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Autore: Sanya    11/09/2010    5 recensioni
[Momentaneamente Sospesa!]
E se Tyler prima di andarsene avesse lasciato un ultimo dono? Come reagirebbero Hayden, Charles, Diane, Neil, Caroline, ma, soprattutto, Ally?
ALTAMENTE SPOILER! per chi non ha visto il film!
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Le Tue Impronte Su Di Noi 

Chapter's Song: //Marcelo Zarvos - Moning Montage//
Morning Montage
Ore 7:46
Dischiusi un poco gli occhi e il sole invase la mia vista addormentata. Era giorno.
Mi stiracchiai, cercando di mettere in ordine i pochi e confusi pensieri che mi frullavano in testa.
Richiusi gli occhi e assaporai i caldi raggi di quel sole di fine estate che mi illuminavano il viso. Provai a rotolare su un fianco, invano. Socchiusi un’altra volta le palpebre attaccaticce e mi accorsi di una presenza accanto a me. Aguzzai la vista e scorsi il profilo familiare di Tyler. Mi accarezzava dolcemente i capelli e sorrideva compiaciuto.
‹‹Buongiorno, pigrona›› mormorò, cercando di non essere brusco.
‹‹Ehi…›› biascicai con voce impastata, emettendo solo un borbottio senza senso. Tyler ridacchiò e continuò a giocherellare con i miei capelli, attorcigliandoseli intorno alle dita.
Chiusi gli occhi e sospirai, persa nel piacere di ogni sua piccola attenzione. Quando li riaprii, notai che lui era già vestito, a differenza di me.
‹‹O mio Dio, è tardi. Dobbiamo andare in facoltà!›› esclamai, svegliandomi di colpo e tentando di mettermi a sedere.
‹‹No, no›› mi tranquillizzò, mettendomi una mano sulla spalla e facendomi sdraiare. ‹‹No, non dobbiamo andare in università. Se la memoria non mi inganna i corsi cominciano tra due settimane›› comunicò, coricandosi accanto a me e sorridendomi.
Lo guardai perplessa, aspettando una spiegazione più esaustiva.
‹‹Devo passare all’ufficio di mio padre. Sai, per quella storia successa a scuola di Caroline. Devo incontrarmi con gli avvocati›› puntualizzò, facendomisi più vicino.
‹‹Beh, allora dovrebbe andare, signor Hawkins. Non vorrà far aspettare suo padre›› borbottai ironicamente. Lui zittì la mia considerazione con un bacio, uno di quei baci che ti fanno adorare l’amore con tutta la forza che si può liberare dai tuoi muscoli, con tutto il desiderio che un corpo può manifestare. Ripensai a tutto quello che quella sera avevamo condiviso, a tutto quello che in quei mesi insieme avevamo passato e una fiamma di gioia mi accese il petto. Intrecciai le mie dita ai suoi capelli e lo avvicinai di più a me.
‹‹Ha ragione, signorina Craig. Dovrei andare›› bisbigliò, scostandosi quel poco che bastava per riuscire a parlare. Tornò a scrutare la mia bocca e il mio viso in meno di un secondo.
Non c’è fretta, mi fece capire.
Combattei contro la voglia di continuare ciò che avevamo lasciato in sospeso la sera precedente.
‹‹Tyler, seriamente, devi andare…›› mormorai ansimante non appena la sua attenzione si spostò sul mio collo.
Dalla sua bocca uscì solo un “uhm-uhm” ovattato. Continuò a baciarmi la mascella come se io non avessi proferito parola. Soffocai un gemito di apprezzamento.
‹‹Tyler…›› lo richiamai, spingendolo per le spalle.
‹‹Ok, ok›› esclamò, balzando in piedi e alzando le mani al cielo. Si fermò a fissarmi con sguardo d’accusa sulla porta della stanza.
Io rimasi seduta sul letto con le gambe strette al petto. ‹‹Rimarrò qui, sai. Non ho intenzione di andarmene per oggi›› lo rassicurai.
‹‹Dovrai passare una parte della mattinata con Hayden. Sei disposta a sopportare una tortura del genere?›› chiese ironicamente, stringendosi le braccia al petto.
