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Autore: Kiary92    11/08/2010    0 recensioni
La storia di una ragazza: Angelica, che cerca di avere una vita tranquilla benché abbia compito davvero strano; diverso, più che altro. Questa ragazza fa parte di una misteriosa Agenzia, la quale la ingaggia per missioni, a volte pericolose, contro strane “entità” corporee e non; anche se la gente comune li chiama fantasmi e demoni. Il suo compito, e quello degli altri agenti chiamati anche Demons Hunter, è quello di sterminare ogni demone, e convincere i fantasmi con aure maligne di altri a “passare oltre” a trovare la pace in un altro posto. Benchè compia questo insolito mestiere, anche Angelica ha una vita normale: va a scuola come una semplice diciottenne, viene trascinata in strane feste dai suoi amici, nonché compagni di classe, litigi e risse con la più odiosa delle compagne e, chi può dirlo, magari troverà anche l’amore, chi lo sa? Magari sotto forma di un bellissimo ragazzo dagli occhi blu? Tra un insolito incontro in biblioteca, varie vicende sui banchi di scuola e, diciamolo chiaro e tondo, momenti di vera sf...ortuna, ecco a voi, la storia di una Demons Hunter. Una cacciatrice di demoni.
Genere: Romantico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dopo l’incontro con il piccolo demone non aveva più rischiato di svenire o peggio.
Elisabeth, finalmente, li aveva portati a delle trincee, poi, dopo averle osservate per nemmeno un minuto, avevano fatto dietrofront.
Erano le undici e mezza quando raggiunsero la baita, e le due insegnante gli avevano dato il permesso di andare in camera per riposarsi per una buona mezz’ora. Non appena entrarono furono assalita da un buonissimo odore di quello che sembrava “risotto al tastasal”, tipica ricetta veronese, e tutta la combriccola rimase all’ingresso, con l’acquolina in bocca e lo stomaco che protestava per la fame. L’insegnante di musica li mandò nelle loro stanze, spingendoli su per le scale.
Non appena la porta della stanza numero 10 si aprì, per la seconda volta in due giorni, si buttò sul letto, sfinita. Matteo, dopo aver chiuso a chiave la porta, si stese accanto a lei, accarezzandole i capelli.
Mugugnò qualcosa senza senso, che nemmeno lei riuscì a capire, per poi accoccolarsi vicino al fidanzato, strofinando la testa sul suo petto.
- Stai bene? - domandò lui, ancora preoccupato per l’evento di quella mattina.
Annuì - Sì, non ti preoccupare -
Lui le accarezzò la schiena, insinuando poi la mano sotto la maglia. Rabbrividì quando Matteo, con gesti lenti, le sfiorava la spina dorsale.
La risata del ragazzo le fece staccare la testa dal suo petto, per poterlo guardare con un sopracciglio alzato - Che c’è? -
- Niente -
Sorrise - Ah, ho capito - sussurrò - Furbacchione, questa mattina no e adesso sì, vero? -
- E se anche fosse? -
Ridusse gli occhi a due fessure - Se fosse così, per prima cosa mi alzerei in piedi - disse alzandosi in piedi di malavoglia - Poi ti prenderei e comincerei a spogliarti - continuò sfilandogli la felpa e sbottonandogli i jeans, facendoli cadere  a terra - Poi ti porterei in bagno - sussurrò prendendolo per mano e portandolo in bagno.
- E poi? - domandò Matteo, ansioso.
Lo spinse nella doccia, aprendo il getto d’acqua fredda benché indossasse ancora i boxer.
Il ragazzo trattenne delle imprecazioni, girando la maniglia in modo che l’acqua diventasse calda - Piccola strega... -
Sorrise e fece per uscire dal bagno, ma lui la trattenne per un braccio - Nemmeno un bacio? -
Cedette, riavvicinandosi a lui ed appoggiando le labbra sulle sue.
Si staccò, ma lui la trattenne ancora, sfilandole la felpa in qualche modo.
- Cos’hai intenzione di fare? -
Il moro non rispose, ma le sbottonò i jeans, lasciandoli scivolare a terra, poi l’alzò di peso tirandola nella doccia insieme a lui.
