Anime & Manga > Captain Tsubasa
Segui la storia  |       
Autore: scandros    27/10/2005    5 recensioni
Sulla spiaggia assolata di Hurghada, la bianca rena diverrà palcoscenico di un ritrovato amore, ma di una tragedia che lentamente sfocerà in un amore unico, indissolubile. Holly ritroverà Patty, l’amore di un tempo, più forte, più ardente che mai. Comprenderà non è solo un sentimento con la “A” maiuscola, ma un’emozione che ti riempie l’anima, che sfocia nelle vene, che vibra sulla pelle e che il destino renderà inenarrabile, unico e indissolubile. Tom, di fronte all’inequivocabile destino, capirà quali sentimenti realmente prova per Gabrielle. E Benji…inavvicinabile, borioso e sicuro di sé, incontrerà l’amore, quello vero, nel lago smeraldo degli occhi di Kirsten. Attenzione: per i temi trattati, se ne consiglia la lettura ad un pubblico maturo!
Genere: Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Tradimento d’amore

Tradimento d’amore

 

 

…just for your love..., with love

 

 

 

 

Epilogo – parte 2

 

 

 

 

Guardò ancora una volta fuori dalla finestra. Nulla era mutato da pochi istanti prima, tranne l’immagine quasi soffusa che si rifletteva alle sue spalle. Il candore della neve contrastava con la tormenta aspra che imperversava nel suo cuore.

Alzò lo sguardo quasi a voler meglio definire quei contorni ambrati, a voler comprendere come mai quegli occhi scuri puntavano su di lui.

Abbassò le palpebre e sospirò.

-         Signor Becker! – lo richiamò la voce. Un suono dolce e materno, di un affetto sconosciuto ma palese. – Dobbiamo andare. – aggiunse cercando di smuoverlo dal torpore in cui sembrava essersi calato.

Tom annuì col capo e si voltò verso la donna.

Il tailleur grigio argento le fasciava le morbide curve eludendo appena il corpo snello e dalle forme tornite. Era così bella che i suoi occhi non potevano restare immuni al suo cospetto. L’ovale regolare color ambra brillava intensamente tra i riccioli scurissimi e fitti di cui il capo era adorno. Un velo di ombretto chiaro illuminava il taglio orientale dei suoi occhi neri, perfettamente delineati dal kajal, e le labbra, velate di un rosso intenso, sembravano anelare un bacio passionale.

Avvertì un brivido intenso lungo la schiena.

Maila Hossam, tirocinante presso lo studio associato Alexander & Spencer, non aveva, neppure per un istante distolto lo sguardo dal calciatore del Paris St. Germain. Nonostante la giovane età, Tom sapeva che l’avvocato Herbert Spencer l’aveva scelta per assisterla nel difficile caso che vedeva opposti Garland a Gatsby.

Quello che era stato denominato  il caso G&G, dal mese di luglio, riempiva le pagine dei quotidiani e dei magazine di settore. Un’estradizione immediata aveva portato Robert Garland dall’Egitto in Inghilterra, sua madre patria e paese nel quale la vittima di turno, l’avvenente modella Patricia Gatsby, risiedeva da qualche anno.

Tom incrociò ancora una volta gli occhi neri di Maila, la cui mano, con gesto aggraziato, gli indicava la porta dell’aula nella quale entro pochi minuti sarebbe ripresa l’udienza.

Il giudice Guy Hamilton aveva sospeso l’udienza per un break di un’ora, nel quale Tom non era riuscito a consumare neppure un pasto frugale e nel quale la sua mente non era riuscita a liberarsi dei fantasmi opprimenti di quella lunga estate calda.

-         Signor Becker, dobbiamo proprio andare adesso! – gli disse voltandogli le spalle e precedendolo verso l’uscio semichiuso.

-         Avvocato! – esclamò destando tutta la sua attenzione. Maila si girò verso l’aitante giovanotto con le guance imporporate dall’imbarazzo. La sua voce dolce, le sue labbra che scandivano un inglese dall’accento francese, non potevano che emozionarla e provocarle dolci sussulti. Ogni qual volta lo vedeva, era inevitabile non provare la medesima sensazione di coinvolgimento.

