui. Stef invece ne era stupito. La porta era ferma a circa
dieci metri dal suolo erboso.
Poi qualcosa ne uscì.
Una lunga scala metallica si dispiegò, allungandosi, toccando finalmente terra.
Aveva delle luci d'emergenza intermittenti, sistemate per tutta la sua
lunghezza, che dipingevano i volti dei due ragazzi di rosso fuoco. Poi Riven
avanzò, posando un piede sul primo gradino della scala.
-Benvenuto al Garden di Balamb, amico.-
10
Stef non riusciva a crederci. Pensò di stare ancora sognando. Da un momento
all'altro si sarebbe svegliato, di fronte al cancello sud. Ma era tutto troppo
reale. La porta nel cielo dava su un cancello e una reception deserta. Più
avanti, dopo un piccolo corridoio disadorno e lustrissimo, c'era la Hall del
Garden.
-Ok. Ci siamo.-
Stef si guardò intorno. Non c'era nessuno. L'ascensore, posto su un piano
sopraelevato, era fermo a terra. Nessuno si aggirava per i corridoi, tranne i
due ragazzi. La Hall era silenziosa, tranne un dolce scroscio dell'acqua sotto
di loro. Riven sembrò accorgersi di ciò che pensava Stef e fornì subito una
risposta.
-Scusa ma il coprifuoco è passato da un pezzo. L'orologio del Garden fa l'una e
mezzo. Tranne qualche insegnante e qualche studente che non segue le regole non
troverai nessuno. Anche la mensa è chiusa, perciò se hai fame dovrai aspettare
domani mattina alle nove.-
-Non ho appetito, grazie. Vorrei incontrare l'uomo in nero.-
Riven alzò un sopracciglio. Evidentemente, non lo conosceva.
-Chi?-
-Un uomo, vestito di nero, con mantello e cappuccio mi ha detto di venire al
cancello sud. Credevo di dover incontrare lui, ma sei venuto tu. Ho un conto in
sospeso con quell'uomo.-
-Mi dispiace, ma non lo conosco.-
Non lo conosceva! Quindi il mistero era ancora aperto! Chi era quell'uomo, e
cosa voleva di tanto importante da Stef?
-Ma...ma...-
Riven gli diede una leggera pacca sulla spalla.
-Ascoltami. Sei stanco. Si vede lontano un chilometro. Ora tu vieni al
dormitorio e ti fai una bella dormita. Domani ti farò visitare il Garden e
parlare con il Preside Squall. Fino a quel momento, porta pazienza e riacquista
le forze.-
Stef avrebbe voluto incontrarlo subito, ma svanita una parte dell'eccitazione
nel vedere per la prima volta il famigerato Garden di Balamb, cominciava a
sentirsi veramente stanco. Era pallido, i piedi e le gambe gli dolevano.
Riven lo portò in una stanza del gigantesco dormitorio. Disse che apparteneva
ad un SeeD che era deceduto in una missione poco tempo fa. Infatti, sullo
scaffale ed i tavoli erano accatastati molti effetti personali. L'apprendista si
lamentò del fatto che "i dormitori erano ormai mezzi vuoti", o
qualcosa del genere. Poi si congedò. Domattina presto avrebbe accompagnato Stef
a parlare con il preside. Forse la faccenda si sarebbe chiarita.
Mentre si spogliava e si adagiava sul letto, Stef pensò che dopotutto non gli
sarebbe dispiaciuto fare il SeeD. Chissà, forse era portato per i combattimenti
e le missioni. Difendere il mondo non era mica male!
Però, mentre chiudeva gli occhi, pensò ad un'altra cosa. Ultimamente il Garden
non godeva di grande fama. Come mai, quando ne aveva l'occasione, non aveva
sconfitto l'impero di Galbadia? E come mai da quel famoso attacco era sparito
nel nulla? E cosa voleva dire Riven con la frase "i dormitori ormai sono
mezzi vuoti?". Un mistero aleggiava nel Garden. E Stef era destinato a
scoprirlo. Detto questo, si assopì. Sfortunatamente, non sognò quella donna.
Anche quello era un ennesimo mistero.
Riven fu di parola. Entrò nella stanza di Stef mentre dormiva ancora e lo
svegliò. Il ragazzo pensò di essere ancora nel letto di casa sua, con il
comodino tremolante e un treno che sarebbe passato di lì a poco. Se fosse
così, avrebbe incontrato di nuovo i suoi vecchi amici che ridevano di lui.
Invece, aprendo gli occhi, fissò il soffitto della stanza. Bianco, luccicante.
Lontano mari e monti dalle travi di legno consunto della sua "vita
precedente". Questo lo risollevò.
-Dormito bene?-
-Come un sasso. Non ne potevo più dopo quell'interminabile scarpinata.-
-Ci credo.-
Riven abbassò lo sguardo verso la sua divisa da apprendista, poi continuò.
-Il Preside Squall ha detto che puoi fare colazione nella mensa, prima di
incontrarlo. Ha detto che ti aspetta per le dieci e mezza.-
Stef pensò che parlare col preside era il secondo dei suoi pensieri. Il primo
era il gigantesco, impellente bisogno di mettere qualcosa sotto i denti. A
sentir la parola "colazione", il suo stomaco gorgogliò.
-Vieni, ti accompagno. Devo mangiare anche io.-
La mensa del Garden era probabilmente una delle stanze più grandi. Interamente
dipinta di un rilassantissimo blu elettrico (Stef pensò ai colori della città
di Balamb: rosa confetto e blu identico a quello), aveva i banchi per le
ordinazioni all'entrata e poi un'intera piazzola al centro stracolma di sedie e
tavoli. Una grande quantità di SeeD faceva colazione, parlottando e giocando a
carte. Stef non ci fece subito caso, però. Doveva assolutamente mangiare.
Solo dopo aver ordinato una tazza di caffè con qualche fetta biscottata, Stef
ammirò la maestosità di quella mensa.
-E' bellissima.-
-Già. Anche io mi sono meravigliato quando l'ho vista per la prima volta. Devo
dire che qualche volta mi stupisco ancora.-
Poi, sorridendo, disse:
-Alza lo sguardo.-
Stef credeva di aver visto tutto ormai di quella stanza. Ma si sbagliava.
Alzando lo sguardo vide il cielo. Una gigantesca vetrata, trasparente, quasi
invisibile, sovrastava lui, Riven e tutti i presenti. Se fosse stato vicino al
soffitto, avrebbe potuto vedere Timber dall'alto.
-Noi vediamo loro, ma loro non vedono noi.-
Stef distolse con fatica lo sguardo per incrociare quello di Riven.
-Il Garden è invisibile anche adesso?-
-Si.-
-Ma...come fa?-
-E' un dispositivo di occultamento, ma non so come funziona e da dove viene.
Potrai chiederlo al preside fra qualche minuto.-
Il tempo passò in fretta. Dopo aver finito la soddisfacente colazione, Stef si
accorse che era già ora di andare.
-Come mai nella mensa ci sono solo SeeD? Non ci sono i civili e gli apprendisti,
come te?-
-Certo che ci sono, ma a quest'ora studiano.-
-E tu?-
-Io sono dispensato fino a domani mattina. Mi hanno affidato l'incarico di
accompagnarti ed ambientarti qui.-
"Ambientarti."
Probabilmente ci sarebbe stato più di quanto pensava il ragazzo, se doveva
addirittura ambientarsi. Tanto meglio, gli piaceva il Garden.
Salirono sull'ascensore, diretti al terzo piano. Stef avrebbe presto dato una
risposta ad una buona parte dei suoi interrogativi.
11
Presero l'ascensore. Saliva lentamente, senza il minimo rumore, eccetto un
basso ronzio. L'intero Garden, i colori, le stanze, l'architettura sembravano
creati per trasmettere una sorta di tranquillità e serenità. Infatti Stef era
travolto da quelle emozioni, e a quanto pare anche l'apprendista, che da quando
era giunto sembrava ancora più calmo e tranquillo di prima.
-Dà una strana sensazione stare qui.-
-Ti riferisci alla tranquillità?-
-Si, è bellissimo.-
-Già. Lo scorrere dell'acqua sotto di noi, le vetrate sul soffitto,
l'illuminazione naturale, il ronzio, le stanze accoglienti. Tutto contribuisce.
Questo è l'unico Garden che dà queste sensazioni.-
-Non vorrei sbagliarmi, Riven, ma questo è anche l'unico Garden rimasto, vero?-
L'espressione dell'apprendista cambiò. Si intristì leggermente, abbassando il
capo.
-Si. Quello di Galbadia si è schiantato. Quello di Trabia ha voluto ritirarsi.
E' diventato uno stato, la Città di Trabia.-
-Si, il paese freddo.-
-Esattamente.-
L'ascensore era quasi arrivato. Presto Stef avrebbe incontrato il preside.
-Non si può...recuperare il Garden che si è schiantato?-
-Ci stiamo provando. Sfortunatamente è atterrato nel deserto, vicino alla
prigione del distretto D. E' territorio dell'impero Galbadiano, quindi il
recupero è fin troppo difficile. Perciò lo abbiamo coperto con uno scudo di
occultamento e tentiamo di spostarlo.-
Poi sottovoce aggiunse:
-Non che ci sia rimasto molto da spostare.-
Erano arrivati. L'ascensore si fermò e le porte si aprirono con un sonoro
"Ting!". Di fronte a loro c'era una stanza, tale e quale alle altre.
Anzi, leggermente più piccola di quelle che aveva visto finora, escludendo la
camera dove aveva dormito. Nonostante la statica semplicità di quelle quattro
mura, Stef ne era ugualmente affascinato. Non poteva fare a meno di percorrere
con lo sguardo i contorni delle pareti, dal soffitto bianco al pavimento
arancione.
-Qui c'è il Preside.-
Riven indicò una doppia porta modesta, di un rosso spento, con delle spaziose
maniglie argentate.
-Puoi entrare anche da solo, credo. Io ti aspetto al secondo piano, subito
all'uscita dell'ascensore. Anche se ho paura che ci metterai un po' ad uscire di
lì. Avrà tante cose da dirti.-
Riven sorrise. Dopodichè si avviò all'ascensore. Schiacciò il tasto
"2" e le porte si chiusero.
Erano rimasti solo Stef e la doppia porta.
L'Ultimo Ostacolo.
Quello che vide Stef dopo aver spinto la porta con le mani tremanti e sudaticcie
confermò ulteriormente la maestosità di quella costruzione. Restò senza
fiato, per l'ennesima volta. Una camera, senza pareti. Altissima. Il ragazzo non
riusciva a scorgere il soffitto, proprio perchè era mimetizzato perfettamente
con il cielo e le nuvolette candide che avanzavano lentamente verso l'orizzonte.
"Un'altra cupola trasparente" Pensò subito. Ma era diversa da quella
della mensa. Prima Stef aveva capito che c'era una sorta di vetro. Invece lì,
nella Presidenza, sembrava di essere all'aperto. Dopo qualche secondo di
contemplazione, gli occhi castani del ragazzo si spostarono in direzione della
mobilia che ornava la "stanza all'aperto." Tutto esclusivamente in
legno, estremamente curato e lucente. I soprammobili erano d'oro massiccio;
bastava una sola occhiata per capirlo. Alcuni ritraevano le meraviglie del
mondo: l'arco di Deling City, il pennone di Trabia, la stazione tv di Timber
(l'amata Timber), il Balamb Hotel e molti altri. Lo sguardo del ragazzo si
spostò ancora, in direzione della lunghissima scrivania e la poltrona in pelle
che ora gli dava le spalle, ai cui lati scorgeva la sagoma del Preside.
-Benvenuto, caro Stef.-
-Salve signore.-
Stef fece un profondo inchino, anche se sapeva che il Preside non poteva
vederlo. O forse si.
-Non essere così formale con me. Ho paura che non lo sarai più, quando mi
guarderai in faccia.-
Così si girò. Velocemente, di scatto, voltò la sedia. E, giustamente, Stef lo
riconobbe. Avrebbe riconosciuto quei capelli castano-argentato fra mille.
-Tu!-
-Io.-
Il ragazzo sembrò ritrovare la grinta. Si avvicinò a passi lunghi verso il
Preside e si fermò esattamente di fronte alla scrivania.
-Ho aspettato tanto questo incontro, sa?-
-Ti prego. Se dobbiamo parlare, preferisco che tu mi dia del Tu.-
Teneva una penna dorata fra le due mani e ci giocherellava distrattamente.
Solo allora il ragazzo notò gli occhi dell'uomo. Azzurri, chiarissimi.
Sembravano di ghiaccio. La sicurezza di Stef vacillò leggermente.
-Voglio sapere che cosa vuoi da me. Perchè mi hai costretto a venire qui.-
L'espressione dell'uomo rimase impassibile.
-Suppongo che il tuo soggiorno qui sia stato gradevole. E avendo già avuto
prova della tua curiosità nel cercarmi, credo che saresti venuto anche senza
obbligazioni. E così è stato.-
Non voleva ancora rivelare al ragazzo lo scopo di quella convocazione. Stef
capì che il momento non era ancora giunto, e portò nuovamente pazienza.
Cambiò discorso.
-Tu...mi conosci. Sai il mio nome. E controllavi anche quello che facevo.-
-Ultimamente ti ho tenuto sotto osservazione. Se non io personalmente, alcuni
dei miei SeeD. Sono veramente bravi a non farsi scoprire.-
-Hai rovinato la reputazione che avevo con i miei amici.-
-Lo so. Ma, Stef, lo avrebbero scoperto lo stesso, prima o poi. Non avresti mai
potuto nascondere un segreto così importante. Io non ho fatto altro che
accellerare le cose.-
-Perchè ti sei vestito di nero e coperto il volto, quella sera a Timber?-
-Semplicemente perchè non sono molto ben voluto da alcune persone.-
-Per via di quell'attacco incompiuto all'impero Galbadiano?-
-...si.-
-Come mai non andaste fino in fondo?-
Squall appoggiò le braccia sulla scrivania, posando la stilografica dorata nel
portapenne.
-Ho la sensazione che tu stia cercando di giungere alla risposta che cercavi fin
dall'inizio di questa conversazione, facendo dei giri di parole.-
-Non è vero!-
Stef mentiva.
-Ebbene, te lo dirò. Siediti. Sarà una cosa lunga.-
Tre ore. I due rimaserò seduti a parlare per poco più di centottanta minuti.
Ma non si stancarono. Dopo le rivelazioni del Preside Squall, il punto di vista
del ragazzo cambiò completamente, per sempre.
12
Stef fu meravigliato da quelle rivelazioni. Squall gli spiegò quasi tutto,
con calma e serenità. Parlava con estrema sincerità, rispondendo con calma a
tutte le domande che il ragazzo poneva interessato.
-L'avamposto, la fortezza dell'impero Galbadiano, è situata qui.-
Squall indicò un punto rosso su un grande schermo, nella Presidenza, che
mostrava la mappa mondiale.
-Prima, nel suo periodo d'oro, la base dell'impero era qui, a Deling City. Ma
dopo le sconfitte e l'inizio della decadenza, la città si è voluta alleare con
noi, anche se c'è qualche gruppo di resistenza che ancora ci dà un po' di filo
da torcere.-
Indicò un punto verde nella parte nord di uno dei continenti.
-A Timber c'è qualche gruppo di resistenza ribelle?-
Chiese Stef.
-Che io sappia no. Ma le truppe Galbadiane avanzano e potrebbero crearne uno se
riusciranno ad entrare in città. Timber non ha molte difese in campo militare,
lo avrai notato anche tu. Ricapitolando, l'impero ha conquistato la parte bassa
del continente ovest e ha posizionato basi nel territorio di Centra.-
-Ed è un problema?-
-Si, ma non molto pericoloso. Centra è quasi disabitato, ma la prigione del
Distretto D e la base missilistica contengono ancora robot e armi abbastanza
potenti. Inoltre, hanno anche un piccolo paesino.-
Squall indicò un altro punto.
-Si chiama Whinill. Ha pochi abitanti, ma ha un significato speciale..per me.
Comunque non contiene nulla di utile per l'impero. Lo useranno come vedetta,
quindi è meglio non passarci vicino.-
-E...noi che cosa abbiamo dalla nostra parte?-
-Noi abbiamo la repubblica di Esthar.-
Esthar! La mitica città tecnologica, nascosta all'uomo da secoli! Stef aveva
sentito molte storie e leggende su quella città. Si diceva che fosse grande
quanto il continente su qui poggiava, che avesse basi oltre il cielo e di
conseguenza, avendo un altissimo grado di tecnologia, avesse armi di distruzione
di massa.
"Un giorno ci andrò" Si promise Stef mentalmente.
Squall aveva parlato finora del Garden di Balamb e della disposizione tattica
dell'impero Galbadiano. Ma c'erano cose che comunque non tornavano. L'impero
aveva postazioni di poco conto, confrontate con quelle che erano sotto il
comando del Preside Squall. Allora come mai Galbadia era così difficile da
distruggere? E come mai i SeeD sembravano ritirarsi? Era ora di chiederlo.
-Preside Squall...-
-Squall.-
-Daccordo. I conti non tornano. Perchè vi state ritirando?-
Sul volto del preside apparve un'espressione stupita.
-Noi non ci stiamo ritirando!-
-E allora perchè è da mesi che non attaccate? Come mai siete scomparsi nel
nulla? Un apprendista SeeD di nome Riven mi ha detto che ormai il dormitorio è
mezzo vuoto, non capisco!-
Squall si allontanò dal pannello, per andarsi a sedere vicino alla scrivania.
Con un gesto della mano invitò Stef a fare altrettanto. Stava per parlare di
una cosa seria.
-Non possiamo più attaccare. L'impero ha rapito un membro dell'equipaggio del
Garden.- La sua voce si incrinò alla fine della frase
-Uno...importante?-
-Mia moglie.-
Squall appoggiò le mani alle tempie, come se avesse una forte emicrania. Il
ragazzo rimase interdetto, non sapeva se andare a consolarlo o aspettare che si
riprendesse. Da ciò che aveva dedotto Stef riguardo il carattere di Squall,
preferì aspettare. Passò abbastanza in fretta, ma sembrò un'eternità. Quando
alzò il capo in direzione del ragazzo, il preside aveva gli occhi umidi di
lacrime.
-Minacciano...di ucciderla, se attacchiamo o facciamo qualsiasi cosa contro di
loro. Non possiamo spiegare alla gente, ci obbligherebbero a sacrificare mia
moglie....e io non posso permetterlo. Il problema..è che non sappiamo dove si
trova. Io...non so cosa fare. Alcuni dei miei SeeD hanno voluto andarsene, un
bel po' dei miei SeeD...-
Si richiuse in sè stesso, in qualche modo. Stef non vedeva più l'uomo
carismatico e misterioso di prima. Ora aveva di fronte a se una persona
distrutta dal vicolo cieco che il destino gli aveva posto. Provò compassione e
un leggero affetto verso Squall. Avvicinò la sedia.
-Squall, perchè mi hai portato qui? Che cosa centro, cosa dovrei fare? Non
credo che voi preleviate i futuri SeeD in questo modo...perchè io ho avuto un
trattamento così speciale?-
Il Preside esitò. Con una mano si sfiorò delicatamente una vecchia cicatrice,
fra il naso e l'occhio sinistro. Il ragazzo non l'aveva notata prima. A
giudicare, doveva essersele fatta più di dieci anni prima. Stef pensò:
"chiunque abbia combattuto con lui, se avesse colpito il viso di Squall
pochi centimetri a sinistra, avrebbe perso l'occhio"
Squall cominciò a parlare.
-Tu sei speciale Stef. Tu hai un dono, anche se non lo sai. Te lo trasmise tua
madre.-
-Mia madre non ha alcun potere, te lo assicuro. Ha solo il potere di non fare
mai caso al proprio figlio.-
-Ma quella non è la tua vera madre.-
Stef sgranò gli occhi. E lui come lo sapeva?
-La tua vera madre è stata uccisa, tredici anni fa. Da un mostro. Non so da
quale. Lei non abitava nel Garden. E' successo, e io non ho potuto farci niente.
Si chiamava Ellione.-
Stef tremava. Tutte quelle rivelazioni lo stavano lentamente sconvolgendo.
-Tua madre aveva un dono. Riusciva a vedere nel passato della gente, tramite un
contatto fisico o se le conosceva. Tu non conosci Rinoa, mia moglie, ma io si.
Forse tramite i ricordi che ho di lei riuscirai a capire chi è e quindi entrare
nei suoi pensieri. Io so che è ancora viva. Dopodichè, capiremo dove quei
bastardi la tengono prigioniera e la riporteremo al Garden. Dobbiamo finire
questa guerra, una volta per tutte. Ma per farlo, ho bisogno di te.-
Stef non ne era particolarmente convinto. Non aveva mai avuto un potere del
genere (e il sogno di prima?). Ma Squall diceva che non lo sapeva ancora, doveva
cercare nella sua mente e poi in quella dell'uomo.
-Se ci aiuterai potrai restare nel Garden e fare domanda per diventare SeeD. E
comunque, se ce la farai sarai riconosciuto come eroe. Sei l'unico che può
farcela.-
Come poteva dirgli di no? La risposta uscì da sola dalla bocca del ragazzo, fu
il suo istinto a parlare.
-Va bene.-
Parte Seconda
1
“
Nello spazio le stelle non sono più vicineLuccica solo come l'obitorio
E ho sognato di essere un astronauta
Bruciato come una falena nel fuoco
E il nostro mondo era fottutamente lontano
Ma non sono attaccato al vostro mondo
Niente guarisce e niente cresce”
Marilyn Manson - Great Big White World (1998)
Un giovane Squall cammina per i corridoi del Garden, vicino alla Hall. Il suo
viso è felice, sereno. La cicatrice vicino all'occhio sinistro è molto più
nitida e profonda. Stef vede perfettamente, ma percepisce i suoni ovattati, come
coperti da qualcosa. Sente i passi di Squall rimbombare nelle orecchie
ritmicamente. Ora Squall incontra qualcuno, un suo amico. E' basso, ha una
cresta bionda e un vistoso tatuaggio nero e ricamato sulla parte sinistra del
volto. Si sorridono a vicenda e battono il cinque. Poi proseguono per la loro
strada. Una voce, probabilmente proveniente da un altoparlante, richiama l'uomo
(che qui assomiglia più ad un ragazzo come Stef), dicendogli di andare in
Presidenza. Squall cambia percorso e si dirige verso l'ascensore della Hall.
Squall non è ancora preside, è un SeeD, probabilmente. Anche il Garden è
leggermente diverso, non sa quali particolari ma è diverso.
Il Preside non ha nulla di simile a Squall. E' grasso, vecchio, ma è
simpatico. Trasuda fiducia. Parla con lui, ora, e l'espressione dell'uomo
diventa ancora più radiosa. Fa un piccolo inchino mentre scende l'ascensore e
si dirige correndo verso il giardino.
Il preside gli ha detto che qualcuno di importante ha appena attraccato al
Garden. Forse...?
La scena cambia. Vicino a Squall, su un piccolo ponte fuori dal Garden, c'è
Rinoa, con dei bellissimi capelli neri e un viso angelico, calmo, sereno.
Ecco Rinoa! E' la stessa del sogno che ha fatto a notte fonda a Timber, prima di
andare al Garden! Quindi Stef aveva davvero qualche potere!
Il cielo sta tramontando. Di fronte a Squall, Rinoa, il Preside ed alcuni
SeeD, una distesa d'acqua dai toni rossicci si fonde all'orizzonte con il cielo
rosso sangue. Più in basso del ponte, una nave color legno, imponente, con
delle gigantesche vele, è attraccata, ed alcune persone vestite di bianco ne
escono. Si inchinano e Squall fa altrettanto. Esce anche una donna, vestita
completamente di bianco ed azzurro. Capelli lisci castani, lunghissimi e due
infiniti occhi scuri. Sorride radiosa a Squall e lui fa altrettando.
Non aveva mai visto Squall sorridere in quel modo. Era surreale.
La donna invoca il nome di Squall ad alta voce, dalla nave. Lui risponde,
dicendo ad alta voce "Ellione!!"
Stef aveva capito. Quella era sua madre. Non ebbe tempo di provare emozioni che
si svegliò, nel letto del dormitorio, nel Garden di Balamb, molto più di dieci
anni dopo, fermo, invisibile, nella pianura timberiana. Fu un incontro troppo
maledettamente breve.
2
-E' già qualcosa.-
Stef era andato a fare rapporto al preside Squall, la mattina dopo aver sognato
lo sbarco di sua madre, Ellione, al Garden di Balamb. A causa della lunghezza
ristretta dell'esperienza, fu un rapporto molto più corto di quelli a cui
Squall era abituato. Meno male.
-Ricordo ciò che hai sognato. Siamo ancora molto indietro. Ma non mi aspettavo
una reazione dopo così poco tempo. Sono passati solo cinque giorni da quando
sei qui ed hai stabilito un primo contatto mentale con me. Ora devi solo
proseguire con i ricordi, finchè non troveremo quello giusto.-
Squall camminava lentamente, con la schiena curva in avanti, per la Presidenza.
Stef rimaneva fermo nella bellissima stanza, spostando con velocità gli occhi;
da Squall, al cielo, al pavimento, e di nuovo a Squall.
-Io...non riesco a controllare questo potere.-
-Lo so. Hai conservato questa capacità, ma sfortunatamente non riesci a
controllarla come Ellione. Questo rallenterà le nostre ricerche. Ma è già
ottimo avere il tuo aiuto.-
-Quindi...non devo fare altro che aspettare?-
-Credo di si.-
-Come mai ho avuto dimostrazione del potere solo ora, da quando sono giunto al
Garden?-
Squall aggrottò la fronte, mostrando per un attimo i suoi trent'anni
sorpassati.
-Forse prima non ne eri a conoscenza, e quindi il tuo cervello non riusciva
"ad accenderlo". Ma io suppongo che tu l'abbia sempre avuto dalla tua
parte. Non hai mai avuto la risposta pronta, o hai avuto qualche premonizione,
anche se solo a livello di emozioni?-
Eccome se ne aveva avute.
-Si.-
-Infatti. Ora puoi tornare di sotto. Il Garden ha quasi finito di muoversi,
facciamo un sopralluogo vicino al Distretto D per osservare la situazione del
Garden di Galbadia.-
Stef uscì, prese l'ascensore diretto alla Hall. Avrebbe voluto parlare con
Riven, ma era impegnato negli studi. D'altro canto erano appena le nove di
mattina. Era da solo. Non c'era nessuno della sua età in giro per il Garden.
Poteva ammirare la struttura ancora una volta, ma durante quelle ore si
insinuava sempre una certa noia. Pazienza. Eh si, pazienza. Stef avrebbe voluto
averne un po' di più.
Non aveva fame, quindi si diresse verso la biblioteca, alla ricerca di un libro
da leggere.
-Che tipo di libro ti serve?-
-Oh, beh, non saprei. Ma mi fido del suo giudizio.-
La ragazza Seed addetta al traffico dei libri da prestare/riportare sorrise e
trafficò con la tastiera che aveva di fronte, dietro alla scrivania.
-Vediamo....abbiamo un libro sulle armi, se ti fa piacere. Oppure....della
narrativa...-
-Quello può andare bene. Posso iniziarlo nella camera di lettura?-
-Certamente.-
Così fece. Prese il pesante tomo (leggermente scardinato per l'usura) e si
sedette, aprendo la prima pagina con un lieve sbuffo di polvere. Squall gli
aveva detto che non poteva ancora cominciare gli studi SeeD, promettendogli che
sarebbero iniziati dopo che l'intera faccenda dei suoi poteri fosse finita.
All'inizio Stef pensò che lo stesse ricattando. "O ci aiuti o noi non ti
addestriamo"
Tuttavia c'era un lato logico. Anche se non lo afferrava.
"Strano Stef, tu afferravi sempre tutto alla veloce, avevi un'acutezza
spaventosa....adesso guarda come ti sei ridotto. Ah, povero, povero Stef, come
si è ridotto..."
In effetti, quella vocina scaturita da una sorta della sua coscienza non aveva
tutti i torti. Si sentiva un po' stordito. Era anche insicuro di sè.
L'imbarcarsi su quest'avventura lo aveva scombussolato un po' troppo. La sua
bussola non puntava più molto bene il nord.
Fece fatica anche a leggere il librone. Era come sovrappensiero, ubriacato da
una marea di pensieri inconsistenti. Così lo chiuse e lo portò nella sua
camera del dormitorio, promettendosi che ci avrebbe dato una migliore occhiata
in seguito.
Arrivò finalmente mezzogiorno. Il ragazzo lo aveva aspettato lentamente,
sedendosi su una poltrona nel corridoio e osservando il lento viavai di SeeD e
buffi insegnanti con le tuniche, mentre sorseggiava una lattina di
Un-qualche-tipo-di-sostanza-ignota. Presto Riven sarebbe sceso dall'ascensore
della Hall. Ecco perchè Stef aspettava.
Era da due giorni che non trovava il suo gatto. Prima si limitava a vagare
distratto per i corridoi del dormitorio, ora si era incamminato ad esplorare il
Garden, e Stef non lo aveva più visto. Non se ne fece un peso. Sarebbe tornato.
Non era un gatto stupido.....solo tremendamente pigro.
Riven scese, ma quando l'ascensore si fermò ("Ting!") e l'apprendista
uscì, il preside Squall, attraverso l'altoparlante comunicò un'importante
messaggio, tradendo in parte la sua fermezza.
-A tutti i Seed, tenersi pronti ed in posizione di difesa! L'esercito Galbadiano
ha spedito tre missili in sequenza!-
Così il lento afflussò di gente si trasformò in una baraonda. Riven corse
versò Stef e lo prese per un braccio.
-Vieni! Ti porto alla postazione che io presidio!-
Corsero con le gambe in spalla, sbattendo talvolta contro i Seed che avanzavano
nel verso opposto. Stef fu travolto due volte, e per poco la seconda non perse
l'equilibrio, costringendo a cadere anche Riven se ciò fosse accaduto.
Il primo missile colpì la parte superiore del Garden mentre i due ancora
correvano. Più avanti si scoprì che aveva colpito il secondo piano, accanto
alle classi, tranciando di netto il ponte che Stef aveva visto in sogno, nel
ricordo di Squall. Il ponte cadde nel deserto Galbadiano e rimase lì,
decomponendosi anno dopo anno sotto l'effetto dell'aria e della sabbia.
L'acqua sotto di loro si trasformò, diventando un oceano in burrasca in
miniatura, per qualche decina di secondi.
Riven e Stef giunsero al fiorente e vasto giardino del Garden di Balamb. Altri
SeeD e apprendisti SeeD presidiavano la zona. I primi avevano le loro armi in
mano, i secondi dovevano accontentarsi; non avevano ancora il diploma. Comunque
una tale organizzazione era encomiabile: erano tutti pronti solamente dopo pochi
minuti.
-Presto arriverà il secondo missile! Seguimi, dobbiamo raggiungere la mia
postazione, altrimenti mancherò all'appello e sarò degradato! E poi ne va
della sicurezza del Garden!-
La zona di Riven comprendeva la parte panoramica del giardino, con un ampio
balcone pieno di fiori all'aria aperta. Non c'era vetro, quella parte era
sprovvista di qualsiasi protezione. Non era una bella zona, in caso di
battaglia.
-Scudo Protect del Garden attivato. Reggersi forte!- Recitò il Preside Squall
dall'alto della sua Presidenza. Ora il Garden era protetto da uno scudo magico
che leniva in parte i danni. Sarebbero resistiti, tutti ne erano certi. Il fatto
che faceva preoccupare Squall e i SeeD era che non potevano assolutamente
attaccare. Sapevano tutti del rapimento di Rinoa. Se facevano qualunque mossa
contro l'impero, i soldati le tagliavano la gola. O la torturavano. O la
impiccavano. O, peggiore di tutte, le tagliavano qualche pezzo. Stef non volle
più pensarci.
Il secondo missile non fu nulla in confronto alla potenza distruttiva del primo.
Colpì la parte destra del primo piano della struttura. Quindi in pieno centro
addestramento, zona che per il ragazzo era ancora off-limit.
-Ha beccato il centro addestramento! Ah-ah!!- Riven era raggiante, mentre si
aggrappava con tale forza alla ringhiera della balconata da far diventare
bianche le nocche della mano.
-Non c'è nessun essere umano in quella zona, il colpo non è andato quindi
molto a segno!!-
Intanto il Garden ruotava su se stesso, nella sua imponenza, a circa cento metri
dal suolo. Più in basso, da una struttura simile in tutto e per tutto ad un
cavatappi triplo, erano usciti i missili. Il terzo era ancora in cammino, e
ruotava intorno al Garden stringendo sempre di più la propria orbita dopo ogni
giro. Aveva una potente intelligenza artificiale. Stava cercando un punto
importante da colpire.
-Se ci vorranno, dovranno camminare sui nostri corpi freddi colpiti dalla morte!
Vero, Stef?-
-Si!- Ma il ragazzo non ne era certo in modo particolare.
Alla fine l'ultimo dei missili virò e colpì la parte bassa del Garden. Ci fu
un rumore molto strano, come se....un frigorifero perdesse il senno. Dopodichè
il Garden partì, più velocemente che mai, allontanandosi dall'attacco.
-L'attacco è concluso. I SeeD possono tornare alle loro postazioni. Stiamo
valutando l'entità dei danni, non preoccupatevi. Squadra medica all'aula
quattro, prego. Ripeto: squadra medica all'aula quattro del secondo piano.-
Nella voce di Squall c'era una leggera apprensione.
-Qualcuno è rimasto ferito.- Disse Riven, con una punta di tristezza. Da una
parte o da un'altra, il Garden non era riuscito a parare completamente
l'attacco. Tutti i SeeD alzarono la testa in direzione dell'altoparlante.
Scossero il capo, e si allontanarono camminando. Nessuno di loro era più
raggiante.
Erano ancora vivi. Il Garden funzionava. Quindi avevano vinto. No. Tutto
l'opposto. Galbadia aveva colpito il Garden di Balamb, e aveva causato almeno un
ferito, se non di più, danneggiando la struttura con tre missili, di cui due
ben piazzati. Loro non avevano potuto fare niente (non Dovevano fare niente, per
la miseria!). Erano rimasti fermi, ad aspettare che i missili andassero a segno.
Non avevano combattutto. Si erano preparati, avevano accusato il colpo e si
erano ritirati. E di fatto, avevano subito una sconfitta schiacciante.
Ma come faceva l'impero a capire che si aggiravano per la loro zona? Il
dispositivo di occultamento non si era disinserito. Qualcosa non quadrava.
"Come al solito qualcosa non quadrava" Corresse Stef, mentre prendeva
l'ascensore al secondo piano, per verificare di persona insieme all'amico Riven
l'entità dei feriti.
Un filo di fumo, denso e scuro come la notte, usciva dalla parte bassa del
Garden, poco sopra il cerchio dorato che ruotava per mantenere in aria la
struttura. Ma quello era un problema secondario. Qualcuno, nell'aula quattro del
secondo piano, stava perdendo sangue.
3
L'ascensore non era più sicuro come nei periodi di calma che avevano
lentamente assuefatto la mente di Stef. Poteva, da un momento all'altro,
trasformarsi in una trappola mortale. Il ragazzo non era venuto a conoscenza di
dove il terzo missile fosse esploso, dopo essersi duramente conficcato nelle
mura del Garden. Sapeva solo che era in basso. Dedusse che non aveva fatto
vittime, visto che abitavano tutti dal primo piano in su. Ma sicuramente aveva
colpito qualcosa di importante; la struttura oscillava lentamente, da una parte
all'altra, e le poche luci (il Garden era illuminato dalla luce naturale) che
c'erano traballavano come se fossero delle lanterne ad olio. Anche il ritmo
dell'ascensore era discontinuo. Accellerava e poi rallentava di colpo. Non
sembra, ma è una bruttissima sensazione quella che si forma nello stomaco in
questi momenti. Stef e Riven, più un'altro SeeD che non conosceva, erano
insieme alla squadra medica, composta da tre medici con il loro armamentario di
flebo, medicine, siringhe e quant'altro.
L'Ascensore si fermò in ritardo, formando un piccolo scalino. Non fece
"Ting!". Brutto segno. Si misero a correre per il ponte lungo poco
più di quindici metri in direzione delle classi. Stef non aveva mai visto
quella parte del Garden finora, essendo riservata solo agli studenti e ai SeeD
che ne traevano utilità. Da quel piccolo corridoio il ragazzo poteva vedere
l'intero gigantesco piano terra del Garden. Era incredibile. Non credeva di
essere tanto in alto. Ma fu una vista breve, c'era da correre e lui voleva
essere di aiuto in qualche modo.
L'aula quattro era quella più vicina all'ex ponte del secondo piano. Il
corridoio era disseminato di macerie, dai pezzi di ferro a quelli di marmo.
Nell'aula si era scatenato anche un principio di incendio, che percorreva
l'intera facciata dello schermo gigante dietro la scrivania dell'insegnante.
Ogni due, tre secondi una scintilla percorreva lo schermo per abbattersi a
terra. Molti banchi, che prima erano fissati a terra, erano stati scardinati da
una forza incredibile, che li aveva sollevati e buttati in avanti. La vetrata
che prendeva un'intera parete dell'aula era in frantumi e piccole schegge di
vetro si erano sparse per tutta la stanza. Una forte corrente d'aria invadeva
l'aula, perchè il Garden era ancora in movimento, sebbene non fosse stabile. La
squadra medica non poteva soccorrere i feriti in un posto così avverso.
-Controllate i feriti!- Urlò il più vecchio dei tre medici. -Contateli, e se
non sono gravi cercate di farli uscire da questo inferno!-
Alcune schegge di vetro si staccavano ancora da ciò che rimaneva della vetrata,
volando per qualche metro per la stanza, a causa del forte vento. I capelli
castani di Stef svolazzavano, già ingrigiti dalla polvere. Riven si era subito
dato da fare. Aveva trovato un ferito, un ragazzino che avrà avuto poco più di
dieci anni, e lo aveva scortato fuori dalla porta. I medici spostavano i banchi,
cercando qualche supersite. Ma sotto quei pesanti oggetti non potevano esserci
altro che cadaveri. Per fortuna non trovarono nessuno lì sotto.
-Datevi una mossa!-
Una scheggia di vetro si staccò. Si alzò rapidamente, colpendo il soffitto e
dividendosi in due parti. Poi i due pezzi caddero in picchiata, la traiettoria
guidata dal vento. La parte più grande e tagliente si disintegrò colpendo il
solido pavimento. L'altra sfiorò la spalla destra di Stef, lacerando la manica
della maglietta. Fu in quel momento che il ragazzo vide in un angolo una
ragazza. Era svenuta, di un pallore funereo. I medici stavano soccorrendo altri
due studenti, che erano coscienti e riuscivano, seppur zoppicando, a camminare.
Quella ragazza esile, dai capelli rossicci, era prossima ad un possibile coma.
Stef le tastò il polso. Non era regolare ma era presente. Quindi tolse tutte le
macerie che ingombravano e chiamò ad alta voce uno dei medici. Giunse subito.
Era il più giovane, il cui camice era già sporco di qualche goccia di sangue
qua e là.
-Dannazione! Portate la barella! Presto!-
Solo ora Stef si accorse della mano sinistra della ragazza, dove si era formata
la pozza di sangue più grande. Lo stomaco del ragazzo protestò a quella vista;
la scheggia che aveva colpito il ragazzo non era niente in confronto che quella
ragazzina aveva piantata nella mano. Così si allontanò e aiutò gli altri
dottori e portare la barella. La presero, la imbragarono e corsero verso
l'infermeria, lasciando Riven, Stef e il SeeD che li aveva accompagnati in
quella stanza, sgombra ormai dai feriti, percossa dal vento.
-Sei feriti in tutto.-
-Gravi?-
-Niente di grave. Solo una studente dovrà essere operata alla mano. E' in
infermeria, non ha ancora ripreso conoscenza.-
Daccordo. Riven e Marten, potete andare. Il vostro aiuto è stato molto utile,
lo terrò presente. Anche il tuo aiuto, Stef, è stato provvidenziale.
-Grazie, Preside Squall.-
Squall abbassò il capo e si congedò. I tre ragazzi uscirono e tramite
l'ascensore sceserò nella Hall.
Il viavai si era finalmente calmato. Il Garden aveva rallentato e ora aveva una
normale andatura di crociera. Ma il fumo continuava uscire dal basso della
struttura. Squall aveva inviato un paio di ingegneri e controllare lo stato dei
motori, e si era scoperto che avevano subito dei danni. Il missile era esploso
poco prima di colpire la turbina principale. Senza di quella, l'intero Garden
sarebbe precipitato. Un vero colpo di fortuna, se non avessero attivato in
fretta lo scudo Protect ora tutti i SeeD sopravvissuti all'impatto starebbero
morendo nell'afa del deserto del distretto D, prigionieri dei Galbadiani.
L'impero aveva già sotto ostaggio Rinoa e i sopravvissuti del Garden di
Galbadia. Era già fin troppo.
Un SeeD, poco meno che ventenne, arrivò trafelato nell'ufficio di Squall. Il
Preside aveva appena ricevuto il responso dei motori, dando l'ordine di
procedere navigando nelle acque dell'oceano, facendo rotta verso una città
chiamata Fisherman's Horizon.
-Dimmi.-
-Preside Squall, abbiamo fatto una scansione con il radar sul deserto del
distretto D, poco prima dell'attacco.-
-E allora?-
-Il Garden di Galbadia...il radar non è riuscito a localizzarlo.-
-Per via dello scudo d'occultamento?-
-No. Qualcuno ha portato via i resti.-
4
Non fu un bel giorno. Squall diventò inavvicinabile dopo che ebbe ricevuto
il messaggio riguardante il Garden precipitato. Rimase nella Presidenza,
irritato, camminando avanti ed indietro. Non parlò più ai SeeD e i ragazzi
quel giorno, deludendo le aspettative di qualche buona nuova, per riprendersi
dopo l'attacco dell'impero. Dovettero consolarsi a vicenda, o non consolarsi
affatto.
Il sole era tramontato, e la gigantesca luna rifletteva i raggi che la stella
mandava. Era magnifica, riempiva un terzo del cielo, e all'orizzonte sembrava
affondare nell'oceano.
Il Garden di Balamb avanzava in quella quantità d'acqua, usando i motori
secondari per non danneggiare ulteriormente la turbina principale e ciò che
rimaneva del sistema principale. Urgevano riparazioni, perchè senza di esse il
Garden non avrebbe potuto volare stabilmente. Galbadia aveva rotto le ali ai
SeeD. Per questo erano diretti a F.H.
Riven era nella mensa insieme a Stef, a bere un caffè ammirando il cielo
stellato sopra di loro.
-E' stata la tua prima battaglia?-
-Si, non ne ho mai viste di simili. Mai viste, mai provate.-
-Eccitato?-
-A dire la verità no. Ho provato un po' di tristezza.-
-I combattimenti sono sempre tristi, caro amico.- disse l'apprendista
quindicenne in tono retorico. -ciò non toglie che si senta l'odore,
l'enfasi...-
-L'avrai sentita tu, io no. Non ritengo sia stato un combattimento, non potevamo
attaccare. Non so che cosa sia stato, ma di sicuro non era assolutamente
sportivo.-
Riven, non sapendo cosa dire, si limitò a non rispondere, contemplando
nuovamente l'esercito di puntini bianchi sulle loro teste, che tremolavano,
fisse alla parete nera della notte.
-Guarda, una stella cadente.-
Stef alzò lo sguardo. C'era davvero, ma era piccola e all'angolo del campo
visivo che la mensa offriva.
-Esprimi un desiderio, è gratis.-
Il ragazzo diede ancora un'occhiata all'astro in movimento, poi abbassò il
capo.
-Ho smesso di crederci da tempo ormai.-
-Oh, mi dispiace.-
-A me no.-
Il Preside Squall riusciva a scorgere alcune luci, molto lontane, distanti
probabilmente una sessantina di miglia. Accanto a lui, una SeeD abbastanza
anziana, che aveva sorpassato da infinite stagioni la bellissima età dei
vent'anni, si sforzava di vedere anche lei i puntini intermittenti rossi e
gialli del porto di F.H., senza riuscirci. Non aveva la vista precisa quanto
Squall. E Squall aveva trentasei anni.
-Ci stiamo avvicinando, preside.-
-Lo so.-
-Hai già informato il capitano di Fisherman's Horizon, navigatrice?-
-Certamente. E' felice di accoglierci.-
-Meraviglioso.-
Squall si sforzò di sorridere. Non ci riuscì. Tornò all'espressione di prima,
quella che fanno le madri quando non vedono tornare i figli che sono stati
mandati in guerra, o qualcosa di simile. Lui stesso attendeva con ansia un
sorriso.
-Navigatrice, ti prego, ancora un favore.-
-Dica, preside Squall.-
-Manda un messaggio alla città di Trabia, dicendo che il Garden ha assoluto
bisogno dell'aiuto di Selphie e Irvine.-
-Sarà fatto.-
-Ti ringrazio.-
Ora le luci distavano cinquanta miglia.
