Disclaimer: Numb3rs non appartiene a me.
Timeline: Quinta stagione, dopo 5-20 The Fifth Man.
Attenzione: Spoiler.
E di
nuovo mille, mille grazie a Alchimista che questa volta ha coretto la storia
con una velocità stupenda! Ed io non l’avrei creduto che lei potesse essere ancora
più veloce che al solito… E il quinto capitolo dell’altra storia l’ha anche già
coretto, allora sarà su EFP ben presto. Allora mille grazie a te, sei
grandissima!
Ma
adesso cominciamo!
Emergenza cognitiva
«Ciao, Char…lie».
Don si era fermato, adesso
guardava attorno a sé con leggera confusione. Il garage aveva un aspetto diverso.
Qualcosa non quadrava; solo, non riusciva a capire cosa fosse. I mobili erano
allo stesso posto di sempre, anche le lavagne… un attimo! Le lavagne!
«Ehi, cos’è successo alla tua
teoria dell’emergenza cognitiva?»
«Ciao Don. L’ho tolta. Penso di
aver trovato qualcosa, i vostri colpevoli…»
«Aspetta, aspetta, aspetta!» lo
interruppe Don, e Charlie fermò sul serio il suo fiume di parole.
Però, il silenzio non bastava a
fare ordine nei pensieri di Don. Charlie aveva semplicemente tolto il suo
lavoro sull’emergenza cognitiva? E glielo aveva detto nel mezzo di una frase,
cambiando subito argomento? Qualcosa non andava; Charlie lavorava su questa
teoria da anni (da talmente tanto tempo che Don ce l’aveva fatta, infine, a
ricordare il suo nome), la teoria per dedurre le modalità di funzionamento del
cervello umano; aveva sempre una parte di quei calcoli su una delle
lavagne (o meglio, su parecchie di quelle) per poter continuare a calcolare
immediatamente, se gli fosse venuto in mente qualcosa di nuovo o semplicemente
se gli fosse venuta voglia di rifletterci.
C’era soltanto una conclusione
logica e quella, purtroppo, mancava di ogni logica.
«Hai, per caso, concluso il
lavoro sulla teoria?» Era poco meno che impossibile, semplicemente a causa del
fatto che Charlie non avrebbe mai potuto tenere un segreto simile a suo
fratello.
«In un certo senso. Parlando del
vostro caso…»
Don non lo lasciò finire.
«Cosa vuol dire, “in un certo
senso“? Non l’hai veramente finita?»
«Sì, l’ho abbandonata. È…»
«Hai fatto cosa?!»
«L’ho abbandonata. Non è molto
importante adesso, la cosa più importante…»
Don non riusciva a credere a
quello che stava succedendo. «Non puoi parlare sul serio, Charlie! Hai lavorato
su questa cosa per anni! E adesso l’abbandoni semplicemente così? Ma che ti
prende? Appena un mese fa hai fatto turni di notte per fare progressi a
riguardo, e l’hai fatto nonostante ti avessi chiesto di dare uno sguardo a un
caso, e adesso semplicemente non te ne interessi più?»
Don non lo capiva. E si sentiva
un po’ tradito anche se la sensazione sgradevole dentro di sé consisteva
principalmente in preoccupazione. Charlie non abbandonava mai una teoria senza
un motivo e certamente non quella. Doveva esser accaduto qualcosa.
Era
accaduto qualcosa. Almeno in quel momento. Le fattezze di Charlie erano
cambiate, avevano perso espressione, si erano pietrificate e chiuse. Almeno il
caso di Don era passato in secondo piano adesso.
«Hai ragione, un mese fa ho
fatto turni di notte per questa teoria. Ma forse questa è esattamente la causa
per cui adesso l’ho abbandonata».
Charlie parlava a bassa voce e
aveva una faccia talmente significativa che Don si sentì stupido a non capire
subito.
Poi tutto cominciò ad essere
chiaro. Cosa che non significava di certo che riuscisse a crederlo.
«No… aspetta… è successo tutto a
causa del mio ferimento?»
Charlie abbassò lo sguardo. Era
una risposta sufficiente per Don, almeno per cominciare, perché il “Perché” non l’aveva ancora
capito. Poteva solamente intravvedere che cosa stesse succedendo in suo
fratello, nulla più di questo. In ogni caso doveva esser correlato con
l’incidente in cui, circa un mese prima, era miracolosamente scampato alla
morte, dopo che un criminale di guerra serbo, che si era nascosto in una casa
dove la sua squadra doveva arrestare un altro gruppo di criminali, gli aveva
conficcato un coltello in petto.