Strinse i denti - Matteo...piccolo demonio - sussurrò, ormai completamente fradicia - Sono caduta nella tua trappola -
Il fidanzato la baciò - Come un sacco di patate amore, come un sacco di patate -
- Lo sai che potrebbero sentirci, vero? -
Matteo, come se non avesse detto nulla, le appoggiò le labbra sul collo, tastandole la schiena in cerca del gancetto del reggiseno.
Ansimò, stringendogli forte le spalle - Rischiamo di romperci la testa qui dentro -
Ancora una volta, lui sembrò non ascoltarla e le sfilò l’indumento, completamente fradicio, lanciandolo fuori dalla doccia.
- Matteo - iniziò tentando di farlo desistere, mentre il moro le stringeva i fianchi e le sue labbra non lasciavano mai il suo collo.
Stava quasi per cedere quando qualcuno iniziò a bussare insistentemente alla porta.
Il moro alzò la testa, guardandola negli occhi - Lascia perdere -
Toc. Toc. Toc. Toc.
Lo allontanò con un sorriso, uscendo dalla doccia, avvolgendosi un asciugamano intorno al corpo. Uscì dal bagno mentre la porta tremava sotto i colpi dello sconosciuto dietro alla porta.
- Un attimo, arrivo - disse riavviandosi i capelli corvini all’indietro, facendo scattare la serratura ed aprendo poi la porta.
Si sentì morire alla vista del bambino di quella mattina, con gli occhi blu puntati su di lei.
Il demone fece un passo in avanti, mentre lei indietreggiava con le gambe che tremavano, finchè non toccarono il letto. Si sedette guardando il bambino dai capelli corvini.
- Cosa vuoi da me? -
I lineamenti del bambino sembrarono addolcirsi, e le regalò un sorriso - Voglio la tua vita -
- Perché? - chiese in un sussurro.
- Perché se tu muori adesso - iniziò lui salendo sopra di lei, facendola sdraiare - Io non soffrirò per quello che deve accadere -
Il muscoli non le rispondevano. Era immobilizzata dalla forza che quel demone emanava.
Prese un profondo respiro, tentando di trovare le parole, mentre il demone le accarezzava la guancia - Cosa deve accadere? -
- Tu ed io moriremo -
Qualcosa si strinse intorno alla sua gola, rendendole impossibile respirare.
- Se tu muori adesso io non esisterò - continuò il bambino - E non rimarrò in questo stato -
Provò ad urlare, a chiamare Matteo, ancora in bagno. Si divincolò con tutte le forze tentando di allontanare quella forza invisibile che le attanagliava la gola e le immobilizzava il corpo.
“ Se tu muori adesso io non esisterò” pensò, mentre le lacrime presero a rigarle le guance “ Lui è...”
- Ti immaginavo diversa - iniziò il bambino, accarezzandole il volto - Forse assomiglio di più a papà -
- Angelica? - la chiamò il fidanzato dal bagno - Angelica chi c’è? -
- Tranquilla, non può sentirmi - sussurrò il bambino, baciandole la guancia.
Gemette appena - Tu sei...-
Il piccolo demone sorrise, tornando in piedi accanto al letto - Esatto, mamma -
- Angelica? -
Gemette, abbandonandosi sul materasso quando la vista prese ad oscurarsi, tentando inutilmente di far entrare aria nei polmoni.
Una porta si spalancò di scatto e la forza invisibile scomparve del tutto. Prese dei respiri profondi, trovandosi poi Matteo sopra di lei.
- Angelica -
Chiuse gli occhi “ Oddio” pensò “Quello è mio figlio”
***
Prese la mora tra le braccia, senza smettere di chiamarla, ma lei sembrava svenuta.
- Angelica? -
La ragazza mugugnò qualcosa, spostando lentamente la mano per stringere la sua.
La sistemò meglio sul letto, mettendole due cuscini sotto la testa. Sembrò riprendersi quasi subito.
Le prese la mano, baciandola - Angelica, stai bene? -
Lei non rispose, si limitò solamente ad annuire, mentre delle lacrime le rigavano le guance pallide. Si avvicinò ancora di più, asciugandole le guance con un piccolo gesto. Era la prima volta che la vedeva piangere.