I due ragazzi uscirono dalla mensa, stanchi dal combattimento e annoiati dalla
mancanza di divertimenti, quella sera. L'infermeria era già chiusa. Mazzi di
fiori diversi e variopinti erano sistemati ordinatamente all'entrata, insieme ad
alcuni pacchi regalo con involucri di carta soffice e luccicante.
-La ragazza si è appena svegliata. La opereranno domani.- Disse Riven, senza
farsi molte preoccupazioni.
-Come si chiama?- Volle sapere Stef. Riven alzò le spalle.
-Non lo so. Non conosco i nomi di tutti. Se vuoi domani mattina puoi entrare a
chiederglielo, prima che i medici si mettano al lavoro, così ne aprofitti per
dirgli che sei stato tu a salvarla.-
-Oh no, figurati. Se ci incontreremo, un giorno, forse glielo dirò.-
Stef era arrossito leggermente. Riven se ne era accorto.
Mentre i due si salutavano per entrare nelle rispettive stanze del dormitorio,
poco prima di mezzanotte, dopo una sera passata a passeggiare e battibeccare, il
Garden faceva attracco ad uno dei numerosi ganci metallici del porto del paese
nell'oceano. Siccome il ponte del secondo piano era stato selvaggiamente
tranciato, i guardiani del turno di notte dovettero lavorare per attaccare il
più possibile la gigantesca struttura danneggiata, in modo che non potesse
andare alla deriva, o peggio, contro la città, sospinto dalle onde.
Uscendo il giorno dopo per incontrare gli abitanti di F.H., Squall avrebbe
rimpianto quel ponte, quel pezzo di ferro lungo poco più di sette metri, il
custode di un bellissimo ricordo di Rinoa, quando ancora l'uomo era un SeeD e
non era imprigionato nelle mura della Presidenza. Quando i tempi erano migliori.
Quando era felice.
Vedendo svanire quel ponte, svanì anche una piccola parte della speranza che
Squall aveva di ritrovare l'amata Rinoa.
5
-Accidenti, Squall! Ma che hai fatto al Garden?!- Irvine ammirava da un ponte
dietro alle gru e i ganci del porto la situazione del Garden. Pendeva
leggermente da una parte. L'intera parte sinistra del secondo piano si era
ingrigita, dal bianco alabastro che era. Un vasto squarcio si apriva nel grigio,
dove una volta c'era il ponte di metallo. A Squall venne un'altro tuffo al
cuore. Quel mattino era sceso da quello squarcio.
-Galbadia ci ha visti.-
-Ma non avevate un dispositivo di occultamento?-
-Si, ma ci hanno rintracciato lo stesso.-
-Strano.-
-E ancora più strano, hanno portato via i resti del Garden di Galbadia.-
-Come?- Irvine faceva fatica a crederci.
-Non credo che gli servano tutte quelle rovine, a parte racimolare qualche
missile o cosa ne so. L'hanno tolto per evitare che noi ce lo riprendessimo.-
Irvine scrollò le spalle. -Pazienza, ne faremo a meno.-
-Mi chiedo se stanno architettando qualcosa.-
Irvine si avvicinò a Squall e gli diede una forte pacca sulla spalla. -Aaah,
Squall, tu pensi troppo. Vedi? Stai diventando nevrotico!- Poi scoppiò in una
sonora risata, gesticolando con le braccia.
-Forse hai ragione-
-Ma certo che ho ragione! Vieni, ti offro da bere giù nel pub di F.H. Selphie
è andata a controllare i motori con gli ingegneri.-
Così lo seguì. Irvine si era tagliato la lunga coda, smortando l'aria di
ribelle che aveva negli anni addietro. Il vestito di pelle era lo stesso, da
cowboy elegante, ma ormai non sembrava più lo stesso Irvine di una volta. Si, a
parte il carattere, Irvine era invecchiato sul serio.
Il Garden veniva ispezionato da cima a fondo; dai motori al pennone più alto
della Presidenza. Visto che era una situazione abbastanza scomoda, Squall aveva
pensato bene di dare una piccola licenza a tutti. I SeeD, gli apprendisti e i
civili scendevano a fiotte da tutti gli orifizi della struttura. Iniziarono ad
uscire appena lo vennero a sapere, all'alba, e continuarono per ore. Quel
pomeriggio il Garden era praticamente deserto, salvo insegnanti, ingegneri,
infermieri e Squall, che come al solito comandava su tutti e su nessuno. Non si
era mai azzardato a dare secchi ordini, solo quando la situazione lo
costringeva. Dava solamente consigli e dritte su come procedere al meglio con le
riparazioni (anche se il personale di F.H. sapeva benissimo come fare),
soddisfatto degli uomini e donne che si davano da fare. Ma la sconfitta gli
bruciava ancora dentro come l'esplosione di una granata. Ci avrebbe messo tempo,
a smorzare la fiamma.
Ovviamente, anche Riven e Stef si ritrovarono "sbattuti fuori casa per
qualche tempo" e ne aprofittarono per visitare quella che sembrava un
fragile ammasso di rovine metalliche, rovinate dalla salsedine, premute una
contro l'altra, saldate insieme, fino a formare un intrico di strade ed
abitazioni talmente affascinante che meritava un'occhiata.
-La gente di qui si è arrangiata con quello che aveva.- Disse Stef, con gli
occhi fissi ad ammirare i pontili, le strade, le case, tutto interamente creato
con degli scarti.
-La gente di F.H. è molto ingegnosa.- Rispose Riven, anche lui rapito dal
paesaggio. -Sono dei geni nelle riparazioni, e inoltre sono molto ospitali.- Poi
diede una buffa gomitata all'amico. -Solo per noi ,si intende.-
I marciapiedi dell'intera città erano pieni di gente del Garden, che ridendo e
scherzando tentava di dimenticare il vicolo cieco in cui erano incappati. E al
ragazzo venne in mente che era lui, l'unico che avrebbe di nuovo aperto il
cerchio, che avrebbe abbattutto il muro del vicolo. Doveva far funzionare il suo
potere, ma accidenti, era così complicato! Non sapeva con quale piede
proseguire! Forse doveva lasciarlo fare, ma se ci metteva troppo tempo? Se
l'impero, stanco dell'ostaggio, uccide Rinoa? Ehi, no, aspetta. Rinoa gli serve;
senza di lei l'impero non avrebbe più protezioni e Squall li falcerebbe tutti
come fossero steli d'erba dopo aver saputo che Rinoa era morta. E poi se la
sarebbe presa con Stef, inevitabilmente, per non esser riuscito a trovarla in
tempo. No, un'altra cosa: Rinoa non era l'unico ostaggio, c'erano tutti i poveri
supersiti del Garden di Galbadia. Quindi potevano anche ucciderla, non avrebbe
fatto differenza!
"Pensa, maledizione Stef, mettiti a pensare SERIAMENTE!"
continuava a ripetersi il ragazzo, mentre avanzava passo dopo passo per F.H.
"Assassinare Rinoa non farebbe altro che scatenare le ire di Squall,
tanto da farlo diventare pazzo! Dopo che avrebbe appreso la notizia scommetto
che andrebbe lì con il Garden, armato fino ai denti, e farebbe una strage, al
costo di sacrificare i suoi ragazzi e magari anche il Garden! Hai stabilito un
contatto con lui mentalmente, quindi stai cominciando a capire un po' il suo
carattere, o sbaglio?! Ti sei rimbambito dopo aver lasciato Timber?!
Rinoa non sarebbe morta, almeno non ora. Era una merce di scambio molto
importante. Usando lei, Galbadia teneva Squall in pugno. Doveva trovarla, in
fretta. In cuor suo il ragazzo sapeva che soffriva.
-Ti senti male, Stef ?- Riven osservava da alcuni secondi l'espressione del viso
del ragazzo, che era tutt'altro che allegra.
"sembra che tu abbia visto un morto" fu l'espressione che venne in
mente all'apprendista SeeD, ma preferì non pronunciarla. Meglio tenersele per
se certe cose.
-No niente, stavo solo pensando. Vorrei bere qualcosa. Qualcosa un po' forte,
possibilmente. Ho...nostalgia della birra di Timber.-
-Certo, amico. Il pub è dietro l'angolo.-
Stef vide, in angolo del pub, quando entrarono, Squall che parlava con un'altro
uomo, probabilmente un suo amico di lunga data, a giudicare dalla familiarità
con cui dialogavano. Notò che nonostante l'amicizia, Squall discuteva con una
punta di distacco. Ogni tanto fissava in faccia l'amico, ma nella maggior parte
dei casi osservava uno zenit immaginario di fronte a sè. Ogni tanto alzava un
bicchiere vuoto e lo usava per osservare, come un monocolo dalla lente distorta.
Squall non si era camuffato perchè F.H. era alleata con il Garden, essendo da
un certo punto di vista il punto di ingresso alla repubblica di Eshtar. Stef
sapeva che era da qualche parte ad ovest di Fisherman's Horizon, ma per quanto
si sforzasse era impossibile vedere il panorama; la città dove la casa dei SeeD
era in riparazione era incassata al centro su se stessa, dando la sensazione di
essere in una vallata. La gente di F.H. era stata informata dei problemi del
Garden, anche se Squall non aveva calcato troppo la mano nel raccontare,parlando
solo dello stretto necessario. Nessuno sapeva di Rinoa e degli ostaggi, tranne
Galbadia e la gente del Garden.
Il ragazzo ordinò la birra e gustandola notò che era quasi buona come quella
della sua città natìa. Non potè fare a meno di ricordare il primo incontro
tra lui e Squall, al pub di Timber. La sua vita era cambiata radicalmente, ma il
ragazzo non riusciva a capire se era migliorata o peggiorata. Doveva sentirsi
onorato di poter essere ospite nel Garden di Balamb, ma non lo sentiva. Forse un
pochino all'inizio, ma fu una sensazione fugace. Non poteva fare a meno invece
di provare tristezza; non sapeva se i SeeD provavano le sue stesse emozioni (ne
dubitava), ma Stef era completamente sconvolto da due cose.
La prima era quel tremendo potere, che stava aiutando il ragazzo a capire la
mente di Squall e a salvare Rinoa, ma che al tempo stesso aveva infiacchito le
sue facoltà intellettive. Dov'erano finite le sue certezze, la sua acutezza? Le
avrebbe ritrovate, un giorno, o doveva vivere senza per il resto della sua vita?
La seconda cosa era la deprimente situazione che avevano di fronte Tutti. Il
mondo stava per essere assoggettato nuovamente dall'impero Galbadiano. Il Garden
non poteva farci niente, e l'esercito di ogni città, escludendo forse quello di
Eshtar, non avrebbe potuto parare per molto gli attacchi dei nemici. Squall e
gli altri erano l'unica speranza di poter distruggere una volta per tutte
Galbadia, ma non potevano, erano bloccati da un ricatto orribile e senza vie di
fuga finora. Finchè non sapevano dove Rinoa e gli ostaggi erano tenuti
prigionieri erano imprigionati da catene invisibili. E sfortunatamente, il tempo
a disposizione scorreva. Minuto dopo minuto, ora dopo ora.
6
Selphie si era infilata in un bel pasticcio, a quanto pare, questa volta. Lo
aveva capito camminando in mezzo all’acqua gelida dell’oceano, che filtrava
attraverso le crepe e le aveva già inondato gli stivaletti di pelle maculati.
Il Garden stava lentamente affondando, ecco perché l’intera struttura stava
gravando sul suo stesso peso, oscillando da una parte. Entro qualche ora avrebbe
raggiunto in pieno il primo piano, bagnando completamente i motori e le stanze
adibite ai SeeD. Poi avrebbe proseguito, fino a sotterrare l’intero Garden
sotto litri e litri di liquido gelido. Quando c’era una falla sotto il livello
di galleggiamento, di solito pompavano via l’acqua e la riparavano normalmente
mentre il liquido veniva espulso, ma questa volta la falla era peggiore. Squall
non aveva inavvertitamente sbattuto contro una roccia, o sfiorato una montagna.
La zona motori era stata letteralmente squarciata da un missile lungo ed
appuntito, con una testata esplosiva, che aveva danneggiato un po’ di tutto in
quell’intrico di corridoi claustrofobici. Dai tubi aperti uscivano i vapori
bianchicci sotto pressione, e ogni tanto i cavi elettrici sprizzavano delle
scintille che si infrangevano spegnendosi nell’acqua.
Non aveva voluto saperne, di portarsi qualche ingegnere con se. Sapeva fare quel
lavoro da sola. Avrebbe riattivato alla bell’e meglio i motori ed avrebbe
informato Squall di alzarsi in volo. In quel modo l’acqua sarebbe defluita
fuori in fretta e la gente di F.H. avrebbe ricucito la falla. Aveva si e no
quindici minuti. Il livello dell’acqua aumentava a vista d’occhio, e stava
già puntando alle sue ginocchia. Fortunatamente, Selphie odiava i vestiti
lunghi.
La stanza che ospitava la turbina principale era per fortuna quella messa
meglio. I sistemi principali erano ancora abbastanza intatti, quindi la ragazza
pensò ad un cortocircuito dovuto alla ormai completa mancanza dei sistemi
secondari.
“Chi è quello stupido che ha progettato questi motori, vorrei sapere. Sono
un putiferio. Ma meno male che c’è Super Selphie”, pensò tirandosi su
di morale. E cominciò ad armeggiare con i pannelli elettronici.
-Ma tu sei fidanzato?- Chiese Stef per fare un po’ di conversazione, in mezzo
al mortorio di quei giorni di forzato allontanamento dal Garden. Riven sorrise,
ed abbassò il volume della voce, piegando la schiena verso il ragazzo.
-Si chiama Suze.-
-Suze?-
-Diminutivo di Susannah.-, apostrofò l’apprendista SeeD, inarcando le
sopracciglia.
-Ah, capisco.-
-E tu? Chi ha fatto una breccia nel tuo cuore?-, cantilenò divertito Riven.
Stef d’altro canto, assunse un espressione seria e stese le braccia, aprendo i
palmi delle mani di fronte a se.-Mai, nessuna.-
Riven, col suo solito fare da menefreghista, tornò nella sua posizione
originaria, seduto su una poltrona dell’anticamera dell’hotel di Fisherman’s
Horizon.
-E..che aspetto ha, questa Susannah?-, volle sapere Stef, nel caso l'avesse
incontrata per le vie di Fisherman.
-Oh...ha i capelli neri, alta..-, incominciò Riven, tracciando con le dita
nell'aria la sagoma della sua amata.
A giudicare dalle forme del disegno, questa "Suze" deve essere una
specie di Pin-Up , pensò Stef.
Mentre Riven descriveva l'amata, il sorriso furbetto che aveva avuto finora
stampato in faccia cominciava ad allargarsi, ed i suoi occhi si aprivano piano
piano, eliminando quella leggera patina di disinteresse che contrastinguevano le
sue naturali espressioni. A quanto pare si era preso una bella cotta, costatando
l'emozione che lasciava trapelare nonostante i tentativi di nasconderla. Stef
doveva ancora capire se la ragazza ricambiava l'amore di Riven, o se era una
infatuazione passeggera. Dopotutto aveva ancora quindici anni, era nel bel mezzo
della Zona Fregature Amorose. Il ragazzo si sentì felice per il suo amico, ma
fu una sensazione fin troppo fugace, non lo aiutò a ritrovare una parte della
sua serenità causata dalla mancanza di un tassello del suo cervello e della
paura di non riuscire nell’impresa. Mentre il gravoso incombere del destino
gli si affacciava di fronte per l’ennesima volta, i due ragazzi e la maggior
parte delle persone di Fisherman’s Horizon fremettero per la scossa di
terremoto (o maremoto) che scrollò la città. Poi tutti videro la sbalorditiva
possenza del Garden di Balamb alzarsi ondeggiando, in un patetico tentativo di
riprendere quota. La terra tremò un’altra volta, mentre la montagna bianca
(grigia da un lato) sembrava soffrire le pene dell’inferno.
Selphie aveva bypassato l’energia della sala macchine. Aveva quasi finito,
stava collegando gli ultimi cavi della centralina della turbina primaria. Pochi
minuti prima si era bruciata l’indice della mano destra per aver toccato un
contatto difettoso. Si era presa una scossa talmente potente da farla sussultare
per una decina di paia di secondi. Alcuni capelli castano chiari erano dritti
perpendicolarmente sulla sua testa, aveva un che di buffo. E lei ci aveva riso
sopra.
Stava riavvitando il pannello che ospitava i cavi elettrici che conducevano ai
motori. Usava la sinistra, a causa della crescente insensibilità che la scossa
aveva inculcato nella mano buona. Fortunatamente, dopo anni di servizio
ingegneristico, era diventata perfettamente ambidestra. La mano sinistra ora
regnava da padrona, dopo l’attentato alla regina destra. Dopo aver concluso,
lanciò in alto il cacciavite per riacchiapparlo mentre scendeva ruotando su se
stesso, sempre con la mano sinistra. Sorrise raggiante ed alzò il capo per
contattare il Preside Squall attraverso l’interfono. -Qui Selphie, mi rice…-
Fece appena in tempo a voltare il capo. Il sorriso si smorzò di colpo, mentre
lasciava cadere il cacciavite che atterrò senza eccessivo rumore, fermato dalla
massa d’acqua che aveva cominciato ad intrufolarsi attraverso i pavimenti. Ci
fu un rombo sommesso, e subito dopo una parete metallica crollò di colpo,
sconfitta dalla massa d’acqua che aveva lentamente aumentato la pressione,
fino a sfondarla di colpo. Una possente massa di liquido freddo inondò la
stanza dove Selphie aveva prontamente lavorato fino a pochi istanti prima. Lei
fu travolta dopo pochi secondi, senza capire subito cosa fosse successo. Quando
l’acqua cominciò ad entrarle in bocca ed ormai non aveva più appoggio solido
sotto gli stivali, afferrò la gravità della situazione al volo.
Volteggiò su se stessa, sott’acqua, mentre, agitando gambe e braccio
sinistro, tentava di uscire dalla gelida morsa che le intontiva corpo e membra.
Il braccio destro ancora non se la sentiva di contribuire a salvare la pelle
della sua padrona. Ballonzolava, abbandonato ai fianchi di Selphie, sballottato
dalla corrente marina che ora vorticava in tondo intorno alla turbina
principale. Alla fine riuscì a tirare fuori il viso dall’acqua. Sputò ciò
che le era entrato in gola (i polmoni cominciavano già a riempirsi) ed urlò al
soffitto della sala macchine. Era un urlo rauco, soffocato. -Squall, accidenti,
mi senti? Schiaccia a tavoletta ed alza questo maledetto transatlantico!-, poi
fu travolta da l’ennesima onda e fu afferrata di nuovo in profondità.
I SeeD erano preoccupati. Correvano di qua e di là per le vie di F.H. Alcuni si
stavano avvicinando al Garden, che era rimasto in bilico a non poco più di una
decina di metri dall’oceano. Aveva travolto le gigantesche grucce che lo
legavano al porto, mozzandole di netto. Da un possente squarcio, nella parte
bassa sotto il primo piano, fiotti d’acqua sgorgavano come una cascata. Più
acqua abbandonava la struttura, più il Garden acquistava stabilità.
Riven e Stef correvano come dei pazzi, sbuffando rumorosamente, con le gocce di
sudore caldo che gli imperlavano la fronte. Di una cosa il ragazzo era certo,
mentre il suo cuore batteva come il tamburo di una batteria. Galbadia non aveva
rotto le ali ai SeeD, si era limitata a slogargliele. Il Garden, ormai distante
solo centinaia di metri, si era alzato fino a raggiungere una quota
considerevole, abbastanza da non distruggere un’altra parte di porto.
Quando i ragazzi arrivarono, un centinaio di SeeD si era già radunato, in
attesa di ordini, ma la maggior parte solamente per godersi lo spettacolo. Non
avrebbero potuto aiutare, non in quel momento, almeno.
-Guardate!-, esclamò un apprendista SeeD, in prima fila, oltre la marea di
gente vestita di scuro. Stef strizzò gli occhi, fino quasi a farli lacrimare, e
vide una piccola figura nello squarcio della sala macchine. Una donna, non molto
alta, vestita di giallo canarino, senza sprecare molta stoffa. Si agguantava ad
una sbarra metallica, a pochi metri dal pavimento della sala macchine che poco
prima era infestato dall’acqua, usando il braccio destro come gancio.
Almeno sei servito a qualcosa, pensò Selphie, guardando prima il braccio
poi il bel panorama che godeva da quella postazione.
7
-No, Stef, no! E’ vietato, non puoi farlo!-
Ma Stef lo aveva già fatto e Riven lo aveva diligentemente seguito. Il Garden
stava volando già da un paio d’ore, pochi metri sopra il porto di F.H. Il
secondo piano era pieno di impalcature metalliche, la sala motori pure. I SeeD
non potevano ancora entrare nel Garden, il Preside Squall lo aveva ripetuto un’altra
volta, dopo l’innalzamento della sua gigantesca struttura. Il ragazzo doveva
porgere un quesito alla persona che lo aveva costretto ad allontanarsi da Timber
ed imbarcarsi su quella gigantesca nave volante, a contatto con i problemi del
mondo e quella che gli avventurosi chiamavano “l’adrenalina”. La domanda
gli aveva solcato la mente poco tempo prima, mentre si annoiava gironzolando per
le vie di quell’affascinante città di scarti ferrosi. Lo aveva folgorato di
netto, tanto che spalancò gli occhi e si battè la mano destra sul ginocchio.
Riven aveva continuato a fissarlo senza battere ciglio. Solo adesso, mentre
stavano violando apertamente gli ordini, aveva deciso di darsi una mossa,
cercando di convincere l’amico ad abbandonare quella folle idea.
-Ma perché glielo devi chiedere proprio ora? Non puoi aspettare fino a quando
non ci daranno il permesso di rientrare?-
Stef poteva benissimo attendere, il Garden non era più molto pericoloso, anche
se i motori reggevano con fatica il peso ed i corridoi erano stracolmi di
macerie di ogni genere. In cuor suo sapeva però che se non lo chiedeva subito
le sue decisioni avrebbero vacillato. L’idea gli friggeva ancora in mano, ma
se non la utilizzava subito si sarebbe presto raffreddata come un tocco di
carbone che scappa dalla stufa accesa. Quindi prese l’ascensore e schiacciò
“3” sulla pulsantiera, con Riven che lo attendeva nella Hall facendo
il finto imbronciato.
-Devo parlare con Squall, è urgente.-
-Il Preside Squall è troppo occupato, non può riceverti, ragazzo.-, disse
Irvine, inarcando leggermente le sopracciglia, senza scomporsi dalla sue
postazione, schiena dritta, mento in alto e braccia conserte. La posizione di
guardia.
-Per me troverà il tempo.-, rispose normalmente Stef, senza scomporsi, mentre
puntava i piedi e assumeva la stessa posizione dell’uomo vestito da cowboy, in
un gesto parodistico. D’altro canto, Irvine abbassò il capo, guardò in
faccia Stef per lunghissimi secondi, con gli occhi che sembravano dire stai
andando a tuo rischio e pericolo. Poi fece un passo a sinistra e afferrò
con una mano inguantata la spaziosa maniglia argentata della Presidenza. -Prego,
ragazzo.-, mormorò in modo che solo lui e Stef sentissero quella frase, anche
se nella stanza non c’era anima viva.
Il ragazzo entrò.
La camera aperta sul cielo era tale e quale ai periodi di calma che Stef
cominciava a rimpiangere. I mobili in legno pregiato, lo schermo (questa volta
spento), l’oreficeria squisitamente rifinita. Alcuni soprammobili, soprattutto
quelli d’oro massiccio raffiguranti le meraviglie del mondo, erano in una
posizione diversa rispetto a prima, leggermente scoordinati.
Sono caduti durante il decollo del Garden e qualcuno li ha raccolti da terra
e rimessi sui mobili in tutta fretta. Tanto per far rimanere un po’ di
eleganza.
Squall era dalla parte opposta della camera, rispetto alla porta d’ingresso.
Osservava l’incredibile panorama di Fisherman’s Horizon e della gigantesca
distesa oceanica, con un’espressione di evidente tristezza e preoccupazione.
Dei fantasmi lo tormentavano, sempre più rumorosi ed in discordia fra loro.
Alcuni erano vestiti da soldati Galbadiani, altri avevano il viso di Rinoa, che
rideva e piangeva allo stesso tempo. Ogni tanto l’uomo scuoteva di poco la
testa, come per farli cadere dal suo cervello con un piccolo strattone.
-Squall.-, disse Stef, senza calcare troppo il volume di voce. Era certo che l’avrebbe
sentito, e forse quel tono di accondiscendenza e calma lo avrebbe aiutato a
spiegarsi meglio. Non fu così. Il Preside si girò di scatto, fissando il
ragazzo con quegli occhi azzurro chiaro, così glaciali e freddi. Stef sentì un
brivido dietro la base del collo, mentre puntava anch’egli i suoi occhi
castani contro l’uomo. Magari, pensava, gli fanno lo stesso effetto.
-Cosa ci fai tu qui?-, incominciò con amarezza Squall. -Forse tu sei troppo
occupato a girare per le vie della città, senza pensare minimamente alle
responsabilità di cui dovresti adempire, ma noi qui abbiamo un grande problema,
e temo che la tua presenza non sia di minimo aiuto, non ora. A meno che non ci
sia in mezzo ai tuoi poteri repressi quello di far volare un mastodonte bianco
come quello su cui ci sono circa diecimila SeeD…-, voleva continuare ancora un
po’ con la sua recita da bambino ironicamente deluso, ma fu interrotto da una
persona che Stef non aveva notato entrando. Era quella donna color canarino che
aveva visto aggrappata alla sala motori del Garden, un paio d’ore prima. Era
visibilmente stanca, e il suo braccio destro pendeva inerte, sostenuto da una
garza che aveva legata intorno al collo ed al polso. Aveva alzato il braccio
sinistro per fermare Squall.
-Lascialo parlare, Squall. Ferma le ostilità, non capisci che è venuto qui per
una cosa importante?-, poi si adagiò nuovamente sulla sedia abilmente ricamata,
guardando il discorso che stava venendo.
-E va bene-, replicò Squall, incitando con le braccia Stef a parlare. -Sentiamo
le tue genialità fulminanti.-
-Hai fatto una promessa, di cui io ero interessato. Ma non ti vedo mantenerla.
Mi è venuto il dubbio che tu mi abbia propinato solo uno squallido ricatto.-
Squall si stupì.
-Di quale promessa stai parlando?-
-Fare domanda ai SeeD. Tu ave…- Non riuscì a finire la frase. In quel momento
Squall esplose, sfogando un’altra parte della sua ira.
-Ma guarda che cosa mi tocca sentire! Il Garden si regge in aria a malapena,
Galbadia ha in ostaggio MIA MOGLIE, I SEED DELL’ALTRO GARDEN, e siamo qui a
grattarci la pancia nel bel mezzo dell’oceano, con un ragazzino annoiato che
viene a rinfacciarmi, proprio in questo momento, l’ennesima cosa stupida!-.
Ringhiò, in preda ad un momentaneo esaurimento nervoso, colpendosi le tempie
una sola volta con i palmi delle mani. Poi si abbandonò sulla poltrona della
scrivania. In quel momento sembrò veramente disperato, e smarrito. Ma Stef non
sfoderò la bandiera bianca.
-Getti via il tuo onore, se non tieni fede alla promessa. Ed io potrei anche
sbarcare alla prossima città che il Garden raggiungerà. Ammesso che riesca a
funzionare, dopo la batosta che si è preso.-
-Certo che funzionerà!!-, urlò Squall, sbattendo le mani sulla scrivania
facendo tremare il portapenne. Poi si abbandonò un’altra volta, asciugandosi
con l’avambraccio il sudore. -Cosa devo fare, cosa, maledizione…-, sbraitò
coprendosi gli occhi. A questo punto si fece avanti Selphie, che inarcando la
schiena, parlò a Squall, con un tono di voce calmo ed amorevole.
-Hai la soluzione davanti agli occhi, Squall.-. Il preside fissò la donna fra
le fessure delle dita delle sue mani.
-Dai l’opportunità a questo ragazzo di diventare un SeeD. Credo che sia il
minimo che tu possa fare per lui. Altrimenti sarebbe ingiusto!-.
Il Preside Squall guardò prima Selphie, poi Stef , respirando lentamente, una
goccia di sudore percorse la sua fronte, sostò sulla punta del naso e si
schiantò sul legno rifinito della scrivania.
-E va bene. Hai vinto. Presentati all’insegnante dell’aula due, quando
avremo finito le riparazioni. Ti sentirai soddisfatto ora.-
Stef fece un passo indietro, si inchinò e senza proferir parola si diresse
verso l’uscita. Prima di chiudere la porta della Presidenza alle sue spalle,
fece l’occhiolino alla simpatica donna che lo aveva aiutato. Lei ricambiò,
strizzandogli l’occhio sorridendo di cuore, facendo attenzione a non farsi
notare da Squall.
Forse un giorno Stef si sarebbe sentito in colpa per aver inferto quel colpo ai
nervi scoperti di Squall, ma quel giorno aveva l’aria di chi l’aveva
spuntata dopo tanto tempo. Salutò Irvine e scese tramite l’ascensore, per
parlare a Riven.
-Che diavolo è successo?! Ho sentito le voci da qui, sai?-
-Oh, niente amico. Ho solo chiarito alcune cose con Squall, tutto qui.-
-Porca miseria, dev’essere stata una cosa importante…-
-Infatti. D’ora in poi, sarò un tuo collega.-
Uscirono dal Garden, tornando alle vie di Fisherman, parlando del più e del
meno. Il sole splendeva, e la gigantesca luna regnava da un lato del cielo,
offuscata dall’azzurro denso e rassicurante. C’era qualche nuvola, ma molto
distante, verso la zona che aveva lasciato pochi giorni prima il Garden, la
regione del Distretto D. Rinoa era triste, ma ora Stef era più sicuro di
trovarla.
8
-Devo confessare che mi mancherà la tranquillità di F.H. Non senti l’aria
di salsedine? Ricorda un po’ Balamb, ma è molto più…forte, entra davvero
nei polmoni.-
-E’ da lì che vieni, Balamb?-, chiese Stef, mentre rientravano nel Garden,
ormai quasi riparato. Il secondo piano era nuovo di zecca. La parete luccicava
più bianca che mai, illuminata dal cocente sole di quel pomeriggio. Dodici
giorni di riparazioni. Stef non resisteva più alla noiosa tiritera giornaliera
della città dell’oceano, ormai aveva una fortissima nostalgia del Garden.
Squall non si era fatto vedere, durante quel periodo. Era sempre chiuso in
Presidenza. Forse si annoiava più lui che il ragazzo.
-Si, sono nato a Balamb e ci ho passato la mia infanzia, prima di entrare tre
anni fa al Garden. Sai, io sono uno dei pochi apprendisti SeeD quindicenni, di
solito si prende questa carica intorno ai sedici-diciassette anni. Ho dovuto
impegnarmi sodo…-, quel giorno Riven era più vivace che mai, a giudicare
dalla parlantina. Anche lui era ansioso di tornare al Garden di Balamb, rivedere
il rinato splendore della sua casa. Selphie ed Irvine erano rimasti al Garden
durante le riparazioni, ed ora probabilmente torneranno a Trabia, appena la
scuola volante di Squall si rimetterà in moto nel nel mezzo dei cieli.
-Io non avevo mai lasciato Timber…-, disse Stef, cercando di frenare la
cascata ininterrotta di parole dell’amico.
-Timber mi è sempre piaciuta, il verdeacqua è il mio colore preferito sai? E’
anche il colore dei miei occhi…no, forse sono più orientati verso il verde
foglia, tu che ne dici?-, e sottopose il colore delle pupille “all’esperto”,
aprendo gli occhi il più possibile. Stef si finse interessato e diede una
rapida guardata al colore degli occhi del ragazzo.
-Verdi.-
-Ecco, come pensavo.-
-Senti, io devo andare a prendere una cosa in dormitorio. C’è un libro che ho
preso in biblioteca due settimane fa, credo sia ora di riportarlo.-
-Beh, ti accompagno!-
-No, no grazie. Ci vado da solo.-
Riven alzò le spalle. -Va bene, ci vediamo.-
Era riuscito a liberarsene, finalmente. Anche Stef era felice di essere tornato
al Garden, ma non avrebbe sopportato oltre quella solfa di esperienza vissute e
gusti vari. Era quasi impossibile trovare un pochino di silenzio, in quei
giorni. Veniva interrotto quasi sempre, ora che per la città nell’oceano era
seguito costantemente dall’amico. Ora che era tornato al Garden, insieme al
fiume di SeeD, poteva trovare un angolino di privacy. Sempre che gliel’avessero
permesso. Aveva quasi raggiunto quella che ormai era diventata la sua stanza del
dormitorio, quando qualcuno lo toccò sulla spalla e lo chiamò.
-Ehi, scusami….-
-Ora non posso, devo…-
Si girò e non riuscì a continuare la frase. Aveva di fronte a se una ragazzina
che avrà avuto poco meno dei suoi quattordici anni. Esile, bassina, che gli
arrivava alla base del collo, con dei capelli rosso fuoco lisci fino alle
spalle.
-Tu..tu..-
-Sei..ehm..Stef, giusto?-
-Si, sono io?-
-E’ tuo questo gatto?-
Solo ora il ragazzo notò il vecchio gatto grigio e mezzo addormentato che la
accompagnava, che le girava per le caviglie. Mentre Stef faceva in tempo a
notare il suo Gatto Senza-Nome, i suoi occhi castani si posarono sulla mano
sinistra della ragazza, stretta da decine di centimetri di garza sterile bianca.
La teneva in alto, in modo da rallentare la circolazione. Nella parte destra,
poco sopra il pollice, la garza cambiava colore, prendendo toni leggermente
rossicci. Era lì che il vetro l’aveva colpita
-S-si, è mio.-
-E’ molto carino e simpatico. L’ho trovato che gironzolava per l’infermeria,
quando mi hanno fatto uscire.-, disse mostrando la mano strettamente fasciata.
-Mi ha colpito un pezzo di vetro, durante l’attacco.-
-Lo so.-
-Davvero?-, chiese lei, poggiando la testa da un lato.
-Si, si…un mio amico, Riven, me l’ha raccontato.-
Stef non aveva il coraggio di dire che era stato lui a liberarla dalle maceria,
salvandola da una molto probabile morte. Ma pensò che non era molto importante,
visto che se non la aiutava lui, la aiutava Riven o uno dei tre medici che erano
accorsi a portare i feriti dell’aula quattro in infermeria.
Sii sincero. Hai fifa. Non vuoi dirlo ad una ragazza così carina, la
vera motivazione era questa. Quindi Stef stette zitto a riguardo.
-Capisco.-, rispose la ragazza, mentre sfoderava un sorriso spento e prendeva in
braccio il gatto, posandolo ai piedi di Stef.
-Adoro i gatti. Come si chiama?-
-In verità non ha un nome.-
-Cosa? Sei strano tu, a non dare un nome al tuo animale domestico.-
-N-non ci ho mai pensato.-. Stef stava per cedere. La ragazza gli stava mettendo
soggezione, e fra pochi minuti sarebbe diventato rosso come un peperone. L’incontro
con Squall di dodici giorni fa non era servito a niente. Stef non era più
quello di una volta, e la breve discussione con la ragazza lo aveva testimoniato
senza pareri contrari. L’imputato è stato giudicato colpevole di avere
perso la propria sicurezza. Mettiamo a voto la giuria, prego: giurato numero
uno, colpevole; giurato numero due, colpevole; giurato numero tre, colpevole…..
-Io…dovrei andare…-, farfugliò indistintamente il ragazzo, indicando un
punto non precisato dalla parte opposta da cui era giunta la ragazza.
-Oh, va bene. Ci vediamo Stef.-
-D’accordo. Io studio nell’aula due. Studierò, voglio dire, ora non….studio.-
La ragazza sorrise.
-Arrivederci, studente.- E se ne andò a passi lunghi. Stef la guardò
andarsene, constatando che non si era girato a guardarlo, mentre si congedava.
Poi, quando era sicuro che avesse abbandonato il dormitorio nuovo nuovo di
riparazione, guardò il gatto, che lo scrutava con gli occhi socchiusi, vicino
al piede destro del ragazzo.
-Sono stato stupido.-, disse sconsolato al gatto.
-Navigatrice, i SeeD sono saliti tutti, fino all’ultimo?-, chiese Squall,
camminando per la Presidenza con le mani giunte dietro la schiena.
-Affermativo, Preside Squall, i motori sono attivati e tutti gli studenti e i
civili sono nella struttura.-
-Perfetto, puoi partire. Manderò poi un messaggio di ringraziamento al capo di
Fisherman’s Horizon.-
-Ai suoi ordini.-
Il flebile ronzio che il Garden era solito emanare quando rimaneva fermo in volo
aumentò regolarmente, trasformandosi in una ventina di secondi in uno stabile
rombo di turbina. Il gigantesco cerchio dorato iniziò a ruotare, e l’intera
struttura di alzò di scatto di una decina di metri. Il porto sottostante della
città cominciò a rimpicciorlirsi ed allontanarsi. Alcuni vecchi abitanti di
F.H. ammiravano lo spettacolo dalle passerelle dietro il porto; i loro capelli
bianchi volavano scomposti dalla massa d’aria che si spostava.
Dopo essersi alzato abbastanza, ormai lontano abbastanza da Fisherman’s
Horizon che brillava alla luce di quel sole troppo caldo per essere nella prima
settimana di novembre, il Garden ruotò su se stesso e si impennò leggermente,
partendo in quarta verso la distesa oceanica, che si agitava pigramente intorno
ai continenti, depositando i rifiuti ghiaiosi sulle spiagge del mondo. Il Garden
era già sparito agli occhi della città nell’oceano quando la SeeD
navigatrice attivò il sistema di occultamento.
Era diretto a nord.
-Dirigiti a Trabia, navigatrice.-, ordinò gentilemente il Preside Squall. Poi
si rivolse ai suoi vecchi compagni d’avventura, Irvine e Selphie, che lo
avevano raggiunto nel suo "regno" per aiutarlo.
-Siete stati di grande aiuto, amici. Senza di voi il Garden sarebbe affondato
ignobilmente nell’oceano. Soprattutto grazie a te, Selphie. E’ ora di
ricondurvi a casa. Non lo dimenticherò.-, dopodiché si girò ad osservare i
comandi del Garden, ma Irvine lo prese per una spalla.
-Come sarebbe? Dopo l’aiuto che ti abbiamo dato ci spedisci a casa?-
Poi si fece avanti Selphie. Il suo braccio destro era di nuovo completamente
funzionante, escludendo un’ustione sulla punta dell’indice della mano.
-Noi rimaniamo con te! I SeeD del Preside Cid di nuovo insieme nella loro nuova
avventura! Non siamo proprio tutti, ma…-
Squall sorrise. Era l’unico sorriso sincero che faceva da molto, molto tempo.
Si mise a ridere, mostrando i denti perfettamente bianchi.
-Grazie ragazzi! Di cuore!-
Si abbracciarono a vicenda, tutti e tre, stretti in una morsa d’affetto. I
suoi due vecchi amici erano tornati all’avventura, e non lo avrebbero lasciato
tanto facilmente.
Quando Squall rimase solo, quella notte, ad osservare il panorama del cielo
stellato e delle nuvole che sfrecciavano alcune miglia più in alto, aveva gli
occhi lucidi. Una lacrima gli scivolò sulla guancia sinistra, e lui la asciugò
repentinamente con la mano, sorridendo di nuovo, senza riuscire a contenersi. Si
rallegrò. Provava ancora qualche sentimento.
9
Il giovane Squall si allena nel centro di addestramento. Non è solo, insieme a lui c’è lo stesso ragazzo biondino del sogno precedente. Parlano normalmente, sereni, senza preoccupazioni. Come al solito i rumori e le voci giungono alla testa del ragazzo con una lentezza inimmaginabile, distorti ed ovattati. Riesce a malapena a capire alcune parole sparse qua e là.
“Devo chiedere a Squall di quel ragazzo bassino, sembrano amici”
Il ragazzo biondo con la cresta dei capelli e il vasto tatuaggio sulla parte sinistra del volto non ha armi. Indossa pantaloni larghi sotto il ginocchio e una maglietta a maniche corte di qualche taglia più grande.
“Non credo che questo qui sia un metro e settanta…”
Come arma ha dei guanti, con degli spuntoni metallici su ognuna delle otto nocche delle mani. Squall invece ha una spada.
“No, non è una spada.”
Alla base della lama ha un gigantesco tamburo da revolver, ed un’impugnatura con un grilletto, color argento con screziature di pelle nera. Dal calcio spunta un ciondolo d’argento, strano ma affascinante, attaccato da una sottile catenella, anch’essa dello stesso materiale.
“E’ un ibrido, fra una pistola vecchio modello e una spada…un Gunblade o qualcosa di simile. Ho già visto quel ciondolo…”
Il ragazzo biondo indica con la mano destra inguantata un punto, fra la fitta vegetazione del centro di addestramento. E’ un mostro, una specie di pianta carnivora ambulante. A giudicare dagli spunzoni, il veleno che sputa e la bocca piena di denti violastri, forse è fin troppo pericolosa. I due sorridono e si fiondano contro il mostro con velocità. Non ne hanno timore.
“Quindi nel centro addestramento si combatte con mostri veri…mica male”
Squall arriva esattamente di fronte al mostro sbavante e salta. Un acrobazia aggraziata, che alza il suo corpo di circa cinque metri sopra la creatura verdastra. Tiene il Gunblade con entrambe le mani , sopra il capo, pronto a spingerlo giù di colpo quando arriverà all’altezza giusta. Il biondo non può fare a meno di guardarlo, mentre posiziona bene i guanti color porpora.
Squall arriva a destinazione, e fionda l’arma. Si sente la creatura guaire straziata, mentre cade a terra. Il suono del Gunblade che fa esplodere una delle sei cartucce contenute nel tamburo è talmente forte che rimbomba per tre, quattro volte nella testa di Stef. La pianta carnivora giace a terra, quasi squarciata in due parti. Freme per una volta, due, sempre più impercettibilmente, finchè non si abbandona, formando una larga pozzanghera violacea.
“Ben fatto…ben fatto…non ti avevo mai visto combattere finora, Squall, devo ammettere che mi sono perso una grande esperienza”
La scena cambia. Il centro addestramento di dissolve, e le sagome dei due presenti si sciolgono, perdendo consistenza.
“Ehi no..che succede?”
OSCURITA'
La luce viene fatta. Davanti a Stef si estende una grande stanza, addobbata a
festa, con centinaia di SeeD che ballano a tempo di valzer. Il pavimento è
beige cromato, le zanzare si aggirano intorno alle grandi lampade per illuminare
la camera all’aperto. E’ notte, e la grande luna domina su tutti, coprendo
una parte della volta stellata. Stef nota di nuovo il ragazzo basso e biondo,
che vestito con l’uniforme SeeD si ferma a parlare con un giovane Squall, che
beve distrattamente da un elegante calice di cristallo.
Squall scuote la testa, senza guardare negli occhi il biondino. Dopo pochi
secondo egli se ne va sconsolato.
“Squall sta fissando qualcuno, dall’altra parte della festa…quella ragazza
vestita di bianco.”
La ragazza si gira e il ragazzo riconosce subito il viso di Rinoa. Ha la mano
destra in alto, l’indice teso ad indicare una stella cadente che ormai era
già sparita. Cammina verso Squall.
OSCURITA'
Stef vede di nuovo. La scena cambia per l’ennesima volta, e questa volta
viene mostrata alla mente del ragazzo una battaglia. Squall è ancora giovane, e
corre verso l’ascensore della Hall del Garden. L’intera struttura viene
squassata da una potente spinta. Qualcosa aveva colpito duramente il Garden.
Stef si ritrova per qualche motivo nel giardino, leggermente diverso da quello
che era abituato a vedere.
“Qui non hanno ancora ristrutturato. E’ davvero il passato.”
Dei soldati, probabilmente Galbadiani, percorrono l’intera lunghezza del
giardini armati di spada e a cavallo di una moto. Un paio di SeeD e apprendisti
vengono travolti dai veicoli a due ruote. Ma il ragazzo non vede nessun medico
giungere.
Il biondo c’è ancora, e ora sta impartendo ordini ad una squadra di SeeD,
disposta su quattro file. C’è anche Selphie, molto giovane, che scruta i SeeD
da dietro le spalle del ragazzo tatuato.
Per un attimo Stef riesce a vedere una gigantesca figura rossa, attraverso la
balconata all’aria aperta del giardino. La sua mente si avvicina al luogo.
“Quello è il Garden di Galbadia, quando era ancora al servizio dell’impero.
I soldati nemici sono già riusciti ad entrare nel Garden di Balamb. Qui si
mette male”
Nota anche Rinoa, in fondo alla balconata, con Irvine ed un’altra donna,
che Stef non conosce. Il Garden di Galbadia attacca un’altra volta e la parte
finale della balconata si stacca di netto, schiantandosi contro l’anello
dorato. Rinoa è aggrappata a ciò che rimane del balcone, a sette-otto metri
dalla superficie del giardino. Deve essere salvata.