-         Sì, signor Becker..mi dica! – rispose cercando di eludere quel rossore appena percettibile sulle gote ambrate.

-         Mi dica che giustizia sarà fatta! – le chiese categorico, quasi rude, ma con il desiderio di sapere che qualcuno avrebbe posto fine alla libertà di Robert Garland.

-         Signor Becker, stiamo facendo il possibile perché Robert Garland possa esser incriminato di omicidio, ma c’è la possibilità che la difesa proponga l’incapacità di intendere e di volere dell’assistito in quel determinato momento in cui ha compiuto il gesto efferato. – rispose cosciente della delusione che le sue parole avrebbero comportato nel calciatore. Vide le mani serrarsi in pugni infuocati e dalle nocche bianche. Poteva avvertire il desiderio di vendetta e quanto quei pugni anelassero di colpire il volto angelico di Robert Garland.

-         Non può finire così! Quel pazzo ha tentato di uccidere Oliver Hutton e poi ha colpito la sua stessa fidanzata. A cosa valgono le testimonianze della gente? Eravamo tutti presenti su quella scena. Tutti! Garland dovrebbe andare sulla sedia elettrica e non cavarsela con un ospedale psichiatrico. – ribatté acceso in volto. I suoi occhi nocciola, sempre così quieti e sereni, sembravano due tizzoni ardenti e in attesa di esplodere in zampilli incandescenti.

-         Signor Becker, lei può aver ragione a sostenere determinate colpe, ma le assicuro che se la difesa riesce a dimostrare che Robert Garland era incapace chiedendo una perizia psichiatrica, tutto quello che rischia è l’internamento in un istituto di igiene mentale. –

-         E magari tra qualche anno sarà fuori? Le ricordo che quell’infido di Garland ha ordito un complotto ai danni di Patricia Gatsby facendole credere di aspettare un figlio da lui per poterla sposare e sanare i suoi debiti con i soldi di Patty! –

-         Sicuramente il giudice terrà in considerazione quest’aggravante e l’intenzione dell’imputato di aggirare la vittima. Signor Becker, - gli disse poi in tono più cheto e sereno, avvicinandosi e poggiandogli una mano sul braccio, - probabilmente non immagino neppure lontanamente quanto dolore lei avverta, ma lotterò fino in fondo per onorare e riabilitare il buon nome dei suoi amici. Comprendo anche il disappunto provato leggendo i rotocalchi che tuttora, a distanza di mesi, continuano  a scrivere su questa vicenda e sulle presunte colpe dell’uno e dell’altro. Signor Becker, per quel che mi riguarda, sono convinta della verità, delle colpe, dei raggiri e di quanto accaduto grazie anche al supporto delle testimonianze e delle prove. Ma l’esperienza, seppur breve, mi insegna che nulla deve essere lasciato al caso e nulla deve esser dato per scontato. Io credo che lei, e i suoi amici, stiate soffrendo molto per questa vicenda. Il dolore è palese nei vostri sguardi e nelle vostre parole. E’ evidente in quel letto d’ospedale e negli strascichi inevitabili di tutta la vicenda. Sicuramente, se Garland si dichiarasse colpevole, la sentenza sarebbe immediata e la difesa cadrebbe immediatamente. Faremo il possibile perché la Corte decida in merito a omicidio di primo grado. Per la premeditazione, non so se si potrà fare qualcosa. Sinceramente stando a quanto acquisito, ritengo che Garland non avesse intenzione di colpire la Gatsby ma semplicemente sposarla per interesse e per pagare i suoi debiti. Penso che Garland abbia perso la ragione nel momento in cui è apparso Oliver Hutton. Ha ordito il complotto facendo scattare delle fotografie che avrebbero incastrato Hutton e Gatsby, sicuro di un ritorno di fiamma tra i due; foto che avrebbe utilizzato dopo il matrimonio per divorziare da lei, chiedendo sicuramente una buona uscita alla ricca moglie. Non aveva previsto il vostro intervento, che la storia della falsa gravidanza fosse scoperta, e che tutti voi avreste trovato il modo di impedire il matrimonio. Senza le nozze con Patricia Gatsby, lui sarebbe stato rovinato. Da quello che hanno scoperto i nostri informatori, non solo Garland è sul lastrico,ma pare essere invischiato nel riciclaggio. Forse, se riusciamo a sbatterlo in galera con l’ergastolo, gli salviamo la vita dagli strozzini. -.