- Se piangi mi fai preoccupare -
Angelica sorrise lievemente - Sto bene -
- Che cos’è successo? -
La mora prese un profondo respiro, mettendosi a sedere e portando una mano alla fronte - Niente, un capogiro -
- Chi c’era alla porta? -
La ragazza sbiancò ancora di più - Nessuno -
Adesso era veramente confuso - Ma ti ho sentita parlare -
Lei scosse la testa - Forse deliravo -
- In ogni caso non stai bene - disse - Dopo chiederò alla prof se possiamo rimanere qui -
Angelica, probabilmente di controvoglia, annuì - Forse è meglio se mi vesto -
Si alzò, riavviandosi i capelli all’indietro, tenendo l’asciugamano stretto intorno alla vita con la mano libera - Scusami, non dovevo tirarti nella doccia -  
La mora si alzò in piedi, traballando un po’, abbracciandolo dolcemente ed appoggiandogli la testa sul petto - Non è colpa tua -
Sospirò, deliziato dalla sensazione delle goccioline d’acqua che, dai capelli corvini della ragazza, gocciolavano lungo il ventre.
- Non dovevo comunque - sussurrò baciandole i capelli.
- Ragazzi? Che succede? -
Entrambi voltarono lo sguardo verso la porta, ancora aperta, dove Elisabeth li osservava con le mani sui fianchi.
- Niente - rispose Angelica, stringendo a se l’asciugamano che le avvolgeva il corpo.
- Non avrete mica...-
Sputò subito il rospo - Angelica si è sentita di nuovo male -
La rossa guardò prima lui, poi lei e poi ancora lui, come se non credesse alle sue parole; dopodiché, entrò nella stanza chiudendo la porta alle sue spalle, ed avvicinandosi subito all’amica, stringendole le mani - Davvero? -
La mora, dopo aver osservato il pavimento per qualche secondo, annuì.
- Ti senti meglio? -
La fidanzata puntò gli occhi verdi nei suoi, tornando poi ad osservare per terra - Sì, non è niente. Ma ora è meglio se mi vesto -
Elisabeth la liberò dalla sua stretta affettuosa - Ti aspettiamo giù, vedrai che dopo una bella mangiata ti sentirai meglio -
Angelica le sorrise - Certo -


Dopo essersi vestito velocemente, aveva aiutato anche Angelica, ancora un po’ frastornata; poi erano scesi nella sala da pranzo, sedendosi al loro tavolo, stranamente silenzioso. Mentre mangiavano, lanciava delle occhiate ad Angelica, che non aveva toccato il proprio piatto; le aveva chiesto se qualcosa non andava, ma lei scuoteva solamente la testa, rispondendogli che era tutto a posto. Alla fine, la fidanzata aveva mangiato un po’ di risotto, ma era ancora pallida.
- Vetra? -
Tutti si voltarono, mentre Angelica non si mosse di un millimetro.
- Dimmi Laura -
- Vorrei parlarti - domandò la bionda, dietro di lei, con le mani sui fianchi - In privato -
Elisabeth si alzò in piedi di scatto - Non è il momento Laura -
- So che stai male - continuò la ragazza, ignorando completamente la rossa - Un paio di minuti -
La mora annuì, alzandosi in piedi - D’accordo -
Guardò le due allontanarsi: Angelica, un po’ traballante, e Laura, che la sorreggeva tenendole un braccio.
***
Laura la fece sedere sulle scale che portavano al piano di sopra. Si portò entrambe le mani alla testa - Che c’è? -
- L’hai visto anche tu, vero? -
Sapeva a cosa si stava riferendo, ed annuì.
- Sai cosa vuole? -
Annuì ancora una volta.
- Cosa? - domandò la bionda, impaziente.
- Me - rispose alzando lo sguardo - Mi vuole morta così lui non soffrirà -
Laura sembrava confusa.