“Questo è il passato. Rinoa è stata rapita qualche mese fa, perciò è ovvio
che in questo ricordo di Squall resterà viva.”
Infatti, dopo un leggero stacco, Rinoa viene salvata da Squall che le getta
una corda dall’esoscheletro militare di uno dei soldati nemici. Intanto la
battaglia fra le due fazioni, lo scontro fra quei titani dell’aria, prosegue.
Quello era un combattimento sportivo.
OSCURITA'
“Basta cambiare!”
Rinoa abbandonata nello spazio. Le stelle luccicano. Silenzio di tomba. Stef
non riesce ad udire neanche l’esile respiro della ragazza.
Un qualcosa. Una strana forma volteggia vicino alla luna, color porpora chiaro.
“Non capisco cos’è.”
Ma c’è qualcosa che si muove, molto più vicino che la strana figura
roteante su se stessa. E’ un uomo in tuta da astronauta, come quella che
indossa ora Rinoa. Guadagna strada come un fulmine, aiutato dai retrorazzi che
comanda con delle piccole manopole. Presto la raggiungerà.
“E’ sicuramente lui”
“Squall ha salvato la vita di Rinoa in svariate volte, ed ora si sente
sconfitto perché questa è una situazione ancora più grave di quelle che ha
affrontato. Sono passati dei mesi dal rapimento di lei, e Squall sa che è
ancora viva, ma è comunque preoccupato perché l’esercito Galbadiano la può
uccidere in qualunque momento, magari anche per semplice sfizio. Dopo ancora
tutto questo tempo non è riuscito a venire a capo della situazione, teme di non
riuscirci. Anche io temo di non riuscirci. In fondo non siamo molto diversi.
Siamo nella stessa situa…”
OSCURITA'
“Questo sogno continua ad accelerare…devo svegliarmi, non credo di…resistere a lungo…”
Il ciondolo del Gunblade.
Attaccato con una catenella d’argento.
Il Centro di addestramento.
Una donna.
Misteriosa, elegante, seduta sopra un maestoso trono regale d’oro.
Il Mondo Si Distorce.
Una parata.
La luna.
Una cicatrice accanto all’occhio sinistro.
Una cicatrice accanto all’occhio destro.
Sembra di vedere uno specchio, ma sono due anime differenti.
La soggettiva di una sola personalità.
Strega. Strega. Strega.
La Guerra Della Strega.
Un vagone di un treno. Una pianura boscosa.
L’esistenza Si Discorce.
Vendetta.
La rabbia della sconfitta.
Il sangue che percorre la fronte.
La vista è rossa.
Il mondo si è trasformato in una pozza di sangue scuro.
Una lama che vibra.
Scintille sulla pietra dura.
Le penne bianche che viaggiano sollecitate dal vento su quel prato variopinto.
Qualcuno attende.
Le penne nere stanno aspettando.
Il Cavaliere.
Il Cavaliere è un servitore.
La Mente si Distorce.
E Stef si sveglia. Finalmente, stava per impazzire.
10
Quando Stef si svegliò di soprassalto, il cuscino era inzuppato d’acqua,
fino alla parte opposta. A giudicare dalla posizione innaturale della lenzuola,
il ragazzo aveva assunto più di una posizione stramba, mentre l’incubo lo
mangiava, lo masticava e lo risputava per ricominciare instancabilmente. Per un
attimo, subito dopo aver aperto gli occhi, il ragazzo non era più capace di
intendere e di volere. La ragione si era impadronita di nuovo del suo cervello
poco prima che si mettesse ad urlare.
Non aveva bisogno di vedersi allo specchio per capire che aveva un’orribile
cera. I capelli gli cadevano scomposti sulla fronte. Non erano più color
nocciola, ma uno strano ibrido di marrone e nero. Erano praticamente incollati
alla pelle del cranio, tanto era il sudore che aveva emesso mentre vorticava in
quella marea di fotogrammi che erano i ricordi di Squall. Avrebbe voluto
abbandonare quel letto umido e scomposto, ma aveva timore che le gambe non lo
avrebbero retto. Faceva fatica ad alzare il braccio per spostare le ciocche di
capelli grondanti; perciò rimase svariati minuti steso in orizzontale,
respirando lentamente ed espirando l’aria con calma e lentezza.
Ci sono delle complicazioni. Questo non sarebbe dovuto succedere. Il mio
potere è andato in tilt.
Osservò la sveglia. Erano le quattro del mattino più qualche minuto. Non
avrebbe più dormito quel giorno, questo era sicuro, ma almeno non si era
destato subito, altrimenti avrebbe passato la notte in bianco.
-C’è qualcosa che hai dimenticato di spiegarmi, Squall.-
-Il nostro Stef non si sente ancora soddisfatto-, disse in tono ironico il
Preside. -Ti ascolto.-, aggiunse poi dopo qualche secondo di silenzio.
-C’è una persona che a quanto pare hai dimenticato di presentarmi. Biondo,
tatuaggio nero sul viso (a sinistra), bassino..-
Squall sgranò gli occhi, evidentemente non si aspettava che Stef fosse a
conoscenza di quella persona.
-Si chiama zell . Era un mio caro amico.-
-Come mai ora non fa più parte della combriccola? Ha scoperto il tuo brutto
carattere?-
C’era ancora un po’ di accesa rivalità fra i due. Squall non accettava l’idea
di essere stato “sconfitto” da quell’esempio di forza di volontà che lo
aveva costretto a dare l’ok per far studiare Stef, e il ragazzo provava
semplicemente antipatia per l’eccesso nervoso del Preside, nonostante il fatto
che fosse molto giustificato.
-Lo aveva scoperto fin dall’inizio, ma se lo vuoi sapere non ha mai
abbandonato i suoi doveri al Garden. E’ stato ucciso mentre era a Balamb.
Mentre tornava da sua madre.-, Squall raccontava in un modo impassibile, come se
il dolore fosse di un’altra persona. Invece era scaturito dal suo cuore.
-Quando è successo?-
-Cinque anni fa. E come se non bastasse, cinque anni fa incominciò ad
intensificarsi la potenza di Galbadia; ora ci da problemi da torcere anche se
sono in minoranza rispetto al Garden.-
-Solo per via degli ostaggi, lo sai bene.-
-No. Anche senza. C’è qualcuno che li governa da dietro le file.-
Stef non lo sapeva, perciò per lui fu una specie di colpo di scena, come nei
film di serie B che era abituato a vedere, quando si annoiava a Timber. Sembrava
lontana dei chilometri. In effetti…qualche migliaio.
-Tu…sai chi può essere?-
-Non ne ho la più pallida idea.-. Squall non lo sapeva veramente, altrimenti lo
avrebbe confessato. Era difficile farsi dire altre cose da quella persona, ad
esempio le faccende personali. Ci voleva tempo e volontà. Stef andò avanti con
il discorso.
-C’è qualcosa che tu sai bene e che non mi hai detto.-
-L’hai visto nell’incubo di cui mi hai parlato?-
Ormai ricordava ben poco di quelle immagini. Solitamente si tende a ricordare
più gli incubi che i bei sogni, ma ciò che aveva visto la notte precedente
Stef stava svanendo attimo dopo attimo, tanto che ora ne rammentava solo vaghi
frammenti. Ma uno di quei brandelli scomposti gli era rimasto conficcato nella
mente come un coccio di vetro, che continuava a stuzzicarlo finchè il ragazzo
non lo avrebbe domandato a qualcuno che sapeva. In questo caso, l’uomo che
aveva di fronte.
-Qualcuno ha avuto..la tua stessa cicatrice…ma dall’altra parte, vicino all’occhio
destro.-
Se la domanda sull’amico tatuato aveva sconvolto Squall, quella della
cicatrice bastò a farlo quasi cadere dalla poltrona della Presidenza.
-E questo come diavolo lo sai?-
-Ne sono venuto a conoscenza, e devo saperlo.-
Squall sembrò annuire con lo sguardo. Si sedette per la seconda volta sulla
poltrona, riassumento una posizione comoda.
-Seifer. Io e Seifer abbiamo la stessa cicatrice, solo che è invertita, come
uno…specchio, capisci?-
-Certo. Come ve la siete fatta?-
-Due Gunblade ci hanno colpiti.-
-….soldati di Galbadia?-
-No, i nostri Gunblade. Avevamo calcato troppo con l’addestramento. Lui
aveva calcato troppo, io non ho fatto altro che venirgli dietro e rendergli pan
per focaccia.-
-Ma eravate amici, se vi stavate allenando.-
-In un certo senso lo eravamo, ma le circostanze ci divisero, finchè non
diventò uno dei nostri peggiori nemici, durante la Guerra della Strega.-
-Capito. Ora dov’è?-
-Non lo so. E’ sparito. Ma non è morto, ne sono sicuro. Seifer è uno di
quelle persone di cui puoi affermare il decesso solo dopo che gli hai sparato in
una gamba e lui non ha risposto.-
E calò il silenzio. Stef non aveva più nulla da chiedere, e Squall non aveva
più nulla da dire. Il ragazzo ringraziò, si inchinò e fece dietro-front,
quando il Preside lo chiamò.
-Si?-
-Ci dirigiamo al villaggio degli Shumi. E un po’ pericoloso, perché siamo in
pieno novembre e i ghiacciai avanzano durante l’inverno. Ma là abita uno
specialista che saprà fare un po’ di ordine nella tua mente. Ne hai bisogno.-
-Se lo dici tu.-
E Stef lasciò la Presidenza, mentre il Garden proseguiva fendendo aria fredda.
L’Aula due non era neanche lontanamente vicino alla classe numero quattro,
vicino all’ex ponte del Garden, che ora era stato sostituito con una normale
passerella metallica piatta. Non si erano verificati danni in quella stanza, e
quindi non aveva avuto bisogno di nessuna riparazione, al contrario delle due
successive classi che erano state completamente rimodernate. L’insegnante che
avrebbe fatto apprendere a Stef le nozioni necessarie per diventare un
apprendista SeeD era un tipo che sfiorava i due metri, vestito da una tunica
viola scuro e un cappello a sombrero, completamente piatto.
-Così tu saresti il nuovo arrivato. Presentati alla classe, se vuoi.-, lo
invitò il professore subito dopo che il ragazzo gli aveva detto le sue
generalità.
Si presentò ai ragazzi, e notò che avevano svariate età. In un banco c’era
un bambino di nove anni, in un altro un ragazzo diciassettenne. Si poteva
diventare apprendisti SeeD a qualunque età, quindi. Ma dovevano essere le nuove
regole del Preside Squall, perché una volta si diventava SeeD a
diciassette-diciotto anni e si abbandonava il mestiere dopo i ventun anni.
Secondo Squall si poteva rimanere anche oltre i trentacinque. Aveva bisogno di
uomini. Anche la classe ne aveva a quanto pare bisogno, visto che i banchi più
in fondo, verso la vetrata, erano vuoti. La ragazza dai capelli rossi non era
con lui; studiava due aule più in là. Ma con Stef c’era Riven, circa a metà
dei banchi pieni, a salutarlo insieme ad una ragazza atletica dai capelli
corvini.
Quella deve essere la Susannah di cui parlava., disse nei suoi pensieri,
poi aggiunse Mica Male., cercando di non far trasparire alcuna
espressione strana.
Ovviamente, visto che gli studenti erano stati radunati il più vicino possibile
all’ampia cattedra dell’insegnante, Stef non aveva altra scelta che sedersi
in ultima fila. Accese il terminale, e cominciò ad imparare come si usava,
aspettando che iniziasse la lezione.
GARDEN DI BALAMB: BENVENUTO STUDENTE!
Digita pure il tuo nome, in modo che il tuo terminale ti riconosca!
ATTENZIONE! E’ ASSOLUTAMENTE VIETATO PERSONALIZZARE IN ALCUN MODO
QUESTO O QUALUNQUE ALTRO TERMINALE ADDETTO ALLO STUDIO.
Il Garden ti augura buona continuazione.
Stef digitò il proprio nome e lo spense, aspettando che l’insegnante
iniziasse la lezione.
Arrivederci, Stef!
-Incominciamo la lezione. Ricordo ai nuovi arrivati che è possibile scaricare
le precedenti lezioni attraverso il proprio terminale o cercando nei registri
audio/video della biblioteca…-
11
La lezione non fu nulla di speciale. Stef apprese nozioni su alcuni mostri
del continente Galbadiano, in modo da riconoscerli e sviluppare una valida
tattica per farli fuori, e qualche vaghe documentazioni sulle magie. Ora che ci
pensava, non aveva ancora chiesto a Squall se sapeva usarle, le magie. Il
ragazzo ne era completamente sicuro. Chi sapeva maneggiare un Gunblade in quel
modo, sapeva anche come usare gli incantesimi elementari e chi lo sa, anche
quelli per le alterazioni come i veleni….
Squall è stato addestrato, ha sconfitto Artemisia sedici anni fa. Io e tutti
i SeeD del Garden di Balamb non riusciremmo a tenergli testa.
La temperatura all’interno del Garden iniziava a diminuire. Si avvicinavano i
ghiacciai del nord del mondo, dove in una biosfera a forma di cupola era
nascosto lo stato degli Shumi, esseri di cui Stef ignorava l’esistenza. Ma
secondo il Preside laggiù c’era gente che lo avrebbe aiutato a ristabilire la
sanità del suo potere mentale. Ogni sera veniva tempestato da immagini
fulminee, che lo tenevano sveglio e sembravano intensificarsi quando stava
finalmente per prendere sonno. I SeeD che lo incrociavano per i corridoi
guardavano storto la sua faccia emaciata e pallida, senza contare la camminata
strascicata. Dopo quattro giorni di viaggio, e quindi novantasei ore in stato di
dormiveglia, Stef non pregava altro di arrivare e sottoporsi alle cure dello
scienziato shumi.
-Non hai dormito neanche ieri? Colpa del freddo…-, disse Riven con la calma
che ormai lo contrastingueva.
-Freddo un corno.-, rispose Stef lentamente, scandendo ogni parola come un’ubriaco,
mentre la testa gli dondolava in avanti e all’indietro.
-E allora, cosa credi che sia?-, proseguiva l’apprendista SeeD, seduto
comodamente sulla seggiola della mensa, rivolto a quel fantasma bianchiccio di
quattordicenne che lo scrutava con occhi stanchi e piccoli incavati nelle
orbite.
Stef inspirò. Un respiro lungo, che gli riempì i polmoni di rinnovata aria
fresca. Poi parlò, senza riflettere.
-Io ho un potere mentale che mi permette di ritrovare Rinoa, ma che mi sta
facendo provare le pene dell’inferno, visto che è da quattro giorni che non
mi fa dormire. Ora noi andiamo dagli Shumi per capire cosa c’è che non va….Sono
una specie di Eletto, capisci? Se non trovo io l’ubicazione della moglie del
Preside Squall e dei SeeD ostaggi del Garden di Galbadia, non li troverà nessun’altro….-
Stef parlava da mezzo addormentato, praticamente delirava, mentre Riven
ascoltava quelle quattro frasi strabuzzando gli occhi. -Ed..è per questo…che
tu sei qui al Garden?-. Stef proseguì come se nulla fosse: -Non dovrei essere
qui in realtà, io ho solo un maledettissimo potere mentale che non voglio…io
sono superiore a voi, naviganti nella massa del mondo…io chi sono? Sono un
quattordicenne speciale…-, poi si portò la mano destra tesa alla fronte, il
gesto dei militari. -Aaat-tenti! Si signore, trovo gli ostaggi e salvo il mondo,
mi dia il tempo di dormire…-, poi scoppiò a ridere, ma gli occhi rimasero
freddi e distaccati.
Riven lo guardò ancora, senza crederci, anche se in cuor suo sapeva che era la
verità assoluta. Bastava guardare in viso il ragazzo, quegli occhi tristi e
incavati a causa dell’insonnia, per capire che non avrebbe goduto a dire delle
bugie. E neanche a dire la verità, perciò…
Si alzò di scatto dalle seggiola, facendola cadere e si allontanò velocemente
dalla mensa. Mentre attraversava l’uscio del grande portone, Stef alzò il
viso dalla tazza di tè caldo e mormorò, in direzione dell’apprendista SeeD:
-…non dirlo a nessuno…mi…raccomando…-, poi si assopì, mancando per un
soffio la tazzina. Ma dopo una decina di minuti era nuovamente con gli occhi
aperti.
Quando soffri d’insonnia, non sei mai veramente addormentato………e non
sei mai veramente sveglio.
Ding Dong!
Il Garden ha appena oltrepassato la città di Trabia, ed è in procinto di
raggiungere il villaggio degli Shumi.
Stef è chiamato in Presidenza. Ripeto, Stef in Presidenza.
Grazie.
Ding Dong!
-Cosa c’è?-, chiese Stef, in piedi di fronte alla scrivania del Preside
Squall.
-Siamo quasi arrivati.-
-Lo so.-
-C’è una tormenta di neve. Per il Garden non c’è problema, ma abbiamo
paura che possa andare fuori controllo e sbattere contro la biosfera del
villaggio. Dobbiamo atterrare e farci l’ultimo tratto a piedi.-
-E…quanto sarebbe lungo, questo tratto?-
-Sei chilometri.-, rispose Squall, impassibile. Stef roteò gli occhi.
-Oh…tu mi vuoi morto.-
A quel punto il Preside sfoderò uno dei suoi rari momenti di umorismo.
-Forse ti vorrò morto quando avrai trovato gli ostaggi. Ora preferisco
solamente farti soffrire.-. Rimase inespressivo per qualche istante, poi
sfoderò un ampio sorriso.
-La Squadra è già pronta. Preparati, voglio trovarti al nuovo ponte del
secondo piano fra due ore. Indossa abiti pesanti, anche se al villaggio non ti
serviranno.-
Stef si inchinò e per poco non inciampò sulla moquette della Presidenza.
Riuscì a mantenersi in equilibrio precario, abbastanza da lasciare la camera;
non voleva dare soddisfazioni a Squall.
Selphie attendeva, poco dopo le aule del secondo piano, insieme al marito Irvine
e Squall, che batteva ritmicamente con lo stivale il lindo pavimento.
-Due ore e dieci. Io lo vado a cercare.-, disse spazientito, ma Irvine lo
bloccò.
-Sta arrivando adesso, vedi?-
Stef era uscito dall’ascensore del secondo piano e si era incamminato verso il
ponte, rasente alle classi. Indossava un giaccone imbottito nero e dei pantaloni
di jeans pesanti che aveva dovuto arrotolare alle caviglie.
-Bel vestito!-, disse Selphie salutandolo con un’altra strizzata d’occhio.
Il ragazzo non rispose al gesto, semplicemente perché non lo aveva notato. I
suoi occhi cominciavano a dare di matto.
-Riven ha accettato di prestarmelo. Non scherzate sulle misure….mi sento già
abbastanza ridicolo.-
-Andiamo-, fu l’unico commento di Squall, impaziente di aspettare e pronto a
partire alla volta della collina di vetro che si vedeva dal boccaporto aperto,
nonostante la nebbia e il forte circolare del vento e della neve. -Abbiamo sei
chilometri da attraversare in mezzo a quell’inferno-, aggiunse quando fu sul
ponte, mentre la scaletta metallica scendeva nel bel mezzo delle neve.
Non è stata una bella scarpinata, avrebbe detto dopo Selphie, al
villaggio.
La neve che volava in circolo a causa del forte vento impediva alla squadra di
seguire un percorso dritto. Venivano spostati e sbatacchiati a destra e a
sinistra, tanto che Stef cadde con il muso nella neve per quattro volte. Quando
il vento soffiava contro la loro direzione era ancora più temibile. Dovevano
puntare i piedi sulla soffice neve e sul ghiaccio per non sbattere all’indietro,
mentre le potenti zaffate sul viso impedivano loro di tenere aperti gli occhi.
Verso quella che probabilmente era l’agognata “Metà Strada”, caddero
tutti e quattro insieme. Squall si rialzò subito ed aiutò Irvine, Selphie ed
il ragazzo a fare lo stesso.
-Non riuscirò a fare un altro passo!!-, urlò Stef, cercando di farsi sentire
in mezzo allo sconquassante rumore della tormenta. Il Garden di Balamb era poco
più di una ventina di lucine in mezzo alla nebbia, da quella distanza.
-Abbiamo percorso tre chilometri!-, urlò di rimando Squall. -La distanza è
uguale anche se torniamo indietro!-
Stef alzò ancora di più il volume della voce. -Sono sfinito, Squall!!-
-Non fare l’imbecille!-, tuonò il Preside, visibilmente irritato. -Se rimani
qui congelerai entro un’ora, se non meno!-
-Squall ha ragione!-, dissero insieme Selphie ed Irvine. -Tieni duro!-
In quel mentre, una piccola luce giallognola apparve, in mezzo alla tormenta.
Non poteva essere un veicolo del Garden che tornava a prenderli, poiché veniva
da nord, la direzione del villaggio Shumi.
Selphie portò le braccia in alto, muovendole spasmodicamente su e
giù.-Yu-huuuuuuuuuuuuuu! Siamo qui!!-, urlò con quella voce da ragazzina.
Anche Irvine si mise a fare segnali. Stef non ne aveva la forza. Aveva le
sopracciglia ghiacciate come i capelli, e non si sentiva più le mani e i piedi.
La luce non era altro che una tipica carrozza-slitta del popolo degli Shumi,
trainata da una sottospecie di drago, lungo circa tre metri e bianco come la
neve su cui correva, grazie ai possenti arti posteriori, che veniva guidato da
uno Shumi alto e magro, con una tunica rosa scuro.
-Preside Squall!-, disse l’essere dalle mani palmate e la pelle gialla, quando
fu a portata di comunicazione. -Finalmente Regro vi ha trovati! Siete stati poco
saggi ad inoltrarvi con la tormenta in mezzo a questo mare di neve! Su, salite!
Regro vi accompagnerà al villaggio!-. Nessuno sapeva chi era Regro, ma visto
che quello Shumi era l’unico passeggero della slitta, non poteva essere altri
che lui.
Stef perse i sensi.
Apri gli occhi nel tepore di un letto soffice e con le coperte blu. Mosse subito
gli arti, temendo stupidamente di averne perso qualcuno in mezzo alla tempesta o
che glieli avessero amputati a causa del gelo. Non sentiva molto bene, essendo
ancora mezzo addormentato (quella volta non fu disturbato dai terrorizzanti
ricordi di Squall, forse a causa del suo cervello che aveva voluto staccare la
spina per qualche ora), ma riuscì a percepire il suono di un pianoforte,
probabilmente proveniente da una radio; ed era sotto di lui, perciò il letto si
trovava al secondo piano di un qualche edificio cobalto.
Appoggiò con molta calma e timore il piede destro sul pavimento, temendo di
ricevere una nuova ondata di freddo pungente. Ma quando le dita e la pianta
vennero a contatto della superficie, nessuno stimolo nervoso arrivò al cervello
del ragazzo urlandogli Freddo! Freddo! Reinfila immediatamente il piede sotto
le coperte!. Era una sensazione di tepore che lo confortava. Perciò con un
gesto del braccio scostò le coperte e si schiaffeggiò senza troppa violenza
con entrambe le mani. La stanza in cui era stato portato presentava un’arredamento
strambo ma in qualche modo “artistico”. Ogni parte della mobilia variava di
tutte le tonalità del blu, partendo dall’azzurro tenue del cielo e finendo a
color notte, simile al nero, dei soprammobili. Il pavimento su cui il piede
poggiava tutt’ora era color cielo. Si alzò, e vide le scarpe in un’angolo
della camera, insieme alla giacca pesante ed i pantaloni arrotolati all’altezza
dei piedi disposti ordinatamente ripiegati su una sedia.
Capì che era in un’albergo.
Si vestì e seguì il suono del pianoforte, assaporando i venti gradi e spingi
che c’erano in quella costruzione originale, artigliandosi con la mano buona
nel scendere le scale. Sentiva le voci di Squall, Irvine e Selphie dabbasso. La
sua memoria cominciò a fare un resoconto dell’accaduto. Ricordò della
tormenta, delle luci del Garden che si allontanavano, della strana cupola
mimetizzata con la neve, le montagne bianche sullo sfondo del paesaggio.
Rammentò anche di Irvine, che lo aveva preso in braccio quando la slitta era
giunta a destinazione ed aveva esclamato: Squall, il ragazzo è morto!
Stef sorrise. C’era mancato poco, se fosse rimasto ancora un po’ in mezzo
alla tormenta…
-Stef!-. La prima (e l’unica) persona ad abbracciare il ragazzo fu Selphie,
che rideva e saltellava per la Hall dell’albergo, felice che non fosse
diventato un cubetto di ghiaccio. Irvine si accontentò di dargli una sonora
pacca sulla spalla, e Squall si limitò a guardarlo inespressivo seduto su un
divanetto, con la gamba destra poggiata orizzontalmente sopra la sinistra.
Poco dopo capì che i capi pesanti che Riven gli aveva prestato non servivano.
Nella biosfera c’era una temperatura standard di venti-ventitrè gradi
centigradi, ed un’illuminazione tale e quale a quella solare. Nonostante la
stanchezza dovuta all’insonnia, Stef si senti galvanizzato da quell’ambiente
accogliente, per giunta in mezzo ai ghiacciai.
Sotto quella cupola, centinaia di metri sotto il suolo gelido, si estendeva una
foresta rigogliosa, di un verde ammaliante, con delle casupole bianco sporco
sparse qui e là: il Villaggio degli Shumi.
La Squadra aveva già visto quel luogo, più di una volta, ma come al solito per
Stef fu una nuova esperienza, pari quasi alla vista del Garden, la prima volta.
E non c’era solo foresta. Esplorando successivamente il luogo il ragazzo
scoprì anche paludi, un lago e persino qualche metro di deserto, ai margini
della caverna sotterranea. Oltretutto, loro quattro erano gli unici umani. Gli
Shumi erano gente perbene, gentile, chiusa nel loro piccolo paradiso terrestre.
A vederli la prima volta Stef scoppiò quasi a ridere, per via della loro buffa
statura e composizione: bassi, gialli e tozzi. Dovette contenersi, visto che non
amavano essere derisi.
-Mh…Vot è molto, moltissimo impressionato.-
Lo specialista che aveva menzionato Squall era un’abitante del villaggio come
gli altri, forse più anziano della media, ma alto poco più di un metro e simpaticamente
soprappeso. La ciccia giallognola gli ballonzolava, mentre camminava saltellando
da una parte all’altra del lettino di pietra su cui sedeva Stef.
-Il potere mentale del qui presente ragazzo è stato sviato dalla psiche e
quindi dal rapporto originario di funzionamento da una troppo pressante
doverosità imposta dalla terza persona che trasmette al suo cervello gli imput
mnemonici necessari per far si che la telecinesi si svolga. Posso dedurre che l’essere,
se non deliberatamente, nel suo inconscio, provi uno stimolo nocivo che ha
bloccato quella parte delle sinapsi e dei neuroni che sviluppa e quozienta l’anormalità
genetica che presenta-, disse Vot, più fra se e se che ai presenti di quello
studio.
-E questo, perdoni l’ignoranza, cosa dovrebbe significare?-, chiese Irvine,
che era il meno stupito della compagnia. Selphie aveva la bocca spalancata, il
Preside era rimasto zitto nell’imbarazzo più totale.
Vot agitò lo stetoscopio e fece un gesto vago con la mano. -Non lo chiedete a
Vot.-, sentenziò. -Si è limitato a leggerlo da un libro.-
Silenzio di tomba. Tutti, compreso il ragazzo, scrutarono lo Shumi con un’aria
omicida.
-Preferite che Vot spieghi con le parole sue?-
12
La spiegazione di Vot non fu di grande aiuto:
Il cervello del qui presente ragazzo è stato pressato da una serie di
preoccupazioni che hanno leso pericolosamente la psiche riguardante i poteri
mentali acquisiti. Consiglio niente altro che un po’ di riposo, lontano dalle
situazioni che lo disturbano.
Si poteva riassumere in un’unica parola: stress.
Tornarono al Garden, accompagnati dallo Shumi che li aveva ripescati con la
slitta ed il draghetto bianco insoddisfatti e raffreddati. Squall aveva deciso
di sospendere le lezioni del ragazzo per una settimana (proprio dopo i suoi
primi giorni di quell’esperienza liberante!). Se non ci fossero stati
miglioramenti, avrebbe deciso sul da farsi. Consigliò a Stef di divertirsi con
gli amici, magari girare per il giardino (ma NON il centro addestramento, era
stato più che chiaro), o godersi una lettura in biblioteca.
La vita al Garden di Balamb cominciava a diventare noiosa. Uno strato di
tristezza si allargò nelle emozioni del ragazzo, che non poté fare a meno di
rassegnarsi.
Ma la desolazione fu presto in parte cancellata dalla scoperta che lo attendeva
nella struttura che da ormai un mese era diventata la sua casa. Appena entrato
notò subito gli sguardi della gente, nonostante la poca destrezza delle sue
facoltà causata dall’insonnia che sembrava essere aumentata dopo il breve,
paradisiaco sonno all’interno della biosfera. Durante la camminata per i
corridoi della Hall, tutti lo riconobbero e lo squadrarono imperterriti.
Deve essere colpa dell’abbigliamento e della mia faccia da cadavere,
ironizzò subito, incurvando le labbra e dandosi una distratta sistemata ai
capelli castani che pendevano scomposti sulla fronte e agli angoli del capo.
Poi capì.
Si ricordò delle parole deliranti che aveva proferito a Riven nella mensa,
prima di partire per la tormenta; fu come un fulmine a cel sereno. “Lui era un
ragazzo speciale, portatore di un potere che le sue spalle addormentate non
riuscivano a portare. Stava impazzendo, prigioniero della volontà di un’uomo
disperato alla ricerca della moglie e dei SeeD di un Garden che ormai non esiste
più; un mondo che odiava Squall ed i suoi allievi per essere stati bloccati da
mesi da un ricatto ignobile…”
Non aveva detto tutto questo, ma era una sintesi perfetta di quello che pensava.
Aveva condito il surrogato che aveva regalato all’apprendista con un tocco di
umorismo abbattuto, come ironizza il condannato a morte prima di essere fritto
su una sedia scintillante. Non preoccupatevi, ragazzi, sarò di nuovo a casa
per cena!
Rammentò anche la faccia stupefatta del quindicenne dagli occhi verdi, che
aveva abbandonato Stef in fretta e furia, probabilmente per riferire la storia a
qualcuno, magari aggiungendo qualche finto particolare per renderla ancora più
avvincente agli occhi dei conoscenti. Cominciò a provare una rabbia crescente,
mentre un SeeD poco più che ventenne lo fermava in maniera educata nell’imbocco
del corridoio dei dormitori.
-Scusami, tu sei Stef di Timber?-, disse timidamente, inchinando il capo di
qualche centimetro.
-Si, che ti serve?-, tagliò corto Stef. Nessuno lo aveva mai chiamato
aggiungendo al nome la località di provenienza, neanche se fosse una terra
leggendaria, stracolma di nobiltà e virtù magiche e cavalleresche.
-Be’, volevo solo augurarti…buona fortuna, tutto qui. Solo questo.-. L’adulto
cominciava ad attorcigliarsi sul discorso.
Stef sfoderò un sorriso, da mettere in mostra tutti i denti bianchi, più falso
dell’acconciatura aggressiva dei capelli del SeeD. -Ti ringrazio, amico.-,
disse, sfiorando la spalla dell’uniforme blu notte, piena di lustrini,
spalline, spille e quant’altro dell’uomo, in un gesto che doveva apparire
cameratesco. Da parte sua, il ventenne sembrò pienamente soddisfatto, e dopo un
leggero inchino, abbandonò il corridoio.
Qualcuno mi ha fatto l’inchino. Accidenti.
Si sdraiò sul letto lindo e piatto, appoggiando la testa sul cuscino, sapendo
già che il sonno non si sarebbe manifestato. Aveva gli occhi piccoli e pesanti,
ma non volevano neanche sentir parlare di chiudersi. Un vicolo cieco dentro un
altro vicolo cieco.
Doveva trovare Rinoa ed i SeeD; era l’obiettivo primario e doveva conseguirlo
senza indugiare. Il fatto è che non sapeva da dove cominciare. Avrebbe voluto
trovarli il più presto possibile, così Squall avrebbe smesso di demoralizzare
la ciurma e soprattutto Lui. Dalla salvezza fisica degli ostaggi dipendeva la
salvezza mentale dei due individui. Non possedevano una coda da cui aggrapparsi
e raggiungere la testa della situazione: scoperchiare il mistero della località
in cui i soldati Galbadiani avevano portato i prigionieri.
Fatemi uscire, fatemi uscire, fatemi uscire vi prego ditemi dove sta Rinoa io
non riesco a trovarla devo dormire perché diavolo non riesco ad abbandonarmi su
questo letto Squall mi dispiace ma non ce la faccio, cos’altro posso fare vuoi
che tiri ad indovinare cosa vuoi da me!
Proprio mentre aveva trovato la posizione giusta al fine di rilassarsi, qualcuno
bussò alla porta. Si risvegliò immediatamente, come se fosse già in allerta
da minuti. Si alzò con fatica e si diresse verso la porta, dove delle nocche
stavano battendo senza troppa forza con il ritmo di un’orologio. Era ora di
urlare e mandare via gli scocciatori. Lui non era nessuno, da lui non dipendeva niente!
Ci avrebbero creduto? Lui stesso avrebbe creduto alla parole che intendeva
urlare per chiarire la situazione?
Intendeva sul serio farlo, ma fu bloccato quando vide i capelli rossi di quella
ragazza che aveva salvato dopo l’attacco dei tre missili. Non aveva più la
pesante fasciatura alla mano, ma solo un cerotto per coprire una profonda
cicatrice rossiccia.
-Oh, scusami, non volevo disturbarti….-, si scusò, dopo aver visto il volto
del ragazzo. Doveva davvero apparire come un fantasma.
-No, no. Scusami tu, sono impresentabile…-, mormorò, arrossendo subito. Si
sentì avvampare le guance, e fece un gesto vago con la mano per invitarla ad
accomodarsi in quella camera piccola e disordinata. Lei entrò, ma si fermò al
centro della stanzetta.
-Fai fatica a dormire?-
-A quanto pare si. E’ così evidente?-, disse Stef chiudendo pesantemente la
porta.
-Ti è stato affidato un’incarico importante, io non riuscirei a prendere
sonno, per nessuna ragione al mondo.-
-Non è questo…è che….-. Intendeva davvero parlare dei flashback e degli
incubi che Squall gli trasmetteva? Avrebbe messo a rischio altri dettagli sulla
situazione disperata a cui l’intero Garden stava andando incontro? Riven si
era dimostrato inaffidabile, avrebbe avuto il coraggio di trasmettere un segreto
a quella ragazza ed aspettarsi che rimanga dove lo aveva riposto, nel bel mezzo
della totale discrezione?
Non era coraggio. Pensò che non aveva senso buttare ulteriore benzina su un
falò gigantesco, più grande di così non sarebbe potuto diventare.
Così si confidò quasi completamente a quella ragazza. Parlò velocemente,
facendosi talvolta prendere dalla foga e descrivendo le scene con ampi,
grossolani gesti delle mani. Lei ascoltò attentamente, interpellandolo rare
volte per avere spiegazioni più precise, sempre con un tono dolce e
comprensivo. Dopo alcuni minuti la conversazione diventò amichevole, senza
ombra di ostacoli formali.
-E’ questo è tutto.-, disse Stef in tono grave, dopo aver fatto il punto
della situazione. -Come avrai capito, non so da che parte andare, neanche da
dove cominciare!-, e sorrise, ma per pochi secondi.
Lei rimase ferma per qualche tempo, osservando l’intrico di capelli castani
del ragazzo, gli occhi scuri color nocciola, poi proferì parola, avvicinandosi
alla zona del letto su cui si era seduto il ragazzo.
-Questa cosa…deve rimanere fra noi due, giusto?-
-Si, vorrei che restasse fra io e te.-, poi si ricordò di una cosa. -Tu come si
chiami? Forse me lo hai già detto, ma in questi giorni vivo come dentro ad….un
muro abbastanza spesso.-
-Non te l’ho ancora detto, in verità.-, disse prontamente la ragazza.
-Elizabeth, piacere-
-Piacere.-, rispose Stef, sorridendo leggermente.
La ragazza sorrise di rimando, poi si alzò. -Devo andare. Ti assicuro che
troverai Rinoa e i SeeD. Non prendertela troppo, se ho capito quello che mi hai
spiegato la risposta dovrebbe balzarti all’occhio da sola.-
-E se li uccidono prima che io li trovi?-
La ragazza esitò. Abbassò lo sguardo, cercando di interessarsi il più
possibile al pavimento chiaro e uniforme. -Non li uccideranno. E poi, anche se
fosse, non sarebbe colpa tua.-, disse scrollando le spalle. E se ne andò. Stef
si affacciò all’uscio, guardandola allontanarsi con la mano sinistra
incerottata, cogliendo i fluidi movimenti dei capelli lisci e rossi, pendenti
sulle spalle. Dopo una decina di secondi aveva svoltato il corridoio. Mentre
Stef chiudeva la porta, sentì qualcuno che lo chiamava, e girandosi, notò
Riven che correva verso di lui.
-Stef, devo parlarti!-, disse mentre si avvicinava alla stanza del ragazzo. Lui
aspettò che arrivasse di fronte a lui, con un’inizio di fiatone, poi,
folgorandolo con lo sguardo di quei profondi occhi castani, pronunciò acerbo:
-Non ho tempo.-
E chiuse la porta una volta per tutte.
Parte Terza
1
“Non lasciare che il sole tramonti su di me
Benché io cerchi me stesso,
è sempre qualcun altro che trovo
Accetterei a mala pena che un frammento
della tua vita vaghi libero
Ma perdere tutto è come il sole
che tramonta su di me”
Elton John - Don’t Let The Sun Go Down On Me (1974)
NON FACCIA COME SE L’INTERO MIO DESTINO FOSSE GIA’ DECISO!
Ma Squall, in qualità di caposquadra dei SeeD del Garden di Balamb, sei
obbligato ad adempire alle facoltà che ti sono state imposte! E’ un ordine
diretto, e non puoi tirarti indietro!
LASCIARE LA SEED?
Per andare dove?
Questa è la tua unica casa, Ellione non è più vicino a te per consolarti
quando il temporale terrorizzava i bambini, o a difenderti quando Edea vi
scopriva ad usare i fuochi d’artificio sulla spiaggia. E dopotutto, non sei
più un bambino; hai superato quello stadio ed ora, in qualità di adulto, devi
assumerti responsabilità senza tornare a piangere su qualcuno!
Il giovane Squall è confuso, e non riesce a trovare la sua amata, in mezzo di
quel nero costellato da puntini bianchi fermi e luminosi. Il carburante dei
razzi comincia ad esaurirsi ed egli comincia a perdere le speranze, anche se in
cuor suo era certo di trovare un segno o un qualcosa che lo avrebbe condotto da
lei.
“E’ la stessa scena del sogno precedente, ma vista con gli occhi di Squall.”
Squall trova Rinoa, e si dirigono verso una strana creatura purpurea che
rotea su se stessa. Non è un mostro; è un’astronave dal design accattivante.
Aprono un portello, e si calano dentro. Anche per questa volta sono salvi.
OSCURITA’
Il cielo è fosco, le nubi nere si accavallano una contro l’altra per
coprire qualunque fetta di cielo ancora libera. Qualche goccia di pioggia sporca
cade già dall’intrico di nubi, bagnando leggermente la bianca stoffa di un
SeeD….che non è un SeeD. Almeno, non dall’uniforme. I SeeD sono color
scuro, senza eccezioni. Il cadavere è sbarrato in un’espressione di puro
stupore e terrore.
Un fulmine squarcia il cielo, dividendolo quasi in due parti, infrangendosi
nelle onde del male violento e cattivo. Qualcosa fa capolino nell’oscurità,
una cosa gigantesca…
“Che cos’è? E’ enorme…oh….oh, dio mio.”
Un castello. Una reggia nera, sospesa da terra e collegata ad essa tramite
grandi e pesanti catene di ferro. Stef ne conta più di una decina. Da un lato
(uno solo) del palazzo si estende una paurosa ala di pipistrello, trasformando
per qualche attimo la reggia in un mostro terrificante. Già dalla forma si
capisce che è abitata da un pazzo…
“No, pazzo non è giusto. E’ qualcosa di più, molto di più…non è la
pazzia che fa restare in piedi quel colosso…..”
Stef prova una paura crescente, che si gonfia dentro il suo corpo come un’onda
di energia, o come un sentimento represso. C’è da diventare pazzi, in una
desolazione del genere, squassata senza interruzioni dal viavai della marea e
dai rompi dei tuoni, con le goccioline di pioggia grigia che aumentavano di
intensità.
“Squall ha paura di questo posto..”
Le città sono chiuse in bolle di energia, impenetrabili. Città morte. I
mostri impazzano per tutti i continenti, nessun sopravvissuto umano è presente
sulla faccia del pianeta. Compressione Temporale.
OSCURITA’
Squall cammina su un deserto. La terra grigia è fratturata in diversi punti.
E’ pianeggiante, perciò la scura terra si fonde con il grigiore delle nubi
del cielo. Non c’è nessun tuono, lampo. Nessun rumore. Squall fa fatica a
sentire il suono dei propri passi. Incomincia a camminare, lentamente, perché
non sa in che direzione si sta dirigendo. Prosegue per delle ore così, quando
alla fine le ginocchia si piegano e lui stramazza a terra, probabilmente nello
stesso posto che aveva lasciato ore prima. L’esasperazione fu di breve durata:
dopo pochi secondi era già sprofondato nel sonno più profondo.
“Che posto è questo…?”
Una piccola figura si fa spazio all’orizzonte, avvicinandosi velocemente.
Sta correndo. Rinoa. Il suo volto si rasserena quando vede il corpo di Squall ma
subito si intristisce a causa di un interrogativo che saetta nel cervello di
lei. E’ morto?
Lo prende per le spalle e lo tira su seduto, avvicinando il viso a quello dell’uomo.
Lo chiama, mormorando senza tregua il suo nome; poi lo scuote leggermente, e
dopo alcune lacrime scendono sul viso della ragazza. Squall non risponde, non
respira. Sembra un manichino di un negozio di vestiti, se non fosse per quel
viso tagliato con l’accetta e la profonda cicatrice che lo rende distinguibile
fra mille.
Le lacrime scendono in grande quantità, e lei urla il nome dell’amato al
cielo nuvoloso. All’inizio non capita nulla, ma come un fulmine il cielo si
squarcia, diffondendo una luce paradisiaca, e la terra grigia ed amorfa viene
sostituita con un prato fiorende e squisitamente bello.
FISSIAMO UN APPUNTAMENTO. COSI’, SE MI CERCHERAI, SAPRAI DOVE TROVARMI.
OSCURITA’
Ogni volta che cantavo le mie canzoni sul palco, da sola..
ogni volta che pronunciavo le mie parole,
sperando che fossero ascoltate..
ti vedevo sorridermi.
Era vero o solo la mia fantasia?
Dovresti essere sempre là, in un angolo
di questo piccolo e stretto bar..
“Il castello di Artemisia in un imprecisato futuro, ecco che cos’era.”
La mia ultima notte qui per te,
le solite vecchie canzoni, ancora un'ultima volta...
La mia ultima notte qui con te?
Forse si, forse no...
Credo che mi sia piaciuto
come posavi delicatamente i tuoi occhi su di me...
Ma hai mai saputo
che io avevo i miei su di te?
“Anche Rinoa era una strega, perché Artemisia si era….impossessata di lei,
nel viaggio vicino alla luna, ma c’era anche un’altra strega, rinchiusa da
qualche parte……ma come diavolo lo so?”
Caro eccoti qui,
con quello sguardo sul viso,
come se non fossi mai stato scosso,
come se non fossi mai caduto...
Sarò l'unica per te,
che ti abbraccerà con dolcezza ma decisione...
Se vedrò il viso corrugato
saprò che non sei un sognatore
“I folletti. La mia vera madre aveva esercitato il potere su Squall, per
entrare nei ricordi di qualcuno….un soldato…no, dopo no…..Deling City, la
vecchia capitale dell’impero…..Galbadia Hotel….pianoforte….Julia…..e
chi è questa Julia??”
E allora lasciami venire da te,
vicina come desidererei essere..
vicina abbastanza da poter sentire il tuo cuore battere forte...
e resta qui mentre ti sussurro
quanto amavo i tuo occhi tranquilli su di me...
Lo hai mai saputo che io avevo i miei su di te?
“C’era un altro maestro del Gunblade…..una missione a Dollet, gli
apprendisti SeeD, lo sbarco…..tradimento…..Timber, la mia città…il
presidente dell’impero Galbadiano….sostituirei i vagoni di un treno….i
gufi del bosco….Rinoa, Rinoa, la principessa….”