Risi di gusto a quella battuta e Hayden per tutta risposta lanciò un cuscino in testa a Tyler.
‹‹Non preoccuparti›› sorrisi e mi spinsi verso il bordo del letto per alzarmi.
Mi legai la coperta addosso e mi diressi verso il bagno per darmi una sistemata. Raccolsi la spazzola dalla mensola vicino allo specchio e mi misi all’opera per sciogliere il pagliaio che avevo al posto dei capelli. Sentii i passi di Tyler arrivare in bagno.
Attraverso il riflesso dello specchio lo vidi avvicinarsi a me e stringermi forte per i fianchi, nascondendo il viso tra la pelle della spalla.
‹‹Ti amo›› sussurrò, il suono leggermente attutito dalla vicinanza della sua bocca alla mia pelle. Mi baciò dolcemente la clavicola e fui costretta a prendere un lungo sospiro con la bocca: non riuscivo più a respirare.
Lasciai cadere la mano che reggeva la spazzola e abbassai lo sguardo cercando le parole adatte. ‹‹Meno male. Perché ti amo anch’io›› fu l’unica cosa che riuscì a uscirmi dalla bocca.
Lui abbozzò una risatina e mi diede un ultimo bacio sul collo, poi lasciò silenziosamente la stanza.
Mi ritrovai a sorridere come un ebete, troppo euforica per nascondere le mie emozioni.
Io lo amavo.
Lui mi amava.
Non poteva essere più perfetto.
 
Ore 8:07
Uscii di corsa dal bagno sperando di riuscire a beccarlo prima che uscisse. L’avevo sentito parlare con Hayden poco prima per cui sapevo per certo che era ancora in casa.
Mi infilai in tutta fretta un paio di jeans e presi al volo una delle sue camice da boscaiolo che aveva lasciato sul letto, litigando con i bottoni mentre la allacciavo.
‹‹Ah, Tyler…›› esclamai, non appena lo raggiunsi. Era sulla soglia di casa con la sua vecchia bicicletta da corsa sottobraccio e, non appena mi sentì, si voltò regalandomi uno dei suoi sorrisi più belli.
‹‹Sì?›› mi chiese educatamente.
‹‹Bhe, mi chiedevo… Ti va qualcosa di particolare per colazione?›› chiesi, guardandomi le punte dei piedi.
Quanto ero stupida? Lo stavo trattenendo da un impegno importante solo per chiedergli cosa volesse per colazione. Era un comportamento da imbecilli, lo riconoscevo, eppure non ero riuscita a fare a meno di chiedergli una cosa così cretina e superficiale. 
‹‹È uguale›› rispose, sorridendomi benevolo.
‹‹Ok, allora mi sbizzarrirò›› dissi, voltandomi e dirigendomi verso la cucina.
‹‹Ehi, Ally. Stai dimenticando qualcosa…›› mi richiamò.
 Mi voltai confusa. ‹‹Cosa?››.
Lasciò la bicicletta appoggiata allo stipite e mi prese per i fianchi, baciandomi come quella mattina. Appassionatamente, ma con una nota di dolce che rendeva il bacio necessario come l’ossigeno nell’aria.
Nonostante quel bacio fosse del tutto inaspettato, il mio corpo reagì come se lo stesse aspettando, come se sapesse che in quel momento Tyler mi avrebbe baciata in quel modo che mi faceva girare la testa e che mi faceva desiderare di averlo al mio fianco ancora di più.
Ma poi, come giusto che fosse, Tyler si scostò, lasciandomi lì a mordicchiarmi le labbra per catturare anche l’ultima particella del suo sapore.
‹‹Come ti sta bene questa camicia›› si complimentò, accarezzandomi un fianco. Dei brividi infuocati e gelidi imperversarono sulla mia schiena. Abbassai gli occhi.
‹‹Già…›› mormorai imbarazzata.
‹‹Torno presto›› mi rassicurò.
‹‹È inutile dire che ti aspetterò››
Ridacchiò baciandomi la fronte.
‹‹A dopo›› salutò.
‹‹A dopo›› riuscii a farfugliare, ritrovandomi nel mondo reale.