- Mi vuole morta così lui non esisterebbe -
- Stai dicendo che...quel mostriciattolo è...-
Annuì - Mio figlio -
- Non è una cosa normale -
Strinse i denti ignorando le tempie che pulsavano - Ti sembra normale? Ti sembra normale che mio figlio, sotto forma di demone, venuto da un fottutissimo futuro, voglia uccidermi in modo che lui non possa mai esistere e diventare demone? -
- No, non è decisamente una cosa normale - rispose Laura - Ma di solito i bambini diventano demoni se la madre decide di...-
- Abortire -
- Ma lui non è piccolo - disse la bionda - Ha otto anni forse -
- Una volta demoni possono avere una crescita accelerata - rispose - Che viene bloccata quando raggiungono gli otto o nove anni -
- Quindi tu, avrai questo bambino e poi abortirai -
Sospirò - Ha detto che se non muoio adesso moriremo entrambi -
- Ottimo - sussurrò Laura in tono ironico - E si può sapere perché, quando tuo figlio mi ha vista, ha iniziato a sbraitare? -
La guardò confusa - Sbraitare? -
La ragazza imitò una voce infantile, simile a quella del demone - Lurida ragazza! Sarà tutta colpa tua! - disse lei - Poi è sparito -
- Non saprei, magari sei tu che mi uccidi -
- Non sparare cazzate, Vetra - rispose Laura sorridendo, mentre i suoi occhi grigi sembravano brillare di una strana luce - Certo, mi viene una voglia di spararti in fronte ogni volta che ti vedo ma...non lo farei mai -
Ghignò - Non ti starai mica addolcendo, vero Mancini? -
Lei sorrise in modo diabolico - Io? Stai scherzando? Ci tengo alla mia reputazione -
Si riavviò i capelli all’indietro - Ho capito, basta -
- Quindi? Cosa si fa? -
- Aspetto la mia morte -
La bionda incrociò le braccia al petto - Non morirai, Vetra -
- No - rispose - Per ora no -
- Dovresti mettere qualche sigillo a casa tua - suggerì la bionda - Oppure a qualche oggetto da tenere sempre con te, in modo che non possa farti del male -
Sorrise, pensando subito all’oggetto su cui applicare il sigillo - Hai dannatamente ragione, Mancini -
- Lo so, sono la migliore -
- Non tirartela troppo, Annabeth - disse con un ghigno.
La bionda ghignò a sua volta - Non osare darmi nomi di personaggi letterali, Arya -
Alzò un sopracciglio - Piccola...-
- ...bastarda - concluse lei.
Strano ma vero. Entrambe scoppiarono a ridere.
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Per pura fortuna, Matteo era riuscito a convincere le due insegnanti a lasciarla alla baita in compagnia di Alice, che finse di aver ancora mal di testa per tenerla d’occhio.
Quando gli altri, guidati dalle due professoresse, partirono per un’altra passeggiata, lei e l’amica si chiusero nella sua stanza, giocando a scacchi con la piccola scacchiera portatile della mora.
- Sai cos’ha intenzione di fare Elisabeth questa sera? - domandò dopo un po’, spostando avanti la sua torre nera.
Alice scosse la testa, spostando il cavallo - Nessuno può saperlo. Elisabeth è un genio del crimine -
Spostò l’alfiere - Scacco matto -
La mora guardò la scacchiera, grattandosi la tempia con l’indice - Miseriaccia -
- Uno a zero -
- Vedo che ti senti meglio, piccola secchiona - sussurrò l’amica, riordinando le pedine.
- Decisamente - rispose alzandosi in piedi - Ce ne dici se andiamo fuori a giocare a scacchi? - domandò poi - È una bella giornata, sarebbe un peccato rimanere chiuse qui dentro -
- No problem - rispose la mora - Te la senti di camminare? -
Annuì - Sì tranquilla, è passato -
- Magari riusciamo a prendere qualcosa da mangiare -
Alzò un sopracciglio, chiudendo la scacchiera con le pedine all’interno - Non cambierai mai -
- E che cavolo, ho fame -


Rimasero sedute fuori per tutto il pomeriggio, giocando a scacchi o a carte, e si alzarono solamente quando il resto della classe tornò dalla passeggiata (più o meno verso le sei). Matteo le era corso incontro, preoccupato, e le aveva chiesto come stava. L’aveva tranquillizzato dicendo che era tutto a posto. Le insegnanti diedero un’ora per fare la doccia e cambiarsi, per poi ritrovarsi nella sala da pranzo per la cena.
La cena fu pronta verso le sette, mangiarono e poi uscirono tutti nel cortile esterno: alcuni giocavano a pallavolo con il pallone che avevano preso in prestito dalla palestra della scuola, le due professoresse giocavano a carte, sedute sull’unico tavolo; mentre lei e la combriccola di pazzi fecero un altro giro dell’orto botanico.