Soltanto adesso Don rifletté su
come Charlie avesse probabilmente reagito a tutto quello. Gli era sembrato che
l’avesse superato abbastanza bene, inaspettatamente bene pensando a come si era
comportato in passato in situazioni simili e più innocue. Contrariamente ad
allora, stavolta aveva immediatamente offerto il suo aiuto al team, se Don
aveva capito bene. E, si rese conto, da allora Charlie era stato quasi sempre
alla centrale dell’FBI o almeno disponibile per loro. Questa era la differenza
con la volta precedente.
Perché Don ricordava esattamente
come si fosse arrabbiato prima dell’improvviso ferimento: Charlie semplicemente
non voleva aiutarli in quel caso. Aveva promesso il proprio aiuto; poi, invece,
sembrava essersene dimenticato e aveva dato loro il risultato desiderato
all’ultimo momento. Invece di occuparsi del caso si era occupato della sua
teoria sull’emergenza cognitiva...
E pian piano Don incominciò a
capire cosa stava succedendo dentro Charlie.
«Non hai sensi di colpa, vero?»
Charlie non rispose.
«Charlie, lo sai… Devi sapere
che non potevi far niente per ciò che è successo…»
Don non aveva potuto scegliere
parole migliori per causare una reazione del fratello. E scintille nei suoi
occhi.
«Ah no? Allora dimmi dov’è che
sbaglio! Tu chiedi il mio aiuto per un caso, io rifiuto, poi ti do risultati
insufficienti e tu vieni accoltellato da quel tipo! Come può, questo, non
essere colpa mia?!»
«Te lo spiego subito» rispose
laconicamente Don, senza lasciarsi confondere dallo sfogo di Charlie. «Radovic
non apparteneva al gruppo, non avresti mai potuto sapere della sua presenza».
«Ma era il loro scopo! Avrei
dovuto prevederlo! Mi sono semplicemente lasciato distrarre con troppa
facilità! E per questo tu saresti potuto…» Charlie si interruppe e solo un
movimento inquieto del suo braccio nella direzione della coltellata di Don poté
lasciar intendere cosa non avesse la forza di pronunciare.
Invece continuò l’accusa a se
stesso. «Proprio non sapevo quali fossero le mie priorità e…» Di nuovo il
movimento inquieto con la mano. «Ed ecco cosa succede in una situazione del
genere! L’ha detto anche papà! Ma adesso… adesso so quali sono le mie
priorità».
«Allora dovresti rifletterci
ancora una volta su queste priorità!»
«Semplicemente non vuoi capirlo,
vero? Non voglio che qualcosa di simile succeda ancora una volta!»
«Ma ora sto bene! Oh Charlie,
dimmi un po’, devi sempre reagire in modo estremo? O ti nascondi in qualche
problema insolubile o butti via il lavoro di anni – non trovi anche tu che le
tue reazioni siano abbastanza esagerate?»
Don avrebbe dovuto sapere che davanti
a suo fratello non sarebbe riuscito a minimizzare la situazione.
«Oh, mi dispiace davvero tanto
se la morte della mamma e la tua quasi morte hanno influenzato un po’ il
mio comportamento!»
«Oh no, questo è più di un
po’, Charlie, è tanto di più!»
«Ma avanti, dimmi: di che cosa
mi stai accusando?»
«Non sai gestire questa cosa
come una persona normale!»
Non appena le parole di Don
arrivarono alla sua coscienza, l’agente si accorse di cosa stava accusando
Charlie. Cosa si aspettava? Che suo fratello continuasse a vivere come se
niente fosse accaduto?
Era giusto, le reazioni di
Charlie erano estreme e questo certamente non era buono per lui. Ma, in ogni
caso, ognuno si comporta in modo diverso in situazioni del genere. E Charlie
aveva sempre avuto problemi con le proprie emozioni. Questa volta, anzi, si era
controllato, non si era isolato dal mondo. Al contrario, era stato lì per Don,
tutto il tempo – poteva davvero rimproverare il suo fratellino per questo?
Forse non lo poteva
rimproverare, no. Ma poteva fare di questo una preoccupazione per sé stesso.