 
Ore 8:13
L’olio nella padella cominciò a scaldarsi e il suo odore cominciò a spargersi per tutta la cucina. Mi alzai dalla sedia e mi diressi verso i fornelli per cuocere l’impasto delle frittelle. Queste cominciarono a sfrigolare, producendo quel suono e quell’odore a me tanto familiari.
Canticchiai un motivetto allegro mentre guardavo l’impasto colorarsi d’ambra. Quella mattina mi sentivo particolarmente euforica e il perché era ovvio: mi bastava guardare il viso di Tyler per capire quanto tenesse a me, quanto mi desiderasse e ciò non faceva che rendermi più orgogliosa stare con lui. Sorrisi pensando a quanto fosse felice la mia vita in quel momento.
Annusai la camicia di Tyler e mi persi nel suo odore caratteristico: fumo di sigaretta, dopobarba e quel qualcosa che si percepiva solo standogli accanto. Era il suo odore, solo e solamente suo. Quello che mi ritrovavo sulla pelle la mattina non appena mi svegliavo accanto a lui. Quello che sentivo ancora sulla lingua se deglutivo. Quello che sentivo se lo abbracciavo. Era il segno di lui e della sua presenza su di me.
Sospirai profondamente, scuotendo la testa, e cercai di concentrarmi sulle frittelle per evitare di far bruciare tutto.
Come attratto da un richiamo, vidi spuntare sulla porta della cucina Hayden, più nel mondo dell’incoscienza che in quello reale.
Entrò sbadigliando con una mano nei capelli mentre con l’altra si grattava la spalla.
‹‹Buongiorno›› farfugliò.
‹‹Buongiorno, Hayden›› trillai.
‹‹Ehi, cos’è tutto quest’entusiasmo di prima mattina?›› mi chiese, notando il sorriso da ebete che avevo ancora stampato in faccia.
‹‹Niente. Sono solo felice›› confessai, bucando con la forchetta alcune frittelle.
‹‹Bhe, comunque sia. Tu e Tyler dovete darvi una calmata. Stanotte ho fatto molta fatica ad addormentarmi…›› accusò, lasciando la frase in sospeso.
Arrossii violentemente. ‹‹Ehm, già. Scusa. Non era nostra intenzione›› spiegai.
‹‹Sì, sì, certo›› tagliò corto lui.
Girai le frittelle con la forchetta per farle cuocere anche dall’altro lato.
‹‹Che prepari di buono?›› chiese, venendo a ronzare intorno alla padella.
‹‹Frittelle. Tyler mi ha lasciato campo libero in cucina, stamattina›› spiegai, perdendo un battito non appena pronunciai il suo nome. Ma perché cavolo mi faceva quell’effetto? Perché ero un’idiota?! Già, probabile.
In quel campo lo ero sempre stata, un’idiota. La classica ragazzina che si lascia trasportare dalle emozioni con troppa facilità. Troppa. E quando finiva ci restavo male, soffrivo a causa di quei sentimenti ai quali mi ero aggrappata con tanto entusiasmo.
Un canotto gonfiabile non riuscirà mai a stare in mezzo all’oceano per sempre senza sgonfiarsi, mi dicevo. Eppure, ogni volta, cercavo sempre di rimanere aggrappata a un sentimento incostante, che avrebbe potuto tramutarsi in odio da un momento all’altro.
Ma con Tyler sentivo che era diverso: mi sentivo sempre una bambina senza esperienza ma volevo che tutto funzionasse. Volevo che il canotto arrivasse in porto questa volta. Non ero partita col presupposto che non ce l’avrebbe fatta. Speravo, pregavo che ce la facesse perché lo desideravo davvero.
‹‹Mmmh, ispirano…›› commentò. Si versò del caffè bollente e restò a contemplare la padella.
‹‹Sai sono molto contento che tu sia venuta a vivere ancora con noi. Senza di te era una merda: Tyler era depresso, la casa faceva schifo più del solito, non mangiavamo nient’altro che biscotti integrali. Meno male che il cibo, ogni tanto, ce lo passava la madre di Tyler, se no ci avresti ritrovati denutriti quando saresti ritornata›› disse, andando a frugare nel frigorifero.