Caro dividi con me il tuo amore, se ne hai abbastanza..
le tue lacrime se sei triste, o il tuo dolore, se è questo che provi.
Come posso farti capire... che io sono qualcosa in più
di questo vestito e di questa voce?
Soltanto, porgiti verso di me: saprò che non stai sognando.
“L’amore fra Squall e Rinoa è nato dentro una Guerra. Squall si trasforma
durante l’avventura, Rinoa si avvicina a lui….Edea era una strega, ma poi
non lo è più. Il lago ghiacciato….Esthar, le passerelle….il Cavaliere
della Strega…è questo il sogno romantico…”
Stef si sveglia.
2
Di nuovo sveglio, alle quattro del mattino. Forse la visita al villaggio
degli Shumi gli aveva giovato, in qualche modo; i sogni avevano dato un brusco
taglio alla velocità, ed ora poteva (malgrado) goderseli come un film a
spezzoni, La Vita di Squall: Una Storia Vera.
Ma ciò che preoccupava il ragazzo ora non era scoprire eccitanti dettagli sul
Preside, bensì la piega che aveva preso la vita del Garden. Riven aveva
rivelato ai suoi amici, che avevano rivelato ad altri amici, e via dicendo. Ora
niente sarebbe stato più normale, con tutta probabilità la calma di cui
abbisognava era svanita per sempre. La gente lo avrebbe fermato per i corridoi,
in classe, perfino gli insegnanti avrebbero parlato con lui in modo differente.
Avrebbe potuto parlarne a Squall, e lui avrebbe smentito per mezzo di un
messaggio a tutti i SeeD, ma non poteva ogni volta correre da lui come un
animale domestico impaurito. Se la sarebbe cavata da solo e avrebbe resistito.
-Io non ti avevo sentito, quando dicevi di non dirlo a nessuno….-
-Si, certo. Eri troppo impegnato ad andare a stamparlo sulla faccia di tutti.-
-No, ma…-
-Non mi interrompere. Anche se non mi avessi sentito, accettiamo per un attimo
la tua demenziale versione dei fatti, secondo te io avrei voluto che tutto ciò
diventasse il pettegolezzo più importante del Garden da qui a…dieci anni fa,
mettiamo caso?-
Riven era rosso. Giocherellava convulsamente con una penna che coccolava con le
dita nella tasca della sua uniforme da apprendista SeeD, leggermente sgualcita
per qualche motivo. La Hall era deserta, quel mattino alle nove ed un quarto.
-Io…..scusami.-, aggiunse timidamente. Al che, Stef alzò il volume di voce,
visibilmente irritato.
-Tutto qui? Tu rovini la mia vita al Garden, ed io non devo fare altro che
accettare le tue scuse? Grazie, grazie mille, se gli amici fossero tutti come te
l’eremita sarebbe la vita migliore, in questo mondo!-, disse Stef, facendo un
giro su se stesso mentre parlava. Riven era come pietrificato; la patina di
menefreghismo che aveva su gli occhi era sparita del tutto, come era lecito
aspettarsi. Cercava di difendersi, sapendo che era impossibile; non c’era
nulla in sua protezione, non poteva fare altro che aspettare che il ragazzo
sbollisse la rabbia, per poi andarsene e cercare di incontrarlo il meno
possibile in futuro. Aveva perso il suo amico di Timber.
-Io ho bisogno di calma, maledizione a te! Ora posso scordarmela, al massimo
posso salutarla con un fazzoletto mentre si imbarca verso il continente delle
Belle cose Perse!-, sbottò nuovamente Stef. Poi si sedette su una poltroncina,
vicino al distributore di bibite dove giorni prima attendeva con ansia l’amico
(ex) per parlare del più e del meno. Poggiò le mani sulle tempie, abbassando
il capo. Riven vedeva solo l’intrico di capelli crespi e castani.
-Vattene.-, fu l’unica cosa che disse quel giorno al quindicenne biondo dagli
occhi verdi. Egli obbedì.
-E’ la seconda volta che hai un flashback nello spazio. Mi chiedo se centri
qualcosa….-, disse Squall grattandosi il mento pensieroso, nella Presidenza.
-Potrebbero averla portata nello spazio?-, domandò il ragazzo.
-Escludilo. Tutte le astronavi sono di proprietà dell’esercito Esthariano. Se
una di loro fosse partita con Rinoa, la repubblica ci avrebbe avvertiti, e non c’è
nessun altro trasporto esistente al mondo.-
-Ah.-
Repubblica di Esthar. Un giorno ci andrò
-Non possono averla portata neanche nella città, per lo stesso motivo che hai
detto tu ora.-, ne dedusse Stef.
-Complimenti.-
-Smettila. Non so più dove andare a parare. Forse è un collegamento.-
-Un che?- Squall agrottò le sopracciglia.
-Un collegamento mentale. Cosa ti ricorda lo spazio?-
Squall alzò gli occhi al cielo, pensando profondamente. Poi aprì la bocca, ma
non uscì niente. La chiuse, la riaprì, e annunciò:
-Nulla.-
-Sei sicuro?-
-Assolutamente.-
-Se lo dici tu.-, concluse Stef. Si inchino e uscì.
Il Garden di Balamb stazionava, senza destinazione alcuna, sopra la distesa dell’oceano.
La tormenta del villaggio degli Shumi si era ormai trasformata in un brutto
ricordo, archiviato insieme agli altri della stessa specie. Irvine e Selphie si
aggiravano da qualche parte per i lustri corridoi della struttura, e Stef si
ritrovò ad invidiarli; ormai lui non poteva più, gli sguardi, le domande, i
“Buona Fortuna”, erano una cosa troppo irritante per un quattordicenne che
non riusciva a dormire ed esasperato da tutti i problemi che continuavano a
premere sulla sua mente, forse con veemenza crescente.
Le nuvole si fecero grigie, proprio come nel sogno di Stef. In lontananza, un
lampo, seguito dopo dieci secondi da un rombo di tuono. Gli uccelli volavano
bassi, alcuni intorno al Garden. In maggior parte erano color cenere, ma Stef
distinse anche qualche colomba bianca, in mezzo ai folti gruppi di volatili. Il
ronzio dei motori della turbina principale era una costante, e il ragazzo si era
abituato a non farci più caso, come tutti gli abitanti nella grande casa. Una
goccia di pioggia si infranse sul pavimento della balconata del vasto giardino.
Una raffica di vento gelido passò attraverso l’immenso loggione, provocando
una fastidiosa pelle d’oca sugli avambracci della gente seduta sulle panchine.
Seconda goccia, questa volta sulla ringhiera.
-Ho visto Timber, una volta, dal ponte del Garden, nella mia prima missione.-
Stef sedeva sulla panchina più vicina alla fine del balcone. Accanto a lui c’era
la ragazza dai capelli lisci e rossi, Elizabeth.
-Quante missioni hai fatto?-, chiese il ragazzo incuriosito. Lei abbozzò un
sorriso.
-Una. Quella fu la prima e l’ultima, fino ad ora. Avevo iniziato a studiare, e
l’insegnante mi portò insieme ad alcuni apprendisti….ma era una missione di
routine, viaggiavamo solo con armi d’ordinanza e senza l’ordine di magie.-,
raccontò, stringendo e allargando la mano sinistra, incerottata.
-Tu….sai usare le magie?-, chiese Stef, questa volta Veramente interessato.
Diffidava dal fatto che una ragazza quasi più giovane di lui sapesse utilizzare
correttamente un potere così affascinante.
-Oh, solo qualche trucchetto.-, disse lei, arrossendo lievemente.
-Dai, dammi una dimostrazione!-
Terza goccia, questa volta accanto alla panchina dove i due sedevano.
-Ma non so….io….che cosa dovrei fare?-, disse lei, chiaramente un po’
agitata. Stef era impassibile, col suo sorriso rassicurante.
-Non saprei, svelami il tuo potere, quello che ti pare!-
-Uf…d’accordo….-
Staccò la mano destra dal bordo legnoso della panchina, e la fermò all’altezza
del viso. Chiuse gli occhi, inspirando facendo il minimo rumore possibile. Per
una frazione di secondo aprì gli occhi, per vedere se era successo qualcosa. Si
concentrò nuovamente, con più enfasi.
La quarta goccia arrivò, ma non cadde da nessuna parte.
Se tutto fosse accaduto nel modo in cui era comune aspettarsi, la goccia si
sarebbe schiantata nel palmo della mano destra di Elizabeth, formando magari una
minuscola pozzanghera nell’incavo. Invece si bloccò, come se il tempo si
fosse fermato, a pochi millimetri dalla pelle bianca della ragazza. Aveva la
forma di una cometa. Una meteora d’acqua. Lei aprì gli occhi, e sorrise,
constatando di essere riuscita nell’impresa. Si mise a ridere, quando notò l’espressione
di Stef. Stupore assoluto.
-C-come fai?- E’ tutto ciò che riuscì a pronunciare il ragazzo.
-E’ un inutile trucchetto che mi hanno insegnato i SeeD più grandi, una
volta. Non serve a nulla, te lo assicuro.-
Alzò e abbassò la mano velocemente. La goccia seguiva ogni suo movimento,
rimanendo eppure immobile. Elizabeth tese le dita della mano, alzando il palmo.
La goccia si staccò di qualche centimetro dall’arto, poi iniziò ad
evaporare, emanando un filo di fumo bianco mentre si restringeva. Alla fine, con
un ultimo sbuffo, scomparve.
-Niente male, davvero. Niente male.-
-Grazie.- il sorriso della ragazza si fece più ampio.
-Un giorno me lo insegnerai.-
-Ho paura che un giorno sarai tu ad insegnare a me.-, disse abbassando la mano.
Stef volle rispondere, ma si fermò quando vide che la ragazza aveva sì
abbassato la mano, ma non sulla panchina, bensì sul suo ginocchio sinistro.
Senza pensarci, la abbracciò per le spalle.
Mentre la quinta goccia cadeva sul pavimento del grande balcone del giardino, il
ragazzo pensò a quanto fosse stato utile quel giochetto.
La pioggia si fece più intensa.
3
Si era fasciato le nocche della mano con centimetri di garza bianca, in modo
da attutire i colpi che infliggeva senza sosta alle assi di legno e ai tronchi
degli alberi del centro addestramento. Era molto vicino alla zona segreta,
perciò non doveva temere attacchi da mostri più forti del suo livello attuale
da apprendista SeeD. Non gli avevano assegnato l’arma d’ordinanza, per cui
si limitava ad allenarsi con quello che poteva permettersi. Il tessuto chiaro
aderiva al palmo come un guanto molto aderente.
Con un pugno frantumò una vecchia e sudicia asse di legno, posta in quel luogo
proprio al fine di essere eliminata il più presto possibile. I muscoli del
braccio destro si tesero e si rilassarono, dopo il colpo.
La fronte era imperlata di sudore caldo, che scendeva sul collo e per la
schiena, ma non se ne curava. A Riven importava ben poco, quel giorno. Saltellò
sul posto, prendendo rumorosamente fiato, poi colpì con un sinistro non molto
ben piazzato il tronco di un debole e smunto albero. Tremò ma non cadde nessuna
foglia. Doveva fare più esercizio con la mancina.
Non pensò a molto, mentre sudava e teneva in esercizio i muscoli, ondeggiando i
capelli biondi, oscurati dall’umidità del proprio corpo. Rivide in un attimo
fuggente il volto della sua fidanzata, Suze, e sorrise a quella vista. Ma subito
dopo fu invaso dall’immagine di Stef, e fu costretto a smorzare tale
entusiasmo. Aveva scatenato un bel casino, semplicemente per non avere attivato
il cervello quando era l’ora.
Colpì con il destro lo stesso albero di prima, e alcuni brandelli di corteccia
secca si impigliarono nella capigliatura cadendo. Le foglie si prostrarono ai
suoi piedi. Cadde in balia della rabbia, e sferrò per tre minuti di fuoco la
furia dei suoi pugni. Mancò più volte il tronco del vegetale quando era ora
del gancio sinistro, ma la destra non mancò mai l’obiettivo. Sbuffò e
gemette in un paio di occasioni, sentendo la pelle scorticarsi sotto la garza,
ma la sua mente scartò fulmineamente tale impulso nervoso. Alla fine cadde a
terra, le mani straziate dai continui fendendi contro una superficie dura e
secca. Le bende erano scure di sangue, le cui macchie si allargarono quando
strinse i pugni. Ai piedi dell’alberello erano depositate una miriade di
schegge legnose e frammenti di foglie. A metà del tronco, dove le percosse si
erano verificate, la corteccia era crepata, e in alcuni punti si era staccata
del tutto. Si sarebbe complimentato con se stesso, soddisfatto, se fosse stata
una diversa occasione. Le lacrime iniziarono a solcargli il viso, scendendo
sulle guance. I rivoli di sangue uscirono dalla garza, passando intorno al palmo
e staccandosi infine dalle dita, schiantandosi sulla terra del centro d’addestramento.
Infermeria, invocavano ad alta voce le mani, urlanti di dolore. Qualche
infido frammento dell’arbusto aveva sicuramente passato la difesa delle
fasciature, per conficcarsi nella pelle. Mentre si alzava, stanco e dolorante,
mormorò: -Scusami. Scusami. Scusami.-
Dall’altra parte del Garden, un quattordicenne e una ragazza dai capelli rossi
si scambiavano effusioni, sotto una pioggia sempre più ampia.
Il momento si avvicinava, Squall ne sentiva l’odore. Entro poco tempo avrebbe
scoperto se la sua amata Rinoa era ancora viva, oppure morta, accanto a file di
giovani cadaveri, prima cadetti del Garden di Galbadia. Se la immaginò
smagrita, impolverata, martoriata dalle percosse delle armi dei soldati nemici,
e smorzò un ringhio di rabbia e frustrazione. Colpì senza intenzione la
magnifica scrivania in legno e oro, spostandola di qualche millimetro dalla
posizione che si era scavata dopo anni di immobilità nella Presidenza. Si
passò una mano nei folti capelli dai riflessi d’argento, e si diresse ad un
armadio, spartano, distante chilometri dalla regalità opprimente della camera,
seminascosto.
-Vecchio mio.-, bisbigliò l’uomo, aprendo le due ante contemporaneamente. All’interno
del mobile vi era riposta un’unica cosa: un cofanetto, lungo più di un metro
e mezzo, nero come la pece, lucido come un occhio triste. Al centro, sulla metà
superiore, l’effige del ciondolo che Stef aveva visto nel sogno. Squall
sollevò la custodia senza sforzo, appoggiandola sulla scrivania e richiudendo l’armadio.
Rimase alcuni minuti fermò, accarezzando con affetto uno dei suoi ricordi più
importante della gioventù scivolata via in tutta fretta. Sorrise, ma era un
gioia apparente; al contrario, si sentiva trapassato da una lama fatta di
tristezza e incontenibile nostalgia. Aprì in un solo, fulmineo gesto le morse
della doppia serratura, e issò il coperchio. Aveva ritrovato un vecchio amico.
La lama d’argento illuminò il volto di Squall di un bagliore onirico. Il
gigantesco tamburo del meccanismo di sparo non era stato minimamente attaccato
dalla ruggine e la sporcizia; l’arma era esattamente come lui l’aveva
riposta, anni addietro. Il ciondolo era ancora legato al calcio nero e grigio.
Impugnò il Gunblade e lo issò sopra la sua testa, facendolo volteggiare con
grazia su se stesso. Fu stupito nell’accorgersi che non provava alcuna fatica
nel tenerlo in mano, dopo tanto tempo. Era fatto per lui. Lo sapevano entrambi.
E come Squall, il Gunblade si era tenuto pronto. In un angolo della custodia
erano collocate sei lunghe e affusolate cartucce. Le prese, una per una. Con un
gesto del polso destro aprì il tamburo, disponendo ogni proiettile nei sei
alloggiamenti. Poi, lo richiuse con lo stesso scatto di prima. Non armò il
tamburo, non era ancora ora di combattere.
-Comincia a far freddo.-, commento Stef. I capelli castani erano bagnati dalla
pioggia, come il lato del vestito che dava verso l’esterno. Elizabeth sedeva a
sinistra, verso la parte coperta, perciò fu riparata dal corpo del ragazzo e
dalla veranda del giardino.
-Vuoi tornare dentro?-, chiese la ragazza, osservandolo.
-Io…dovrei andare, ho faccende da sbrigare…-
-Oh. Che genere di faccende?-
Colpito. Stef non ne aveva, era solo una scusa per abbandonare quella
situazione. La ragazza dai capelli rossi era gentile con lui, e lui ricambiava l’affetto
verso di lei. Era soltanto frenato da una timidezza che ai tempi della vita
nella città natale non l’avrebbe mai sfiorato; si trovò ad arrossire senza
controllo, balbettare di nervosismo, farsi prendere dalla goffaggine. Voleva
tornare nella sua stanza e pensare all’accaduto, poi l’avrebbe senza dubbio
incontrata di nuovo. Doveva calmarsi.
-Devo…parlare con Squall a proposito della mia…..missione, hai capito?-
-Si, certo.- Il viso di lei si oscurò per qualche secondo. Stef lo notò, e si
alzò in un gesto veloce ma terribilmente sbilanciato. Rischiò di inciampare,
dimostrando il suo nervosismo. Poi si allontanò in tutta sollecitudine.
Elizabeth rimase lì per lì stupita, seduta sopra quella panchina. Non capiva
se aveva detto qualcosa che non andava bene; trovò strano tale atteggiamento. Forse
l’ho ferito. Dovrei tenermi alla larga per un po’?. Si spostò dalla
pioggia che le bagnava il vestito e rimase ferma, e spremersi inutilmente le
meningi.
Quella notte Stef sognò di nuovo. Aveva incrociato Riven all’uscita dell’infermeria,
con le nocche delle mani bendate e disinfettate, ma fece finta di non vederlo.
Non si curò si chiedersi come mai usciva dall’infermeria, lo ignorò e basta.
Quello che una volta era suo amico cercò di fermarlo, alzando un braccio ma
riabbassandolo subito; con tutta probabilità, non lo avrebbe neanche ascoltato.
Si sentiva in colpa, dopo aver capito la potenza del cataclisma generato. Aveva
privato il ragazzo dell’anonimato e della libertà che gode la gente normale;
l’aveva trasformato in un VIP, una personalità di spicco, in questo caso, un
salvatore dei giovani del Garden. C’era davvero da disperarsi, se l’unico
asso che avevano nella manica era quel quattordicenne stanco e malinconico.
Girò i tacchi, senza voltarsi per vedere l’ennesimo ragazzo che augurava a
Stef buona fortuna.
4
NO, NO, IO DEVO ANDARE!
Dalle vetrate si nota la desolazione dell’infinito. Lo spazio. Un uomo, il volto coperto da una maschera (e relativa tuta) da astronauta, viene trascinato con forza attraverso un corridoio; sbraita e si divincola, ma non è abbastanza forte da far fronte a due giovani uomini. La porta si chiude.
“Dove doveva andare? Fuori nello spazio?”
Rinoa cammina per un corridoio ampio e spoglio, ma il termine adatto sarebbe “si trascina”; i piedi strascicano, provocando uno sgradevole fruscio contro il metallo. Le mani sono abbandonate lungo i fianchi. Sembra in trance. Il viso è totalmente inespressivo, gli occhi sono spalancati ma fissi su un punto immaginario. E’ un espressione terrificante. Un apparente sorriso si incurva agli angoli della bocca della ragazza, ma a guardar meglio non lo è assolutamente; perlopiù un ghigno, un riso beffardo, di un’entità orribilmente malvagia. Non apparteneva alla ragazza. Squall giunge al corridoio, e ne rimane impietrito. Un fantasma arrancante. La chiama per nome, lei non risponde. Non sembra essersi accorta dell’amato, che continuava ad urlare il suo nome, sempre più forte. Avanza, scomposta ma con ritmo. L’uomo dai capelli castano/argentati si avvicina correndo, forse per afferrarla per le spalle e scuoterla delicatamente, in un improbabile tentativo di svegliarla dallo stato di ipnosi.
Fa per sfiorarle una spalla, ma viene colpito da una specie di scossa elettica e spinto via da una forza sconosciuta, che gli fa battere con una forza spropositata la schiena contro il muro di metallo dell’atrio, quaranta metri più avanti. Rinoa è posseduta.
Non può fermarla, può solo osservarla mentre sale le scale della stazione spaziale ed entra nella camera dove sono alloggiate le tute. Appena si crea abbastanza distanza fra i due, Squall la segue, ma lei è già uscita.
“Cosa deve fare? Perché è uscita nello spazio? E’ per questo che andrà a cercarla dopo?”
Squall si infila la tuta spaziale ed esce nello spazio profondo. Rinoa è già un puntino, che continua ad allontanarsi in direzione di una costruzione, forse una nuova base. L’uomo attiva i retrorazzi per andare a prenderla, avvicinandosi rapidamente.
Non è una base. Una specie di prigione, che ospita una creatura addormentata, dal ghigno feroce, quasi umana. Stef capisce subito di cosa si tratta.
“Un’altra strega! Questa da dove esce fuori?”
Rinoa apre una pannello, nella parte esterna della prigione. Muove le dita lentamente, ma con sicurezza. Dopo avere digitato una specie di codice, una vampata di fumo bianco si spiana da ogni lato della struttura.
L’essere al suo interno sembra muoversi, divincolarsi. Muove il busto, scuote impeccertibilmente il capo; poi apre gli occhi, e si sveglia definitivamente dal lungo letargo. Lo sguardo è iniettato di sangue, un misto di rabbia, sete di potere e stregoneria.
Rinoa viene spinta all’indietro dai potenti getti di vapore, verso le stelle. Squall la insegue.
OSCURITA’
Lo spazio viene inondato da una potentissima luce bianca, riempiendo
completamente il campo visivo. Il chiarore si stempera dopo pochi attimi,
mostrando un paesaggio diverso.
Una stradina, fatta da ciottoli. Una casa di pietra a due piani, di campagnia.
Un fiume, con una barca di legno attraccata tramite un palo. Un vecchio bar,
ormai in disuso. Un negozio, che mostra un’insegna nuova di fabbrica. Un vasto
palazzo regale, con armature di metallo e tappeti rossi. Un ponticello di legno.
“E’ un paese, molto carino. Folcloristico. Ma…manca qualcosa.”
Il vento spazza la polvere. Le assi del ponte scricchiolano. I fiori della
casa del sentiero appassiscono, per mancanza di cure. Nel pascolo non cavalca
nessun chocobo.
“E’ deserto. Dov’è finita la gente?”
Passa un robot, una fattispecie di carro armato. Il rombo viene amplificato e
distorto nelle orecchie di Stef. Passano dei soldati vestiti di blu dietro il
robot.
“Soldati di Galbadia! Ci siamo vicini, ci sono vicino!”
Uno dei soldati entra in una delle case campagnole. All’interno sono
disposte file di ragazzi, stretti contro i lati e gli angoli. Alcuni sono
pallidi, la pelle scorticata sui gomiti e sulle ginocchia, feriti sulla fronte,
braccia, e torace. Portano tutti divise lacerate, con un simbolo bianco e nero
sulla schiena.
“Galbadia! Ho trovato i SeeD di Galbadia! Poveracci, guarda in che stato,
maledetti …….ma Rinoa dov’è?”
OSCURITA’
HAI PROMESSO.
TI STO ASPETTANDO QUI.
Una grande distesa di fiori. I petali volano, alzandosi per poi riabbassarsi a
terra. Volano in circolo, creando una specie di muro, intorno a qualcosa. Il
cielo è sgombro di nubi, di un azzurro celestiale. All’orizzonte si scorgono
alcune minuscole montagne.
Svegliatevi dal sonno
figli miei l'infanzia è finita
Svegliatevi dal sonno
figli predestinati il sonno è finito
SQUALL, DOVE SEI? TI ASPETTO. HAI PROMESSO!
Sorgete!
Trovate!
Una costruzione in pietra, abbandonata, diroccata. La casa dei ricordi. L’orfanotrofio
dei ricordi. Edea. Edea era La Madre. C’è una strega più grande.
“Perché Rinoa aspetta Squall in quel luogo? Chi l’ha portata, e come fa a
sapere che l’hanno promesso?”
Giunsi al giardino della verità
sciava nel giardino della verità
Un giorno di racconterò del mio sogno romantico.
E’ un servitore, il Cavaliere non ha un potere.
Sono simili, ma mai minimamente uguali.
Con l'ardente verità
Bruciate le tenebre del mondo
Con l'ardente verità
Incendiate le tenebre del mondo
Rinoa aspetta. Il prato è morto, ormai; ma lei è presente comunque. La Signora
sa della promessa. La Signora vuole il mondo. E la Signora e il Cavaliere
vogliono Squall.
Siate forti, figli
nei giorni fatali.
Hai scoperto abbastanza. Vai a riferire, servo.
Stef si sveglia.
5
Corse come un pazzo, senza farsi bloccare dagli insegnanti che lo fermavano
urlando a notte fonda, per i corridoi del Garden. Doveva dirlo a Squall, forse
le tribolazioni erano realmente cessate, Aveva quasi raggiunto la Hall; da lì
avrebbe preso l’ascensore. Se ne infischiava, se il Preside dormiva, il cuor
suo sapeva che era più sveglio di lui. Il momento della verità era alfine
giunto; e il ragazzo pregava che fosse quello giusto, non ne poteva più.
Chiamò l’’ascensore, che lo salutò con il familiare, dolce, piacevole “Ting!”.
Fece un respirò ed entrò.
La piccola porta dalle maniglia argentate con un che di arrogante, sembrava dire
Oggi siamo chiusi, bifolco. Torna domani alle nove, e forse avremo qualche
spicciolo per te.
La spinse con tutte le sue forze, cercò anche di sfondarla pateticamente con
una spallata. Tirò le maniglie, le diede un calcio, dopodiché urlò ai quattro
venti: -Squall! Squall! Vieni!-, con tutto il fiato che aveva. Stava per
rinunciare, e tornare domani, quando sentì lo scattare di una serratura. Il
viso burbero dell’uomo fece capolino dalla porta; il ragazzò notò che non
aveva nulla di assonnato. Uno come Squall non aveva bisogno di dormire, era un
maledetto automa. Un automa con troppi rimpianti.
-Cosa diavolo vuoi? Sai che c’è un coprifuoco? I professori finiranno con l’odiarti….-,
commentò aspro guardando nei profondi occhi castani del quattordicenne,
zittendosi repentino. Stef era serio, troppo serio. Squall non lo aveva mai
visto così determinato e (in fondo) felice, come se si fosse liberato da un
terribile peso; neanche a Timber era così determinato.
-Cosa c’è?-, domandò, osservando che il ragazzo faceva scena muta,
respirando rumorosamente, dopo una folle corsa dal dormitorio alla Presidenza.
-Winhill.-, rispose Stef, con un sorriso amorevole. Squall agrottò le
sopracciglia, in dubbio se commentare sarcasticamente o chiedere educato. Da un
certo punto di vista, in quel momento Stef appariva più maestoso del leader dei
SeeD del Garden di Balamb.
Non so che cos’abbia questo ragazzo, ma di sicuro ne ha da vendere,
qualunque cosa sia.
-I tuoi ostaggi SeeD sono tenuti prigionieri a Winhill.Corri a prenderli.-
Se ci fosse stata una sedia, Squal sarebbe caduto, battendo il fondoschiena a
terra. Invece, da in piedi , si limitò a guardare Stef per un’interminabile
manciata di secondi, ancorandosi con le mani alle maniglie argentate. Dopo aver
preso fiato e aver riattivato la circolazione delle gambe (cercando di non darlo
a vedere al ragazzo), l’uomo si sedette sulla grande poltrona in pelle dietro
alla scrivania.
-Li hai visti in sogno?-, chiese stupito. Non riusciva a crederci: il momento
era quasi arrivato.
-Sicuro, come li avrei visti altrimenti?-, scherzò Stef, mentre si accomodava
su una sedia lì vicino. Sembravano due soci d’affari; una sottile linea di
rispetto trapassava tutti e due, e anche senso di sfida, senza escludere una
nota di leggera antipatia, ma complessa stima al medesimo momento. Entrambi
erano tesi. Squall lo dava a vedere. Stef molto meno.
-E ti consiglio di svegliarti, perché non dureranno a molto. Ho visto le loro
facce.-, continuò il ragazzo, ironizzando sottilmente.
-Domattina avvertirò l’equipaggio e il governo di Esthar. Saremo pronti entro
il pomeriggio.-, disse in tutta foga. Poi si fermò, e squadrò Stef. -Hai visto
anche Rinoa, vero?-
-A Winhill? No, Squall. Ma deve esserci anche lei, giusto?-
L’uomo alzò gli occhi verso il cielo pieno di nuvole. Pioveva ancora, ma con
poca convinzione. L’acqua scivolava via dalla cupola invisibile del Garden,
attraversando l’intera struttura, per poi cadere nel vuoto. L’uomo fissò di
nuovo lo sguardo sul ragazzo. Ora aveva un dubbio, sulla punta della lingua. Un
dubbio in rapidissima espansione.
-Se hanno un minimo di intelligenza, l’avranno portata da un’altra parte,
non credi? E’ stupido ammassare tutti gli ostaggi in un unico luogo,
soprattutto uno importante come Rinoa. Forse la tengono nella prigione, o nella
base missilistica, oppure da qualche altra parte ancora. Non possiamo rischiare,
abbiamo un solo tentativo. Il fatto che tu non l’abbia vista nel tuo sogno
significa senza indugio che lei è vicina, ma non lì. Mi dispiace, dovrai
ritentare con il potere di tua madre.-, disse con rammarico, rattristandosi egli
stesso. Aveva perso la fretta, la gioia. Squall era ritornato il depresso di
prima, distrutto dalla mancanza di amore e l’odio della gente del mondo.
Stef si guardò i piedi. Non aveva visto la donna con chiarezza, e di fatto non
aveva la minima idea di dove fosse con precisione. Aveva realmente perso anche
questa volta? Il pensiero sarebbe stato troppo distruttivo, non poteva essere. C’era
arrivato troppo vicino. Aveva toccato con la punta dell’indice della mano
buona la liberazione, non doveva mancarla di nuovo. Si sentì morire al solo
pensiero. NO. Il Sogno parlava d’altro ancora.
-Squall?-, invocò a bassa voce Stef. L’uomo annuì, invitandolo a proseguire.
-Hai mai visto un prato?-
A quella domanda Squall sorrise. Un sorriso molto poco rassicurante.
-Certo, che domande. Ho visto prati di tutti i tipi.-, rispose, come se fosse
stato il quesito più stupido che il ragazzo poteva addirittura pensare.
-Un prato infinito alla vista? Ospitante tutte le varietà di fiori? Una distesa…..dove
hai fatto una promessa?-
L’espressione di Squall vacillò pericolosamente. Stef aveva colpito nel
segno. -..si. Una distesa magnifica…-, mormorò. Gli occhi dell’uomo si
fecero leggermente lucidi. Il ragazzo non riusciva ad immaginare un uomo dal
tale carattere piangere. Si sforzò in quel momento; fu inutile.
-Rinoa è lì, allora. Qualcuno sta tenendo fede alla tua promessa. E’ tuo
obbligo rispettarla.-, finì Stef. Nella sua voce risuonava un tono epico.
-Ne…sei sicuro?- La domanda dell’uomo fu futile. Lo seppe fin da quando il
ragazzo ebbe pronunciato “promessa”.
Stef non parlò. Squall non parlò. Domani era il gran giorno. Entrambi sapevano
che la fine era vicina, ma nessuno avrebbe mai sospettato che sarebbe giunta in
un modo così repentino e portentoso.
Notò il cofanetto esattamente durante la quiete. Era steso orizzontalmente su
un tavolinetto, in un angolo poco illuminato. Ne fu attratto come non mai.
Puntò l’indice contro l’oggetto.
-Cos’è?-
Squall si alzò per prendere l’oggetto e portarlo agli occhi di Stef.
-Questo racchiude una parte della mia salvezza, e della mia anima. E’ la mia
arma personale. La possedevo durante le missioni da apprendista SeeD, e durante
la Guerra della Strega. Ah, quanti mostri ha reciso, se sapessi! Ma credo che
voi vi conosciate già.-
Stef ne rimase estasiato. La lama brillava quasi di luce propria. Ebbe l’irresistibile
pulsione di sfiorarlo con un dito, di percorrerlo con la punta dell’estremita
di una sua mano, tanto per constatare che esisteva davvero, e non era frutto dei
suoi sogni. Il ciondolo era identico.. Il Gunblade era uguale a come lo aveva
visto, sedici anni prima. Un’arma immortale.
-Prendila in mano. Non premere il grilletto, mi raccomando.-, invità Squall. Il
ragazzo prese con riluttanza il calcio fra le mani, staccando il Gunblade dalla
forma del cofanetto. Subito non riuscì a tenerlo in mano, dato il peso di quell’oggetto.
La lama cozzò per terra con un tintinniò musicale. Squall sorrise.
-Dovrai fare esercizio, se vuoi tenere quest’arma in mano.-
Stef era stupito. L’uomo, nel sogno, sembrava maneggiare il Gunblade con
leggerezza e destrezza, come se pesasse meno di una piuma. Lo aveva issato sopra
la sua testa come un bastoncino di legno.Doveva avere una forza sovrumana.
-Col tempo si è indebolito; dovevi vederlo all’apice della sua forza, contro
i servi della strega Artemisia, e contro lei stessa, saettare con la sua lama
blu fluorescente, in mezzo al mondo d’oscurità…-, continuò Squall. Aveva
realmente gli occhi lucidi, mentre parlava e staccava di mano l’arma dal
ragazzo, per riporla nella solita custodia. Abbassando il capo, Stef notò un
graffio, nel punto in cui la lama aveva colpito il pavimento. A questo punto non
si stupì più.
-Come hai intenzione di affrontare la situazione, domani pomeriggio?, domandò
interessato. La resa dei conti era dietro l’angolo. Squall fece un gesto in
aria con la mano sinistra.
-Il grosso dell’esercito andrà a Winhill per sbaragliare i soldati e portare
gli ostaggi del Garden di Galbadia. Intanto, una Squadra…..si stabilirà nella
loro centro operativo, la base missilistica incompleta, e un’altra nella
Prigione del Distretto D. Piazzeranno una bomba e faranno saltare
contemporaneamente i due impianti, in modo che nessuna delle due parti sappia
dell’esplosione, in modo da spiegare le armi. Infine, io ed un pugno dei
migliori SeeD che dispongo verranno al vecchio Orfanotrofio per salvare Rinoa.-,
disse concitatamente. Aveva ideato il piano in una decina di minuti a quella
parte.
-Ci vorrà un forte spiegamento di forze, Squall. E ci sono rischi di
complicazioni, lo sai bene.-, commentò il ragazzo. Come poteva far esplodere
simultaneamente due basi gigantesche? Come poteva salvare migliaia di ragazzi
feriti, che probabilmente non potevano neanche reggersi in piedi, e intanto
impedire che l’esercito nemico si metta in mezzo? Era un’operazione
azzardata, ma sul viso dell’uomo non vi erano dubbi di qualunque sorta.
-E’ un rischio che tutti noi siamo disposti a correre. Non ci saranno intoppi.
Questo è un corpo d’elite, non sbaglierà in una missione così importante.-
Detto questo, si girò, dando le spalle al ragazzo, per contemplare l’arcata
del cielo nuvoloso, immerso nella notte. Fu in quel momento che Stef si alzò
come un fulmine dalla sedia e andò a scorgere il panorama insieme a Squall.
-Io vengo con te.-, affermò, senza un’incrinazione nella voce. Il Preside non
battè ciglio.
-Come vuoi. Ti assegnerò alla missione a Winhill. Ma non sarai nelle retrofile,
non puoi correre rischi; dopotutto non sai combattere ancora.-
-No, non hai capito. Io vengo con te , all’orfanotrofio, da Rinoa.-
Squall si girò a guardare il ragazzo.
-Sarà pericoloso.-, disse, con una lieve preoccupazione negli occhi. L’antipatia
fra i due stava rapidamente svanendo.
-Fidati di me, anche se ti sembrerà arduo. Non posso deluderti.-
L’uomo sorrise nuovamente, questa volta con maggior impegno. Sgombrò dalla
fronte una ciocca di capelli dai riflessi d’argento.
-Torna a dormire. Domani i SeeD voleranno come da anni non avevano mai fatto.-
Stef non si inchinò, questa volta, uscendo dalla Presidenza. Galoppù invece
con tutta la forza che aveva. Credette di non riuscire a dormire, tanta era l’eccitazione
nel cuore. Ma dopo una decina di minuti, era scivolato nel sonno. E non sognò.
6
Stef dormì maestosamente quella notte, con il pensiero di Rinoa che gli
balenava per la mente. Appoggiò la testa sul candido, morbido cuscino della
piccola stanza nel dormitorio e fu presto nel mondo dei sogni; per fortuna,
quella sera trascorse calma a placida.
Ma dall’altra parte del dormitorio c’erano due persone che non volevano
saperne di addormentarsi. Una era una ragazza, con degli impensabili titubanze
nella testa come: Perché mi ha abbandonata in quel giardino così
frettolosamente? , oppure L’ho disturbato? Farei meglio a lasciarlo
stare? Ero invadente?
Girava e rigirava il capo sul guanciale, alzandosi talvolta a sedere per
ascoltare il ronzio muto della turbina principale ripristinata e lo scroscio
delle deboli gocce di pioggia sulla lucida superficie della struttura. Pensava,
e allo stesso tempo i pensieri andavano ingarbugliandosi. Si trovò a
massaggiarsi la profonda cicatrice sulla mano sinistra, sebbene non provocasse
da tempo dolore, solo una punta di irrequieto prurito ed intorpidimento all’arto.
Lei, come Riven e tutti gli altri abitanti della scuola militare volante, non
erano ancora a conoscenza dell’atroce destino che li avrebbe attesi il
pomeriggio seguente. Ciononostante, sentiva qualcosa di preoccupante muoversi
dentro il suo stomaco. Ma forse erano solo i sentimenti contrastanti che ella
provava per il ragazzo dai capelli crespi.
L’apprendista SeeD si massaggiò le nocche delle mani, seduto sulla sponda
della branda della sua stanza. Non aveva idea, con preciso, di che cosa lo
turbasse, quella notte. Certo, era in pena per ciò che aveva causato a Stef, ma
supponeva ci fosse addirittura dell’altro. Si strofinò gli occhi arrossati e
si tirò indietro i capelli biondi corti. Fece un piccolo e interrotto
sbadiglio, senza curarsi di coprirlo con la mano.La luce della luna filtrava
invisibile attraverso la tapparella della finestra, dipingendo con un tocco di
surrealità striscie di luce azzurra sul volto del quindicenne e sulle pareti.
Doveva parlare con Stef e chiarire tutto, non era molto difficile, ma non
riusciva a scovarne nei meandri del fegato il coraggio per afferrare l’amico
per le spalle e chiarirsi. Rise di gusto, senza emettere suono. Avrebbe avuto il
coraggio di sbaragliare un’esercito, eppure non abbastanza da parlare faccia a
faccia con un compagno irato. Passarono venti minuti, e Riven era ancora seduto
su un lato del letto, gli occhi più svegli di prima. Doveva fare qualcosa,
altrimenti sarebbe impazzito. Così scostò via le lenzuola, poggiò le mani sul
pavimento e incominciò a fare flessioni, contando mentalmente. 1,2,3,4,5…
Forse dopo essersi stancato sarebbe riuscito a chiudere per una decina di ore il
collegamento con il cervello.
Il Garden di Balamb sostava, come sempre, sopra una distesa d’acqua infinita a
vedersi. La pioggia batteva debolmente ma con inconsueta tenacia. Da lontano,
accanto alla luna oscurata dalle nubi, aveva un che di romantico ma
potenzialmente mesto. Un lampo squassò il cielo; un tuono seguitò dopo un
istante. Il tempo sarebbe peggiorato il giorno seguente.
Quasi tutte le luci erano spente, escludendo due: la hall principale (rimaneva
sempre accesa, insieme ai corridoi a cu iera collegata) e la camera della
Presidenza. Al suo interno, due uomini e una donna parlavano di faccende di
importanza estrema.
-Così il momento è giunto.-, osservò Irvine, gli occhi in parte nascosti dal
nero cappello da cowboy. Aveva appollaiato le gambe sulla scrivania, seduto nel
posto che in teoria sarebbe dovuto appartenere nient’altro che a Squall. Egli
invece si era accomodato su una normale seggiola che dava sul panorama notturno
e piovoso. La donna, Selphie, sedeva su un’altra sedia, ma dall’altra parte.
Nessuno si guardava in viso, eppure ciascuno di loro capiva le emozioni dell’altro.
-Si. Ho programmato il piano e non intendo cambiarlo. Spero che tu sia d’accordo
su ciò che ti ho riferito.- disse Squallm senza distogliere gli occhi dalle
nubi.
-Non ho mai nulla in contrario quando le decisioni sono tue. Hai già deciso chi
mandare a sbrigare il problema delle bombe nelle due basi?-
-Manderò due squadre e due caposquadra.-, obiettò il Preside. Gli occhi di
ghiaccio brillavano alla luce della stanza accogliente. Selphie si fece avanti.
-Manda noi.-
Squall si voltò, per squadrarle l’espressione, cercando di capire se facesse
sul serio. Lei proseguì come nulla fosse.
-Siamo bravi a fare questo genere di missioni. Arriviamo lì con una decina di
SeeD ciascuno, piazziamo la bomba e schizziamo fuori dalla porta di servizio.
Come abbiamo sempre fatto.-
Proseguì Irvine. -Gli esperti siamo sempre noi, caro pezzo di ghiaccio
invecchiato. Che ti piaccia o no, è una scelta che nonostante il tuo elevato
rango, non puoi cambiare. Contribuiremo, che ti piaccia oppure no.-
Squall si limitò a scuotere lentamente la testa a destra e a sinistra.
-Con voi mi sentirò più al sicuro, questo è certo.-, osservò alzando un
sopracciglio, tirando per un istante la vecchia cicatrice.
-Quindi è deciso?-, chiese Selphie, dondolando le gambe.
-Quindi è deciso.-, ripetè il Preside.
La notte era giovane. Rimasero in quella stanza fino all’alba, lasciando la
preparazione armi al mattino seguente. Entrambi gli amici di Squall avevano
portato da casa le vecchie armi, ed erano oltremodo felici nel poterle sfoderare
per l’ennesima volta.
E se sarà l’ultima, solo il fato lo deciderà. E noi gli sputeremo sopra.
Si destò presto , quella mattina, e guardando dalla piccola finestra notò all’istante
che il Garden era in movimento. Il ronzio dei motori era più insistente l’oceano
scorreva intorno a loro, mentre se lo lasciavano alle spalle dirigendosi verso
la terra, che già si discerneva in lontananza, offuscata da un velo di nebbia e
nuvole. Causa le sue non proprio sviluppate nozioni in campo geografico, Stef
non distinse che continente era. Ma si sentiva riposato e questo era importante.
Si alzò, si vestì, cerco inutilmente di fare ordine nei capelli e si diresse
verso la Hall del Garden.
Squadre di SeeD si davano già da fare. Evidentemente Squall aveva già
informato tutti. Stef notò uno dei tanti ragazzi che camminavano a lunghe
falcate e lo fermò educatamente.
-Ehi, scusami..-
-Oh, Stef! Hai scoperto finalmente dove sono gli ostaggi? Grazie, tutto il
Garden ti ringrazia dal profondo del cuore…-, disse il ragazzo (che era ancora
apprendista) facendo un possente inchino ad angolo retto. In una differente
situazione Stef avrebbe odiato un tale saluto, ma non era in vena di complicarsi
la vita quel giorno, che sarebbe stato senza dubbio alcuno il più impegnativo
dall’inizio delle sue strampalate avventure nella terra dell’eroismo di quel
corpo d’elite, ormai poco ben visto dalla popolazione mondiale. Ma dovevano
svolgere il loro compito in ogni caso.
-Si, si, grazie. Dove vanno tutti, me lo sai dire?-
L’apprendista si ricompose.
-Oh, non lo sai? Iniziano le offensive!-
-Lo so questo, ma credevo iniziassero questo pomeriggio.-
-Infatti. Il Preside ha chiamato tutti per un discorso nella Hall.-
-Capito. Ti ringrazio.-, concluse Stef sorridendo senza metterci troppa
convinzione. Il ragazzo che aveva interpellato fece un altro inchino e girò i
tacchi immediatamente.
Circa diecimila SeeD (tutta la pochezza dell’esercito, dopo il flusso
migratorio che aveva molto più che dimezzato le loro forze) si riunirono nella
vasta ala d’entrata del Garden. Stavano stretti comunque, e i ritardatari
dovettero accontentarsi di assistere al discorso in lontananza, dai corridoi.