Alla fine, almeno indirettamente, era colpa sua se Charlie – a causa del suo
incidente - avrebbe trasformato completamente la sua vita, in un modo così
radicale che prima o poi non l’avrebbe più gestita e sarebbe stato perso.
Perso. Era questo. Charlie
sembrava perso, anche se Don ora vedeva solo la sua schiena, perché Charlie si
era voltato altrove, fermandosi davanti alle lavagne dove finora aveva avuto
posto la sua teoria dell’emergenza cognitiva. Istintivamente Don sentì
un’ondata di compassione e stava già per scusarsi per le sue parole brusche,
quando si morse il labbro, inghiottendo quelle parole. No, non si sarebbe
mangiato ciò che aveva appena detto. Charlie doveva capire che a causa di un’unica
disattenzione – e non era chiaro con cosa avrebbe potuto evitare l’attacco o
meno – non poteva semplicemente buttare via il lavoro di anni.
Tuttavia Don doveva fare
qualcosa per non vedere più suo fratello in quella disperazione.
«Ehi, Charlie… Io…» Nella sua
testa cercava le parole adatte, ma non ne trovava nessuna e allora dovette,
bene o male, prendere quelle del suo cuore. «Trovo bello che tu ti preoccupi
per me. Ma non devi buttare via per questo tutto ciò che hai raggiunto finora!
Ci sarà sempre un rischio per me, è il mio lavoro. Ma questo non significa che
tu debba mettere a soqquadro la tua vita». Tentò di sorridere, ma non uscì
nulla di più che una smorfia. «Anche se qualche volta mi comporto come se
dovresti».
Sperava che Charlie avrebbe risposto
qualcosa, qualsiasi cosa, ma la sua pazienza venne messa a dura prova prima che
suo fratello abbandonasse il silenzio.
«Ero…» Charlie deglutì, ma
nemmeno facendo così poté scacciare il suono insicuro della sua voce. «Ero
semplicemente… un po’ in ansia per te».
Don si accorse del significato
completo di quelle parole – notando la loro minimizzazione – e fece un passo
verso Charlie.
«Vieni qui» disse calmo.
Charlie si voltò e Don
l’abbracciò, fermo e sicuro, nonostante facesse attenzione che la sua
coltellata non venisse danneggiata in qualche modo. Sperava solamente che in
quel modo potesse aiutare Charlie, che potesse mostrargli che andava tutto
bene, che tra di loro andava tutto bene.
«Sta calmo» bisbigliò, sentendo
come i respiri di Charlie cominciassero a diventare più regolari. «Sto bene,
okay? Va tutto bene».
E in un attimo quel contatto era
già passato. Charlie si liberò, voltandosi altrove. Mentre stava con la schiena
rivolta a Don, si passò le mani sulla faccia. Il movimento doveva sembrare
casuale, come se volesse semplicemente muovere i capelli o la stanchezza dal
viso, ma per Don era chiaro che suo fratello stesse tentando di nascondergli le
sue lacrime. Perché no. Don avrebbe finto di non aver visto niente.
I suoi occhi scuri rimasero
sulla schiena di Charlie finché quello finalmente non si voltò di nuovo verso
lui.
«Potresti smetterla?»
Non si sentiva propriamente
irritato, piuttosto disperato e privo d’aiuto. E questo doleva a Don ancora di
più.
Però rimaneva calmo di fuori.
«Smettere cosa?»
«Smettere sempre di essere qui
per me!»
Don avrebbe quasi riso per il
sollievo. «Scusa, amico, ma è per questo che ci sono i fratelli maggiori».
Solo Charlie non sembrava
vederla così facile e la sua disperazione aumentò.
«Parlo di questo! Perché tu sei
sempre qui per me ed io, invece, non riesco a fare altrettanto?»
Don scosse leggermente il capo.
Finalmente un sogghigno leggero, un po’ incredulo, si diffuse sulle sue labbra.
«Non lo credi sul serio, vero Charlie?»
Charlie non rispose.
«Dai! Non credi sul serio che tu
non sia mai qui per me?!»
Don avrebbe quasi riso ad alta
voce, ma il riso gli rimase in gola quando vide lo sguardo che Charlie gli
lanciò.
«Sei sempre qui per me»
disse poi, e la confusione e lo sconcerto non avevano ancora lasciato le sue
fattezze.