Alzai gli occhi dalla padella. ‹‹Sai bene che non avrei voluto andarmene, ho dovuto. Certo che anche voi, prendermi in giro in quella maniera non è stata una gran bella trovata›› ammisi.
‹‹Già. Lo so, è stata colpa mia. Scusa, mi dispiace di aver convinto Tyler a prenderti in giro così›› si scusò.
‹‹Non preoccuparti, scuse accettate. E comunque, se non vi avessi già scusato, non sarei qui›› puntualizzai, ritornando alle mie frittelle.
Ripensai a quel terribile giorno in cui Tyler mi aveva detto tutta la verità. Certe volte mi ritornano ancora in mente le sue parole: ‹‹Hayden vi ha visti a scuola e ha proposto che io mi facessi avanti con te››. Le ricordavo una per una, pugnalata per pugnalata.
È vero, Tyler mi aveva mentito, preso in giro come se fossi uno semplice oggetto da buttare via quando si fosse stufato di usarmi, ma non ero riuscita ad allontanarmi completamente da lui. Per quanto lo odiassi, per quanto desiderassi non vederlo più, c’era sempre una parte di me che lo amava e lo voleva come non aveva mai fatto con nessun’altro. E più cercavo di aumentare l’odio verso di lui, di nascondere l’attaccamento nei suoi confronti dietro altri sentimenti, il desiderio del suo amore rispuntava fuori più potente di prima.
Per cui, quando Hayden era venuto a pregarmi di ripensarci riguardo a Tyler, avevo colto la palla al balzo e avevo deciso di perdonarlo.
Lui era pentito, lo sentivo. Era pentito di avermi perso solo per una bugia che, infondo, ci aveva fatti conoscere. Se la nostra relazione era nata da una bugia, col tempo, era diventata vera e spontanea.
Avevamo sofferto entrambi per quella separazione forzata.
Ora però non volevo più pensare a quella vecchia storia.
C’eravamo solo io e Tyler e sarebbe stato così fin quando entrambi l’avessimo voluto.
 
Ore 8:44
‹‹Ehi, macchina da guerra, lasciane un po’ a Tyler›› ammonii Hayden.
‹‹Scusami, Ally, ma queste frittelle sono la fine del mondo. Ancora una, ti prego›› mi implorò.
‹‹Hayden, sai quante ne hai mangiate stamattina? 23. E tutte da solo›› gli ricordai.
‹‹Ehi, non è mica colpa mia. La prossima volta cucinane di più›› concluse.
Ridacchiai tra me e me. Tornai a sorseggiare il caffè, che ormai si era raffreddato.
Mi alzai lentamente dal tavolo e mi diressi verso la piccola finestrella della cucina. Mi appoggiai al ripiano di marmo e tentai di vedere qualcosa al di là dello spesso strato di sporco che la incrostava. Ovviamente, non vidi un tubo. Restai a esaminare il bordo della tazza che stringevo tra le mani.
Nemmeno Hayden diceva nulla: se ne stava zitto e buono a rosicchiare qualche biscotto pescato dalla dispensa.
D’un tratto il telefono squillò e entrambi trasalimmo. Eravamo talmente persi ognuno nei propri pensieri che sentire il telefono trillare fu traumatico. Come il suono della sveglia che ti costringe ad aprire gli occhi e a fuggire via da un sogno desiderato.
Ci scambiammo un lungo sguardo confuso. Chi poteva chiamare a quell’ora del mattino? Probabilmente era mio padre che voleva assicurarsi che stessi bene…
Oppure era Tyler che ci avvertiva che avrebbe fatto un po’ tardi…
Persa com’ero nelle mie congetture, non feci in tempo a prendere il telefono che mi accorsi che Hayden già lo stringeva tra le mani.
‹‹Pronto…?›› chiese.
Lasciai la mia postazione appoggiata al ripiano e mi diressi piano verso di lui. Aguzzai l’udito per capire chi fosse la persona dall’altro capo.
‹‹Jeff ?!›› Hayden domandò confuso. Jeff, il loro amico dell’università.
‹‹Cosa?!?›› urlò. Mi schioccò uno sguardo pieno di angoscia e terrore. Deglutii rumorosamente. Mi avvicinai ancora di più per tentare di carpire qualche informazione importante, ma non sentivo altro che un brusio confuso.