Infatti c’erano giovani in tutti i cantoni; solo il ripiano dell’ascensore
era stato risparmiato. Squall sarebbe sceso da lì. Stef dovette accontentarsi
di un posto d’onore in…settantacinquesima fila ed oltre. I continui mormorii
di curiosità si trasformarono in fragori, con l’aumentare della gente che
affluiva in tutta sollecitudine. Fortunatamente, nessuno riconobbe il ragazzo in
mezzo a quella confusione.
Il Preside scese dall’ascensore seguito da Irvine e Selphie. Nessuno di loro
stringeva in mano le armi, ma alcuni SeeD che assistevano al discorso di erano
già preparati.
-SeeD del Garden di Balamb!-, tuonò la voce di Squall, amplificata da file di
microfoni di larga potenza. A quella frase seguì un boato di urla , e tutti i
giovani presenti alzarono il braccio destro, pugno chiuso, teso
perpendicolarmente al pavimento. Al ragazzo ricordò una sorta di coordinato
concerto.
-Siamo alfine pronti per l’offensiva finale. Il piano è pronto e il Garden
stesso ha gli armamenti predisposti al combattimento. In questo momento ci
stiamo avvicinando al continente Galbadiano. Sosteremo a qualche decina di
chilometri di distanza, e spediremo due veicoli motorizzati con due squadre di
SeeD esperti nell’infiltrazione per piazzare un ordigno esplosivo. . Saranno
dirette una alla base missilistica e una alla Prigione del Distretto D. Non
abbiamo ancora scelto a chi sarà affidata tale responsabilità, escludendo i
caposquadra qui presenti: Irvine e Selphie.- Il Preside indicò i due. I
mormorii, che erano cessati di colpo dopo il saluto, cominciavano nervosamente a
riaffiorare.
-Ma il grosso dell’esercito sarà inviato alla cittadina di Winhill, dove sono
stati piazzati gli ostaggi del Garden di Galbadia. Gli obiettivi sono
sbaragliare quanti più soldati nemici possibili e salvare i prigionieri. Sarete
i primi ad attaccare, scatenando di conseguenza l’effetto sorpresa, in modo
che non riescano ad uccidere i SeeD. Cercate di trarre in salvo, se potete, gli
abitanti della città, anche se la loro locazione è tutt’ora sconosciuta.
Avete tempo per prepararvi, le armerie del Garden saranno aperte entro mezz’ora,
ogni arma e permessa, escludendo quelle pesanti, essendo precedentemente state
assegnate. Chiunque sia esperto di magia, di qualunque genere, sarà prontamente
assegnato a questa basilare missione.-
Si sentiva un forte odore di eccitazione e rispetto. Tutti i ragazzi erano tesi
e pronti, l’orgoglio a mille. Stef fu ulteriormente caricato da quei
sentimenti. Squall proseguì.
-L’attacco è fissato per le ore quindici. In attesa dell’ora X, formeremo
squadre, assegneremo armi, specificheremo il piano, e naturalmente cercheremo di
non essere visti mentre ci avviciniamo. Il sistema di occultamento è sempre in
funzione. L’ultima squadra è diretta all’orfanotrofio di Edea, nella parte
sud del continente di centra. Io sarò in quella squadra. - detto questo, Squall
esitò per qualche istante, aspirando quel clima. Poi proseguì, finendo il
discorso. - I morti ci saranno, questa è una probabilità che tutti dovete
accettare. Vi dico solo che tutti voi sarete ricordati. Che l’onore sia nel
vostro cuore, e la vigliaccheria e il tradimento non offuschino mai la vostra
anima.- E scomparve nell’ascensore. I presenti iniziarono a disperdersi in
tutte le direzioni.
7
L’apprendista SeeD Riven ed Elizabeth furono naturalmente assegnati alla
battaglia di Winhill. Il biondo quindicenne ricevette una spada affusolata dalla
lama leggera e sottile, la ragazza d’altro canto accolse un dono più
generoso: un fucile da cecchino. Non avrebbe potuto impugnare uno spadone, causa
la mano ferita, perciò avrebbe dato sostegno nelle retrovie, appostata da
qualche parte. Correva pochi rischi. Riven ne correva molti di più.
Il fervore continuò per ore. I SeeD viaggiavano con fretta in ogni parte della
struttura; professori davano ordini; le squadre venivano create dove c’era
abbastanza spazio per un rituale ben fatto. Squall non dava ordini, si limitava
a fare disposizione sulle faccende più importanti, senza toni autoritari. Dopo
pranzo, i tre amici da una vita si divisero.
Passava il tempo e Stef si preoccupò presto di non avere un’arma. Lui non
aveva mai avuto esperienza, e gli addetti dell’armeria non avevano voluto
ascoltare giustificazioni: No e No.
Il Garden giunse al continente Galbadiano, proseguì per un’altra ora e
atterrò a cinque chilometri dalla paesino di Winhill, silenzioso come non mai.
-Aprite tutti i portelli. I SeeD possono scendere.- disse Squall. A fiotte i
ragazzi scesero, senza un ordine apparente. Quando tutti furono sistemati sul
prato dove la scuola era atterrata, il Preside uscì per due parole di
incoraggiamento. -Qui inizia la vostra missione. Io posso darvi ordini, ma
sappiate che il Garden non sarà qui a darvi una mano. Dopo che avrete iniziato
la camminata che vi porterà ai combattimenti, noi partiremo per le operazione
successive. E’ tutto chiaro?-
Un coro di “Si!” si levò.
-Perfetto.- , commentò l’uomo compiaciuto. -Buona fortuna, di cuore, cari
ragazzi.-, e detto questo, scomparve all’interno della struttura. I
capisquadra cominciarono ad impartire ordini, separando i combattenti in modo da
creare file e cerchi di sbarramento. I SeeD con le armi pesanti furono disposti
dietro; le armi leggere davanti; gli esperti di magia fra i due e ai lati del
piccolo esercito. Eventuali cecchini (fra cui la ragazza di cui Stef era
infatuato) furono piazzati in ultima fila, in attesa di trovare una postazione
adatta. La marcia iniziò. La scuola militare decollò, diretta a nord.
Irvine scostò il cappello da cowboy verso l’alto con un gesto distratto della
mano sinistra. Nella mano destra impugnava stretto un pesante fucile a canne
mozze. Lo aprì con un rapido movimento e controllò che le cartucce fossero
inserite. Si. Perfetto. Lo depose in una grande ed elaborata fondina di cuoio
legata dietro la schiena, come la faretra di un arciere.
-Signor Kinneas! Signora Tilmitt!-
Stef aveva finalmente trovato i due amanti. Erano entrambi nel garage, insieme a
dieci SeeD per ognuno, in procinto di salire sui veicoli che li avrebbero
portati alle due basi.
-Stef!- Selphie saluto allegramente il ragazzo, cingendolo che le braccia. -Cosa
c’è?-
-Io…beh…ero soltanto venuto a salutarvi, ecco.- disse il ragazzo
timidamente. Non era mai stato bravo in queste cose. Entrambi sorrisero, in un
corto silenzio. Poi Irvine si avvicinò, gli scompigliò i capelli e disse: -ci
fa piacere. Buona fortuna,ragazzo. Squall ti aspetta.-
Stef si girò e vide la sagoma slanciata del Preside che lo attendeva all’entrata
del garage, Teneva il Gunblade nella mano destra, lucente come la Grande Luna in
una notte sgombra di nubi.
Selphie diede una pacca amichevole e dolce sulla spalla di Stef. -Vai, su.-, fu
l’unica cosa che gli disse, sorridendo. Il ragazzo annuì col capo e corse
via, voltandosi continuamente verso i veicoli che ora chiusi attendevano l’arrivo
nella zona di sbarco.
Il Garden era deserto. Il ronzio stabile della turbina principale riempiva l’aria.
Era uno scenario terrorizzante, per chi era abituato a vedere la struttura piena
dal viavai di studenti spensierati. L’acqua scorreva placida sotto di loro,
aumentando ancora di più la tensione del momento. Appariva come una nave in
procinto di affondare dopo che i superstiti erano tratti in salvo,
agghiacciante. I passi di Squall, Stef e cinque altri SeeD (i più anziani),
rimbombavano come uno stereo al massimo volume. Anche le parole che si
scambiavano, seppur a bassa voce, formavano un eco lungo e potente.
-Non hai salutato Irvine e Selphie.-
-Ci siamo salutati precedentemente, Stef.-
-Capisco. Qual è la mia arma?-
-Tu non ne hai bisogno. Combatterai in un secondo momento, quando ne avrai
appreso l’arte.-
-Cioè, fammi capire bene, io dovrei venire con te disarmato?-
-Esattamente. Non preoccuparti, hai tutta la protezione che ti serve. I SeeD
alle tue spalle sono veterani.-
I cinque “vecchi” combattenti annuirono con il capo, contemporaneamente.
-Se lo dici tu.-, assentì Stef.
-Fidati, come io faccio con te.-
Il ragazzo non trovò di che ribattere alle parole di Squall. Salirono al
portello del secondo piano, ed aspettarono che il Garden fosse nella posizione
giusta per scaricare i veicoli motorizzati; per poi arrivare all’ultima
destinazione: L’Orfanotrofio.
Circa diecimila SeeD armati camminavano a passi lunghi. Il paese di Winhill da
quella distanza appariva come una città morta, abbandonata da chissà quanto
tempo. Il sole brillava mentre continuava la marcia verso ovest, per incontrare
l’orizzonte. La luna faceva da quadretto, orlata d’azzurro cielo. Poche
centinaia di metri separavano i valorosi giovani dall’esercito Galbadiano.
Solo una collina erbosa li scindeva dalla vista delle vedette Galbadiane. Dopo
aver superato quell’ultimo ostacolo, i nemici li avrebbero visti. E in quel
momento la battaglia avrebbe avuto inizio.
Il campanile della chiesa di Winhill si era trasformato, durante l’invasione e
la successiva occupazione, in una vedetta eccellente. Un giovane soldato,
coperto da elmetto e provvisto di binocoli, scrutava poco interessato il
panorama che sfilava immobile dinnanzi a sé. Un generale stava rapidamente
salendo le scale della costruzione per fare un controllo sul lavoro dell’incaricato.
-Vedi niente, Soldato Winfield?-
-Assolutamente no, generale.- Il soldato semplice lasciò cadere i binocoli,
legati al collo tramite una sottile corda di cuoio, e portò con velocità la
mano destra tesa alla fronte.
-Bene. Passerò nuovamente di qui fra un’ora, per il rapporto, come tu ben
sai.-
-Certo, generale.-
Il soldato di grado superiore stava quasi per scendere le vecchie, rustiche
scale di legno quando Winfield lo fermò.
-Signor Generale?-
-Si, Soldato?-
-Quando potrò avere la mia paga, se è lecito chiederlo? Sa, io avrei una
famiglia da mantenere….-
Il generale spalancò le braccia, come spazientito-Non ne ho la ben che minima
idea, soldato. Dovrai chiedere al comandante di questa postazione, ma ora è
troppo occupato con gli ostaggi. E poi hai il tuo lavoro da sbrigare.-
-Si, signore.-, concluse Winfield. Le sua spalle davano al paesaggio, perciò
non vide i primi SeeD che spuntavano dall’alto della collina che faceva da
entrata a Winhill. Ora correvano, per coprire nel meno tempo possibile il
tragitto dove potevano essere messi sotto tiro. Tutti avevano le armi cariche e
sfoderate, in procinto di attaccare. Ciononostante, erano più silenziosi di una
piuma.
Il Generale scese velocemente le scale, mormorando fra se e se un motivetto
conosciuto. Il Soldato semplice vide sparire la divisa rossa del suo superiore,
poi voltò le spalle. Per un attimo credette di essersi addormentato mentre
scrutava il paesaggio con il binocolo. Sto sognando, come ho fatto a non
sentirli mentre parlavo con il generale?
Urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
-NEMICI! SEED IN RAPIDO AVVICINAMENTO DA SUD! PREPARARE LE ARMI, UCCIDERE GLI OS…-
Non riuscì a terminare la frase. Fu raggiunto in un nanosecondo da un
proiettile che gli trapassò il capo da parte a parte. Cadde a peso morto sul
pavimento, sporcando di rosso le mattonelle del campanile. Ma era troppo tardi.
Tutti avevano visto l’ondata di SeeD che raggiungeva le porte del villaggio e
cominciava a mietere vittime.
Elizabeth si era scelta un bel posto dove svolgere le mansioni di cecchino che
le erano state ordinate. Dalla cima della collina aveva l’intero paese sotto
gli occhi, anche se la parte nord di Winhill stesso sarebbe stata un po’
troppo distante, date le sue capacità non molto raffinate. Ma disponeva di un’ottima
vista, come aveva brillantemente dimostrato colpendo quel soldato di vedetta sul
campanile. Centro perfetto. Sorrise a se stessa e si complimentò per l’ottimo
centro. Era un buon inizio, dopotutto. Espulse il bossolo della cartuccia che
aveva appena fatto fuoco e ne pescò un’altra dalla tasca dell’uniforme. Non
aveva ancora concluso l’esame per diventare apprendista, ma in uno sforzo di
magnanimità le avevano permesso di indossarla in quest’occasione. Strinse
leggermente il proiettile nella mano destra e ricaricò il lungo fucile in un
gesto fulmineo, pronta a sparare di nuovo, e di conseguenza uccidere. Che
donna battagliera , pensò.
Le armi pesanti non avevano ancora iniziato a far fuoco. La prima fila di SeeD
era appena entrata a Winhill e aveva da poco cominciato a combattere. I primi
non furono un problema. Corsero uno contro l’altro. Un soldato di rango
maggiore, con l’uniforme rossa, aveva sparato con la mitragliatrice piazzata
sul braccio destro fin da quando aveva scorto i primi nemici. Ma aveva
scarsissima mira. Un SeeD armato di spada aspettò finchè non ebbe esaurito i
colpi, poi gli tranciò di netto l’arto armato con un gesto rapido della lama
acuminata. Il Soldato non urlò neanche; cadde bocconi e basta.
Le prime urla si diffusero per la vallata. Un giovane apprendista, che aveva
superato da poche stagioni la matura età, toccò terra colpito da una raffica
di mitragliatrice al petto. Un rivolo di sangue gli uscì dalla bocca, formando
una piccola pozza rossa all’altezza del viso.
La linea di avanzamento dei ragazzi di Squall avanzava lentamente, in un
costante boato di fragori di armi da fuoco e nel tintinnio delle armi bianche.
Un ragazzino decapitò senza rimpianti un soldato che non aveva neanche
incominciato a far fuoco, forse intontito dal cosiddetto “Effetto Sorpresa”.
Riven entrò in questo istante, con la seconda ondata. Fece volteggiare di
fronte a se la lunga spada, poi colpì di striscio un nemico, senza sbatterlo a
terra.
-Crepa bastardo! Muori!!-, inveì l’apprendista con un goffo affondo verso il
soldato che aveva sfiorato prima. Egli aveva sfoderato la spada e parò senza
troppe difficoltà l’attacco del ragazzo. Iniziò un feroce combattimento a
due, dove entrambi paravano a ritmo concitato i colpi che infliggevano. Le due
lame tintinnavano, e per un attimo Riven temette che fosse la fine, quando la
lama nemica si abbattè sul suo ginocchio, tagliandogli via solo un esiguo lembo
di pelle. Attaccò con più forza.
Il Garden era atterrato nuovamente, questa volta per far scendere i due veicoli,
che si stavano oramai allontanando in due direzioni ben distinte. Squall, Stef e
gli altri cinque sconosciuti avevano visto tutto dal ponte del secondo piano.
-Torneranno?-, domandò il ragazzo, già sapendo la risposta dell’uomo.
-Non lo so. Spero di si.-, si limitò a dire Squall.
-Cosa ti aspetti di trovare, all’Orfanotrofio?-
-Mi aspetto di combattere, ma non contro soldati normali. Laggiù ci aspetta
qualcosa di ben più pericoloso, ragazzo mio.-
-Hai un’idea di che cosa?-, domandò curioso Stef.
-No. Forse sarà una sorpresa che provocherà stupore addirittura a me.-
Stef rimase zitto, a contemplare il paesaggio, oscurato dalle nubi minacciose e
scure. Con tutta probabilità, avrebbe ricominciato a piovere entro poco tempo.
-Non chiedermi più nulla. Stiamo raggiungendo il tempo . Presto i punti
interrogativi saranno rimossi.-
Detto questo, il Garden ripartì.
8
-Selphie, qui Irvine, mi ricevi?-
L’uomo vestito da cowboy stava praticamente urlando nella radio, mentre veniva
sbattuto di qui e di là dalle vibrazioni potenti del veicolo. Stavano
atrraversando una vasta zona deserta, ove al centro si estendeva una costruzione
formata da tre edifici identici, collegati fra loro, molto strani. Gli ricordò
un cavatappi.
-Selphie! Qui Irvine, mi ricevi?-, ripetè, alzando ancora di più il volume di
voce. Dall’apparecchio provenivano suoni gracchianti e fastidiosa statica.
Dopo qualche secondo di preoccupante attesa, una vivace e acuta voce da donna si
fece viva, in mezzo alle interferenze.
-Qui Selphie, tesoro!-
-Grazie al cielo! Com’è la situazione laggiù?-
-Qui è stabile, grazie per averlo chiesto. La base missilistica è vicina-
-Perfetto!-, sbraitò Irvine, sorridendo da solo senza curarsi dei dieci SeeD
che aveva alle spalle. -Quanto distante?-
Ci fu un attimo di silenzio, poi Selphie rispose. -Non mi sono messa a contare!
Comunque siamo vicini! Il SeeD che ho qui vicino stima che arriveremo entro
10-15 minuti, cominciamo a prepararci!-
-D’accordo, anche da noi la distanza è esigua. Questa è l’ultima
conversazione prima della missione. Ci contatteremo alla completa riuscita degli
obiettivi. Passo e chiudo, Selphie. Ti Amo.- E chiuse il collegamento. Sapeva
già la risposta, senza doverla ascoltare; ormai se lo dicevano ogni qualvolta
era possibile.
Erano vicini.
Un giovane apprendista giaceva a terra, la divisa sporca dalla polvere della
terra di Winhill. Accanto a lui i compagni combattevano senza sosta. Un suo
amico, di pochi mesi più grande, aveva appena trapassato da parte a parte un
soldato semplice armato di spada corta. I detriti continuavano ad alzarsi,
durante il gran movimento della battaglia, formando una misteriosa nebbia color
giallo sporco.
Il cielo tuonò per l’ennesima volta, e una solitaria goccia si infranse sui
capelli del giovane. Tentò di alzarsi, senza successo. Fu bloccato da una
poderosa scarica di dolore, lancinante, alla gamba sinistra. Non aveva il
coraggio di guardare, ma si armò di coraggio e chinò la testa verso l’arto.
Vide la divisa che dal ginocchio in giù non era più distinguibile dalla pelle
rosso carminio del polpaccio. Scorse brandelli dicarne che pendevano dalla gamba
come stracci strappati. Prima di impallidire notò anche un foro di proiettile
nel bel mezzo della scarpa, anch’essa fradicia di liquido rosso e denso.
Poi perse i sensi, e si risvegliò in infermeria, il giorno successivo.
Elizabeth non sapeva chi colpire. Il proiettile era in canna, pronto a partire.
La mano sinistra le doleva leggermente, poiché gran parte del peso del fucile
gravava sopra la ferita ormai chiusa, ma ancora ben visibile. Sperò che non si
aprisse nuovamente, e guardò di nuovo dal cannocchiale montato sopra l’arma.
Orde di SeeD si abbattevano sui nemici; qualcuno vinceva, qualcuno veniva
colpito con crudeltà. In qualche punto, la terra sabbiosa era umida di sangue,
e la nebbia causata dai detriti che continuava ad alzarsi non aiutava di certo
le condizioni della ragazza.
Aumentò l’ingrandimento, ruotando da una parte il mirino. Poi lo diminuì,
dando un’occhiata alle prime file della battaglia. Fu in quel momento che vide
un giovane apprendista dai capelli chiari, armato di una lunga spada che
(sinceramente) non gli si addiceva, combattere con un soldato semplice, che
parava senza troppa difficoltà i goffi fendenti del giovane. Entro breve,
avrebbe attaccato sul serio.
Inspirò profondamente aria sporca, afferrò saldamente con l’indice destro il
grilletto e fece fuoco. Il proiettile si conficcò nella terra a circa cinque
centimetri da uno dei piedi del soldato. L’apprendista SeeD non se ne era
neanche accorto, preso com’era dalla rabbia che probabilmente un giorno lo
avrebbe portato a seri problemi.
-Merda!-, disse, anche se non c’era nessuno che poteva sentirla. Era sola, in
quella specie di trincea sul punto più alto della collina. Prese la terza
cartuccia, la inserì senza grazia nel fucile e lo armò più presto possibile.
Si prese qualche secondo per fermare il crescente tremore alle mani dovuto alla
tensione e per mirare meglio.
Il ragazzo era in seri problemi. Il soldato attaccava con più forza, e anche se
non se ne accorgeva, il biondino stava lentamente indietreggiando, calcando meno
nel tenere con entrambe le mani la lunga spada. Entro una decina di secondi il
nemico gliel’avrebbe scalzata di mano, e subito dopo avrebbe affondato la
spada d’ordinanza Galbadiana negli organi interni del giovane.
Scostò con un’insignificante gesto del capo i capelli rossi e schiacciò il
grilletto con tutta la forza che aveva. Il proiettile partì come gli altri; si
diresse con la velocità di un missile microscopico verso il paese di Winhill e
si conficcò a fondo nel petto dell’uniforme del soldato. Sorrise, esplulse il
bossolo e cercò nella tasca un nuovo colpo.
Uffa, lo stavo ammazzando , penso Riven, quando vide il nemico crollare a
terra, trapassato da un misterioso proiettile venuto da chissà dove.
Si girò per contemplare la battaglia. Squadre di SeeD avevano raggiunto buona
parte delle case, liberando alcuni ostaggi e difendendo le posizioni che si
erano con fatica conquistati. I soldati Galbadiani proseguivano la difesa,
sparando e affondando le spade nei corpi dei giovani che coglievano impreparati.
Non riuscì a fare una stima precisa in mezzo a tutta quella confusione, ma
credette che almeno un centinaio di SeeD (magari anche qualche suo conoscente)
fosserò già periti, notando il numero di corpi accasciati a terra.
Osservò il corpo del nemico che qualche sconosciuto benefattore aveva
eliminato, e vide la spada d’ordinanza dell’esercito ancora nella mano di
lui. Lasciò cadere lo spadone e prese quella. Così andava molto meglio. Corse
verso il centro del paese, verso il fulcro dei combattimenti.
Due generali, nelle case che ancora non erano state prese dai nostri, avevano
ricevuto un preciso ordine e lo stavano eseguendo con perizia e senza rimpianto
alcuno. Armati ognuno di un affilato coltello, sceglievano dalla mischia degli
ostaggi ragazzi di ogni grado ed età e li freddavano senza sosta. Una cosa
è certa: i SeeD non potranno vantarsi di aver salvato tutti gli ostaggi.
-Tu.-, disse uno dei due soldati, diretto ad un giovane mingherlino e debole
dalla lunga esperienza in quell’orribile luogo.
-No, la prego, signore, io no!-, cercò di implorare il ragazzo, mentre veniva
afferrato per i capelli e sbattuto al centro della stanza. Il soldato non disse
nulla, avvicinò solo il coltello alla gola del giovanetto.
-Io non ho fatto nulla, non sono neanche apprendista SeeD, non so combattere! La
prego, n…-
La lama scattò e squarciò senza troppi complimenti la gola del ragazzo. Il
poveraccio si artigliò la ferita con le mani, in un disperato tentativo di
incamerare aria; intanto il suo sangue gli inondava i vestiti. Impallidì in
fretta, sbarrò gli occhi e crollò vicino ad un cumulo di morti, già sgozzati
allo stesso modo. Gli ostaggi non si sottraevano più a quella vista. Speravano
solo che la battaglia arrivasse da loro in tempo.
Un caposquadra, vestito di tutto punto, con la divisa pulita, neanche sgualcita,
levò la spada in aria ed urlò alle numerose file di SeeD che ancora
attendevano di entrare in battaglia. Erano tutti pesantemente armati, con lance,
balestre e numerose armi da fuoco pronte a seminare distruzione.
-ARMI PESANTI E MAGIE D’ATTACCO! AVANZARE!-
Le file iniziarono a farsi avanti, senza correre, caricando gli strumenti d’offesa
e spianando la strada. Gli esperti in magia si concentrarono, le mani tese in
avanti.
Anche da Selphie la missione aveva cominciato con il piede giusto. Non aveva la
minima idea di come procedeva la battaglia di Winhill, né aveva notizie dalla
squadra di Irvine. L’avrebbe saputo dopo, sempre che non fosse morta durante l’operazione.
La base missilistica era tutt’ora incompleta. Gli hangar erano vuoti e semi
accartocciati su se stessi, parte delle mura di difesa mancavano. Molti palazzi
erano in costruzione, altri veicoli erano abbandonati da chissà quanto tempo.
Sicuramente sarebbe stato facile entrare, infiltrarsi un po’ meno, a quanto
pare. Un nugolo di soldati stazionava l’ingresso, e chissà quanti ce ne erano
sottoterra, dove avrebbero dovuto piazzare l’ordigno esplosivo.
-Il cancello di ingresso è chiuso ermeticamente e la parte di mura mancante è
stazionata da guardie, capo-, riferì un SeeD provvisto di binocoli.
-Armati?-, domandò Selphie, all’interno del veicolo. Il SeeD diede un
ulteriore occhiata, poi scrollò le spalle.
-Abbastanza, capo.-
La donna prese in mano i nunchaku che da tempo la accompagnavano.
-Al diavolo l’infiltrazione, ragazzi. Facciamo sul serio. Sgominiamo le
guardie e apriamo un varco per entrare ai piani sottostanti.-
I dieci SeeD che la accompagnavano la scrutavano perplessi.
-Siamo solo in undici. Come faremo a liberarci di una tale quantità di nemici?-
-Ce ne libereremo.-
Stando alla previsioni Irvine aveva raggiunto la prigione pari passo a loro, in
completa sincronia.
Il Garden di Balamb era ancora in viaggio.
9
L’ennesimo tuono squassò l’aria. Le gocce d’acqua cadevano ormai con
ritmo cadenzato, infrangendosi sulle divise, sulla terra e mischiandosi col
sangue che cominciava a percorrere i fossi e gli avvallamenti del terreno come
un fiume appena nato. Un caposquadra SeeD urlava a tutta forza RAGGIUNGETE LE
CASE, RAGGIUNGETELE PRIMA CHE I SOLDATI ABBIANO UCCISO GLI OSTAGGI!!! , ma
era alquanto difficile distinguere gli ordini in mezzo a quella confusa
accozzaglia.
Incominciarono a saettare gli attacchi delle forze magiche. Gli esperti,
addestrati proprio a scagliare quel genere di offensive, scatenavano globi di
diversi colori che si trasformavano in pochi secondi in magie di vari elementi.
I SeeD continuavano a cadere durante l’avanzata; anche i soldati Galbadiani
cominciavano a diminuire, i corpi si ammassavano insieme ai cadetti del Garden.
Dopo la morte non si è più in guerra contro nessuno.
Un giovane addetto alle armi pesanti imbracciava un fucile, forse troppo grande
per lui, e spianava la strada ai compagni. Sparava e ricaricava facendo ruotare
il braccio, a quanto pare con uno sforzo disumano. Le raffiche di mitragliatrici
dei soldati fendevano comunque le nubi di polvere che non accennavano a sparire.
Quasi tutti quelli piuttosto in lontananza facevano fuoco a vuoto, sperando di
colpire almeno qualcuno, non si sa mai. Due o tre nemici furono colpiti dai loro
alleati.
Riven dava man forte, come tutti gli altri. Si sentiva più a suo agio con la
corta spada che aveva rubato al cadavere del soldato semplice con cui aveva
combattuto in precedenza. Riconobbe un suo conoscente (ma in una scuola come
quella in cui i ragazzi venivano addestrati ci si conosceva tutti, almeno un
pochino) con i capelli bruni, steso a terra, infradiciato dalla pioggia. Gli
occhi erano spalancati. Morto. Si chiamava Marten , ricordò Riven, e
continuò ad attaccare.
Selphie era uscita dal veicolo che aveva utilizzato, insieme agli altri dieci
SeeD. Teneva il nunchaku in mano, i due bastoni attaccati l’uno con l’altro.
Anche gli altri stringevano le armi in mano. Era un miracolo che le guardie non
avessero ancora visto quell’insignificante team. O era una sfortuna.
Si avvicinarono acquattandosi il più possibile, fino a toccare la parte in cui
le mura finivano per mostrare il varco; il punto debole.
-Aspettiamo che la guardia arrivi. La prima è mia. Voi mi seguite. Tutto
chiaro?-
-Si, capo.-, dissero insieme, annuendo.
Stettero fermi e in silenzio, attendendo che il soldato arrivasse. Da loro il
cielo era soltanto minaccioso; a Winhill cominciavano le avvisaglie di un
temporale maestoso e pericoloso.
E’ un suicidio.
-Dove diavolo è l’entrata?-, sbuffò Irvine dopo aver alfine raggiunto la
base della prigione del distretto D. C’era un grande boccaporto, ma nella
parte superiore di ognuno dei tre cavatappi , a circa cento metri da
terra. Diede un calcio ad un sasso, che cozzò contro la prigione con un vago
rumore sordo.
-Voi tre.- Irvine indicò tre dei dieci SeeD della Squadra. -Andate a vedere se
nelle altre zone c’è un entrata, un passaggio…..un qualunque pertugio!-
-Agli ordini.-
L’uomo poggiò le mani sulla base della prigione. Fermamente solida.
Lui c’era già stato, sedici anni prima.
Possibile che non mi ricordi come diavolo si entri? Noi abbiamo trovato l’uscita
dall’alto, ma deve certamente esserci…
Scrutò la forma della prigione. Un’idea colpì la sua materia grigia con
forza.
-Ho trovato.-, disse.
Altro momento di decisione per Elizabeth. Chi colpire? Le case erano tutte
sprangate, non poteva vedere cosa c’era all’interno. Nessun SeeD sembrava in
assoluta difficoltà; certo, i soldati Galbadiani abbondavano, ma non poteva
colpire a destra a manca tutti quelli che inquadrava: aveva i colpi contati. Non
ne possedeva più di una ventina.
I capelli rossi le si appiccicavano alla fronte, in un miscuglio di sudori
freddi e pioggia limpida e fresca. Cerca un generale, un tipo importante.
La mano sinistra cominciava a dare piccole fitte di dolore ogni volta che
spostava il fucile. Strinse i denti e vide un nemico dall’uniforme rossa,
mitragliatrice piazzata sul braccio, che se ne stava in disparte urlando quelli
che probabilmente erano ordini ai soldati semplici che combattevano. Mirò
quello; fece fuoco ed egli cadde a terra. Ricaricò.
Selphie impugnò uno dei due bastoni del nunchaku nella mano destra, dopodiché,
con un fulmineo scatto, fece ruotare il pezzo di legno sulla testa (o per meglio
dire, sull’elmetto) di uno dei soldati di guardia. Si sentì un rumore
metallico.
-ALL’ATTACCO!-, urlò lei e la Squadra si mise a correre dentro la breccia
nelle mura. I soldati si erano già allarmati e iniziavano a sfoderare le armi.
La donna chiuse gli occhi, tese le mani verso una manciata di ufficiali
Galbadiani in corsa contro di lei e si concentrò. Aprì le palpebre nello
stesso istante in cui distavano pochi metri da lei. Urlò contro di loro. Firaga!
Le sue mani furono avvolte da un’energia rossa, che istantaneamente saettò
verso i soldati, che avevano frenato la corsa. Le loro divise presero fuoco e
quattro di loro vennero spostati all’indietro di una decina di metri dalla
grande potenza di quella magia. Selphie scrollò le mani e sorrise raggiante.
I due soldati continuavano a far scattare i loro coltelli. Gli ostaggi
imploravano, tentavano la fuga, si disperavano, sapendo che i loro compagni
stavano combattendo lì vicino (molto vicino). Temevano che non sarebbero
arrivati abbastanza in fretta. Era un dubbio reciproco.
-Tu.- annunciò nuovamente uno dei due nemici, puntanto l’indice inguantato
verso una apprendista SeeD dai capelli biondi e la statura limitata. Si
avvicinò e la prese per i capelli, incurante delle suppliche.
La spinse accanto al cumulo di vittime e si preparò ad eseguire l’ordine,
come gli era stato detto. Forse provava anche una punta di divertimento.
Dopotutto aveva scelto quel lavoro perché gli piaceva, in fondo.
-Addio, dolcezza-, mormorò in modo che solo loro l’ostaggio potesse sentirlo.
Le lacrime solcavano il viso della ragazza, sporco da fuliggine e sangue
rappreso. La lama fredda sfiorò per la prima volta la gola di lei, accingendosi
a fare sul serio.
Ma il soldato non capì mai cosa successe una frazione di secondi dopo. Tutto si
fece nero, ed egli colò via da questo mondo, raggiunto al cervello da una
pallottola spuntata dal nulla; se avesse staccato per soltanto un attimo lo
sguardo dalla gola della apprendista, avrebbe visto i due SeeD che avevano
aperto nel massimo silenzio la porta di quella casa. Troppo tardi.
L’altro lo seguì poco dopo.
Il primo dei due SeeD accorse la ragazza, traumatizzata dal pensiero di avercela
fatta per un pelo…il pelo più sottile che avesse mai visto. Il secondo, con i
capelli biondi umidi dalla pioggia battente, era andato a soccorrere gli altri
ostaggi.
-Mi chiamo Riven, sono apprendista del Garden di Balamb. Non badate alla spada,
è un regalo di un gentil soldato. Siete liberi.-
Il maltempo non si faceva vivo nel continente di Centra. Il Garden sfrecciava a
velocità massima, alleggerito dalla quasi totale mancanza di uomini al suo
interno. La mensa era deserta, nessuno vi era ad ammirare lo splendido soffitto
di vetro; l’infermeria non aveva pazienti, ma presto, a fine missione, ne
sarebbe stata piena; nei dormitori non riposava nessuno; le aule giacevano
incustodite. Regnava il silenzio assoluto, tranne che al ponte del secondo
piano, dove sette persone attendevano con ansia L’Ultima Destinazione. Squall
si era seduto a gambie incrociate sul pavimento. I suoi capelli argentati
venivano scrollati violentemente dalla brezza gelida di fine novembre. Stef si
era aggrappato al corrimano, intento ad ammirare il panorama dall’alto che
sfrecciava. Era quasi tutto deserto; il sud non era particolarmente abitato.
-Quanto manca?- , domandò il quattordicenne al Preside. Egli si prese un po’
di tempo per pensare, poi rispose senza alzare gli occhi. -Poco, ormai.-
Stef annuì, e tornò ad osservare.
-Non c’è motivo di preoccuparsi finchè il problema non si mostra.-,
illustrò Squall, senza muoversi di un centimetro dalla precedente posizione. Il
ragazzo alzò le sopracciglia e si strofinò gli occhi. I cinque SeeD non
avevano proferito parola.
All’orizzonte si scorgeva un puntino, praticamente invisibile, ma con il
dovuto sforzo era già possibile notarlo da quella distanza. Le nuvole
sembravano nascere da quella posizione. Gli uccelli volavano in senso contrario
a quella meta.
10
-Qui veicolo Galbadiano, mi sentite base prigione? Qui veicolo Galbadiano,
portiamo due prigionieri del Garden di Balamb; attendiamo il permesso di entrare….-
Irvine armeggiava vicino alla radio del veicolo, cambiando frequenze in modo da
mettersi in contatto con i piani alti del loro obiettivo. Senza molto successo.
Decise di aggiungere un tocco di drammaticità grazie al suo (poco) talento di
attore.
-Qui veicolo Galbadiano, mi sentite, base? I prigionieri sono incontrollabili,
hanno appena ferito a morte il nostro caposquadra!-
Finalmente le scariche statiche della radio si affievolirono, e una voce
metallica scaturì dall’apparecchio.
-Vi abbiamo captati, quali sono i due ostaggi del Garden?-
Irvine ci pensò su; non poteva annunciare due nomi a caso, per giunta di scarsa
importanza. Avrebbe rifilato ai nemici una beffa di gran classe, così sarebbe
andato sul sicuro. -Portiamo qui un certo Irvine Kinneas…e una certa…Selphie
Tilmitt…sappiamo che sono due persone alquanto importanti….ci fate entrare?
Il nostro caposquadra è ferito!-
La voce nella radio continuò, impassibile, con una nuova domanda. -Dove avete
preso i due prigionieri?-
Maledizione. Questo qui non è un cretino. Devo ricredermi sul conto di
questi soldati.
-Li abbiamo trovati a…cinque chilometri da qui. Hanno confessato di aver avuto
l’ordine dal loro Preside di…piazzare un ordigno esplosivo. Erano scortati
da dieci SeeD, li abbiamo legati e uccisi; tanto non servivano.-
La Squadra, che ascoltava le conversazioni di Irvine, si scambiò un’occhiata
divertita.
-Ci fate entrare?-, chiese di nuovo Irvine. La radio restò muta per un paio di
attimi. Poi la voce metallica si rifece viva, questa volta con un tono più
amichevole e cameratesco. -Permesso accordato, soldati. Allontanate il veicolo.-
L’uomo fece un segno ad uno dei SeeD, agitando il braccio sinistro. -Fai
dietro-front, distanziamoci di circa duecento metri.-
La prigione (il cavatappi triplo) iniziò a ruotare, piantando le tre
basi a forma di vite nel terreno, risucchiandolo in profondità. Il deserto
veniva praticamente tirato verso la costruzione, mentre veniva compresso a
attorcigliato. Al veicolo mancò la terra sotto i piedi. Irvine dovette ordinare
la massima velocità, per far si che non finissero dentro la base. Un’ondata
di polvere riempì l’aria, penetrando nel loro mezzo di trasporto. Per qualche
minuto fu impossibile distinguere alcunché; l’atmosfera divenne
irrespirabile. Poi, il rumore d’attrito smise, e la nube giallognola iniziò a
diradarsi. Per un attimo credettero che la prigione fosse stata inghiottita nel
terreno. Magari. Irvine aveva già visto quel trucchetto; sapeva che il loro
obiettivo era sempre lì..solo di qualche decina di piani più basso. Il
boccaporto, che precedentemente distava dal suolo metri e metri, ora era ad
altezza del terreno. Cominciava ad aprirsi con un clangore metallico.
-Tenetevi pronti! Non uscite dal veicolo finchè non ve lo dico io!-
Uscirono cinque soldati e un infermiere. Allora avevano creduto davvero al falso
allarme. Irvine si rallegrò. Tutto filava pressappoco liscio.
-Entrate!-, ordinò uno dei nemici, indicando il boccaporto. In mezzo alla
polvere non avevano fatto ancora caso alla effige del Garden sul fianco della
vettura. La Squadra salì la piccola rampa e si trovò nella prigione. La prima
parte del piano era riuscita. Da un’altra parte, Selphie stava colpendo col
nunchaku un soldato di guardia alla base missilistica.
Diluviava. Tutti i combattenti erano bagnati e infreddoliti. Soprattutto i SeeD,
vestiti soltanto da un’elegante uniforme. Ormai erano pochi quelli che
potevano vantarsi di avercela ancora intera. Le armi pesanti spianavano la
strada, ma i cadaveri continuavano ad ammassarsi, di entrambe le fazioni. La
battaglia continuava da più di due ore.
Riven aiutava alcuni ostaggi ad uscire dalle case. Molti non potevano camminare,
perciò altri quattro colleghi aiutavano il quindicenne a prenderli di peso e
trasportarli verso la collina. La parte sud di Winhill era libera. Mancava la
parte nord, dove la polvere ancora non si era alzata, e le strade ancora non
erano rosse. Solo un piccolo ponte di legno collegava le due sponde del paese.
Mancava poco al suo attraversamento.
Un soldato reggeva in mano un oggetto tondeggiante, nero scuro, liscio come uno
dei pavimenti del Garden. All’estremità aveva un pezzetto di metallo
staccabile. Nel bel mezzo della confusione nessuno vide. Il nemico sganciò l’estremità,
allentò la stretta e lanciò l’oggetto con tutte le sue forze. Ruotò su se
stesso mentre compiva il salto e atterrava direttamente in mano ad un SeeD
ragazzino, dai capelli castani, simili a quelli di Stef. Anche l’età era
pressoché la stessa. La Cosa nera tintinnava come un orologio a cui è stata
data troppa carica. Il ragazzo spalancò gli occhi ed urlò. -GRANATA! GRANATA!-
La lanciò di nuovo verso chi l’aveva tirata, ma ormai era passato troppo
tempo. La bomba si alzò in volo per un paio di secondi, poi detonò nelle file
dei SeeD. L’esplosione si propagò per il paesino, coprendo anche i rumori
delle armi e delle magie. Furono sbalzati dalle loro posizioni circa una decina
di giovani, che ricaddero a terra con tonfi gravi; un altro centinaio fu
sbaragliato soltanto per l’onda d’urto successiva. Il ragazzo che tirò la
granata riuscì a salvare due suoi compagni, allontanando quella bomba di quel
paio di metri che serviva. Ma non potè più alzare il braccio destro nei
discorsi del Preside Squall; oltre il gomito non esisteva più.
-AVANZARE!-, ripeteva continuamente un caposquadra SeeD da dietro le file.
-VERSO LA PARTE NORD!-
I fucili dei giovani addetti alle armi pesanti continuavano a spianare la
strada, sbalzando soldati e aprendo veri varchi che sfortunatamente venivano
richiusi dalle altre truppe che sembravano spuntare dalle buche del terreno.
Il ponte era vicino.
Il ponte era poco difeso.
Il ponte aveva cariche di esplosivo sotto. Ma questo i SeeD ancora non lo
sapevano.
Lo avrebbero scoperto presto.
Selphie si nascose dietro ad un muro. I dieci ragazzi che si era portata dietro
combattevano cercando di non farsi scoprire. Toccata e fuga. Sporse la testa, in
cerca di un’entrata che conducesse ai piani sottostanti della base. Era
letteralmente pieno di porte, e lei sapeva che soltanto una era quella
giusta.
Ricorda, Selphie, ricorda: la base non è cambiata di molto…dove eri
entrata?!
Deflagrazione. Qualcosa era scoppiato, a poca distanza da lei. Abbandonò lo
spazio dove si era appartata e vide l’intera piazza della base in fiamme. L’onda
d’urto la spinse via all’istante, scaraventandola a gambe all’aria. Colpì
con la schiena l’asfalto, lasciandosi sfuggire un lamento di dolore.
Un SeeD corse verso di lei. Aveva la divisa lacerata all’altezza della
caviglia, e zoppicava appena appena.
-Complimenti, avete fatto un bel lavoro! Avete ucciso gran parte dei soldati!-
-Capo.- Il SeeD era intristito. -Abbiamo perso due di noi.-
Era vero. Due corpi, diversi dagli altri come aspetto, stavano bruciando insieme
agli altri.
Selphie diede un pugno al terreno, noncurante del dolore che seguì alle nocche.
-Cavolo!-
-E…c’è dell’altro-, annunciò il giovane. Selphie alzò il capo. -Cosa?-
-L’esplosione. Sa da cos’è stata causata, capo? Dall’ordigno che dovevamo
piazzare.-
Selphie crollò per terra. I guai non facevano che aumentare. Ora con cosa
facevano esplodere quella base?
Il veicolo parcheggiò con calma all’interno della prigione. Irvine lo
manovrava, teso e con il respiro accelerato. Si tolse il copricapo, si toccò i
capelli corti (addio alla giovinezza) e se lo rimise in testa, premendolo ben
bene con entrambe le mani.
Uno dei soldati passò accanto alla vettura, notando il simbolo. -Avete rubato
la macchina a quei deficienti del Garden, vero?-, disse sorridendo. Ma poi
pensò: E allora con cosa viaggiavano prima?
Estrasse la spada, e si piazzò di fronte alla porta.
-Aprite!-, tuonò, con la spada sguainata. Irvine se ne era già accorto, dal
tono di voce che dall’umoristico era passato febbrilmente al convulso. L’uomo
dischiuse il portello e sfoderò dalla fondina dietro la schiena il fucile. Fece
fuoco, e quel soldato non disturbo più. Freddò con incredibile velocità gli
altri cinque, prendendosi anche il tempo di ricaricare ogni due colpi. Alla
fine, con l’arma ancora fumante, si addentrò nella prigione con i compagni.
11
Nelle retrovie due caposquadra SeeD si incontrarono, entrambi distanti dal
punto fondamentale degli scontri. Il primo, nonostante avesse molto meno di
trent’anni, dimostrava una sorta di saggezza. Il secondo era strano che fosse
di un rango tanto elevato; appariva come un ragazzino apprendista.
-Le linee avanzano.-, commentò il giovane, a testa alta, con un vago sorriso di
vittoria. L’altro rimase impassibile, e rispose senza distogliere gli occhi da
quell’inferno. -Si, ma i cadaveri non si contano.-
-Sono dell’idea che sia un sacrificio onorevole.-
-Giusto. Ma c’è qualcosa che non quadra…-
Il viso del giovane diventò più cupo.