Tom guardò ancora quegli occhi d’onice nera e un guizzo parve balenare nella sua mente. Se le prove non avessero incastrato Robert Garland, fosse stata anche l’ultima cosa che avrebbe fatto, ci sarebbe riuscito lui. Aveva fiducia nello studio legale che stava seguendo il caso e soprattutto nell’affascinante avvocatessa. Aveva letto nei suoi occhi buoni propositi e l’intenzione di perseguire il colpevole per assicurarlo alla giustizia. Sì, si fidava di Maila. Ad ogni modo, se qualcosa, nell’ingranaggio burocratico della Legge, fosse andato storto, lui avrebbe provveduto ad assicurare Robert alla giustizia.

-         Adesso dobbiamo proprio rientrare. L’udienza sta per riprendere! – aggiunse Maila sorridente. Tom ricambiò il sorriso cordiale e con uno sguardo di complicità, la seguì all’interno dell’aula.  

-         Avvocato…

-         Sì! – rispose sull’uscio voltandosi verso Tom

-         Grazie! – le disse sorridente e fiducioso. La giovane donna ricambiò il sorriso e tornò a precederlo all’interno dell’aula ma fu subito destata dallo squillo del cellulare. Si girò verso Tom che continuava a guardare il display del telefono. Con mano tremante, un nodo in gola a serrargli le parole, premette un pulsante verde sulla tastiera e si portò il cellulare all’orecchio. Senza proferire verbo, lasciò che una voce raggiungesse la mente prima e il cuore poi. Come una freccia avvelenata che prima ferisce e poi uccide. 

-         Garland! – esclamò sonoro incrociando l’imputato scortato da due agenti in divisa. Robert e Tom erano faccia a faccia, in quello che probabilmente sarebbe stato il loro ultimo incontro prima della sentenza.

Il calciatore assunse un’espressione tanto spontanea quanto truce, desueta per lui. Sentiva un groviglio nello stomaco, il cuore accelerare i propri battiti, il fiato mancargli.

D’un tratto, nella sua mente balenarono le immagini di quell’estate. Patty vestita da sposa che incedeva verso quell’inconsueto altare. E poi Holly, Benji, Kirsten e Gabrielle. Gabrielle. Robert Garland aveva inconsapevolmente rovinato anche la sua relazione. Aveva fatto del male a tante persone, troppe. Doveva essere giudicato per quello che aveva commesso. Ma poteva lui, piccolo uomo, ergersi a giudice supremo? Chiuse gli occhi per un istante quasi a voler trovare nuove forze dentro di se.

Li riaprì sbattendo le palpebre più volte nel disperato tentativo di diradare la nebbia, che sempre più fitta, gli impediva di avere una visuale nitida del suo interlocutore, di sciogliere il gelo che gli attanagliava il cuore. Troppo breve un istante per parlare, per ricordare…per amare e morire.

 

 

Occhi senza ritorno è arrivato il mio giorno
occhi senza parole io non so più aspettare
scioglierò questa neve questo aprile sarà breve
e il mio amore lo ricorderà

Scioglierò questa neve il dolore sarà lieve
e il mio amore lo ricorderà

Scioglierò questa neve il dolore sarà lieve
e il mio amore mi ringrazierà

 

 

 

-         Se esci indenne da questa corte, se prima non ti troverà qualcun altro, ci penserò io! Sarò il tuo tormento, sentirai il mio fiato alitare sul tuo collo ogni giorno e ogni notte di questa maledetta vita, sarò la tua ombra e la tua coscienza, ti assillerò fino a che non dirai la verità e non ti dichiarerai colpevole. Ti assicuro Robert Garland, che io sarò l’unica persona che vedrai da adesso in poi se questa Corte non ti sbatte dentro a vita. – affermò con tono serafico e risoluto.