Alle dieci le due insegnanti li richiamarono e mandarono tutti nelle loro stanze.
Solo in quel momento iniziò il vero e proprio divertimento.


Come la sera prima: alle 22.30 qualcuno bussò quattro volte alla porta.
Si avvicinò lentamente, appoggiando poi un orecchio alla porta - Parola d’ordine? - domandò.
- Sorbetto al limone -
Sorrise ed aprì la porta ad Elisabeth, con un mazzo di carte in mano, mentre giocherellava con la carta dell’asso di cuori con l’altra - Pronta per una serata di fuoco, Angi? -
- Non vorrai mica giocare a poker, vero? - domandò facendola entrare e chiudendo la porta.
- Perché no? Have you look my pokerface? -
- Di solito ghigni se fai scala reale, scala di colore, poker o full, mentre strizzi l’occhio come se avessi un tic se hai colore, scala, tris, doppia coppia o coppia -
La rossa la guardò male - Puttanate -
- Mentre se non hai niente muovi il piede contando ogni secondo -
La migliore amica si sedette sul letto, afflitta - Stasera si gioca a briscola -
Sorrise - Gli altri? -
- Dovrebbero arrivare -
Ed infatti, dopo qualche minuto arrivò Davide, Sergio, con in mano un paio di bottiglie di Bacardi, Federico ed Alice.
- Dove diavolo è Vittoria? - domandò la rossa.
Bussarono alla porta ed andò ad aprire, rimanendo sorpresa alla vista di Vittoria e Laura.
- Mancini - la salutò.
- Vetra - rispose la bionda ricambiando il saluto - Ti dispiace se mi autoinvito? Vorrei tenere d’occhio Vittoria visto che ieri è tornata ubriaca in camera e non mi ha lasciata dormire in santa pace -
Sorrise - Se dicessi di no? -
La nemica di sempre ghignò in modo diabolico - Entrerei lo stesso -
Scrollò la testa - Entra -
- Ragazze! - esclamò Elisabeth, scattando in piedi - Che ne dite dello strip poker? -
- Hall, hai i ragni nel cervello? - domandò la bionda.
- Almeno io ho qualcosa -
- Ah, se in questo momento mangiassi un moscerino avresti più cervello nello stomaco che in testa -
- Volete darvi una calmata? - s’intromise Alice, con già una bottiglietta di Bacardi in mano - Giochiamo sì o no? -
- Rise piano, chiudendo a chiave la porta - Non avrai mica paura, vero Mancini? -
La ragazza dai capelli biondi alzò lo sguardo - E tu Vetra? -
- Zitte voi due - ordinò Elisabeth mescolando le carte - Rimarrete tutti in mutande -
Dopo aver spostato i letti come la sera prima, si sedettero tutti in cerchio ed iniziarono a giocare. La regola era semplice: chi perdeva doveva togliersi qualcosa.
La prima a ritirarsi fu Vittoria, che non sapeva nemmeno giocare, poi Matteo e Davide, rimasti in boxer e, subito dopo, anche Elisabeth si ritirò, rimasta in reggiseno e in mutande.
Rimanevano solo lei, completamente vestita, Sergio e Federico, con i pantaloni del pigiama, Alice, con addosso sola la maglietta dei Guns n’Roses, e Laura, anche lei completamente vestita.
Andarono avanti ed i primi ad uscire furono Alice e Sergio. Federico aveva ancora i pantaloni, lei indossava solo la maglia del pigiama con i gattini e Laura con addosso solo i pantaloncini corti che, probabilmente, usava come pigiama.
- Sentite, io mi sono stufata - disse ad un certo punto, quando dovette togliersi la maglia e rimanere in biancheria intima.
- Paura Vetra? - domandò Laura, nella sua stessa situazione.
- È inutile che litigate belle fanciulle - disse Federico con ancora i pantaloni, ricevendo un pugno in testa da Alice - Ho vinto io. Non potete togliervi altro -
Entrambe in lingerie, annuirono, ammettendo la sconfitta.
