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Autore: Rota    20/08/2010    3 recensioni
Creed non voleva sentire più nulla. Neppure le dita sottili attorno alle braccia, strette in un abbraccio che non era riuscito a trattenere alcun calore.
Dai ciuffi scomposti dei capelli – dal naso e dal mento – cadevano aritmicamente piccole lacrime di acqua dolce.
Intorno, tutta la città pareva rintanata dietro le porte chiuse delle case, ben nascosta da serrande e ante di legno sulle finestre.
Poco più che silenzio nelle orecchie.

**Decima classificata al contest "Vedo, sento, scrivo - Immagini, musica, storie" Indetto da Elos Gordon e SaliceMcMay sul Forum di EFP **
Genere: Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Creed Diskenth
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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crazy town -Autore: Rota/Rota23
-Titolo: Crazy Town – Il valore della mia vita
-Fandom: Black Cat
-Personaggi: Creed Disckens
-Genere: Introspettivo, Song fic, Leggermente Nonsense
-Rating: Giallo
-Avvertimenti: One shot, What if…?, Missing Moment
-Note autore: Quello che vorrei riprendere è il momento in cui Creed comincia a odiare il mondo che lo circonda, a trasformare ogni sentimento in odio puro. Quindi, la mia voleva essere un’analisi psicologica del fanciullo che era stato fino a essere l’uomo descritto nel fumetto.



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Crazy Town
Il valore della mia vita








City's breakin' down on a camel's back.
They just have to go 'cuz they dont know when
So all of you fill the streets it's appealing to see.
You wont get out the county, 'cos you're bad and free
You've got a new horizon it's ephemeral style.
Melancholy town where we never smile
I wanna hear is the message beep.

My dreams, they gotta catch me, 'cos I don’t get sleep, no.(*)


Batteva una pioggia scrosciante sulla città, offuscando di tetro grigio ogni cosa – il freddo pungente penetrava lento e inesorabile fin nelle ossa, facendo tremare i corpi dentro le viscere.
Un passo lento scandiva lo scorrere cadenzato dei secondi, dove il suono della suola consunta delle scarpe sull’asfalto bagnato pareva l’unico compagno degno di nota. Tra le mani lembi chiari di vestiti zuppi, nello sguardo perso solo la strada calpestata con indifferenza e rassegnazione.
Creed non voleva sentire più nulla. Neppure le dita sottili attorno alle braccia, strette in un abbraccio che non era riuscito a trattenere alcun calore.
Dai ciuffi scomposti dei capelli – dal naso e dal mento – cadevano aritmicamente piccole lacrime di acqua dolce.
Intorno, tutta la città pareva rintanata dietro le porte chiuse delle case, ben nascosta da serrande e ante di legno sulle finestre.
Poco più che silenzio nelle orecchie.

La spalla sinistra faceva male, il piede destro zoppicava appena. Non aveva niente dentro lo stomaco se non la saliva che aveva ingerito ogni cinque minuti, cercando di dimenticare da quanti giorni non lo riempiva con altro.
Da quando quei poliziotti l’avevano scovato tra i rifiuti non aveva più toccato cibo.
Le occhiaie erano nere, come la sporcizia sotto le unghie e quella sulla la pelle tremula.
L’ultima volta che aveva visto sua madre s’era ritrovato con una puzza di alcool appiccicata sulla testa e con lacrime troppo calde a rigargli il viso – terribile, una cosa terribile.
Era forse quel ricordo ad avergli tenuto gli occhi aperti, anche quando un giaciglio d’occasione si era presentato disponibile? La crudeltà che con la ragione si poteva scacciare in un angolo, con l’incoscienza veniva fuori prepotentemente.
Creed non voleva più dormire, neanche un istante.

Dondolava appena il corpo, avanti e indietro, poggiando gli arti doloranti e scivolando sempre più in là – trascinandosi come un peso morto.
Qualche timido passante gli camminò imparte, portando via un poco di freddo con sé e dei grandi ombrelli scuri. Qualche parola però volò lo stesso: come occhi freddi che non conoscevano pietà, riconobbero in quel mucchio di fragili ossa un’occasione per rendere meno opaca la propria infima piccolezza.
Era semplice umanità.
Creed poteva anche far finta di non sentire, di concentrarsi su quel sassolino tutto spigoli che gli era entrato nella scarpa e ad ogni singolo passo gli faceva male e gli graffiava la pelle. Le sue spalle, dopotutto, tremavano già per il freddo – nessuno si sarebbe accorto di quanto le smuoveva da dentro.

Delusione.
Si chiamava così, ora? Quel misto di tristezza e rassegnazione che curvava la testa e la faceva ciondolare smorta sul petto magro.
In una città folle, in mezzo ad una congrega di pazzi sembrava che l’unico vero peccato fosse agire secondo ragione.
Era da folli pretendere un poco di considerazione – allora forse bisognava esigerla a suon di pugni?
Era da folli credere di contare sulle persone di cui ci si circondava – allora forse si doveva imparare a vivere da sé il prima possibile per non venire schiacciati dalle corse affannose degli altri?
Era da folli camminare strisciando contro i muri e cercare di nascondersi in un’ombra che invadeva tutto per non dover sostenere gli sguardi di chi odiava il semplice sospiro delle persone indesiderate – allora forse bisognava far diventare cieche e sorde quelle medesime persone con una forza che incuteva timore e rispetto?
Anche alzare al cielo il viso e vederci bellissimo e splendente un sole non pareva più possibile.
Perché invece stavano lassù le nuvole grigie, nient’altro che un mare informe e inconsistente di nulla?Non era il posto della luce abbagliante, quello?
La risposta più banale al tutto era il comprendere l’inutilità devastante dell’esistenza terrena.