-Cosa?-
-Osserva bene. I nostri hanno ucciso molti soldati, eppure i varchi vengono
coperti seduta stante, e il fronte dei soldati Galbadiani rimane solido, senza
punti deboli. Manca di ogni logica. Secondo i calcoli, il ponte doveva già
essere nostro da un’ora. E c’è di più; i soldati nemici non sembrano
cedere…i nostri sono provati.-, disse. L’espressione era preoccupata, con un
folto velo di tristezza. Il giovane capì di più grazie a quell’espressione
che per merito delle eloquenti parole. -Chi ha il manico del coltello, allora?-
L’altro rimase zitto per qualche attimo, poi dichiarò a bassa voce. -Temo che
sia in mano dei nemici. Ma non è un coltello, è un maledettissimo strumento di
genocidio.-
Non vi era bisogno di ribattere.
Il giovane estrasse una spada dalla fondina che teneva legata ai fianchi, sopra
la divisa SeeD, bagnata dalla pioggia insistente. -Io vado con loro.-
Il primo caposquadra staccò gli occhi dall’azione, per incontrare quelli del
compagno. -Ci hanno ordinato di restare dietro e impartire le strategie.-
-Me ne infischio degli ordini; non posso stare con le mani in mano mentre un’armata
di ignobili distrugge lentamente le nostre forze. Le strategie non hanno più
utilità. O dentro, o fuori.-
E corse in direzione dei SeeD.
Il caposquadra lo osservò mentre si allontanava dalle retrovie. Prima di
sfoderare anch’egli l’arma e buttarsi nei combattimenti, disse una cosa che,
malgrado la semplicità, riassunse una verità influente. -La battaglia di
Winhill sarà ricordata per sempre.-
Il diluvio non accennava a smettere.
Elizabeth sparò e ricaricò. Per l’ennesima volta. Non sarebbe stata l’ultima;
non ancora.
Era umida da cima a piedi; starnutiva e tossiva. Aveva probabilmente preso un’influenza,
se non peggio. Non era il momento di pensarci. Tirò indietro i capelli
fastidiosamente inondati con un gesto irritato. Dieci proiettili sfilavano nella
tasca dell’uniforme. In canna era pronto l’undicesimo. Presto sarebbe stata
agli sgoccioli.
Prima di mirare nuovamente con le lenti del fucile, la ragazza notò una piccola
luce fare capolino dalla collina di fronte a lei, quella situata a nord.
Imbracciò la pesante arma e impostò al massimo l’ingrandimento.
Probabilmente era un falso allarme, ma era sempre meglio accertarsi anche
riguardo i concetti più futili.
Il soldato Galbadiano si era tolto l’elmetto metallico per mirare. Ora vedeva
chiaramente quella impudente ragazzina che recava in mano un fucile per lunghe
distante grande quasi quanto lei. Caricò. La pioggia era un problema, ma egli
era stato addestrato solo per queste mansioni; nulla lo spaventava, le sue mani
erano come prese d’acciaio. Non un tremore, non un momento di debolezza. Il
soldato aveva una mente metallica, nessun pensiero concernente gli amici, gli
affetti, la famiglia. Quando mirava non aveva più alcun legame con il mondo.
Rimanevano solo tre cose: lui, il proiettile e la vittima. Doveva rimanere una
sola delle tre cose, alla fine. Tirò il grilletto.
Il proiettile esplose, percorse quel tratto di canna metallica ed uscì alla
fredda aria aperta; questo accadde in un nanosecondo, forse meno.
Penetrò a fondo nella terra, a fine corsa. Se Elizabeth non avesse spostato il
capo in quel medesimo istante, era finita. Che colpo di fortuna. Il panico prese
istantaneamente il sopravvento. La ragazza si abbassò il più possibile,
affondando letteralmente nella trincea fangosa. Dopo un minuto alzò la testa, e
un’altra cartuccia esplose accanto a lei. Era alle strette.
Selphie camminava per la piazza in fiamme, ancora incredula. La detonazione
aveva ottenebrato temporaneamente i suoi sensi. Pensare era doloroso. I suoni
faticavano ad essere interpretati dalle sue cellule cerebrali. Cadde sull’asfaldo
caldo e squarciato sulle ginocchia, scorticandosi la prima pelle. Presto i
soldati sarebbero usciti dai piani sottostanti per vedere il disastro, e lì
sarebbero entrati, lei e gli otto supersiti. Tenete d’occhio le porte,
aveva ordinato.
Con uno sforzo sovrumano tornò in piedi, e barcollò per un’altra decina di
metri. I corpi avevano l'aspetto di ceppi di legno in un caminetto.
-Riven, raggiungi gli altri soldati. Oltrepassa il ponte, ci sono altre case.-,
ordinò al quindicenne uno dei SeeD.
Il ragazzo obbedì immediatamente, portando l’ultimo ostaggio di quella casa
insieme agli altri e poi spingendosi con le forze rimaste verso quella
costruzione in legno che iniziava ad essere invasa dai nostri.
In una differente situazione, con più calma, avrebbe provato timore a camminare
su quella vecchia impalcatura. Ma in quell’istante non capiva più niente. Uccidi,
uccidi, uccidi. Ne va della salvezza del mondo. Trova il capo di questo
esercito.
La sua mente si sgombrò tuttavia quando vide la sua ragazza, Suze, dai capelli
neri e il viso seducente, combattere senza molto successo contro un soldato. Non
un normale milite; quello portava una divisa verde. Era uno d’elitè. Uno
specializzato.
Uno forte.
Non ci pensò due volte.
-Susannah!!-, urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, raggiungendo la parte
nord del paese, dove il sangue si stava spargendo e le persone correvano
incontro alla rovina. Non aveva più visto la ragazza da quando la marcia verso
i combattimenti era iniziata, in mezzo a quelle colline: erano passate più di
due ore. Si era chiesto più volte dove potesse essere lei; in parte covava già
l’atroce supposizione che fosse perita. Provò gioia.
-Riven!-, riuscì a pronunciare lei, mentre parava i colpi forsennati e ben
piazzati di quel maledetto avverso. La spada della ragazza era screziata dai
continui attacchi.
Il ragazzo si fiondò contro il Galbadiano, facendolo cadere a terra in un
tintinnio di oggetti metallici. La rabbia si impadronì della membra di Riven,
che dopo aver colpito l’elmetto del nemico con l’arma iniziò a tempestarlo
di pugni e calci, levandosi in piedi con inaspettata destrezza. Per un attimo
sembrò che quello strano attacco avesse successo; la speranza svanì quando con
un colpo del piede il militare fece cadere il quindicenne. Allora Suze si diede
da fare, noncurante anche lei della stanchezza. Afferrò la spada incrinata e
versò sangue al sangue.
Un altro proiettile si abbattè sulla trincea a pochi centimetri dalla nuca di
Elizabeth. Si massaggiò la mano sinistra, mentre il suo cervello faticava nel
tentativo di trovare una soluzione. Era sola. Non era stata completamente
addestrata a fare quel lavoro: il nemico ovviamente era un professionista. La
pioggia peggiorava la visuale di entrambi. La cicatrice iniziava a sentire l’umidità
del tempo meteorologico. Infreddolita, irritata, stanca. Per di più seduta su
un pavimento di fango. Avrebbe preferito combattere giù, al paese.
In un sibilo un nuovo colpo raggiunse la trincea. Questo qui era leggermente
più impreciso degli altri. Poco importava. Aveva sicuramente una miglior mira
di lei.
Ad un tratto, un’idea. Ricordò Stef. Rammentò del giochino di prestigio (che
lui continuava ad accettare come “magia” a tutti gli effetti) di cui aveva
fatto sfoggio, prima di partire per quell’odissea pantanosa. Strisciò verso
qualche lembo di erba, accanto alla sua postazione. Era in una situazione
alquanto pericolosa, soprattutto per la nuova posizione che aveva assunto.
Calcolò che parte del suo corpo era visibile, ora. Vada come vada.
Appoggiò la mano destra sull’erba. Prima aveva fatto evaporare la goccia d’acqua;
quello che voleva realizzare ora richiedeva maggior concentrazione…..e più
caldo. Chiuse gli occhi, si isolò dai rumori smorzati che giungevano da Winhill…e
si concentrò su quegli innocenti steli d’erba.
Dalla sua postazione, il cecchino nemico vide un filo di fumo salire accanto
alla trincea della ragazzina. Spostò il mirino per osservare cos’era
successo; notò la zolla di vegetazione divampare di un fuoco minuscolo e pigro.
Scorse un movimento fulmineo, ma fu impossibile identificare cosa fosse di
preciso. Immaginò comunque, senza problemi, chi era l’unica persona laggiù.
Tornò alla trincea. Dilatò le pupille dall’orrore e dal panico, quando
adocchiò Elizabeth fare fuoco contro di lui. Aveva fatto tutto con una
rapidità tremenda. Mentre l’undicesima cartuccia fendeva l’aria verso la
sua collina, il soldato formulò l’ultimo pensiero della sua vita.
Dovrebbe avere una fortuna gigantesca per beccarmi senza aver neanche mirato.
Non preoccuparti, continuerai a vivere.
Spiacente. Un decimo di secondo dopo stava agonizzando nella melma, con un
proiettile di metallo incandescente piantato nel polmone destro. Era ancora
certo di non essere stato colpito, prima di entrare in catatonia. Un rigagnolo
di liquido rosso fece capolino dalla sua bocca, quando il cuore alfine smise di
battere.
L’Orfanotrofio era ormai visibile ad occhio nudo. Il cielo aveva assunto una
tonalità rossiccia, nonostante fosse troppo presto per il tramonto. Le nubi si
allontanavano dalla loro meta velocemente. La terra, rimanendo ferma, appariva
muoversi impeccertibilmente, come se provasse un dolore talmente forte da farla
contorcere senza controllo. Lo scenario aveva un che di apocalittico. Un che di
demoniaco.
Stef si era seduto accanto a Squall, e il Preside non aveva rifiutato la
presenza del quattordicenne accanto. Non c’era più inimicizia fra i due. In
quel momento di tensione, prima della tempesta, entrambi si sostenevano a
vicenda, senza avere il bisogno di parlare, e neanche di guardarsi negli occhi.
Nella loro diversità, si assomigliavano un pochetto.
L’unica cosa piacevole era la potente brezza del sud. Il resto non trasmetteva
nulla di bello.
Quell’unico giorno sembrò durare una vita.
12
Ore 18. Tre ore di sanguinosi combattimenti. Il pomeriggio stava svanendo per
lasciare posto al crepuscolo, e le offese continuavano senza sosta, con i
soldati Galbadiano che sembravano crescere a dismisura ogni volta che i SeeD ne
trucidavano abbastanza.
Non c’erano rimasti più molti ostaggi; la parte nord di Winhill era meglio
identificata come la principale postazione dell’esercito. Ecco perché attorno
alle case spuntavano decine e decine di tende identiche. Data la grande
quantità (in diminuizione) dell’esercito alleato, i ragazzi erano
sparpagliati per l’intero raggio della battaglia. Coraggio, pensò fra
se e se uno dei soldati nemici, nascosto in una delle case a nord. Teneva in
mano un detonatore. Doveva farlo. Glielo avevano bruscamente ordinato. Girò la
corta manovella e il poco sicuro ponte in legno saltò, dilaniato dalle cariche
sottostanti. Esplose insieme ad un’altra trentina di SeeD che al momento lo
stavano attraversando. La situazione cominciava ad farsi problematica.
Suze estrasse la spada incrinata dal corpo di quel soldato d’elitè che l’aveva
attaccata. Riven giaceva ancora per terra; solo in quel momento si rialzò per
osservare la ragazza. -Gran bel lavoro.-
-Abbiamo avuto fortuna.-, replicò lei, respirando affannosamente.
-Puoi dirlo forte.-
Il problema è che ne stava spuntando un altro, a poca distanza da loro.
I soldati uscirono da una porticina, e trovarono la disperata situazione della
piazza. Corpi in fiamme, corpi dei loro, e in mezzo a quella moltitudine, altri
due, diversi. Seed. E’ un attacco da parte dei SeeD
Il nunchaku di Selphie sfondò il cranio del primo stupido che si era vventurato
fuori. Otto altri giovani uscirono dalle postazioni strategiche che si erano
scelti per non dare nell’occhio. Si chiusero intorno ai Galbadiani, in una
trappola che avevano deliberato in quei precedenti istanti. Sfoderarono le armi
e vendicarono egregiamente i due scomparsi. Così entrarono nella base, e lì
furono leggermente più acquattati.
Quella costruzione, teatro dei non molto numerosi ricordi dell’intristito
Preside del Garden di Balamb, sarebbe dovuta apparire vuota, rifiutata dalla
conoscenza geografica della popolazione mondiale, diroccata; un corpo senza
anima, la quale aveva abbandonato da anni quella deserta località dove dei
ragazzi, decine di anni prima, si erano conosciuti ed avevano continuato a
frequentarsi dopo l’abbandono di tale incantevole posto. Due si erano sposati,
altri due si amavano teneramente, senza essere vincolati da tale pericolosa
parola; una aveva lasciato da tempo l’avventura, uno era deceduto per cause
misteriose, pochi anni addietro, insieme ad una donna che aveva appena fatto in
tempo a conoscere il proprio figlio, prima di separarsene per l’eternità; l’ultimo,
uno che popolava avidamente la mente di Squall, era scomparso nel nulla, e
dichiarato morto anch’egli.
Il Garden atterrò nel più assoluto silenzio, accanto ad uno spettacolo da
smorzare il fiato a chiunque. Quel posto inospitale era interamente imprigionato
da un gigantesco prato, da fiori bianchi, rossi, blu, di ogni genere. Una
vegetazione rigogliosa e bellissima, grande chilometri. Tutti furono sbalorditi,
soprattutto l’uomo dal Gunblade.
-Non l’avevo lasciato così.-, riuscì a dire.
-Come era prima?-, domandò Stef.
-C’era un prato, ma era di modeste dimensioni confrontato a questo…l’atmosfera
ha un odore familiare..-, aggiunse poi, alzando il capo. Qualcosa c’era.
Qualcosa era in agguato a breve distanza.
Sarebbe stata la resa dei conti.
-RIPIEGARE!-, urlavano i capisquadra, correndo a sud, fuori dal paesino. Gli
ostaggi venivano presi in braccio, presi per mano, caricati come una barella;
tutto era possibile al fine di andarsene da quella furiosa battaglia. Per niente
sportiva.
-Vieni, presto!-, urlò Susannah a Riven, prendendolo per un braccio e
trascinandolo verso quello che sarebbe dovuto essere il ritrovo delle truppe, a
qualche chilometro dai combattimenti.
Gli ultimi combattenti, quelli che ancora erano vicini all’entrata di Winhill,
scattarono verso le colline. Sembravano così vicine, così rassicuranti, così verdi,
senza macchie di sangue.
Inutile dire che non vi era scampo. Il mondo terminava dieci metri dopo la prima
casa del paesino. Una barriera invisibile sembrava innalzarsi dalla sudicia
terra fino al cielo. I primi la colpirono con forza, i secondi ci finirono
dentro ugual modo. I soldati nemici continuavano ad aspettarli, nella parte
nord.
No potevano uscire.
Ecco qual era la forza misteriosa. Lo sgomento si impadronì dei giovani SeeD.
Galbadia aveva una strega con se.
Una strega potente, a quanto pare.
Erano imprigionati assieme una forza invincibile. L’incantesimo si sarebbe
spezzato solo dopo la morte dell’ultimo ragazzo.
A tal punto si avviarono, dopo essere scesi dall’imponente Garden, verso
quella paradisiaca/demoniaca visione. Tutto laggiù era cambiato. Non era più l’Orfanotrofio.
Non era più tre casette e un piccolo accogliente giardino. Era cresciuto in
quei pochi mesi, si era moltiplicato a dismisura. L’aspetto finale non
tralasciava dubbi in quanto alla forma.
Un palazzo. Il castello di un regnante.
-Non vi è rimasto più molto del luogo della mia infanzia.-, disse Squall,
atrraversando quei bellissimi e delicati fiori con le spine. Non li aveva
degnati più di uno sguardo, mentre camminava. Fissava l’ammasso di mattoni
che non sarebbe dovuto esistere. Il ragazzo invece scrutava ogni angolo che la
sua vista acuta riusciva a raggiungere. Di stupore in stupore. I cinque Seed
veterani seguivano il Preside da una ragionevole distanza.
All’improvviso, Squall si bloccò. Strinse il Gunblade che già teneva in mano
e cadde nella massa di fiori, che sembrarono ricoprirlo all’istante, come se
fossero vivi ed intelligenti. Stef e gli altri corsero verso di lui per tirarlo
su. Dovettero alzarlo come un qualunque peso morto. I sudori freddi gli
imperlavano la fronte, scendendo per le guance fino al mento. Gli occhi erano
sbarrati, sempre verso la solita posizione. Respirava rumorosamente; la mano
destra impugnava l’arma come una morsa metallica. E tremava.
-Cosa c’è, Squall, cosa ti senti?-, domandò freneticamente il
quattordicenne. Era la prima volta chelo vedeva in questo stato, e covava una
tremenda paura osservando il coraggioso capo di un scuola militare conosciuta (e
ormai caduta in disgrazia, rispetto gli anni d’oro di Cid e della Guerra)
ritorcersi su se stesso in quel modo, orribilmente terrorizzato. Si accorse in
quel momento la spropositata potenza di quel luogo.
-Le parti di questa prigione sono tre. Sei sicuro che riusciremo con una sola
bomba a distruggerla?-, chiese titubante un SeeD al caposquadra Irvine. Egli si
affrettò a rispondere.
-Tutte le sezioni sono collegate, e sono in perfetto equilibrio. Una regge l’altra.
Se soltanto una viene a mancare, l’intera struttura collasserà. Ora
proseguiamo.-
-Agli ordini, capo.-
Le poche conservazioni che la Squadra si concedeva venivano consumate in fretta
e sottovoce. La prigione era drasticamente cambiata, come la base missilistica
in cui Selphie combatteva con furia tuttora. Nondimeno era abbastanza facile
raccapezzarvisi. I soldati erano in minor numero rispetto alle aspettative, e
questo migliorava certamente le loro condizioni. Dovevano scendere in fretta,
piazzare l’ordigno e scappare, ancora più velocemente.
Furono interrotti dall’altoparlante. -Attenzione; la base sta risalendo.
Ripeto, la base sta risalendo. Tenersi forte.- La voce metallica era la stessa
che aveva salutato l’uomo prima. Sospettosamente atona. In quel mentre i
pavimenti furono squassati da un movimento rotatorio potente e ininterrotto. Il
cavatappi risaliva.
Il tempo avanzava.
-Squall, rialzati.-, mormorò Stef. L’uomo giaceva, in ginocchio,
terrorizzato.
-Cosa ti senti? Cosa c’è, maledizione?-, continuava ad inveire il ragazzo,
scuotendo il Preside violentemente, facendo oscillare le corolle dei fiori
splendenti.
-E’ qui.-, pronunciò Squall. -Egli è qui, e non è da solo. Allontanarci.
Allontanarci, dobbiamo.-, continuò farneticando. Entrambe le mani gli
tremavano.
-Chi, chi è qui?-
-No. Lui è morto.-
Quando lo disse capì che non lo era.
Stef bloccò Squall e gli parlò faccia a faccia, severo. -Tu devi proseguire.
Sei arrivato fin qui. Niente dovrà fermarti. Hai un Garden, in questo momento i
tuoi soldati sono minacciati. Se li abbandoni, moriranno affogati nella sabbia,
e il loro ricordo non potrà essere tramandato perché saranno ormai caduti in
rovina! E Rinoa? Tua moglie, vorresti lasciare Rinoa qui dopo tutta la fatica
che hai corso per riabbracciarla?-, aveva alzato la voce mentre parlava, tanto
che stava praticamente urlando di fronte a Squall, che si limitava ad
ascoltarlo, affranto e tremante. -Io ho paura, i tuoi uomini hanno paura, tu hai
paura; ma come dici tu stesso, nessuno di noi lascia che la paura di
impadronisca dell’anima. Sei un SeeD veterano, hai eseguito ordini e missioni.
Ne saprai qualcosa, io penso.-
Allentò la presa sulle spalle, e lasciò ricadere le proprie braccia sui
fianchi. Squall osservava il rigoglioso terreno, battendo i denti. Entrambi
sentivano la disperazione palpitare nell’aria cupa. Il ragazzo continuò.
-Non ho la minima idea di cosa ti spaventi a tal punto. Probabilmente non ne
sarò neanche a conoscenza. Se…il tuo ordine è questo, io mi fido di te, e
sono pronto a tornare al Garden. Non avrò neanche la tentazione di sapere cosa
ti ha fermato. Allora, è questo il tuo ordine, Signor Preside?-
Scrutò l’uomo a lungo. Anche Squall alzò lentamente gli occhi per incrociare
lo sguardo di Stef. Dovette ricredersi sul conto del ragazzo. Col tempo imparò,
con molta calma, a rispettarlo nel profondo del cuore.
-Proseguiamo.-, disse poi alla fine, quasi disgustato al solo pensiero. Stef gli
fece eco, sorridendo. -Ora ragioni. Proseguiamo.-
Parte Quarta
“Malgrado sia lontano
più di centomila miglia,
Mi sento molto tranquillo,
E penso che la mia astronave sappia dove andare
Dite a mia moglie che la amo tanto,
lei lo sa
Torre di Controllo a Maggiore Tom
Il tuo circuito si è spento,
c'è qualcosa che non va
Mi senti, Maggiore Tom?
Mi senti, Maggiore Tom?
Mi senti, Maggiore Tom?
Mi senti......”
David Bowie - Space Oddity (1969)
1
Passò le dita della mano sinistra sulla lama della fedele arma, poi si
alzò, poggiando la punta del Gunblade a terra. Squadrò nuovamente il palazzo
in lenta, inesorabile formazione e poi Stef. Sorrise leggermente, infondendo
finalmente forza benevola al gruppo.
-Grazie.-, disse, rivolto al ragazzo. Egli si limitò a scrollare le spalle,
rispondendo con una serena e calcolata espressione facciale. -Ma ti pare.- , e
gli diede una pacca sulla spalla.
Il giardino era tale e quale ad un mare quieto; o più probabilmente ad uno
squalo in cerca dell’attimo giusto per ghermire la preda e ucciderla con i
denti aguzzi; le sensazioni strane continuavano ad accavallarsi.
Squall allungò il passo.
L’adorabile (odiabile) vegetazione li guidava, separandosi precisamente in un
punto che, formando un sentiero, li avrebbe presto portati al centro esatto
della Destinazione Finale.
L’iniziò l’atto che avrebbe portato termine alla commedia.
-Quell’affare sembra vivo.-, commentò uno dei SeeD, rivoltò alla
costruzione. -E’ minaccioso.-
Squall rispose prontamente. -Se conosco davvero l’autore di tale maleficio,
qualunque cosa qui potrebbe essere dominata da volontà propria. Occhi aperti,
ed armi cariche.-
Stef parlò di nuovo. -Se ho ben capito, abbiamo a che fare con una vecchia
conoscenza, è esatto?-
Il Preside esitò qualche attimo. -Non sbagli, ragazzo.-
-Avremo rogne.- concluse il quattordicenne, traducendo in parole un pensiero
oramai superfluo.
L’uomo non commentò. Durante la camminata, mormorò a se stesso: Due
Conoscenze.
Era cominciato il contrattacco vero e proprio. I soldati Galbadiani uscivano da
ogni dove, portandosi dietro robot e mostri addestrati. Selphie sfondava crani
con nunchaku, e quando aveva un momento libero si concentrava per scagliare
qualche magia. Il piano silenzioso era slittato fin da subito, purtroppo, anche
per colpa della fretta della donna.
Un drago con due cannoni montati sulle spalle verdi e rugose sbarrò alla
Squadra con due elementi in meno. -Capo, magia!-, urlò uno dei SeeD a Selphie,
che iniziò subito chiudendo gli occhi e isolandosi dai combattimenti dei
claustrofobici piani sottoterra. La parola Thundaga! si propagò per i
corridoi, insieme ad un lampo di luce. Il mostro fu sbalzato da terra, crollando
su ciò che rimaneva del pavimento ferroso, squassato dal potere appena esploso.
-Finitelo voi, noi proseguiamo.-, ordinò lei, e tre dei giovani eseguirono,
accerchiando la creatura che intanto, dolorante, si rialzava.
La figura apparve in un transitorio momento; senza luci o trucchi per aumentare
la tensione, nessuna entrata d’effetto. Emerse da una delle porte aperte del
palazzo, come il viso di un uomo che al mattino si affaccia alla finestra della
propria casa. Stessa cosa.
Squall vacillò nuovamente, alla vista, ma riuscì a non cadere tremante. Anzi,
si fece forza, rallentando soltanto il passo, senza neanche darlo a vedere. Era
intimorito, ma la forza di volontà non lo abbandonò, quella volta. Era certo
del destino che si era in qualche modo auto-imposto. Doveva farla finita, e
quello sarebbe stato il tempo e il luogo dove i demoni lo avrebbero abbandonato.
Stef e gli altri notarono quella figura ammantata di bianco, spuntare dal nulla,
ma lì per lì non capirono cosa sfilava di fronte ai loro increduli occhi. Un
uomo, questo era certo. Ma chi?
-SQUALL.-
La voce giunse al gruppo inespressiva, come una banale affermazione di una
persona calma e composta. Mancava di affetto, di rabbia, di compassione, di
gioia. Una lastra di marmo, se tale oggetto avesse il dono di parlare.
L’uomo che la figura aveva nominato tremò da capo a piedi con un solo,
potente, sussulto. Un secondo di esitazione che sembrò durare ore. Poi, alzando
il capo, stringendo l’arma e chinando la schiena verso l’uomo, Squall
rispose ad alta voce.
-Seifer. Il cuore mi diceva che eri qui.-
-E hai fatto bene a dargli ascolto.-, concluse lui.
Seifer., pensò Stef. E questa volta lo ebbe lui un mancamento.
-Su, avvicinati. Io ti aspetto dentro il palazzo. Abbiamo cose da dirci.-
La visione lontana sparì, dentro le mura di quella “creatura” di mattoni.
Stef corse verso Squall.
-Chi era?-
-Suppongo che tu lo sappia.-
Il ragazzo tirò un sospiro profondo, accorgendosi del sudore freddo che
cominciava a percorrere il suo corpo. -Il Cavaliere.-
Il Preside annuì in un solo, emblematico gesto.
-E non è tutto. Qualcun altro, laggiù, ci attende.- Lasciò la successiva
frase al ragazzo.
-Il Cavaliere…è un servitore.-
Nessuno disse più niente. Il gruppo avanzò verso il minaccioso palazzo, ognuno
recando i propri pensieri chiusi nella propria testa.
Egli aspettava.
Giovani di ogni rango e aspetto scappavano all’interno della gabbia creata
dalla tale potenza di quella stregoneria. Il topo era chiuso nel recinto insieme
al gatto, e il padrone bramava la morte di uno dei due, prima di liberare il
trionfante. Era facile immaginare chi avrebbe vinto.
Riven e Suze, rimasti nella parte nord a causa dell’esplosione del ponte, non
potevano fare altro che continuare a combattere, stanchi e senza molta speranza.
Da sfondo ai loro scontri c’era l’affascinante palazzo del regnante di
Winhill, anch’egli mancante insieme alla popolazione che prima abitava il
paese. Scoprire dove Galbadia li aveva riposti sarebbe stato uno dei successivi
misteri.
-Non ha più senso combattere.-, proclamò il biondo quindicenne, rinunciando a
far roteare la spada dell’esercito nemico, in quella moltitidune.
-Dovremmo nasconderci?-, domandò Suze, alzando il volume della voce per farsi
sentire.
Riven squadrò il palazzo.
-Laggiù.-, disse, indicando la costruzione antica e meglio tenuta che le altre
case.
I due andarono a nord, abbandonando gli scontri.
Entrare in quel palazzo (quella creatura) non fu abominevole come tutti
pensavano; fu accompagnato soltanto da una strana sensazione di deja-vù,
soltanto per Squall. Ricordò l’entrata del palazzo di Artemisia, nella
Compressione Temporale, accorgendosi che era uguale a quella della costruzione
di cui avevano ormai varcato la soglia. Fu anche stupito per come ricordava alla
perfezione ogni singolo particolare dei suoi ricordi. Dopo la fatidica
esperienza per salvare il mondo, aveva sempre fatto fatica a rievocare con
perfezione quegli incubi. Ora attraversavano con spontaneità la sua mente.
Seifer era scomparso. Come poteva andarsene così in fretta? La risposta eppure
era semplice; essendo un servitore di Artemisia ormai, possedeva di conseguenza
una parte dei poteri della strega. Sarebbe stata dura.
Salirono la scala sfarzosa, impregnata d’oro, gemme e affascinanti figure
scolpite nel ferro e nella roccia. Un freddo pervadeva l’aria, ma non dava
fastidio, anzi: stemperava la tensione, inducendo una piacevole calma interiore
ai sette.
Giunti alla fine, si fermarono. Una grande porta chiudeva loro la strada,
attendendo soltanto una spinta per aprirsi e mostrare ciò che nascondeva.
Bastava un gesto piccolo ed insignificante, eppure nessuno in quel momento
trovò il coraggio di farsi avanti. Le due ante rimanevano chiuse. D’altro
canto però, qualcuno doveva per forza schiuderle.
2
Squall fu il primo ad attraversare. Non afferrò la maniglia
meravigliosamente levigata della porta, né spinse o tirò quella pregiata
ostruzione. La accarezzò dolcemente, senza scostarsi quando il legno e il
metallo inghiottirono la sua mano, come se fossero fatti di materia gommosa e
molle. L’uomo tirò via con un gesto secco l’arto e la porta tornò normale
con un leggero “plop”. -Non pensare di lasciarci indietro.-, disse
Stef, fissando il Preside. Egli acconsentì, con un rapido gesto del capo. Poi,
abbandonando le braccia sui fianchi, a testa alta, avanzò verso la strana
porta. Ne fu inghiottito all’istante, per essere risputato dall’altra parte,
nella stanza che con tanta forza si celava. Il quattordicenne si riavviò per
qualche motivo i capelli scomposti, poi fece uno scatto. Il mondo davanti ai
suoi occhi si appannò, oscurandosi con una nube densa e terribilmente oscura.
Dopo qualche secondo cominciava già a disperdersi, mostrando alcuni dettagli;
su tutti, un grande trono dorato.
Un urlo di combattimento eccheggiò per le spoglie e metalliche pareti della
prigione. Il nunchaku vibrò nell’aria sibilando e schiantandosi contro una
porta sprangata, dando segni di cedimento intorno ai cardini. L’intero metallo
del portone vibrò pesantemente, presentando una vistosa ammaccatura. Selphie
riprese fiato, e continuò a roteare l’arma. Era difficile capire qualcosa fra
urla ed esplosioni dei soldati Galbadiani e dei sette SeeD che combattevano al
suo fianco. Si stavano avvicinando al centro comandi, eppure, in tutti quegli
antri identici fra loro, potevano benissimo essersi persi. Magari quella porta
conduceva alla sala missili, oppure alla camera addetta alla mensa, o persino ai
bagni dei militari. Ma qualcosa la donna doveva pur fare per aprire un varco e
di conseguenza addentrarsi ancora di più nel territorio nemico. I suoi non
avrebbero resistito alle successive ondate, e ormai era impensabile cercare una
via di fuga. Braccati nel labirinto.
La grande villa mostrava segni evidenti di buon gusto. Armature, soffitti gotici
dipinti, moquette e marmo striato, scale adorne di vessilli. I due ragazzi
salivano con lentezza quest’ultima, artigliandosi con le mani destre al
corrimano. Il suono della battaglia e dei loro morti era facile da
ascoltare, sfortunatamente. Il sangue proseguiva ad essere tragicamente versato,
e i SeeD andavano diminuendo sempre più. Altri dormitori si sarebbero svuotati.
-Dietro alla casa, Riven.-, commentò la ragazza, velocizzando il passo. -Diamo
un’occhiata al retro del paese, magari il campo magico ha il suo punto
debole.-
Difficile. Un campo di tale potenza difficilmente ha degli errori così vistosi.
La trappola era perfetta, non c’era l’opportunità di passare in mezzo alle
inferriate, poste troppo, ma troppo vicine fra di loro. Tanto valeva provare,
comunque. -D’accordo.-, pronunciò Riven.
A Stef ricordò i fiori. Quel trono, il cielo che faceva in qualche modo da
soffitto, ancora più realistico della vista della Presidenza del Garden, il
suolo impeccabile, le tende maestose….la reggia di un Re. Una Regina, per l’esattezza.
Anzi, non propriamente imperatrice, ma poco ci mancava a diventarlo. La sua
mentè si stagliò in cielo per un istante, pensando alla leggiadria dei petali,
del volo del Garden, delle amicizie che aveva avuto, della grande avventura che
stava percorrendo. In fase di atterraggiò, però, quelle idee trasmutarono di
colpo. Aveva perso le amicizie. Riven lo aveva tradito, e lui stesso aveva
lasciato Elizabeth là, nel Giardino, con una freddezza da assassino. L’avventura
che stava vivendo era sempre e solo un suicidio. Durante quella pensata,
fece caso alla donna seduta sul trono. E il suo encefalogramma salì alle
stelle. Anche Squall osservava, ma come in una sorta di leggera trance, gli
occhi leggermente annebbiati e un abbozzo di sorriso. Aveva visto? L’aveva
riconosciuta? Impossibile dirlo. Sembrava imbalsamato.
Una voce si propagò per la stanza, entrando nei cervelli dei sette presenti.
Dolce ed armoniosa, tuttavia solo una facciata di ciò che in realtà era.
-SeeD. Ben sedici anni fa sono stata sconfitta da voi, stupidi. Ma il mio
spirito permane, e questo mi è bastato a tornare, nel vostro tempo.-. La donna
sorrise maliziosamente, provocando una forte pelle d’oca al ragazzo e agli
altri, tranne Squall. Artemisia, vestita succinta, elegante, sensuale, aveva
proprio l’aspetto di un’aristocratica donna di potere. Con un gesto della
mano chiamò il suo servitore.
Seifer apparve dal nulla, emergendo dalle ombre degli angoli. Squall smise di
volare, e squadrò la vecchia conoscenza, che rideva astutamente con le braccia
incrociate. Il mantello bianco svolazzava, i capelli ciononostante erano fermi e
ben messi, biondi, premuti ben bene contro il capo. Una croce era disegnata sul
vestito, di fronte. Un GunBlade, dal modello diverso da quello del Preside,
luccicava nella mano destra dell’uomo.
Squall ne fu incantato. Non era invecchiato di un giorno, a differenza di lui
che iniziava la parabola discendente della vita. Esattamente identico alla
Guerra della Strega, quando inseguiva il sogno romantico che tanto declamava,
che tanto amava. E che continuava a seguire. Non aveva perso l’occasione di
tornare il Cavaliere della Strega.
-Caro, caro amico.-, disse Seifer, assumento un viso amorevole e piacevolmente
sorpreso. -Sei leggermente in ritardo, sai? Strano, proprio tu, il mio Squall,
vecchio compagno. Non vorrai deludermi, vero? Ora che la rimpatriata è
completa.-, proseguì, degnando di una veloce e calcolatrice occhiata il
ragazzo. Gli altri SeeD non gli interessavano.
-Ti credevamo tutti morto, ma questo non importa, poiché ti vedo qui. Ciò che
mi sconcerta, e la tua nuova scelta al fianco di Artemisia. Non avevi
abbandonato il tuo sogno romantico, sedici anni orsono?-
Seifer rispose senza battere ciglio. -Non lo nego, per qualche tempo mi ero
orientato per “la vostra parte”, come quando ero apprendista al sempreverde
Garden di Balamb. Ma con due morti sulla coscienza, e dopo aver ricevuto un’ottima
offerta, capirai che…ho riscoperto la mia indole.-
Artemisia si godeva la scena, con un ghigno sottile e terrificante.
Due Morti. Chi?, pensò Stef, e guardando il Preside, capì che anche
Squall stava per porgere la stessa domanda.
-Chi hai ucciso, Seifer?-
L’uomo ammantato di bianco accentuò il sorriso. -Questo viene dopo.-
La Strega prese la parola, interrompendo bruscamente il Cavaliere, sempre con la
stessa furbesca voce. -Oh, ma vedo qui anche il nostro ragazzo!-, disse,
puntando un dito dalla lunga unghia porpora verso Stef. -Il nostro
trasmettitore, il tuo lavoro è stato diligente, nonostante tu abbia fatto
veramente poco, il grosso delle tue premonizioni sono mie.-
Il quattordicenne si fece avanti, ma fu subito protetto da Squall. -Quali, di
cosa diavolo parli??-, domandò convulso.
-Ma delle tue facoltà mentali, i tuoi sogni, i tuoi indizi. Non
saresti mai giunto qui, senza i miei aiuti. Forse ho calcato troppo la mano,
accentuando l’esasperazione nervosa che deriva dal tuo potere, ma è stato un
godimento vederti soffrire mentre ti avvicinavi al mio castello.-
-Quindi io non ho nessun potere?-, chiese nuovamente Stef. Quelle rivelazioni lo
sconvolgevano. Era lei fin dall’inizio?
-No, tu hai il potere di far rivivere i ricordi, ma sfortunatamente non è
accentuato come quello della tua fortunata madre dipartita. Molte delle
informazioni provengono da queste mie indicazioni che ti trasmettevo durante i
momenti di sonno. Io volevo che tu venissi qui, e portassi ovviamente Squall
LeonHart.-
Il Preside si fece avanti, brandendo il Gunblade nell’aria con un unico
movimento. -Rinoa è qui? E che cosa vuoi, tu, strega?-
Seifer avanzò, avvicinandosi a Squall. Surreale. -Noi vogliamo. Noi vogliamo
tutto. Il mondo sta per essere assoggettato dai nostri poteri; proprio in questo
momento, il nostro esercito di Winhill è stato reso invincibile per distruggere
mano a mano tutti i tuoi SeeD. Le due famose Squadre saranno eliminate fra
breve. Possiamo distruggere tutto quando, e ricostruire il globo a modo nostro.
Ma abbiamo bisogno di tempo per completare l’opera. Per questo abbiamo evitato
intromissioni per il tempo necessario a far tornare Artemisia in se stessa,
rapendo gli ostaggi e soprattutto, la tua amata, cara, Rinoa.-, si mise a
ridere, sgradevolmente, poi proseguì. -Ella è qui, ma se ti sta talmente a
cuore, prima dovrai darci ciò che entrambi desideriamo.-
-E cosa desideri, Seifer?-, chiese Squall, più rabbioso.
-Vendetta.-, pronunciò sottovoce, rimanendo comunque perfettamente udibile. -Tu
ci hai sconfitto, e ora saremo noi a batterti.! Ti abbiamo destinato a scoprire
il ragazzo, per coinvolgerlo nella ricerca della tua amata. Il figlio di Ellione
ti avrebbe portato qui, per farti mangiare finalmente la polvere!- Si fermò ad
ammirare Stef. -Sei il nostro burattino, figliolo.-
Fu ora che il quattordicenne si scansò dalla protezione di Squall per avanzare
verso il Cavaliere, più in forma che mai insieme ad Artemisia. -Non chiamarmi
così! Tu non sei niente!-
-Al contrario, non sai quanto ti sbagli, Stef.- , commentò Seifer, accentuando
ancora il sorriso. -Metà dei tuoi geni sono di Ellione, l’altra metà sono i
miei. Io sono in parte te.-
Stef si fermò, senza apparentemente capire. Quella frase lo aveva trapassato
come un fulmine. Stessa cosa per Squall, rimasto interdetto.
-Inizialmente non dovevi esistere, sai? Ma dopo essere venuti a conoscenza del
concepimento, abbiamo preferito inserirti nella nostra scacchiera. I tuoi poteri
sono meno potenti, ma potresti comunque causare dei problemi. Quindi ci
occuperemo anche di te. Il Cavaliere è uno solo.-
Ma nessuno dei due ascoltatori si era degnato di ascoltare quelle parole. Il
ragazzo si sentiva mancare, e le gocce di sudore freddo andavano
moltiplicandosi, in quel luogo freddo e mistico. -Tu. Tu sei il mio vero padre?-
3
Seifer appoggiò il Gunblade sulla spalla destra, iniziando a camminare per
la grande camera, sempre con il consueto sorriso sprezzante. -Si. Ma non
preoccuparti, non fu nulla di serio. Sei stato l’unico errore che abbia fatto
nella mia vita, oltre a farmi sconfiggere la prima volta da Squall. Solo dopo
aver scoperto che Ellione era incinta abbiamo pensato che potevi interpretare la
parte che così bene hai svolto ultimamente. A quel tempo ero di nuovo diventato
il Cavaliere, ma non come prima lo ero con Edea e Adele. Ora sono il Nuovo
Cavaliere, dall’abito ricucito e il Gunblade ricaricato. Artemisia mi ha
donato alcuni suoi poteri. Sono più forte che mai, e presto ve ne accorgerete.-
Squall osservava l’uomo dal mantello bianco con gli occhi socchiusi,
stringendo nella mano buona l’arma talmente forte che l’intero arto tremava
fievolmente. Non proteggeva più il ragazzo con l’altro braccio, ma si fece
avanti sfoderando una voce fredda e rabbiosa, che prima Stef non aveva mai
sentito. -Sei stato tu ad ucciderla, tredici anni fa. Bastardo assassino, tu l’hai
eliminata….-
Il quattordicenne fece un passo indietro, intimorito. Capì che anche il Preside
aveva numerosi assi nella manica. Per fortuna.
Seifer aprì le braccia, in un gesto che sembrava dire: e allora?
-Accidenti, Squall; questa doveva essere una sorpresa. Il tempo passa ma non
cambi mai. Pazienza.-, disse poi battendo le mani, una sola volta. -Almeno
questo l’abbiamo subito messo in chiaro.-
Artemisia continuava ad squadrare i presenti, con il classico sorriso beffardo
di chi già sa, come un bambino che si appresta a bruciare le antenne ad una
formica.
Una valanga di pensieri penetrarono nella testa di Stef. Il Cavaliere era suo
padre. Il Cavaliere aveva ucciso sua madre. Egli era stato usato. E poi un nuovo
pensiero, estremamente più potente degli altri: Il Cavaliere non ha diritto
di vivere.
-Mi hai negato la possibilità di conoscere la mia vera madre.-, mormorò il
ragazzo. Seifer captò all’istante, proseguendo nella sua glaciale, crudele
narrazione.
-La vita scorreva lenta e noiosa, per lei e molte persone di questo mondo. Il
mio potere si stava accrescendo, e anche quello di Artemisia che si apprestava a
lasciare la Compressione Temporale. Preferimmo tenere segreta la tua esistenza,
figliolo. Ciononostante, tua madre non era un idiota. In un dato momento capì
che qualcosa di me era cambiato, dal “vecchio e buono” Seifer di Balamb che
andava a pescare tutte le mattine. Ahi Ahi, troppo tardi; non potevo permettermi
che il nostro piano fosse scoperto. L’ho attirata fuori dal Garden e l’ho
infilzata come uno spiedino. Dovevi vedere i suoi occhi, caro ragazzo. Quegli
occhi marroni, che implorarono pietà fino alla cessazione del battito cardiaco.
Dopodiché fu fin troppo facile far credere in giro che un mostro l’aveva
assalita.-
Seifer parlava velocemente, senza fermarsi, camminando lentamente di fronte alla
strega e gli altri presenti normalmente, come se fossero cose di poco conto.
La collera era palpabile nell’aria, tutti la sentivano, soprattutto Lei.
Riven e Suze correvano per uno dei tanti corridoio della villa. Le urla e i
rumori della battaglia, attutiti dalle mura, erano comunque molto forti. La
gabbia non dava segni di cedimento.
-Vieni. Non fermarti.-, disse Riven, prendendo la ragazza dai capelli corvini
per una mano e conducendola verso l’uscita secondaria, la cui ubicazione non
era ancora certa.
Passarono di fronte ad una grande finestra, e con la coda dell’occhio
scorsero, ma non videro. La oltrepassarono senza farci conto, aumentando il
passo e ansimando leggermente. Poi Suze si fermò, rischiando di far inciampare
il quindicenne. -Cosa c’è?-
-Torniamo indietro.-, Susannah non credeva a ciò che aveva pensato di vedere;
per questo, pur temendo, doveva tornare a controllare.
-Cosa??-
-Ti prego. Ho visto qualcosa.-
Così indietreggiarono, e la vista che si parò di fronte ai loro occhi bastò a
far dimenticare ad entrambi la confusione che si sentiva là fuori.
Un interrogativo era stato risolto. Forse era meglio non scoprirlo. Montagne di
corpi bruciati si estendevano sul retro della villa, formando una discarica
umana con collinette e avvallamenti di corpi carbonizzati. C’erano anche
sagome più piccole. Bambini.