- Ed ora? - domandò rivestendosi - Sono solo le undici e mezza -
Elisabeth scosse la testa - Non ne ho la più pallida idea -
- Come non ne hai idea? - domandò - Sei tu l’anima degli incontri notturni -
- Vi ricordo che abbiamo ancora cinque bottiglie di Bacardi - ricordò Sergio, indicando le bottiglie appoggiate a terra.
- Che ne dite dei quattro assi? -
Tutti si voltarono verso Laura, che aveva appena parlato, ed esclamarono in coro - Eh? -
- I quattro assi - disse la bionda prendendo le carte cercando quattro assi e cinque figure - È un gioco stupido. Bisogna essere minimo in otto. Le carte, una per ognuno, devono contenere i quattro assi e poi figure. Chi riceve l’asso di picche deve ordinare a qualche figura di bere, mentre l’asso di fiori può impedire a qualcuno di bere, ma di soli non fa mai niente per non guastare il divertimento -
- Lo immagino - sussurrò Sergio.
- E gli altri due assi? - domandò.
- Chi riceve l’asso di cuori deve subire l’ordine che l’asso di quadri impone, e non può sottrarsi -
Sorrise - Io ci sto -
La bionda sorrise - Ottimo, e voi? -
Gli altri annuirono e si risistemarono tutti in cerchio.
- Vi prego - sussurrò Vittoria - Non fatemi bere -
Laura distribuì le carte e cominciarono.
L'asso di quadri capitò per tre volte consecutive nelle mani di Elisabeth. Per il calcolo delle probabilità, quella era una cosa quasi impossibile, ma come si suol dire, nelle carte niente lo è.
Elisabeth, la prima volta, ordinò a Sergio di spogliarsi e di correre per il corridoio dicendo di essere stupido; la seconda volta, ordinò a Laura di cantare “I kissed a girl” di Katy Perry, poi ordinò a Matteo di mettersi il rossetto rosso e il mascara.
Laura, per una volta, impedì a Vittoria di bere, mentre lei dovette buttar giù due bicchieri di Bacardi.
Elisabeth, buttando giù un bicchiere, ridacchiò - Questa cosa dobbiamo ricordarcela! -
- Una volta ho dovuto pulire la macchina di un mio compagno con i tacchi, gli autoreggenti, in costume e una dannata parrucca - sussurrò Laura, rimescolando le carte.
- Quando è stato? - le domandò Alice.
- A gennaio - rispose la bionda - E c’era un freddo cane -
Tutti scoppiarono a ridere, eccetto Laura, che distribuiva le carte.
Lanciò un’imprecazione quando guardò la sua carta: l’asso di cuori.
- Dov’è la mia vittima? - domandò Federico, mostrando l’asso di quadri.
Mostrò la carta - Io -
- Visto che l’altra sera voi ragazze vi siete divertite a farmi baciare Davide, stasera sarò ancora più cattivo - annunciò il rosso - Bacia Elisabeth sulla bocca per dieci secondi -
- Cosa?! - esclamarono insieme - Sono state le altre due! Noi non abbiamo fatto niente! -
- Mi spiace -
Si portò una mano al viso - Bastardo - sussurrò avvicinandosi ad Elisabeth ed appoggiando le labbra sulle sue.  
Si staccarono dopo dieci secondi, prendendo subito un bicchiere di Bacardi e bevendolo in un sorso. I ragazzi ridevano di gusto.
- Angi baci proprio da culo - sussurrò la rossa.
- Elisabeth! Se fossi stata un uomo avrei fatto di meglio! -
- Ehi - esclamò Matteo, togliendosi le lacrime dagli occhi per il troppo ridere.
Si avvicinò subito al ragazzo, baciandolo con passione. Staccandosi dopo un po’ - Bacio male? -
Lui sorrise - Certo che no -


Continuarono per un altro po’, poi, quando fu quasi mezzanotte, tutti si ritirarono nelle proprie camere, non prima di aver sistemato la stanza numero 10.
Lei e Matteo si buttarono subito sul letto, osservando il soffitto.
- Laura si comporta in modo strano - iniziò lui.
- No - rispose - L’ho solo giudicata male -
Il ragazzo si girò dall’altra parte, iniziando a russare.
Lo guardò male - Non è normale addormentarsi così sai? -
Matteo non rispose, sprofondato tra le braccia di Morfeo. Sospirò: non aveva proprio voglia di dormire.
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