Però Charlie non era così facile
da convincere. Scosse il capo. «Lo sarei volentieri. Ma semplicemente non ce la
faccio. Sono troppo debole».
«Va bene, Charlie, adesso
ascolta». Il tono di Don era diventato severo: sembrava essere l’unico timbro
che forse sarebbe stato capace di portare Charlie indietro ai suoi sensi. «A
parte il fatto che posso venire da te per ogni caso…» Poteva vedere come
Charlie stesse già per contraddirlo, per ricordargli che per qualsiasi motivo
si doveva separare il lato professionale dal privato. Ma Don non lo lasciò
prendere la parola. «Ma non sono solo i casi» continuò subito, con voce un po’
più alta così che Charlie non potesse interromperlo. E in modo che egli stesso
non perdesse il coraggio di fare quelle ammissioni. «Pensiamo proprio al mio
ferimento. Non puoi negare che dopo l’operazione sei stato lì. Lì per me.
E - a proposito - hai anche fatto i calcoli e hai fatto da esca per arrestare
quel tipo che mi ha accoltellato. E…» Don esitò un attimo, ma poi saltò il
fosso. «E inoltre posso sempre venire da te quando ho un problema, o no?»
Charlie rise breve, senza gioia.
«In teoria: sì. Ma lo sai anche tu che non potrei mai aiutarti, allora non ci
pensi nemmeno».
Ora toccò a Don scuotere la
testa. «Ti sbagli, Charlie. Va bene, hai ragione, non hai avuto spesso
l’opportunità di farmi vedere quanto puoi aiutarmi a questo riguardo, ma
malgrado tutto, ho imparato ad apprezzare il tuo supporto in quelle rare
occasioni. Forse non faccio ricorso spesso al tuo aiuto, ma questo è perche so
che posso sempre venire da te, se voglio. Di solito mi basta saperlo. Non mi
pianteresti mai in asso».
«Certo che no» mormorò Charlie,
e Don realizzò, rassicurato, che non solo lui, ma anche il suo fratello minore
era diventati un po’ rossi.
«E questo lo so, Charlie!» fece
di nuovo Don. «Io so che non mi abbandoneresti mai. E per saperlo tu non devi
sempre provarmelo».
Charlie annuì lentamente.
L’ombra scura sul suo viso sembrava diventato meno forte, quasi fosse in ritirata.
Don si lasciò scappare un
sospiro di sollievo. Ce l’avevano fatta. Ed erano stati in gioco fin troppi
sentimenti per una sola serata. Adesso sì, che si era veramente meritato una
birra. Preferibilmente in compagnia di Charlie.
«E cosa farai adesso con
quell’emergenza cognitiva?» chiese, sentendo con conforto che la sua voce
suonava di nuovo normale.
Charlie scrollò le spalle.
Almeno sembrava aver scacciato i suoi dubbi a riguardo e lentamente stava
tornando di nuovo il solito.
«La maggior parte dei dati, in
ogni caso, è salvata su alcuni CD e in parte anche su fogli. Non avevo ancora
trascritti solo gli ultimi calcoli. Però naturalmente so cosa ho calcolato e
cosa avevo come soluzione. Dovrebbe essere tutto risistemato fra uno o due
giorni».
Don sogghignò. «Così mi piaci!».
Pose un braccio attorno delle
spalle di Charlie amichevolmente, guidandolo verso casa, meta il frigorifero.
Però Charlie lo conosceva troppo
bene perché Don potesse imbrogliarlo. «Sbaglio o stiamo sulla strada per la tua
birra di riposo serale?»
Don stava ancora sogghignando.
«Devi esserti sbagliato. Non potrei mai pensare a una cosa simile… Ne vuoi una
anche tu?»
Il sorriso finora represso di
Charlie diventò più genuino e forte. «Mi stai invitando a una birra del mio
frigorifero, nella mia casa?»
«Non dobbiamo berla per forza nella
tua casa» evitò la domanda Don, di buon umore. «Possiamo berla anche in
garage. Così tu scriverai di nuovo la tua teoria dell’emergenza alla lavagna, e
quando avrai risolto il problema mi spiegherai come funziona il tuo cervello».
Il sorriso di Charlie diventò un
sogghigno. «D’accordo».
E mentre la serata si
concludeva, dentro di loro i due fratelli continuavano ad avere la sensazione
che il mondo era di nuovo in ordine.
FIN3