-Ecco dov’è finita la popolazione di Winhill.-, concluse Riven, lasciando
cadere la spada Galbadiana che colpì il pavimento di marmo con un clangore
fastidioso. Susannah si sfregava con forza gli occhi.
-Qualcuno ci aiuti.-, pronunciò poi, prima di accorgersi che non erano soli in
quella villa.
Squall si sollevò in aria come sospinto da ali. Girava su se stesso, roteando
il Gunblade ad una velocità stratosferica. Un urlo di rabbia si sollevò,
costringendo Stef e i cinque SeeD a fare un altro passo indietro. Seifer rimase
fermo, ad attendere il colpo, sorridendo divertito. Ora Squall era distinguibile
solo per l’alone rossiccio che la grande arma sembrava sprigionare ai lati. La
lama stava per colpire il bersaglio, ma all’ultimo minuto anche Seifer si
librò, fendendo la strana spada verso l’uomo. Un altro urlo, questa volta di
acuto dolore. Il roteare scomparve, e il corpo di Squall toccò il freddo
pavimento.
Si rialzò quasi subito, cercando la ferita che tanto sulla schiena si faceva
sentire. Il rivale era velocissimo, aveva calcolato il momento dove attaccare
con precisione e freddezza.
La giacca nera era squarciata, mostrando la pelle sottostante macchiata di un
rosso che via via si espandeva. Bersaglio colpito, e di brutto.
Maledizione, pensò Squall.
Finalmente, pensò Seifer.
-Capo! Apri quella porta!!-, urlò un SeeD, sparando con il fucile a vuoto.
Selphie continuava ad accanirsi contro il portone, facendo cozzare il bastone
del nunchaku con la maggior forza possibile. Si sentiva sfinita e confusa. Le
braccia pulsavano dallo sforzo, e là dentro, in quel corridoio, cominciava a
mancare per qualche motivo l’aria. Inspirò profondamente l’aria secca, poi
colpì nuovamente. La porta cigolò con forza, ma i cardini resistettero, come
la serratura. Pochi colpi e avrebbero avuto via libera. Ma per cosa? Per l’ennesimo
corridoio e l’ennesimo incrocio, o vicolo cieco.
-Squall!!!-, urlò Stef, precipitandosi verso l’uomo insieme ai cinque SeeD.
Il Preside si era rimesso in piedi, ma era evidentemente indebolito. Il colpo
era forte, la schiena bruciava di un dolore indescrivibile. Tutto ciò
contribuiva ad aumentarne la rabbia. -Coraggio, Squall. Io e te soli, nessun
altro a dare man forte.-, ripeteva Seifer.
-Mettiti in un angolo, e staì lì. Capito?-, comandò al ragazzo, che non
sapeva assolutamente cosa fare.
-Capo?-, chieserò i SeeD, confusi.
-Voi non servite.-
E tutti nell’angolo.
4
Il Cavaliere incitava Squall, faticosamente in piedi, mentre gli altri erano
soltanto spettatori, inclusa Artemisia, che dal suo trono dorato vedeva e
ghignava, senza proferir parola.
-Coraggio.-, ripeté Seifer, facendo tintinnare la lama del Gunblade contro il
freddo pavimento.
Ellione è morta. Lui l’ha uccisa. Ellione è morta, lui l’ha uccisa….,
ripeteva a se stesso mentalmente il Preside. La ferita faceva male, la
stanchezza iniziava ad avere la meglio sul corpo non più al massimo splendore
della giovinezza passata. Tuttavia, la rabbia montava ogni secondo di più,
oscurando il dolore, i pensieri, i rimorsi. -Non costringermi a colpirti di
nuovo.-, intimò il nemico, passeggiando tranquillamente di fronte al vecchio
rivale.
Attacca. , sperava continuamente il ragazzo, che nella parte più remota
della camera, accanto la porta che li aveva condotti lì, osservava la scena
insieme al gruppo di SeeD, ammutolito.
Un clangore metallico eccheggiò nel corridoio della villa con una tale forza
che i due giovani sobbalzarono energicamente. Restando affacciati alla finestra,
ammutoliti dallo spettacolo di morte che profilava di fronte ai loro occhi,
Riven e Suze si erano lentamente estraniati dalla realtà, senza parlare, senza
compiere movimenti.
Si voltarono all’unisono, il tempo scandito dai loro respiri frenetici. La
strana figura dai contorni spaventosi a causa dell’oscurità del crepuscolo
che via via incominciava a nascondere il sole avanzava, con calma innaturale,
verso di loro. Il biondino sfoderò la spada d’ordinanza Galbadiana, la
ragazza mostrò al nemico l’arma scheggiata. -Chi sei?-, urlò Riven, senza
portare a nulla. La Cosa era uscita dalla zona d’ombra e continuava ad
ingrandirsi mentre guadagnava terreno contro i due giovani atterriti.
-Un robot da combattimento Galbadiano.-, pronunciò Suze.
Fu in quel momento, mentre due apprendisti SeeD aprivano un combattimento verso
un essere privo di sentimenti, che Squall, racimolando tutta la rabbia e
trasformandola in forza, si fiondò come un fulmine verso il nemico, roteando il
Gunblade come le pale di un elicottero. Quel gesto colse di sorpresa tutti,
compreso Seifer che riuscì a spostarsi di pochi centimetri soltanto prima di
essere investito dalla potentissima lama di quell’antica e nobile arma. Poche
decine di millimetri, ma bastarono a salvarlo da una giusta morte.La lama
saettò accanto all’occhio, e per un attimo l’uomo pensò che fosse già
giunta la fine che non aveva neanche contemplato precedentemente. Il dolore fu
fastidioso, ma nulla in confronto a ciò che si sarebbe meritato.
Squall ricadde alle sue spalle, col fiatone, tenendo l’arma con entrambe le
mani lisce di sudore.
Seifer non si voltò. Alzò all’altezza del viso la mano destra, toccandosi la
guancia che bruciava di un dolore fioco ma presente. Successivamente ritirò l’arto
e osservò il palmo. Sporco di rosso. Sporco di sangue. -Cosa ti è successo,
Squall?-, domandò senza scomporsi. Erano rimasti immobili, ognuno dava la
schiena all’altro. Entrambi guardavano il muro che avevano di fronte, molti
metri più in là. -Anni fa mi avresti lasciato uno sfregio da far invidia a
quello che entrambi portiamo accanto all’occhio. Vecchiaia, suppongo.-
Questa volta Seifer si era tenuto pronto. Squall si girò e sfoderando di nuovo
il Gunblade si buttò contro il vecchio nemico. In quel attimo Il Cavaliere si
sporse, lasciando alla lama del Gunblade soltanto l’aria. Il Preside fece
appena in tempo a non cadere, mentre la lama dell’altra arma si avvicinava in
un immediato fendente che l’uomo schivò per pura fortuna.
Era incominciato il vero combattimento, quello dalle poche parole ma dai tanti
fatti.
Un gruppo di soldati sfrecciò accanto alla Squadra, ben mimetizzata dalle
uniformi blu dell’esercito. La Prigione era un luogo freddo e buio, e
nonostante non fosse più adibita ai detenuti, rimaneva un intruglio di corridoi
claustrofobici. Le luci azzurri e tremolanti illuminavano malamente l’area,
costringendo tutti a spalancare gli occhi per accumulare al massimo i raggi di
luce.
-Dobbiamo entrare nella sala comandi.-, disse Irvine, tentando di assumere il
tono di voce più inespressivo possibile. Un’antipatica guardia dalla divisa e
spalline rosse bloccava la porta che conduceva al piano più alto di uno dei tre
bracci del cavatappi.
-La Sala Comandi è aperta soltanto al personale autorizzato, come asserisce il
comma 5 del regolamento. Non potete fare un altro passo.-
-Ma…abbiamo ricevuto….ordini precisi dal basso…c’è un cortocircuito…ehm…che
si sta diffondendo a macchia d’olio…- Perché quando serve non si riesce mai
a trovare argomentazioni convincenti?
-Ah.-, la guardia abbassò il capo, pensando. -Chi vi ha dato l’ordine?-
Colpito nel segno. Irvine infilò la mano destra nell’uniforme, dove sotto,
all’altezza della schiena, c’era ancora la fondina del grande fucile a canne
mozze. -Allora?-, la pedanteria di quel losco figuro era asfissiante.
-Senti…non me lo ricordo.-, disse Irvine, sfoderando il fucile e puntandolo
contro la fronte del nemico. Premette il grilletto, e la porta fu schizzata di
varie tonalità di rosso. -Entriamo.-, ordino il capo agli altri SeeD.
Le dita non esistevano più. A forza di martellare contro la porta col nunchaku
le mani avevano lentamente perso sensibilità. Selphie pensava di avere dei
guanti, ma il dolore pulsava come un’offesa. I compagni di squadra rimasti la
difendevano, attaccando a destra e a manca qualunque nemico si avvicinasse. Un
altro era caduto, e giaceva per terra, con gli occhi sbarrati ed un foro di
proiettile accanto alla tempia.
Un suono metallico e i cardini cedettero con uno sgradevole stridore. La porta,
maciullata dai colpi dell’arma della donna, avanzò in avanti per schiantarsi
sul pavimento della stanza che celava. Il rumore distolse tutti dai
combattimenti per un istante. Istante che i SeeD approfittarono per prendere di
sorpresa molti soldati.
La testa di Selphie fece capolino. Computer, schermi con tracciati verdognoli,
luci al neon e infinite tastiere. Quasi non ci credeva. Per un stramaledetto
colpo di fortuna, poichè non si ricordava della geometria del posto, aveva
trovato il centro della base. E in un centro come quello, doveva esserci un
dispositivo di autodistruzione.
La ferita non era più lunga di quattro dita, neanche profonda. Attraversava la
guancia destra diagonalmente, e l’unica goccia di sangue che ne era uscita
aveva sporcato il guanto nero del Cavaliere. La superficie era già in via di
cicatrizzazione, naturalmente. Stef si era accorto di questo. Squall lo sapeva
già ancora prima di vibrare il colpo.
La lame saettavano fulminee, scatenando quel vago ronzio dell’aria che viene
tagliata. Ogni tanto si scontravano, sfolgorando scintille bluastre.
Seifer si allontanò con un balzo, tese la mano sinistra e concetrandosi
minimamente creò una sfera di magia condensata. Squall si fermò, riconoscendo
subito che magia il nemico stava per sfoderare. Il Cavaliere aprì la bocca e
urlò con forza: Ultima!.
Il tempo rallentò, come nel primo incontro di Stef con Squall, l’uomo
ammantato di nero, nell’accogliente bar di Timber. Era un’altra vita quella.
Una vita passata, destinata ad sopravvivere soltanto nei remoti ricordi di un
confuso ragazzo di quattordici anni dai capelli e gli occhi castani. Come sua
madre.
Il globo si fece avanti diventando di un bianco immenso, come una supernova.
Squall scartò di lato, rotolando di schiena. Si sentiva il determinato suono
delle parti metalliche del vestito e dell’arma colpire l’elegante suolo. Uno
dei cinque SeeD scelti dal Preside seguì gli ordini, fermandosi di fronte a
Stef, proteggendolo, ma impedendo così al ragazzo di vedere bene la scena. E
forse era meglio così.
L’esplosione non fu disastrosa, ma senza dubbio fu un’esperienza unica, da
non ripetere. Un botto, poi un onda d’urto tangibile, dal colore talmente
scuro da mascherare la camera e il trono d’oro della malvagia regina strega.
Difficile capire cosa successe in quell’atto. Il cervello del quattordicenne
decise che era ora di staccare la spina. La vista si fece nera come l’onda di
quella magia terrificante, i suoni si ovattarono al punto da diventare
inesistenti e i pensieri si bloccarono. Fu comunque sbattuto contro il muro, ma
non se ne accorse.
Tornò al mondo in un lasso molto breve di tempo, che a lui sembrò delle ore.
Mosse una mano, toccò il pavimento, poi aprì gli occhi. Distinse le sagome dei
SeeD accanto a lui, poi la luce soffusa dell’ambiente e la sagoma bianca del
Cavaliere. Il padre. Mise a fuoco, e tirò un sospiro di sollievo quando notò
la presenza di Squall, ammantato di nero, con la solita ferita sanguinante nella
schiena e qualche escoriazione sul viso. Aveva resistito. Ma per quanto avrebbe
potuto proseguire?
Prima di alzarsi in piedi, con la schiena premuta contro la parete di marmo
venato, constatò la posizione di Artemisia: in piedi, camminando elegantemente,
stava lasciando il trono dorato per dirigersi all’altro lato della stanza
ancora fumante. Dove c’era Stef.
5
-Autodistruzione, autodistruzione…-, mormorava Selphie, scorrendo le dita
martoriate sulle console di comando. Là fuori la situazione era terrificante:
raffiche di mitra, magie, mostri galbadiani….aveva poco, pochissimo tempo. L’attacco
imprevisto aveva fatto si che i soldati non avessero inserito nessuna password,
tanto erano sicuri di rimanere al sicuro.
Così credeva lei. Ma dietro c’era qualcosa di diabolico, progettato dalla
Signora della Guerra che ora si godeva momenti di sublime divertimento a sud,
nel continente di centra, ospite del suo stesso “castello/creatura vivente”.
Il tempo massimo disponibile, secondo i quadranti , era sessanta minuti.
Selezionò quello, sperando di fare in tempo. L’ultima volta ce l’aveva
fatta in venti minuti, prendendosi anche il tempo di combattere contro un
maledetto ordigno di guerra cingolato. Ma erano altri tempi; c’era da
augurarsi di farcela con il tempo a disposizione, ora.
Premette il pulsante centrale, e il timer iniziò a scorrere a ritroso,
iniziando da 59:59. Uscì dalla stanza, scavalcando di nuovo il portello
sfondato e tornò dalla Squadra. -Via!-, disse soltanto, ad alta voce, in modo
che tutti i presenti sentissero. E cominciò il cammino a ritroso.
Suze vibrò il colpo, alzandosi di un metro dopo aver effettuato il salto.
Colpì in testa, in leggera diagonale, il robot galbadiano, che sussultò senza
perdere minimamente l’equilibrio. Lei ricadde in piedi, ma si accasciò contro
il muro quando vide lo stato della spada già scheggiata. Oltre l’elsa
voluminosa non c’era più niente. La lama era sparpagliata intorno alla
creatura meccanica, i cui segni del colpo erano soltanto nella piccola
scheggiatura della vernice color viola.
Girò il capo, inquadrando con gli occhi invisibili il biondino immobile e la
ragazza che si avvicinava al compagno. Un lieve ronziò si diffuse per l’aria,
e uno scomparto, all’altezza del torace del Coso, si aprì, mostrando delle
piccole testate rosse.
-Missili…-, mormorò Riven, prendendo strettamente la ragazza bruna per una
spalla e voltandola bruscamente. -Torniamo indietro!-, disse di nuovo, questa
volta urlando.
Il robot li teneva sotto tiro entrambi. Si prese ancora qualche secondo di
flemma, poi i circuiti al suo interno dettero l’ordine. Tre testate uscirono
in fila, scaturendo getti di fuoco e fumo da dietro. I due continuavano a
correre, ma il corridoio sfarzoso era troppo lungo, e i missili andavano senza
dubbio più veloci delle loro gambe.
Il fumo si disperse, mostrando la camera diversa da come era prima. Qualcosa di
impercettibile alfine era cambiato, nessuno sapeva cosa. Aveva un aspetto più….disordinato…ma
come poteva essere, se era rimasta identica? Effetti della magia Ultima,
probabilmente. Chi lo sa è bravo.
Artemisia aveva ormai oltrepassato metà ambiente. Squall la guardava omicida,
Seifer si limitava a seguirla con la coda dell’occhio. Inespressivo. Riusciva
a sorridere eppure senza trasmettere emozioni. -Non ci badare.-, disse,
accentuando la curva delle labbra. -Abbiamo uno scontro da proseguire,
ricordi?-, ricordò a Squall ironicamente.
Il Preside lo squadrò, in secondo che durò minuti. Poi aprì, la bocca, urlò
rauco e si avventò nuovamente. Il Cavaliere parò il colpo, restituendone un
altro. Il combattimento era ricominciato. Stef era da solo con i 5 SeeD a
proteggerlo.
-Ragazzo.-, pronunciò Artemisia, arrestando l’elegante camminata e lo
sciabordio dei vestiti prominenti a pochi metri da lui. Anche lei sorrideva. Un
sorriso identico a quello di suo padre. I cinque SeeD si fecero avanti,
sfoderando le armi. -Ferma dove sei, strega!-, dissero insieme, come essere
privi di personalità. Ed era questo a cui pensava al momento Artemisia. Esseri
inferiori, privi appunto di abbastanza personalità per distinguersi da quell’intrico
senz’ordine che era l’inutile vita umana. Ma lei era venuta per mettere
ordine, insieme al suo Cavaliere. In un modo o nell’altro, qualcosa sarebbe
presto successo.
Portò entrambe le mani avanti, inguantate di soffice seta, verso i SeeD. Poi
allargò le braccia, portando a destra e a sinistra i due arti. Li piegò verso
l’alto e li tirò nuovamente verso il basso, senza pronunciare nessuna formula
e senza cambiare l’espressione maliziosa.
Un tunnel nero si aprì dal nulla, avvinghiando strettamente tutti e cinque i
veterani scelti di Squall. Urlarono. Si divincolarono. I loro muscoli si tesero
dal dolore. E dall’orrore, soprattutto. Inghiottiti dalla malvagità, furono
portati verso l’alto e poi riassorbiti dal tunnel che scomparve richiudendosi.
Nessuno li vide più.
Ora Stef era davvero solo.
-Squaaaaal!!!!!!!-, urlò con tutto il fiato che aveva, quando le lunghe unghie
colorate della strega gli sfiorarono i capelli spettinati e impolverati. Fece
uno scatto a sinistra, liberandosi dal tocco orripilante e correndo a più non
posso, il più lontano possibile. Non poteva avvicinarsi al Preside, troppo
impegnato nel duello con il padre. Il dubbio lo trapassò da parte a parte. Era
nei guai sul serio.
Un colpo, due colpi, ricarica. Un colpo, due colpi, ricarica. Ecco il ritmo di
Irvine quando sparava. I dieci avevano fatto irruzione, con lui ad aprire il
varco iniziale. Non avevano avuto il tempo di prepararsi, i nemici. Pochi
soldati si erano armati, e pochi soldati erano al tempo stesso presenti in quel
centro comandi di uno dei tre bracci. Fu una cosa breve. I corpi vennero
lasciati lì, e due SeeD si preoccuparono di sbarrare al meglio la porta d’ingresso
ancora impregnata di cervella.
-Preparo io la bomba.-, disse Irvine, prendendo l’ordigno dalle mani del
giovane addetto e iniziando a collegare i fili. La nascose sotto una delle tante
console di comando, non aveva importanza quale. Sperò soltanto che i nemici non
la trovassero prima del tempo necessario a fare un gran bel botto di capodanno.
La accese.
Irvine aveva meno tempo della sua fidanzata, Selphie. L’ordigno, dopo un
leggero Bip, aveva iniziato a contare da trenta minuti, e mentre lui la
guardava, aveva già cominciato a scendere il ventinovesimo. -Siamo pronti,
dobbiamo sbrigarci.-
-Come scendiamo?-, domandò giustamente uno dei SeeD, visibilmente preoccupato.
-E’ semplice. Una volta qui c’era un ascensore per trasportare le celle dei
detenuti. Scendiamo con quello.-
-Ormai tutta la prigione saprà che siamo qui.-
-Credo sia ovvio. Ma è l’unica scelta, quindi, non ho bisogno di altre tue
opinioni.-, tagliò corto il cowboy.
Il Gunblade appuntito di Seifer si abbassò, diretto alla caviglia di Squall. La
sfiorò, si addentrò nel vestito e ne uscì, sporca di qualche goccia di
sangue. Il Preside smise per un attimo di combattere per digrignare i denti al
dolore dei muscoli del polpaccio. Il Cavaliere, da onesto combattente, non
pensò neanche di aprofittare di quel momento di debolezza. Tuttavia l’onore
non centrava. Voleva solo divertirsi.
-Firaga!-, urlò Squall, portando la mano all’altezza del petto del
nemico. Il globo rosso esplose, ma fu immediatamente assorbito all’interno del
corpo del Cavaliere, il quale sospirò per la nuova energia assorbita. -Ti
ringrazio, Squall.-, disse. -Ne avevo proprio bisogno.-
Merda.
In quel momento Squall vide Artemisia. La strega camminava, lentamente, in
direzione di Stef, impietrito contro la parete. Si avventò contro di lei,
facendo un salto poderoso. Alzò in Gunblade in alto, sopra il capo, come il
ragazzo vide nei suoi sogni. Non era il momento di stupirsi.
La lama vibrava e stava raggiungendo il capo dai bei capelli della strega.
Ancora un metro, coraggio, ancora uno stramaledetto metro per farla finita
almeno con lei, coraggio…..
Lei non si mosse. Ma Seifer si. Bastò un colpo ben piazzato per far perdere l’equilibro
di Squall e farlo rovinare un’altra volta a terra, facendogli perdere il
Gunblade di mano. L’arma, con l’enigmatico, bellissimo ciondolo d’argento
legato al calcio, si conficcò nel pavimento striato di alcuni centimetri,
pendendo leggermente. Il corpo di Squall si rialzò subito dopo la caduta. Le
escoriazioni sul viso erano rimaste, il vestito lacerato dietro continuava a
perdere sangue, anche se più lentamente. L’energia di Squall si stava
esaurendo in fretta.
6
Aveva raggiunto il trono dorato. Stef passò le mani sul bracciolo in legno,
l’imbottitura di seta, l’alto poggiaschiena di giallo metallo massiccio.
Vide il combattimento fra bene e male che riprendeva, squadrò il viso d’Artemisia
preso con interesse e orgoglio per la battaglia, poi poggiò il piede destro sul
lato del trono e tirò con tutte le sue forze. La base del bracciolo intrarsiato
scricchiolò sommessamente, poi una piccola crepa nera fece capolino. Il ragazzo
prese fiato e tirò con tutte le sue forze. I muscoli si tesero, i nervi
trasmetterono messaggi di dolore al cervello; la crepa aumentò di diametro,
raggiungendo tutta la base del bracciolo. Stef si lasciò sfuggire un gemito
rabbioso, mentre il suo viso diventava rosso scuro. Il bracciolo venne via di
colpo, con l’ultimo strattone. Il ragazzo non cadde per un soffio. Si prese
qualche secondo per calmarsi, rallentare il battito cardiaco, poi alzò gli
occhi verso lo scontro di lame. Squall attaccava con foga, determinazione e
conoscenza del mestiere; stessa cosa si poteva dire per Seifer, escludendo il
fatto che il Cavaliere non portava segni di fatica sul suo viso. Si voltò verso
la strega. Totalmente inespressiva. Forse trasmetteva messaggi telepatici al suo
servitore, pensò. Ma abbandonò istantaneamente l’idea.
Passò di mano il bracciolo in pesante legno, trasferendolo alla mano buona, la
sinistra. Con il gomito della destra si asciugò le numerose gocce di sudore che
gli imperlavano la fronte. Infine alzò il pezzo di legno all’altezza degli
occhi, pronto a scagliarlo. Questa volta il tempo non rallentò. Tese i muscoli
e spedì il colpo esattamente dritto. Pensò di chiamare Seifer “Cavaliere”,
o padre, ma si limitò a stare zitto, contemplando e sperando.
Volteggiando su se stesso il bracciolo con segni arcani non sfiorò neanche il
corpo di Seifer. Tolse il Gunblade appuntito da quello di Squall, bloccò con un
piede il Preside premendo duramente sulla schiena ferita (l’urlo di dolore si
sentì poco, comunque) e tranciò in due parti esatte l’arma contundente con
la lama graffiante. Nessuno scatto di panico, nessuna sensazione. Un gesto
matematico, dettato dalla logica fredda di un robot. Forse la mossa era già
stata prevista. Artemisia non aveva mosso un dito.
-Ahi ahi ahi.-, Il Cavaliere sorrise gaio. -Questo non si fa, figliolo-. Si
chinò e afferrò i capelli castani/argentati di Squall, costringendolo in una
posizione estremamente scomoda. Il sangue aveva ormai inondato la giacca nera.
-Ora sono in dubbio. Uccido tu adesso, obbligando il ragazzo a guardarti
annaspare con la gola tagliata, oppure, viceversa, faccio in modo che sia tu a
guardare la morte del tuo caro Stef ? Suppongo non sia importante, oggi tutti e
due finirete all’altro mondo.-
Premette ancora di più sulla schiena martoriata dell’uomo, e questa volta un
poderoso grido di immenso strazio percorse la camera. Il sorriso di Artemisia e
del Cavaliere si allargò come un bambino quando affoga le formiche in un
secchio pieno d’acqua
-ho deciso.-, annunciò. -Tocca a te, vecchio amico.- si abbassò nuovamente,
sussurrando al malcapitato: -Addio, Squall. Salutami Ellione e il gallinaccio,
anche lui ha visto la mia lama, sai?-
-ORA!-, gridò Stef, che era rimasto accanto al trono. Squall inarcò il dorso,
sopportanto le punte d’acciaio che sembravano conficcarsi nelle carni. I
capelli che Seifer stringeva in mano si strapparono all’unisono, lasciando nel
guanto del Cavaliere soltanto fibre di un colore argenteo. Squall era supino
ora. Tutto ciò era accaduto in un battito d’ali di un uccello. Strinse il
Gunblade nella mano destra, e spinse alla cieca, con tutta la forza che gli era
rimasta, chiudendo gli occhi.
Alcune gocce di qualcosa gli caddero fra gli occhi. Seifer si allontanò da
Squall. Il sorriso scomparve, finalmente. Ora sul viso del Cavaliere c’era
solo sgomento e forte, gigantesco panico.
Il quattordicenne non credeva ai propri occhi. E neanche Artemisia, ad essere
sinceri. Corse verso il servo, sempre con la solita andatura, artigliando le
lunghe mani inguantate di seta. Lo raggiunse, lo strinse fra le braccia. Seifer
era ancora in piedi, la mano libera premuta contro il petto, accanto al cuore.
Bastava un centimetro più a sinistra, maledizione. Comunque la sorte di lui era
ormai segnata.
Il Preside vide la scena, e usando l’arma come bastone si mise in piedi. Stef
corse verso di lui, sorpassando i due senza neanche degnarli con la coda dell’occhio.
-Tutto bene?-, chiese, nonostante fosse una questione superflua. Squall sorrise
serenamente. -Sopravviverò.-
Il sangue sgorgava copiosamente, ma il Cavaliere non voleva sapere di perdere
conoscenza. Con gli occhi ancora vigili e attenti, stringeva con forza la strega
Artemisia.
-P..p..possiamo ancora.-, mormorò, mostrando i denti imbrattati di rosso.
-Me ne occupo io, cavaliere.-, assicurò Artemisia, lisciandogli i capelli
biondi. Lui scosse la testa per evitare il contatto. -No. No. No. Io..io devo
farlo..-
-Non puoi. Hai fallito.-
-Squall è solo mio. Dobbiamo…dobbiamo unirci.-
Artemisia inorridì interiormente. -Ma se ci uniamo, decreterai la mia morte.-
-Si.-, Seifer sorrise. -Fallo per il tuo Cavaliere.-
Lei scosse la testa con forza. -Non posso.- I suoi occhi si inondarono di
lacrime. -E’ una richiesta troppo grande…mi dispiace, Cavaliere. Mi dispiace
tantissimo.-
Artemisia si abbassò sul corpo morente del servitore, baciandolo in fronte con
le labbra prosperose e bellissime. -Ti vendicherò con onore.-, gli sussurrò
dolcemente all’orecchio.
Lei non vide, ma in quel secondo l’espressione di Seifer cambiò. L’ira
scaturì da tutti i pori. La rabbia di essere traditi. Sussurrò all’orecchio
di lei, senza un briciolo d’amore. -Non…sono più..il tuo servitore, brutta
traditrice.-
La alzò con uno sforzo sovrumano e le sputò in faccia il sangue che dai
polmoni inondava la gola del Cavaliere. Poi, stringendo in mano l’arma, fece
un solo fendente, di taglio, verso la gola di lei.
Squall e Stef fissavano, inorriditi. Avevano dimenticato anche di respirare.
La strega non ebbe tempo per provare rancore. Strinse la gola con le dolci mani,
mentre il liquido defluiva schizzando. Divenne pallida, l’espressione si fece
catatonica. Poco dopo, insieme al sangue, iniziò a fuoriuscire anche fumi di
vari colori, che si dispersero per tutta la grande camera. La linfa magica della
strega, ciò che decretava i suoi poteri straordinari, scappava senza controllo,
mentre il bellissimo corpo di lei incontrava finalmente la morte. L’arresto
delle funzioni del corpo.
Seifer sapeva che doveva fare presto. Per unirsi il cuore della donna doveva
battere ancora. Perciò, non badando alla ferita infetta, abbracciò stretto la
strega, mettendosi seduto. Una luce immensa e terribilmente bianca bruciò negli
occhi dei due presenti, che furono scagliati dall’altra parte della stanza. Ma
non persero i sensi. Aspettavano i terribili sviluppi, in silenzio.
La lacerazione al petto non faceva più male. Seifer sentiva la vita scorrergli
nuovamente dentro. Attese anch’egli, mentre Artemisia, vecchia antagonista di
un giovane cadetto SeeD di nome Squall Leonhart, si spegneva secondo dopo
secondo. Il sangue aveva smesso di defluire. L’ossigeno non giungeva più al
cervello. Le cellule cerebrali si stavano spegnendo una per una, come una città
in lento blackout. Pochi istanti e sarebbe tutto finito.
Artemisia amava Il Cavaliere. Anche Seifer ricambiava, in parte, i sentimenti
della potente donna. Ma all’uomo ammantato di bianco non piace, mai,
sentirsi dire di no.
Egli non è capace ad amare con l’anima.
7
Era l’unica alternativa. Riven strinse Suze, costringendo la ragazza ad una
brusca virata verso sinistra. A sinistra c’era la finestra, che dava verso i
mostruosi cumuli di cadaveri inceneriti. Quando ruppero il vetro e le infisse di
legno, saltando nel vuoto di svariati metri, i missili li avevano appena
oltrepassati, bruciacchiando la parte superiore delle loro divise blu scure.
In una situazione “più semplice”, i due sarebbero rimasti schifati, sapendo
su che cosa erano appena atterrati, ma in quel momento, laddove la sanguinosa
trappola-battaglia continuava imperterrita a mietere vittime, non c’era tempo
per riflettere su cose stupide. Caddero rotolando fra le ceneri della ex
popolazione di Winhill, si rialzarono tinti di nero sulla schiena e sulle spalle
e scapparono il più lontano possibile, verso la gabbia della strega Artemisia.
Entro pochi secondi da ora, Squall, migliaia di chilometri più a sud, avrebbe
sferrato il colpo contro Seifer.
Il robot non si dette per vinto. Mentre la villa veniva squassata dall’esplosione
dei tre missili e i vetri, l’intonaco, i mattoni, le armature preziose d’epoca
saltavano via, lui inquadrò nuovamente i poveri apprendisti SeeD che correvano
lontani. Da una nuova fessura fecero capolino dei mitragliatori. In mezzo al
frastuono il suono non si sentì molto, ma loro capirono. -Accidenti! Suze,
corri!!!-, urlava il biondo, agitando l’arma.
I primi SeeD rimasti a combattere avevano incominciato a fare il giro della
villa. I proiettili del robot si abbatterono contro i poveri cadaveri scuri,
ormai ridotti ad una massa informe. Alzarono la traiettoria, puntando contro
Suze e Riven. -Aiuto!-, urlarono per richiamare i soldati della divisa di balamb
che si avvicinavano. Chi aveva un’arma da fuoco iniziò a puntarla contro l’essere
viola che sparava da ciò che rimaneva della magnifica villa. Troppo tardi.
Questi affari sono notoriamente difficili da eliminare. Lo scarto di lato dei
due fu estremamente utile, ma non salvò il quindicenne da un pezzo appuntito di
metallo, probabilmente l’ultimo che il caricatore riuscì ad espellere. Il
dolore agghiacciante, sbranante, al piede sinistro fu l’unica cosa che sentì
prima di crollare a terra, sbattendo il capo contro il terreno. Si risvegliò
all’ospedale, fortunatamente. Poteva non risvegliarsi mai più.
Mentre il robot si crollava sul pavimento della magione, lo scudo di forza
scemò, fino a scomparire. La gabbia era aperta. I SeeD rimasti, urlando “vittoriosi”,
scavalcarono i cadaveri dei loro vecchi amici per andare incontro alle erbose
pianure della zona del paese, irriconoscibile ormai. In quelle tre-quattro ore,
Winhill era stato cancellato dalle cartine geografiche. Un barlume di civiltà
in meno.
Aveva smesso di piovere. Tremante, esausta, infreddolita, Elizabeth staccò una
mano dal gelido fucile da cecchino, scostando la frangia di capelli rossi,
sporchi di pioggia e fango. E proprio su quello era ormai seduta da tempo. Sul
fango. I pochi proiettili rimasti si erano abbattuti sullo scudo della strega.
Non potè fare più niente, solo aspettare gli sviluppi, pregando che nessun
Galbadiano la scoprisse. Ma erano tutti troppo impegnati. Tutti tranne lei?
Starnutì. In quel momento, gettando una pigra occhiata, vide l’esercito quasi
dimezzato di SeeD che usciva, urlando, dalla città, inseguito dalla maggior
parte delle legioni di Galbadia. Si alzò anche lei, senza più preoccuparsi
dell’aspetto distrutto, gettando il lungo e pesanre fucile a terra e correndo
nella stessa direzione dei soldati. Forse era finita. Difficile ormai essere
certi di qualcosa, in questo mondo.
Quando Stef aprì gli occhi, pregò di star sognando, e di vedere in quel
momento soltanto una fantasiosa rappresentazione dei suoi incubi peggiori. Anche
Squall implorò la stessa cosa. Ciò che ora avevano di fronte, a qualche decina
di metri, non era più né Artemisia né Seifer. La creatura, ancora armata del
Gunblade appuntito, portava molti segni sul viso del Cavaliere. Infatti, gran
parte della mente era sua. La strega aveva lasciato finalmente questo mondo, per
non farvi mai più ritardo. Egli avrebbe detto che “l’ha sacrificata per il
bene maggiore”. I capelli non erano più perfettamente, impregnati da screzi
color Magenta, come scintille di una saldatrice. Gli indumenti erano nuovamente
un miscuglio, tanto che i pantaloni larghi, il mantello e il giubbotto di lui
facevano parte insieme al lungo fascio di seta ondeggiante di lei, formando un’opera
d’arte abbastanza ambigua. Ma bastava guardare gli occhi per capire che in
fondo, nonostante i moltiplicati poteri, l’aspetto cambiato, era sempre lui.
Il buon vecchio Seif.
-Cosa facciamo ora, Squall?-, chiese Stef, tirando una manica del vestito
lacerato di Squall come fa un bambino. Egli si prese qualche attimo per
riflettere. Aprì la bocca, tentando di controllare la voce resa acuta dal
panico. -Ora tagliamo la corda, finchè possiamo.-
Si voltarono di scatto, correndo il più rapidamente possibile, uscendo dal
grande doppio portone esattamente come erano entrati, passandoci attraverso.
Il Nuovo Cavaliere non tentò di fermarli, pur sentendoli scappare animosamente,
grazie ai sensi potenziati. Non volle fermarli. In quel sublime momento stava
provando l’ebrezza di una incredibile potenza che gli passava in ogni antro
del suo corpo cambiato. Avrebbe raggiunto i due infami dopo, con una eccellente
entrata ad effetto. Il mondo era pronto per essere governato a modo suo.
Quelli erano gli ultimi minuti di vita di Seifer Almasy, alias Il Cavaliere
della Strega, alias Il Sostituto della Strega, alias L’Evoluzione Finale.
C’era chi, dentro di lui, non era d’accordo.
L’ascensore, con il suo solito ronzio, si bloccò senza eccessiva grazia a
quello che chiamava il piano inferiore. La prigione del distretto D aveva
completato l’ordine che avevano impostato Irvine e co. prima di andarsene. Il cavatappi
era appena risalito. In questo momento la polvere del deserto attorniava la
tripla struttura.
Non fece “Ting!”, come quello del Garden. Solo uno strattone, con uno
sgradevole stridio meccanico.
-Tempo.-, disse Irvine.
Uno dei SeeD osservò un cronometro legato al polso. -Diciassette minuti.-
-Siamo in anticipo.-, continuò il cowboy, soddisfatto. Si trovò a pensare a
Selphie, in quel momento.
L’attacco continuava, con i pochi rimasti. La donna, dal corto vestito sporco
di sabbia e sangue, restituiva colpo su colpo con il fedele nunchaku. Non ne
poteva più, a dirla tutta, ma lo spirito di sopravvivenza era forte,
spingendola oltre la soglia della stanchezza. Non per molto comunque. C’erano
limiti che neanche la natura poteva oltrepassare.
Ma avevano preso la strada giusta? Difficile a dirsi, con questi corridoi tutti
uguali, claustrofobici, male illuminati. A forza di uccidere soldati Galbadiani
e rimanere feriti leggermente in tutto il corpo, pensare diveniva difficile. L’unico
piano era proseguire, sperando in un colpo di fortuna: la luce del sole. Il
timer dell’autodistruzione aveva ormai superato i 40:00, e continuava a
scendere. Ancora una ventina di minuti e l’attesa sarebbe diventata
insostenibile.
Qualche centinaio di metri lo avevano percorso, impegnandosi anche, vista la
fatica che avevano sprecato, il povero Preside sopra tutti. Il Garden di Balamb
splendeva, bianco, sicuro, immacolato, con i magnifici soffitti di vetro.
Splendeva come un punto irraggiungibile, un Nirvana tutto loro, che si vede ma
mai si ottiene. Il navigatore attendeva in Presidenza come gli era stato
ordinato. Squall aveva in mente come fare, ma il tempo, con rapidità
impressionante, scivolava. Non voleva scappare.
Percorsero metà strada, nel gigantesco prato dai fiori colorati e fulgenti,
quando il palazzo/creatura si contorse, come colpito da una lancia profonda.
Ruggì, urlò straziato, poi si gonfiò.
-Corri al Garden.-, ordinò Squall al quattordicenne. -Digli…digli di attivare
l’armamento d’emergenza.-
-Come farai da solo?-
L’uomo guardò Stef come solo lui sapeva fare, con quei occhi di ghiaccio
senza tempo. -Corri.-
E lo fece.
Il castello esplose al centro, facendo fuoriuscire un proiettile di dimensioni
umane, che frenando si assestò esattamente venti metri sopra, apparendo come
una qualsivoglia divinità.
-E ora di finirla.-, disse tranquillamente, sempre con il Gunblade stretto nella
mano destra. Si, era sempre lui.
Squall abbassò il capo, osservando il prato. Dentro di lui c’era l’ultimo,
grande asso. L’aveva portato in vista di problemi come questi. Sperò di non
doverlo mai usare, come promise molti anni fa, dopo la fine della Guerra, però
la faccenda era ormai diventata troppo grande per essere gestita da un comune
mortale.
Si concentrò.
I fiori di discostarono, in direzione opposta al corpo dell’uomo. L’intera
distesa ondeggiò verso tutti i punti cardinali contemporaneamente. Nessuno si
staccò da terra. Seifer captò l’insorgere di una rinnovata potenza.
Riconobbe un Guardian Force, lui, che ne aveva visti tanti. Non si scompose di
un millimetro.
Un cerchio verde, denso, avvolse Squall Leonhart. Iniziò a volteggiare,
ingrandendosi di spessore, immergendo i piedi e le caviglie di lui. Per un
attimo, il vento si fermò, e il silenzio calò nell’arco di decine di
chilometri. Infine un sussurro, di Squall. -Megaflare.-
Il cielo si oscurò. Il rosso del tramonto fece spazio alle stelle della notte
che brillarono di un bianco tremolante. Tutti i colori persero la loro
lucidità: l’erba era grigia scura, il Garden grigio chiaro, Squall scuro e
Seifer chiaro.
-Forza! Mandalo da me, Squall!-, gridò l’incrocio Seifer/Artemisia con voce
echeggiante. -Cosa speri di ottenere? E’ tutto quello che hai da offrirmi?-
Il drago nero uscì dal cielo in tutta la sua possenza. Alto, aristocratico,
temibile, il grande Bahamuth vide con i grandi occhi grigi Seifer e urlando
cavernoso sbattè le grandissime ali squamose, gettandosi contro il nuovo
cavaliere con le fauci spalancate. Lui tese il Gunblade versò il Guardian
Force, assolutamente tranquillo.
Stef era entrato nel Garden, e correndo all’impazzata stava raggiungendo l’ascensore
per la Presidenza.
8
“Ting!”
Stef sbattè una spalla contro la doppia porta dalla maniglia argentata, senza
curarsi del dolore. Il navigatore tese le orecchie, scartando un giornaletto che
leggeva prima avidamente. Non aveva neanche gettato lo sguardo sul combattimento
che profilava di fronte alle splendenti vetrate.
-Attiva l’armamento d’emergenza!-, urlò Stef.
L’armamento d’emergenza era stato introdotto dall’ultima revisione del
Garden di Balamb, due paia di anni fa circa, ad opera dell’astuto e avanzato
popolo di tecnici di Esthar, la città nascosta. In quel momento, il ragazzo si
ricordò di una promessa fatta a se stesso.
Un giorno ci andrò.
In pratica, premuto il debito pulsante, il Garden sfoderava qualche cannone e
mitragliatore pesante, inclusa una bocca da fuoco energetica modello “Lagunarock”.
Stef non aveva la minima idea di che cosa fosse un Lagunarock, ma la sola parola
“cannone” lo rassicurò, sebbene di poco. Quindi la sua “casa” non era
soltanto un gigantesco condominio volante, ma anche una debita arma da guerra di
svariati piani.
Forse un attacco completo, mischiato con quello del gigantesco drago nero,
poteva causare problemi all’odioso padre.
Bahamuth usò il Megaflare all’ultimo.
Dalle fauci aperte e stracolme di denti aguzzi, un raggio bluastro fece
capolino, prima sotto forma di fiamma pilota, poi ingigantendosi a dismisura,
raggiungendo un diametro di decine di metri. Quando finalmente fu scagliato
contro Seifer, tutti gli oggetti intorno avevano assunto un colore azzurrino.
Compreso Squall, immerso nei suoi pensieri, gli occhi fissi, ad ammirare uno
spettacolo che da più di dieci anni si era negato. I Guardian Force erano
troppo pericolosi. Le cose belle hanno sempre lati negativi.
Nessuna esplosione.
Il getto blu non colpì il corpo del Nuovo Cavaliere, bensì la lama del
Gunblade, resa infrangibile dall’energia che il suo padrone trasmetteva. L’attacco
non era stato parato, fortunatamente. L’onda continuava a premere. Uno dei
due, alla fin fine, avrebbe ceduto, e osservando il viso assolutamente
inespressivo di lui, era facile constatare che entro pochi secondi il colpo di
Bahamuth si sarebbe spento.
In quei secondi i mitragliatori del Garden dovevano essere armati e pronti a far
fuoco.
La luce. Gli occhi di Selphie si erano abituati al buio a tal punto da scorgere
il lampo di luce a destra. Con il braccio fece segno al gruppo di virare per un
nuovo corridoio, questa volta in salita. Una ventata d’aria vera, non viziata,
si addentrò nei polmoni di tutti.
Alla fine di quelle strette pareti c’era un piazzetta formata da tante grate
metalliche. Lì, una decina di soldati stazionava armato. La Squadra arrestò la
corsa. -Li sorprendo con una magia. Poi voi entrerete prendendo di sorpesa i
pochi rimasti.-, ordinò Selphie, presa dalla frenesia e il timore di non fare
il tempo. Fece di conseguenza una leggera fatica a concentrarsi, questa volta. -Thundaga!
,-, e un tuono si abbattè contro i nemici; due furono folgorati, gli altri
otto si voltarono in direzione dell’attacco. Il pavimento metallico ondeggiava
lievemente, nel punto in cui la Squadra fece irruzione.
Il timer dell’autodistruzione segnava 33:00.
Alcuni scomparti, nei bianchi muri esterni del Garden, segnati ogni tanto da
eleganti scritte e segni arcani, si aprirono, lasciando fuoriuscire armi
grossolane, in confronto alla magnificenza artistica del luogo. Tutte cariche.
Per ultimo si fece vedere il vistoso cannone ad energia, già in fase di
accumulazione. Spuntava dalla metà del Garden come una lancia trafitta, ma
piccola, se comparata con la grandezza della struttura.
Dovevano fare in fretta. Presto il Megaflare si sarebbe esaurito, e il drago
Bahamuth sarebbe ritornato a casa sua, nel profondo dell’universo, lasciando
nuovamente loro due da soli.