‹‹Che succede?›› chiesi ansiosa.
‹‹O mio Dio›› mormorò Hayden.
Sembrava sotto shock.
Si diresse velocemente verso la finestrella che, poco prima, stavo fissando. Prese in mano uno strofinaccio e tentò di crearsi un varco tra la sporcizia accumulatasi sopra. Quando riuscì a crearsi un’apertura abbastanza pulita da cui poter vedere si immobilizzò. Il telefono gli cadde dalle mani come se non avesse più abbastanza forze per reggerlo.
Ma che cavolo stava succedendo? E perché Hayden si comportava in quel modo assurdo?
Mi avvicinai velocemente verso la finestrella per cercare di capire qualcosa anche io.
Inizialmente non scorsi nulla di storto. Ma poi vidi. Una densa e alta colonna di fumo nero si stagliava violentemente contro il cielo azzurro di quella mattina. Era scura, cupa e giungeva dal palazzo da cui non avrei mai desiderato che provenisse.
“No” Fu l’unica cosa che il mio cervello riuscì a produrre.
Non era quello che stavo vedendo. Mi stavo immaginando tutto. Era un sogno, un incubo.
Non so come, soprattutto non so dove trovai le forze per muovermi, mi ritrovai sul pianerottolo. Un secondo dopo, mi resi conto che stavo salendo le scale. Più velocemente potevo. Le superavo a due a due e non mi importava se inciampavo, il più delle volte nei miei stessi piedi. Dietro di me sentivo i passi e la voce di Hayden che mi chiamava. Ma non lo volevo ascoltare.
Continuai nella mia scalata.
Mi ritrovai davanti alla porta che portava al tetto. Dopo un attimo di tentennamento, abbassai di scatto la maniglia e mi ritrovai sul cornicione. Feci qualche passo avanti in cerca di ciò che avevo visto dalla finestra.
Ed, ecco. Ciò che avevo desiderato immensamente che non fosse vero si presentava più terrificante che mai davanti ai miei occhi. Dalla finestra il tutto sembrava molto ristretto, ma da quel tetto capivo che le proporzioni del disastro sarebbero state immense. Che nulla si sarebbe risolto in maniera tranquilla come speravo.
Un urlo tentò di sgusciare via dalla mia gola ma, quando aprii la bocca, ne uscì solo un gorgoglio indefinito.
E anche io, come Hayden, mi ritrovai immobilizzata davanti a quell’immagine.
Non sapevo esattamente quali pensieri, emozioni, desideri si impossessarono di me in quel momento. Panico, ansietà, terrore, voglia di piangere, di urlare, di andare a recuperare Tyler a mani nude se fosse stato necessario.
Mi misi le mani davanti al viso e tentai di reprimere tutte le emozioni che mi ribollivano dentro.
Dietro di me, sentii giungere Hayden che mi posò una mano sulla spalla.
‹‹Non può finire male›› mormorò.
Poteva andare peggio di così?
Sussultai non appena i miei pensieri arrivarono alla conclusione.
Sì, poteva andare peggio di così.
**********
Ok, forse ho sbagliato a pubblicare oggi questa storia...
No, mi corrego, forse ho sbagliato a pubblicare questa storia. Punto. 
L'Ale mi ha detto che sarebbe stata una cosa bella pubblicarla oggi, della serie "in memoria di...". 
Non so come verrà presa questa storia. Diciamo che è venuta fuori come un fungo nel bosco dopo che ho visto per la 85 volta "Remember me", quella volta compreso di finale. Il mio cervellino era talmente sconvolto dalle sorti di Tyler che ha elaborato questa piccola grande pazzia. 
Possiamo aggiungere anche che sono stata veramente indecisa se pubblicarla o no. Diciamo che l'ho fatto dopo l'opera di convincimento delle mie amiche (approposito, grazie care ^^).
Bene, ora la lascio in mano a voi lettori, sperando che vi possa piacere. Sono aperta a qualsiasi tipo di commento, sia positivo che negativo, quindi recensite ;D 
Grazie mille per la pazienza che avete riservato nel leggere questa mia nuova pazzia.
Grazie davvero ^^
 





   
 
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