La pioggia cominciò a battere più forte sulla sua schiena, il vento si sollevò portando con sé qualche foglia e una scatola di cartone bagnato presa da chissà quale luogo.
Creed si fermò, alzando appena lo sguardo.
Non c’era nessuno.
Sospirò, riprendendo il proprio cammino e arrancando avanti – quel piede non smetteva di fargli male.
Passò davanti ad un vicolo, intravedendo per qualche istante dei cassonetti di metallo dai quali fuoriusciva spazzatura. Un cane, quando lo sentì, gli ringhiò contro, sancendo il territorio e la proprietà mostrando i denti bianchi.
Fu una semplice parentesi tra le gocce di pioggia, come il calore pacifico di una finestra illuminata – chiusa – e lo stridio acuto della ruota di un carretto di legno, al di là della strada.
Dopo qualche passo, però, il piede di Creed non resse più, facendo d’un tratto collidere dolorosamente il giovane viso con l’asfalto di pietra.
Il ragazzo si rannicchiò, portandosi le mani alla testa pulsante.

Sarebbe stato più semplice lasciarsi morire di stenti.
Come uno straccio abbandonato per strada dopo l’ennesimo utilizzo, sarebbe stato forse più veloce per lui neanche desiderare quella cosa assurda chiamata vita.
Forse, sarebbe stato addirittura più generoso da parte sua. Diventare concime per vermi e quindi adempire al proprio compito ultimo.
Ma la logica di un bambino è una logica deviata, così come è deviata la logica del disperato che scorge in lontananza un’ancora alla quale aggrapparsi – più forte è la disperazione, più forte sarà la presa delle dita smorte.
Si allunga prima timidamente la mano; poi, quando si vede che la distanza si accorcia sempre più, ci si protende con maggior impeto, affannandosi a rendere nulli i centimetri di distacco. Pian piano, così, la meta si fa vicina e desiderata.
Creed si guardò attorno, con gli occhi ancora velati di malinconia. La pioggia gli cadeva sul volto, rendendo difficile ogni azione.
Lo vide, il grigiore imperante. La vide, la tristezza che incrostava ogni superficie di quella città zozza. Vide tutto quello e per la prima volta ne rimase disgustato – quasi a sentirsi troppo pulito in un marciume generalizzato. Era una sensazione nuova, che attanagliava il cuore ferito e lo rendeva quasi rabbioso.
Allora, si scoprì egoista come la donna che lo aveva messo al mondo, come il più vile dei vermi che, seppur agonizzante, osava alzare la testa e guardare il suo carnefice.
Come il formicolio che prende gli arti tenuti a lungo immobili, serpeggiò la rabbia lungo tutto il corpo e colorò lentamente lo sguardo chiaro, mentre una nuova forza piegava i muscoli e drizzava ancora il giovane – un sorriso strano curvò allora le labbra pallide.
Riprese a camminare, senza più zoppicare.

Promise a sé stesso di dare un significato a quell’esistenza buttata per caso, a quell’esistenza che nessuno si degnava di raccogliere.
Il valore della sua vita l’avrebbe deciso lui – così come il valore di ognuno di quei vermi che gli camminavano di fianco.
Pretendendo quello che nessuno gli aveva dato.
Ottenendo quanto nessuno osava neppure sognare.
Tutto, tutto per lui. Tutto nelle sue mani avide. Tutto a sua disposizione.
Attenendosi semplicemente alle regole del mondo che lo aveva accolto così crudelmente nel proprio abbraccio freddo, Creed avrebbe fatto sua la morale di una realtà che non condivideva – l’avrebbe cambiata, a modo suo e secondo il suo desiderio.
Le sue mani sarebbe state capaci di questo, la sua volontà non avrebbe vacillato neanche un solo istante.
Niente, nella realtà che in quel momento era, valeva la pena di un poco di pietà e di un poco di commiserazione.
E se magari avesse trovato due occhi così simili ai suoi, allora avrebbe goduto di una felicità immortale. Ma se anche così non fosse stato, andava bene lo stesso.
Il mondo sarebbe stato cambiato da lui, solamente da lui.
Da Creed Disckens.

Sì, questo era il solo compito degno del nuovo Dio.

E intanto la pioggia aveva cessato di cadere, lasciando che qualche timido raggio di sole filtrasse tra nuvole bianche.



(*)Feel good Inc., Gorillaz






Questa storia ha partecipato al contest indetto sul forum di EFP da elos.gordon e SaliceMcMay "Vedo, sento, scrivo - Immagini, musica, storie", classificandosi decima.
No, non credo che questa storia sia una schifezza. Nella maniera più assoluta.
Volevo analizzare il personaggio di Creed, per una volta, dacché il manga che lo vede come personaggio mi è sempre piaciuto molto. Ero consapevole del fatto che, non avendo dimestichezza col personaggio, avrei incontrato notevoli difficoltà. Ebbene, non me ne pento nella maniera più assoluta.
Questo è, per me, un buonissimo lavoro. Date le premesse, non posso che essere orgogliosa di me stessa <3
Volevo ringraziare le giudici per aver valutato questa mia storia. Se ho partecipato al Contest da loro indetto, era per aver il LORO giudizio, spassionato e sincero. L'ho avuto e ora ne sono incredibilmente felice.
Grazie, grazie di cuore. Per tutto <3<3
   
 
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