-Fai fuoco.-, disse Stef al navigatore. Egli schiacciò uno dei tanti pulsanti
della tastiera lievemente arrugginita.
L’assordante botto dei proiettili in uscita distolse parte della mente del
Cavaliere dal contrattacco. Voltò la testa appena in tempo da vedere le
esplosioni dei mitragliatori provenienti del Garden. Non poteva cambiare
posizione, altrimenti il Megaflare si sarebbe abbattuto su di lui. Squall aveva
progettato tutto questo in una frazione di secondo, quando vide il risultato
dell’unione Seifer + Artemisia.
Tuttavia il Cavaliere poteva parare entrambi senza problemi. Non aveva una
potenza immaginabile, dopotutto? Raccogliendo l’energia non sarebbe stato un
problema schivare le pallottole di metallo e fare esaurire l’attacco magico
bluastro. Si, poteva farcela. Egli era il Cavaliere. L’essere finale.
-Squall!-, gridò, facendo tremare l’aria di fine crepuscolo, pieno di stelle
splendenti. -Sei morto! Sei morto!-
Chiuse gli occhi e chiamò a se la potenza della strega.
Fu sorpreso quando, un nanosecondo più tardi, constatò che qualcosa dentro di
lui impediva tale flusso. Qualcuno non era d’accordo. Facile immaginare chi.
Artemisia era morta, ma parte di lei era sempre presente dentro il corpo
rinnovato di Seifer; e si sentiva tradita, immensamente. Uccisa dal suo stesso
servitore. Freddata dal suo amore.
-Maledizione…-, mormorò Seifer, mentre le forze, inesorabilmente, lo
lasciavano. La presa del Gunblade contro il Megaflare stava diventando
insostenibile. Parte del suo corpo, quello di Artemisia, si stava ribellando.
Cacciò un urlo di rabbia talmente forte da incrinare le vetrate del Garden di
Balamb. Non si seppe mai cosa disse. Il primo proiettile gli trapassò il
polmone, il secondo sfiorò la schiena lacerandogli il mantello, poi il terzo,
il quarto, il quinto…
Metri e metri più in basso, Squall Leonhart osservava ad occhi sgranati. Una
lacrima fece capolino da quello sinistro, percorse la guancia e si fermò
accanto al mento, prima di cadere. Non poteva fare a meno di intristirsi. Quella
era la fine del suo peggior incubo. Nonostante i lunghi combattimenti, il
rancore portato, provava una sorta di bizzarro attaccamento al rivale.
Ciò che rimaneva del Megaflare colpì il corpo di Seifer, ormai trapassato da
numerosi proiettili, incenerendogli una mano e spedendo lontano, in direzione
del cielo, il Gunblade appuntito, modello più avanzato rispetto a quello del
Preside. Il corpo martoriato di lui fu spedito verso la terra, in mezzo ai
fiori. Lì esplose, distruggendo parte della gigantesca distesa paradisiaca. L’onda
d’urto sbattè anche Squall a terra, ma fu un dolore sostenibile. Ormai ne
aveva provato talmente tanto, sia fisicamente che mentalmente. Voleva solo una
cosa, ormai.
Rinoa.
Stef vide la fine di suo padre da lontano, ma la buona vista non lo tradì. Vide
i proiettili, vide l’esplosione, vide il corpo di Seifer scomparire.
-Ce l’abbiamo fatta. E’ finita.-, disse al navigatore, sbalordito.
-Già, a quanto pare. Vuoi andare a vedere da vicino?-
-No.-, si affrettò a dire il ragazzo. -Sto bene qui. Sto bene nel Garden.-
Bahamuth, con un ultimo verso poderoso, sbattè le grandi ali e scomparve.
Quello, il grande drago nero, signore di tutti i demoni, fu in assoluto l’ultimo
Guardian Force della storia evocato. Un capitolo chiuso, mai più riaperto.
Il castello/creatura, una volta ex orfanotrofio, casa di Edea e Cid, iniziò a
ripiegarsi su se stesso. Dove erano finiti i sogni di gloria? Di potere? Di
impareggiabile splendore? Come tutti i sogni, anche questi erano destinati ad
essere irraggiungibili.
Dopo il castello, anche le lunghe distese di fiori cominciarono ad appassire
progressivamente. Rose, orchidee, margherite, tulipani, violette…tutti quei
petali volarono nel vento, staccandosi come tanti, piccolissimi palloncini
colorati. Per un minuto fu come ritrovarsi in paradiso.
Squall camminò in direzione della fossa creata dall’esplosione. Gli unici
fiori ancora vivi si erano radunati vicino al minuscolo cratere, dove ancora un
anelito di vita respirava.
Il preside sporse il corpo verso la buca. Qualcosa di informe giaceva in mezzo,
tra fumo e terra bruciata. Un corpo irriconoscibile, mutilato, distrutto, appena
capace di esprimersi.
-Dov’è Rinoa?-, chiese Squall, respirando a grandi boccate. Quella giornata
era “troppo” per un vecchio come lui. Il corpo si mosse.
-I..il…castello…custodisce….lei. Attendi la mia….mort..-, pronunciò
ciò che rimaneva del Cavaliere.
Squall versò un’altra lacrima. Non tentò neanche di controllare la voce
quando pronunciò l’ultima frase all’eterno rivale, ormai affogata dalle
lacrime che continuavano a salire, sempre più intense.
-Addio, Seifer.-
Fu l’ultima cosa che il Cavaliere recepì. In quell’istante, la vita lo
abbandonò.
Il castello sembrò sciogliersi, insieme ai petali, ormai raggruppati in nuvole.
I gambi attorcigliati e marroncini dei fiori appassiti rendevano il posto un
cimitero. Ma non destava alcuna paura. In mezzo allo spiazzo, illuminata da una
luce tenue, proveniente da chissadove, una donna, apparentemente addormentata,
giaceva sul pavimento. Squall si precipitò a prenderla in braccio. Le lacrime
ormai inondavano il viso e i collo, ma ora era soltanto gioia. Dopo tanti mesi
di patimenti, il cuore del Preside si riaccese come non accadeva da molto,
infinito tempo. La sua mente ringiovanì, spaziando nel tempo in cui era ancora
un cadetto SeeD. Rammentò il combattimento con Seifer nel centro d’addestramente,
la cicatrice, Edea, il Garden di Galbadia, le piume, il treno di Timber, il
vecchio amico zell, le lunghe avventure. Il mondo era cambiato. Ma non
importava, aveva ritrovato la sua amata.
Si risvegliò sorridendo, ondeggiando al vento i lunghi capelli neri. Non
dimostrava affatto l’età che aveva. Con una mano accarezzo il viso di Squall,
dalla parte con le escoriazioni. -Oh, Squall-, pronunciò con voce dolce.
-Sapevo che saresti arrivato.-
La vita era ricominciata. L’uomo poggiò il viso stanco accanto a lei,
piangendo rumorosamente e ripetendo il suo nome due, tre, volte. All’infinito
avrebbe voluto pronunciarlo.
-Andiamo a raccoglierli?-, chiese ansioso il giovane navigatore, ancora
scombussolato.
-No, no. Per carità, lasciamoli ancora un po’.-, disse Stef. Vedeva ben poco
da quella distanza, ma una cosa l’aveva capita bene. Aveva riuscito nel suo
intento. In un modo o nell’altro, era riuscito a trovare Rinoa, come gli era
stato ordinato. Il moto di orgoglio e felicità fu talmente forte che per poco
non scoppiò a piangere a dirotto anche lui.
Il tramonto era finito. La Grande Luna riempiva il cielo come mai prima d’ora.
9
I soldati Galbadiani sfondarono alfine la porta del centro comandi, sprangata
precedentemente da Irvine. Agivano con fretta, ansiosi di trovare in fretta la
bomba, disinnescarla e dare la caccia, fino all’ultimo, a quella manciata di
infami terroristi.
-Cercate nei posti più nascosti. Tendete le orecchie, dobbiamo fare in
fretta.-, ordinò perentorio l’ufficiale più alto, divisa rossa, spalline
larghe. Iniziò una breve e tempestiva ricerca, sezionando armadi, pavimenti,
muri e console. Nulla fu ovviamente risparmiato.
-Comandante. I terroristi sono usciti ora dalla prigione.-, disse un
sottoufficiale, divisa blu. -Armiamo l’arsenale. Saranno morti entro sessanta
secondi.-
-Bene. Eseguite.-
-Comandante!-, disse un altro sottoufficiale. -Abbiamo trovato la bomba!-
-Finalmente.-, commentò il militare dall’uniforme rossa. -Non la si fa al
governo Galbadiano. Disinnescatela, mentre noi ci occupiamo dei terroristi.-
-…comandante?-, disse ancora quello di prima, con un tono di voce
esageratamente più insicuro, confrontandolo con il precedente. Il suo volto si
era ingrigito talmente velocemente da trasformarlo in un cadavere di un paio di
giorni.
-Cosa c’è, ancora?-
-Credo…c-che sia troppo…tardi…-
Il Comandante diede un occhiata al timer ticchettante. Spalancò gli occhi.
-Tutti fuori di qui!!!-
Era L’ultimo minuto.
-E….ci siamo.-, annunciò un SeeD della Squadra del Garden di Balamb,
osservando il timer fissato al posto sinistro giungere al fatidico 0:00. L’esplosione
fu devastante. Il centro comandi si disperse in una pioggia battente di oggetti
metallici, distinguibili come tasti di console fusi, lamiere squarciate e, si,
anche corpi fumanti. I due ponti che collegavano i bracci del triplo cavatappi
saltarono, piegandosi e lacerandosi come un filo di lana. L’equilibrio stesso
della costruzione venne meno, senza uno dei tre appoggi. La forza dell’esplosione
si trasferì, sparpagliandosi, facendo esplodere vetri e piegando il metallo.
Irvine e gli altri rimasero a guardare, trattenendosi uno con l’altro quando
giunse l’onda d’urto. Uno spettacolo simile è raro in vita.
Esplose l’ultimo ponte, quello che collegava i restanti pezzi della struttura,
già divorati dalle fiamme e deformati dalla deflagrazione. Caddero con un tonfo
pazzesco, sollevando un polverone tale da fare invidia alla peggior nebbia
invernale. In quegli attimi era perfino impossibile notare la massa nera e
fumante che finiva di distruggersi.
-Bene.-, disse Irvine scrollando le mani inguantate. -Abbiamo finito.-,
aggiunse, voltandosi a guardare i SeeD, stringendo le palpebre per non rimanere
accecato. -Aspettiamo che Squall si degni di venirci a prendere.-
La freschissima aria fu un tonificante ottimo. Selphie respirò a pieni polmoni
quella fragranza rilassante. Erano usciti, udite udite. Ora però dovevano
allontanarsi abbastanza in fretta da non saltare in aria insieme alla base
missilistica con cui avevano passato tanto tempo insieme. Accelerarono il passo,
diretti verso il veicolo usato prima. I soldati rimasti erano troppo impegnati a
salvarsi la pelle.
Anche migliaia di chilometri più a sud l’aria fresca della notte si faceva
sentire, spostando i capelli sporchi di polvere e scomposti di Stef. Era uscito
dal Garden, ancora poggiato accanto al prato di fiori morti. Squall e Rinoa
erano ancora nel punto dove prima c’era il castello vivente. Sorridevano. Si
prendevano per mano. Si abbracciavano. Il ragazzo sorrise per loro, limitandosi
a camminargli intorno, facendosi strada in mezzo al cumulo di morte. Non osava
avvicinarsi al cratere, pur sapendo che il corpo di Seifer si era dissolto, come
facevano le Streghe. Non voleva averci più a che fare. Lui non aveva mai avuto
nessun padre. Escludendo ciò che sarebbe potuto diventare Squall.
Alzò il capo, osservando le stelle splendenti, bianche, tremolanti. Sospirò
profondamente, sentendo la stanchezza, la rabbia, la frustrazione svanire,
facendo posto a una dose di speranza che raramente aveva sentito, neanche da
bambino. Calcolò i tempi; secondo i piani, Irvine e Selphie dovrebbero aver
finito. Pensò a Winhill. Alla fine, cos’era successo? I SeeD erano morti
tutti, prima dell’unione Seifer/Artemisia? Poteva essere successo, tuttavia
conosceva la potenza di tale corpo d’elite. Riven si era salvato? Non poteva
saperlo, e questo iniziò a preoccuparlo. Certo, aveva detto a tutti quelli del
Garden chi era quel quattordicenne disordinato e depresso, cambiando gli sguardi
della gente da così a così. Chissà come sarebbe stato tornando alla quiete
che ora sembrava tanto lontana, ma così vicina?
Lo avrebbe perdonato, con il tempo.
E che dire di Elizabeth? Non la aveva più vista…doveva riaverla con se, ne
era certo. La vita era dura là dentro senza una presenza fortemente affettiva.
Ebbe l’ansia di tornare.
-Squall! Dobbiamo andare a prendere i SeeD! A quest’ora si staranno chiedendo
dove siamo finiti!-, urlò verso la coppia. Squall alzò la mano destra, facendo
segno di rientrare al Garden. Stef volle una macchina fotografica, in quel
momento, per immortalare l’espressione del Preside. Mai visto un sorriso
così.
Una luce argentea si accese accanto alle stelle, avvicinandosi a vista d’occhio
alla terra. Stef la vide con la coda dell’occhio, mentre Squall e Rinoa
entravano dal portone principale del Garden di Balamb. Lui attese, tentando di
capire cos’era quella specie di missile luminoso. Nessun rumore. Entro
secondi, la lama del Gunblade appuntito si conficcò per terra, la stessa terra
dove prima il suo padrone era deceduto. Stef prestò fede ai suoi occhi. Toccò
il gelido manico dell’arma, sentendo la pelle d’oca avanzare per le braccia
e la schiena. Con fatica, lo tolse dal suolo, e lo appoggiò sulla spalla,
noncurante del peso di quell’affare. Corse dentro la struttura, con l’unico
ricordo rimasto del padre. Non ebbe la minima idea del perché di quel gesto.
Trovò semplicemente impensabile l’idea di lasciarlo lì.
Il primo fortunato fu Irvine e la sua squadra. Furono raccolti dopo qualche
decina di minuti, senza troppe ferite, ansimanti soltanto per il pungente freddo
di fine novembre. Irvine trovò il tempo anche per una finta sfuriata ai danni
del Preside, che noncurante fece rotta per la zona della base missilistica.
Selphie se l’era cavata, ma era stata molto più sfortunata di Irvine. La
Squadra era rintanata nel veicolo, a circa un chilometro dalla massa fumante
della base. La prima tappa per la donna e i SeeD di quella missione fu l’infermeria.
Fino lì, tutto era andato secondo i piani prestabiliti. I due centri erano
diventati polvere, Il Cavaliere era stato sconfitto, il potere della Strega
annullato. Rimaneva la parte centrale della guerra, la battaglia di Winhill.
Squall si preparò a fare un bilancio di tutti i poveri ragazzi deceduti.
10
I SeeD salutarono l’arrivo del Garden come era giusto fare, e come loro si
sentivano di fare. L’atmosfera generale era di gioia, trionfo, ma da lontano
si poteva scorgere con vivo rammarico quanto l’esercito si fosse
rimpicciolito. Di diecimila che erano, i giovani che salutavano quella notte
fonda si potevano contare senza problemi come metà. Cinquemila e rotti.
Ottomila-novemila forse, contando anche gli ostaggi del Garden di Galbadia
reduci dalle torture dei nemici. I soldati, rimasti senza poteri, e quindi
mortali, dopo la morte di Artemisia, non poterono fare altro che scappare,
diretti in ogni parte del globo. Ma non potevano costituire una minaccia
permanente. Con calma, Squall li avrebbe cacciati e puniti a dovere.
Il Garden atterrò in un altro grande sbuffo di polvere, osannato dalle urla
trionfanti dei SeeD. Winhill, la collina successiva, era un cumulo di case
scoperchiate o esplose. Moltissimi corpi ricoprivano le strade, sia di ufficiali
in uniforme, sia SeeD. Non valeva la pena trasportarli all’interno della
scuola militare; sarebbero stati seppelliti lì, in ricordo di quella grande
battaglia che rase al suolo il pacifico paesino e che entrò negli annali della
storia come maggiori perdite mai registrate. Una battaglia tutto, fuorché
leale. Ma il coraggio fu tanto. I feriti erano disposti ordinatamente accanto ai
combattenti, in barelle costruite dai resti del paese. Alcuni erano coscienti e
urlavano sorridendo, altri, svenuti, attendevano di riempire come un uovo l’infermeria.
Squall uscì, insieme a Rinoa. Tutti capirono che la missione era riuscita,
vedendo la moglie di Squall sorridere abbracciata a lui. La felicità aumentò
ancora quando Irvine, capelli corti, vestito da cowboy impolverato e fucile alla
mano e Selphie, con le dita fasciate, stanca e dalle molteplici contusioni,
giunsero dall’alto del ponte del secondo piano, salutando festosi. Poi il
Preside prese parola, facendo tacere i SeeD con un gesto della mano. Stef era
dietro, non visibile ai compagni combattenti.
-Oggi molto sangue è stato versato. Molti SeeD sono morti al servizio di un
bene enorme, portando la pace in questo mondo. Io, in qualità di vostro
preside, sono orgoglioso, ma allo stesso tempo triste per il numero di giovani
che ci hanno abbandonato. Facciamo tutti in modo di ricordare tale sacrificio.
Tutti hanno fatto la loro parte.-, disse ad alta voce Squall, mostrando le
escoriazioni sulla parte destra del viso, facendo capire che anche lui aveva
combattuto, aveva combattuto la sua personale battaglia. -Dedicheremo questo
giorno e il prossimo che verrà in ricordo di tutti quelli che ci hanno
lasciato. Perciò, non opereremo nessun festeggiamento, fino al terzo giorno.
Chiederemo a Fisherman’s Horizon di ospitare il Garden per una festa
commemorativa, ma solo dopo minimo settantadue ore. Spero che sarete d’accordo
con questa mia scelta.- Qualche secondo di silenzio, poi Squall tornò a
parlare. -Il Garden rimarrà qui in queste due giornate al fine di seppellire i
corpi e dare un giusto tributo. Vi ringrazio tutti.-
Poi, alzò il braccio destro, la mano a pugno, verso il cielo. Cosa che fecero
tutti gli altri. Anche Stef, all’interno del Garden alzò il braccio,
commosso, stanco…e incredibilmente felice.
Squall entrò, e la grande massa di SeeD affollò il portone principale,
portando i feriti. Sarebbe stata una nottata lunga per l’infermeria, per
tutti.
Stef scese di sotto, tramite l’ascensore, inserendosi nel grande fiume di
divise blu scuro, tutte sporche o insanguinate. Cercò a lungo, invocando i nomi
“Riven”, “Suze”, “Elizabeth”, ma era quasi impossibile vedere
qualcosa in quella massa. Fortuna volle che nessuno si fece idea di chi era,
evitando orribili scenate del “sei proprio tu”.
Vide una scomposta massa di capelli rossi, imbrattati, avvicinarsi a passo
spedito, chiamandolo per nome. Si voltò. Almeno Elizabeth era salva. Non
portava più il fucile da cecchino, probabilmente l’aveva abbandonato, pensò
velocemente il ragazzo. La ragazza si avvicinò, fermandosi di fronte a lui,
facendo una strana domanda, che all’inizio Stef non afferrò. -Non ce l’hai
con me, vero?-, interdetto, il ragazzo rispose. -..n-no, perché dovrei?-
Lei sorrise radiosa e si abbracciarono, in mezzo alla folla che li spingeva e li
sbilanciava.
Rimasero per ore insieme, mano nella mano, interrogando i passanti stanchi se
avessero visto un ragazzo quindicenne, biondo, dagli occhi verde brillante.
Continuarono fino a che Stef si sentì mancare, dopo aver speso così tante
energie e sentimenti nel corso della battaglia del castello. -Non c’è.-,
disse, respirando profondamente, asciugandosi il sudore dalla fronte. -Spero non
sia..-
-No.-, si affrettò a dissentire Liz. -L’avranno portato prima, con i feriti.
Domani, quando l’infermeria sarà aperta, farai un ulteriore ricerca. Ti
assicuro che lo troverai.-
-…lo spero. Hai ragione, dovrei andare a letto. Ho paura che domani dovrò
firmare autografi ad almeno due migliaia di persone…-
Risero insieme, sorreggendosi a vicenda, diretti verso il dormitorio. Il fiume
di gente era ancora in piena, ma molto meno denso rispetto a prima.
-Dove hai preso quel Gunblade?-, chiese la ragazza, mentre imboccavano il
corridoio dei dormitori. -Da mio padre.-, rispose Stef, cupo. -Oh. Allora hai un
padre.-
-No. Ora no.-
Lei non ribatté. Fissò per un attimo il corridoio che stavano attraversando,
poi cambiò discorso, sorridendo timidamente. -Posso dormire con te, stanotte?-
Il ragazzo la osservò per un attimo, facendo una attenta analisi logica di ciò
che lei aveva appena detto. Cadde dalla nuvola, poi si rialzò, rispondendo:
-Si, perché no?-
Come aveva detto prima Squall, il giorno dopo fu sul segno della consacrazione
dei poveri SeeD. Si sentiva dall’aria funebre che rivestiva il Garden. Erano
le otto del mattino, il Preside non si era ancora fatto vedere. Era giusto,
aveva troppe cose da dire a Rinoa. Tutti furono d’accordo a non chiamarlo.
Stef camminava a passo spedito per il Garden. Lui e Liz si erano appena
separati. Era riposato, tuttavia ancora molto scosso dai fatti accaduti. Si
lisciava i capelli incolti, strabuzzava le palpebre, si massaggiava
continuamente le parti doloranti come schiena, capo, gambe. Aveva anche un’incontenibile
fame, ma prima si era prefissato di trovare Riven. Doveva esserci. Non poteva
essere morto, così, senza neanche dare l’opportunità al ragazzo di scusarsi.
L’infermeria era piena zeppa di visitatori e visitati, e il ragazzo riuscì ad
entrare con non poche difficoltà. Allungò il più possibile il collo, cercando
in mezzo ai letti. Per ogni decina di feriti, almeno uno era ricoperto
interamente dalle lenzuola. Il ragazzo sperò di porre fine alla ricerca senza
dover andare, con tetraggine e un po’ di ribrezzo, ad alzare le coperte dei
poveri deceduti.
-Mi scusi, mi scusi….cerco un SeeD di nome Riven. E’ urgente, credo sia
stato ferito.-
-Fammi controllare.-, disse il medico, facendo scorrere l’indice sulla lista.
Si leggevano chiaramente i nomi a sinistra e lo stato a destra, opportunamente
ordinati a tabella.
-Vediamo….deceduto, deceduto, deceduto, in cura, deceduto, in cura, in cura,
amputato, rilasciato, deceduto…ecco, apprendista SeeD Riven….curato la
scorsa notte e rilasciato circa un’ora fa.-
Stef ringraziò sorridendo. Era vivo, e questo era l’importante. Lo avrebbe
incrociato per il Garden.
Cambiò rotta, verso la mensa, dove Elizabeth lo aspettava già, insieme a due
panini fumanti incartati ben bene.
-Trovato?-
-Si. E’ vivo, lo hanno fatto uscire poco fa.-
-Visto, cosa ti dicevo?-
-Già.-, disse, e addentò il panino con slancio.
Il cielo si vedeva chiaramente dalla vetrata trasparente della mensa. Era
plumbeo, grigio, in procinto forse di piovere nuovamente. Ma dietro una della
tante nuvole, si vedeva limpidamente la sagoma chiara del sole appena sorto.
11
Parte del cielo nuvoloso si era rasserenato, ma il freddo era ancora
pungente. Ogni tanto cadeva un fiocco di neve, trasportato dal vento. Il sangue
rappreso era ancora parte integrante di Winhill, e lo sarebbe stato senza dubbio
ancora per un po’.
I SeeD che non erano stati feriti (e si parla di una stretta minoranza)
lavoravano senza sosta, seppellendo corpi e piantando croci costruite con mezzi
di fortuna. Gran parte delle pietre usate furono prese direttamente alle case
del paese, tanto a nessuno sarebbero più servite.
Riven e Stef si incontrarono nella Hall. Il quattordicenne era vestito come
sempre; aveva tentato, invano di sistemarsi i capelli, che continuavano ad
sparpagliarsi sul capo, ognuno per conto suo. Aveva le occhiaie molto profonde.
L’apprendista aveva un piccolo graffio sulla fronte, e avanzava con delle
lunghe stampelle. Il piede sinistro era strettamente fasciato; la garza era
leggermente sporca di sangue, andava cambiata. -Oh. Ciao.-, salutò Riven, senza
mostrare alcuna espressione.
-Ciao…-, rispose Stef, con un po’ di ansia. Non era abituato a chiedere
scusa, si sentiva leggermente imbarazzato. Ma Riven lo battè sul tempo,
risparmiandogli una scocciatura.
-Senti, per prima…scusa. Ho fatto una cosa stupida.-
-Ah…si.-
Stef gli tese la mano, senza dire nulla. Riven osservò per un momento, poi la
tese anche lui. Si scambiarono una amichevole, lunga stretta, come si fa tra “colleghi”.
-Allora nulla?-, chiese l’apprendista, ancora incerto.
-Nulla. Come prima.-
-Bene.-, dissero contemporaneamente i ragazzi.
-Allora, aggiornami.- chiese Riven, spezzando il silenzio imbarazzante che si
crea in queste occasioni.
-Metà dei nostri SeeD sono morti nella battaglia di Winhill. Parte dei feriti
non….è sopravvissuta, ma abbiamo salvato parte degli ostaggi del Garden di
Galbadia.-
-Non gli rimane altro che unirsi a noi, credo.-
-Infatti penso che faranno così. Le stime totali del nuovo equipaggio saranno
intorno agli 8000-9000 elementi.-
-Così pochi?-, chiese il quindicenne stupito.
-Già. E’ stato un massacro, tu lo sai meglio di me.-
-E da te come è andata?-
Questo no. Non si sentiva ancora di ripercorrere mentalmente quel sentiero.
-E’ andata…bene. Ma non chiedermi nulla.-, disse velocemente, perdendo
tonalità verso metà frase.
-Quando ti sentirai pronto me lo racconterai.-, tagliò corto l’apprendista.
-Va bene.-
Sarebbe passato molto tempo, prima che Stef si decidesse a confessare ad anima
viva quello che aveva visto.
-Comunque, tutto è bene ciò che finisce bene.-, scherzò amaramente Riven, con
il suo umorismo nero e menefreghista. In realtà, anche lui aveva sentimenti ben
precisi su quello che era accaduto. Solo, faceva parte del suo carattere
nascondere le emozioni. Anche Stef era simile, in quel frangente. Solo che Stef
faceva fatica a nasconderle così bene.
-Però, guardiamo in faccia la realtà: la guerra è finita, il Garden è
libero, Rinoa è tornata e Galbadia è stata sconfitta. Escludendo i sacrifici,
possiamo dire che ce l’abbiamo fatta.-
-Questo non lo nego. Ora il Garden potrà tornare a fare ciò che faceva anni
fa, occuparsi della libertà e cose così. Mi preoccupo solo di come la
prenderà la gente.-
-Cosa?-
-La gente. Tutti odiano il Garden. Hai letto i Timber Maniacs scorsi? Gli
abitanti non hanno fiducia, ci credono a favore di Galbadia.-
-Ma ora che noi l’abbiamo sconfitta, torneranno a credere in noi!-
-Non lo so. Le persone sono strane. Non ne sarei tanto sicuro, alla fin fine.-
Riven non disse nulla. Osservò il soffitto, il pavimento, camminando con le
stampelle. Il discorso finì con questa frase: -Pazienza, cos’altro ti posso
dire?-
Le croci e le fosse furono disposte in un ordine geometrico tale da formare un
rettangolo. Il Rettangolo di Winhill, così lo chiamarono successivamente. Il
nome Winhill fu usato solo più per quello.
Il Garden alzò l’intensità delle luci. La turbina principale, ormai
perfettamente funzionante, emise quel lento e basso ronzio, simile ad un
frigorifero gigantesco. Il grande cerchio dorato iniziò a girare, e la polvere
si alzò. Il terzo giorno era scoccato. I giovani SeeD erano stati debitamente
inumati, e ricordati. Ora era il giorno dedicato alla vittoria. Fisherman’s
Horizon era stata avvertita, laggiù i preparativi erano già in corso. Tutti
fremevano.
Stef sarebbe andato con Elizabeth, Riven con Suze. Doppia coppia. Stando a
quello che Squall aveva detto, la festa avrebbe incluso un discorso, una cena
sontuosa, banchetti……e un concerto della Selphie Band, atteso anche dagli
abitanti della città in mezzo al mare.
Chi poteva venne in divisa. Stef, avendo fatto circa dieci-dodici ore di scuola
soltanto, non ebbe diritto ad indossarne una, pertanto prese un vestito più che
banale e scese il ponte del Garden così, con Liz a braccetto; per l’occasione
aveva capelli raccolti e divisa da apprendista: lei qualche esame l’aveva
superato.
-Tutti hanno la divisa, uffa.-
-Perlomeno sei diverso dagli altri.-
-Come se non lo fossi già abbastanza.-
-Non preoccuparti. Siamo ad una festa, nessuno sarà così poco impegnato da
chiederti un autografo.-, disse Liz, rammentando la battuta di due giorni prima.
Quelli di F.H. avevano davvero preparato tutto l’occorrente per una magnifica
cena all’aperto. Grandi tavoli intersecati fra loro, lindi e coperti da seta
bianca (probabilmente appartenenti al Garden) erano già ordinatamente disposti.
Un grande palco, armato di luci laser e chissà quali effetti speciali,
trionfava poco più in là, nel bel mezzo dei grandi pannelli solari azzurri, i
quali riflettevano i raggi lunari come specchi. Stef non lo aveva notato nella
visita precedente. Fu una bella sorpresa, che rese F.H. un posto davvero più
accettabile.
Si sedettero tutti ai tavoli, ancora sgombri da piatti e leccornie. Prima c’era
il discorso. Stef (e molti altri) sperarono in una cosa concisa e breve; non
volevano tagliare tempo alla festa.
Squall si fece avanti sul tavolo rialzato, vicino al palco. Accanto a lui c’era
Rinoa, Selphie e Irvine. Tutti sereni e felici, finalmente. Un applauso si
levò; di breve durata ma intenso. Da quanto tempo il Garden non si concedeva
una festa adeguata?
Il Preside non parlò, anzi, invitò Rinoa ad alzarsi. Avrebbe parlato lei,
questa volta. Era giusto. L’uomo si risedette. Parte delle escoriazioni sul
viso si stavano rimpicciolendo. Il taglio sulla schiena non era visibile, ma
quello probabilmente sarebbe rimasto vistoso per parecchi anni.
Secondo applauso, questa volta lungo e denso. Tutti batterono le mani con
velocità e forza. Qualcuno si lasciò andare, urlando il nome della donna. A
quanto pare, tutti erano felici di vederla.
-Grazie a tutti. E’ stato…un momento buio per tutti, dove la vita stessa del
Garden e la mia è stata messa in gioco. Non voglio tediarvi con discorsi fuori
luogo, ci tengo solo a ringraziare apertamente il mio…..si, salvatore, se
posso dirlo. Stef.-, disse, individuando il ragazzo e osservandolo con uno
sguardo dolce e sincero. -Grazie.-
Stef si era trasformato in un peperone in dieci secondi. Tutto rosso, le mani
tremanti dall’imbarazzo, aveva fatto un cenno col capo e poi era sprofondato
sulla sedia, tramortito dal grande applauso successivo. Erano poche parole, ma
quel “grazie” valeva tanto quanto un discorso di due ore.
Finalmente l’applauso si concluse, e gli antipasti furono messi in tavola.
Stef mangiò con calma, parlando a voce bassa con gli amici, cercando di non
preoccuparsi degli sguardi altrui. Fu difficile, ma dopo un po’, verso i
secondi, smise di crucciarsi, e seguendo i consigli di Elizabeth, imparò a non
farci caso, per quanto poteva.
Dopo un’ora i migliaia di presenti abbastanza in salute che si erano
presentati alla festa si alzarono, Riven aiutato da Suze a causa delle
stampelle. I tavoli furono smontati e messi via, le luci si spensero, tranne due
grandi fari bianchi puntati verso il palco. I presenti si affollarono. Il
concerto era iniziato. I giovani di Fisherman’s Horizon gustavano dall’alto,
all’inizio dei pannelli solari; non era una visuale molto bella, ma dovevano
accontentarsi, i SeeD avevano la precedenza.
La prima ad entrare fu Selphie, con una chitarra elettrica color rosso acceso a
tracolla. Le dita erano ancora fasciate, ma nulla le avrebbe impedito di
strimpellare quanto possibile e mostrare la sua voce acuta, ma perfettamente
intonata. Poi entrò Irvine, con in mano un violino e l’archetto. Solo loro
due. Sedici anni prima, la band contava due elementi in più.
Iniziarono contemporaneamente, Irvine poggiando il violino sulla spalla e
fissandolo al mento, Selphie facendo scorrere le dita martoriate sulle note
basse della chitarra. Si avvicinò al microfono posto al centro del palco e il
concerto iniziò ufficialmente, con un melodia lenta e romantica. -Don't kid
yourself / and don’t fool yourself / this love’s too good to last / and I’m
too old to dream…
Stef prese Elizabeth per mano. Fortunatamente, non c’era spazio per ballare,
altrimenti avrebbe fatto una figuraccia. La strinse soltanto, avvicinandosi, e
guardando insieme a lei Selphie che continuava quel pezzo seducente.
-Don’t grow up too fast / and don’t embrace the past / this life’s too
good to last / and I’m too young to care….-
12
Avevano saltellato per quasi quattro ore. Riven, Suze e Liz si erano già
appartati, risalendo sul Garden. Poche centinaia di SeeD erano rimasti a
guardare la chiusura della Selphie Band. Stef era rimasto, seduto sul bordo
della piazza, accanto a dove iniziavano i pannelli solari. Aveva sudato ccome
una fontana per almeno due centinaia di minuti, in mezzo a quella bolgia e ora,
stanco ma soddisfatto, si godeva gli ultimi attimi di luci stroboscopiche e
musica bellissima. Nessuno più ballava, chi ne aveva voglia? I pochi che si
erano armati di coraggio attendevano seduti, composti, il saluto finale.
-Hold me tight, keep me cool / going mad, don’t know what to do / Do I need
a friend? / Well, I need one now…, cantava Irvine questa volta,
accompagnato da Selphie al pianoforte. Come aveva fatto a suonare tre ore e
spingi con quelle dita? Ne aveva di energia…
Stef continuava a seguire, ondeggiando il capo a tempo di musica. Quello era il
primo concerto della sua vita.
-In the red eyed pain / I’m knocking on you door again / This crazy brain
in tangles, / Pleading for your gentle voice / Those storms keep pounding /
through my head and heart / I’l pray your soothe my sorry soul…-
Distolse l’attenzione dalla musica, osservando Squall avvicinarsi e sedersi
accanto a lui, senza chiedere il permesso. Sapeva che non glielo avrebbe negato.
-Come stai?-, chiese, facendo finta di interessarsi più alla musica che al
quattordicenne.
-Sto bene. Non sapevo che Selphie avesse una band.-, rispose, tentando di
rimandare l’argomento che tanto temeva. Ma arrivò puntualissimo, come era
lecito aspettarsi da Squall Leonhart, vecchio scontroso.
-Ho visto che hai preso il Gunblade…..di lui, Seifer.-
-Si.-
-Vuoi tenerlo?-
Stef si prese qualche momento per pensare.
-Credo…..credo….si, credo di volerlo tenere, almeno per un po’.-
-Come desideri. Posso insegnarti ad usarlo.-
-Lo faresti?-
-Sicuro.-
Restarono muti mentre Irvine smetteva di cantare e si sedeva al pianoforte,
sostituendo Selphie che aveva preso di nuovo posto di fronte al microfono. Si
preparavano ad eseguire l’ultimo brano della scaletta. A giudicare dai
presenti, nessuno quella volta avrebbe chiesto il bis. Meno male. I due si
reggevano a malapena in piedi.
-Ti abbiamo ringraziato abbastanza, pur sapendo che tu hai fatto moltissimo per
noi. Sul serio, sei stato di grande aiuto.-
-Grazie. Sono felice che tutto sia finito; non ne potevo più di notti insonni e
ansia.-
Squall annuì, mentre Selphie intonava, socchiudendo gli occhi. -Maybe, i don’t
really want to know / How your garden grows / i just want to fly…-
-Tutto è cambiato, comunque. La gente ci guarda storto, il nostro esercito si
è ridotto, le nostre menti si sono svuotate. Ho sconfitto i miei demoni, e ora
mi sento…vuoto nel cuore, ecco. Ho ritrovato Rinoa, e la mia vita ha ripreso a
scorrere, ma….il mio punto di vista è cambiato. Il mondo intero mi sembra
cambiato, ora che ho visto il mio vecchio nemico morire.-
-Il mondo è cambiato sul serio.-, disse Stef, convinto. Tutta la sua vita si
era trasformata.
-E’ un Nuovo Mondo.-, pronunciò Squall, solenne.
-Un Nuovo Mondo.-, ripeté il ragazzo, incurvando le labbra. -Come
affrontarlo?-, continuò poi.
-Questo lo scopriremo. Una volta qualcuno disse: “"La sola cosa
affidabile del futuro è l'incertezza"-
Il ragazzo non parlò. Fece di si con la testa e si alzò, mentre Selphie e
Irvine ringraziavano i pochi rimasti, alla fine della canzone.
-Buona notte, Squall.-
-Dormi bene, figliolo. Ti voglio pronto per le lezioni scolastiche-, disse l’uomo
sorridendo amichevolmente. Stef non potè fare a meno di rispondere al sorriso.
Poi si voltò e andò a dormire.
Le luci delle case di F.H., fatte di metallo e pezzi di fortuna saldati insieme,
si spensero con favore della notte. La Grande Luna seguitava a riempire il
cielo, illuminando l’oceano di una luce soffusa e dolcissima. Nessun rumore
giungeva alle orecchie di Squall, appollaiato su uno dei ganci che attraccava il
Garden. Rinoa lo aveva baciato ed era andata in Presidenza. Lui l’avrebbe
raggiunta entro poco tempo. Doveva fare una cosa. Inspirò profondamente l’aria
gelida, facendosi cullare i capelli argentei. Frugò nella tasca della giacca e
tirò fuori una piuma, candida e morbida, che aveva trovato chissadove. La prese
delicatamente fra l’indice e il pollice, facendola ruotare a pochi centimetri
dagli occhi gelidi come l’aria di quel mese invernale. Poi allentò la presa,
e sbuffò con il naso. La piuma volò via, ruotando su se stessa, in direzione
della luna.
A causa di qualche strana coincidenza, una stella cadente formò la sua scia, in
un angolo della volta stellata. Squall espresse un desiderio, osservandola
mentre scompariva. Si alzò, scrollandosi i pantaloni scuri, e rientrò nel
Garden. Nel caro, vecchio, familiare, calduccio della propria casa. L’uomo
adorava quell’atmosfera più di ogni altra cosa al mondo, escludendo quella
dolce ragazza dai capelli scuri, che più di sedici anni prima, ad una festa, si
era avvicinata a lui chiedendogli dove fosse il Preside. Ricordò ogni
millimetro dell’abito bianco che portava, ricordò di quando ballarono a tempo
di valzer; i piedi di lei agili e piccoli, quelli di lui goffi e imprigionati
negli stivali della divisa da SeeD. Molto tempo era passato, e quei giorni erano
finiti. Maledì il tempo, pur sapendo che contro di lui non l’avrebbe mai
spuntata.
Buonanotte, Garden di Balamb.
Epilogo
Quell’afoso giorno d’estate, un ragazzo non molto ben piantato, ma
inequivocabilmente sereno, dai capelli castani spettinati e una divisa da
apprendista SeeD nuova di zecca, era seduto sul ponte del secondo piano, con una
copia del Timber Maniacs in mano, quella del giorno corrente, il 26 Luglio.
Aveva mandato via gli amici con una scusa; in quel momento, aveva bisogno di
rimanere solo a pensare per conto suo. Si sentiva finalmente a suo agio, lontano
da una vita stressante. Quella che stava vivendo adesso era sì pericolosa, ma
sicuramente eccitante e…appropriata. Si. Lui si sentiva calzante in quel
posto. Aveva trovato il suo zenit personale, dove i raggi del sole della vita
cadevano perpendicolari su di lui.
Faceva caldo, ma il Garden in viaggio procurava una piacevole corrente d’aria
fresca. Il ragazzo alzò gli occhi, e vide uno stormo di gabbiani migrare,
uniformi, in direzione della struttura, alla stessa velocità. Dove erano
diretti quegli uccelli? Nessuno lo sapeva. E dove era diretto il Garden, dopo
tutti quei fatti distruttivi accaduti sette mesi prima? Nessuno avrebbe potuto
indovinarlo. Ma non era importante, giusto? In qualunque luogo fosse andato, i
SeeD c’erano sempre, agli ordini di Squall Leonhart. Questa fu una prospettiva
molto rassicurante, a detta di tutti.
Il ragazzo si alzò, avvicinandosi alla ringhiera metallica del ponte. Lesse di
nuovo l’articolo del giornale, soprattutto l’inequivocabile titolo.
“Il Garden di Balamb sembra tornato, senza dare nessuna eloquente
spiegazione, senza ripagare la popolazione per l’occupazione delle truppe
Galbadiane. Noi ci chiediamo, sinceramente, conoscendo il Preside e i fatti
accaduti nell’arco di circa vent’otto anni, se possiamo fidarci. I SeeD ci
difenderanno? O aiuteranno i prossimi nemici che verranno, distruggendo questo
fragile mondo? In poche parole, cari concittadini di tutto il globo, possiamo si
o no fidarci?”
Aveva ragione l’apprendista, citando una frase detta ad un amico, sette mesi
prima. La gente è strana. Difficilmente impara una lezione, e quando la impara,
talvolta non la capisce bene come dovrebbe. Ma, maledizione, loro erano lì.
Dovevano pur fare qualcosa. Non potevano ritirarsi, rispedendo tutti alle
rispettive case e godendosi i soldi che le varie città pagavano una volta per
le famose “missioni”. Non sarebbe stato giusto. Avrebbe mandato ancora più
in basso la reputazione che avevano, risolvendo ancora meno. Fra due mali si
sceglie sempre il minore.
Tese il giornale oltre la ringhiera, dandogli un’ultima, distante occhiata.
Poi allargò le mani, e lo lasciò andare. I fogli di carta non rilegati si
aprirono, sparpagliandosi, toccando la bianca superficie del Garden, volando in
mezzo allo stormo di uccelli. Il ragazzo sorrise da solo, apertamente, al
settimo cielo. Andò all’angolo del ponte, e prese nella mano sinistra il
Gunblade di suo padre, che aveva appoggiato. Lo accarezzò con un dito, stando
bene attento a non tagliarsi. Ora riusciva a reggerlo in mano abbastanza bene.
Qualcuno gli appoggiò una mano sulla spalla. Voltò il capo. Era Elizabeth,
radiosa, con i suoi capelli rossi.
-Stai bene?-, chiese un po’ allarmata, non abituata a vedere Stef sorridere in
un modo così raggiante.
-Mai stato meglio di così.-, rispose il ragazzo, ormai quindicenne. Si diede un
colpo sulla fronte col palmo della mano libera. -Che distratto! Abbiamo un esame
a cui dobbiamo prepararci! Meglio andare.-, annunciò di buon umore, prendendo
Liz a braccetto come nel famoso concerto. Lei sorrise di rimando e lo seguì,
entrando nel Garden fluttuante sopra l’infinita distesa oceanica.
Tutta la struttura splendeva d’incanto, bianca come un diamante, trasparente
nei punti dove le vetrate sostituivano i soffitti. In alto, Squall comandava il
Garden insieme a Irvine, Selphie e Rinoa, parte del vecchio gruppo con cui aveva
diviso molte avventure in giovane età. Aveva ritrovato parte del suo passato,
perdendone un’altra. Anche lui quel giorno si sentiva particolarmente felice,
senza afferrarne il motivo; rimase a godersi quelle splendide sensazioni che
accompagnano una persona immersa nei propri pensieri. La vita continuava a
scorrere, pur rimanendo lontana da quel periodo d’oro che c’era stato ai
tempi della guerra della strega. Il ricordo sarebbe perdurato per sempre, fino
ai limiti del cosmo, oltre la Grande Luna, oltre l’universo, spaziando ai
confini di ciò che non potremo mai conoscere. Comunque vada, i ricordi non
moriranno mai. Sono loro che tengono in vita tutto ciò che è stato di una
persona.
Il Garden continuò la sua corsa, verso l’oceano. Fin dove si sarebbe spinto?
Quali nuove avventure avrebbe incontrato? Quando avrebbe finito di funzionare?
Quando, gli amici avrebbero finito di vivere?
Non oggi.
THE END
15 Luglio 2003 - 2 Novembre 2003