Tom recitò quelle parole in francese sicuro che il tennista potesse comprenderlo perfettamente. Lo guardò ancora in quegli occhi azzurri dove, per la prima volta, scorse un baleno di timore. Sul volto di Garland erano palesi imbarazzo e incomprensione. Poi sbarrò gli occhi e parve comprendere il significato di quelle parole, pronunciate da quello che sembrava essere l’amico più sereno e tranquillo della sua ex fidanzata. Vide Tom chinare il volto, un peso insormontabile sembrava gravare sul suo capo. Poi, con un gesto che sorprese Maila, il tennista e gli agenti di polizia, strinse in un pugno il suo cellulare e lo schiantò ai piedi dell’imputato con una violenza a lui sconosciuta. Solo le lacrime lo accompagnarono nella furiosa corsa verso l’uscita. Maila, esterrefatta dalla reazione di Tom Becker, si chinò sulle gambe e afferrò il cellulare la cui batteria era scivolata via dall’apparecchio. Sul display danneggiato dalla rovinosa caduta appariva ancora il nome della persona che lo aveva chiamato. Alzò lo sguardo verso il corridoio, ma la sagoma del calciatore era già troppo lontana per poterla raggiungere o semplicemente richiamare. Il clamore del corridoio aveva richiamato le persone che avevan già fatto il loro ingresso nell’aula. Tutti si riversarono in quel piccolo spazio e cercarono sui volti dei presenti le spiegazioni. Maila incrociò gli occhi dell’avvocato con il quale collaborava e gli porse il cellulare danneggiato.

Herbert Alexander lesse il nome e guardò Robert Garland.

I suoi occhi eran vacui, privi di vita o di forma. Scrutò attentamente quel volto cercando di comprendere il motivo del suo timore o la ragione di quanto accaduto. D’improvviso, lo videro crollare sulle ginocchia e abbassare il capo come a volersi prostrare dinanzi l’estremo giudizio.

-         Patty! – sibilò con un soffio di voce appena percettibile ma tale da esser ascoltato.

Maila si portò una mano al volto con un nodo in gola a serrarle le parole.

 

 

 

 

 

 

 

Le lunghe e affusolate dita continuavano a danzare sulla tastiera del computer con la stessa agilità con cui un pianista soffiava sull’avorio melodioso di un pianoforte.

La cascata di riccioli fulvi riluceva ai raggi cremisi del sole celato dagli ultimi bagliori della sera. La vetrata dell’ufficio pareva un rifulgere di colori e guizzi oro che, puntuali, al crepuscolo inondavano con magnificenza i grattacieli che ospitavano gli uffici più importanti della città.

Sul video del computer continuavano a susseguirsi le frasi che avrebbero composto il redazionale del giorno dopo.

Il volto eburneo non smetteva di riflettersi sullo schermo, rimandandole un’immagine dalla pelle diafana e priva di qualsiasi pathos. Perfino il suo sguardo pareva sfavillare senza alcun sentimento sul cristallo frontale. La lampada bianca illuminava appena la tastiera mentre, senza posare gli occhi sui tasti, continuava a scrivere fiumi di parole.

Nell’open space di grandi proporzioni che ospitava la redazione del quotidiano per il quale scriveva, non c’era quasi più nessuno. Le varie postazioni erano separate da quelle attigue da pannelli di vetro lattei dietro i quali si distinguevano appena i contorni dei colleghi.

Udì un telefono squillare lontano ma non fece alcun movimento per rispondere a distanza a quella chiamata. Una voce sonora continuava ad urlare ininterrottamente da dieci minuti, senza lasciare che l’interlocutore potesse in qualche modo ribattere a quell’insolito monologo. Il redattore capo era in preda ad una delle sue consuete crisi isteriche di fine giornata quando qualcuno, dalla tipografia, gli comunicava che mancava qualche titolo, che alcuni pezzi non corrispondevano ai parametri stabiliti o semplicemente che erano a corto di carta o inchiostri.

E a fine giornata, doveva ragguagliare i suoi superiori sui budget, sulle sponsorizzazioni, sui vari contratti pubblicitari che garantivano al giornale stesso di essere stampato quotidianamente.

D’improvviso la luce della lampada divenne più forte sulla tastiera. Qualcosa ombreggiava sulla sua postazione rendendo più intenso il piccolo raggio luminoso.

Alzò gli occhi verso la lampada e notò la sagoma alta e imponente del portiere.

Benji era in redazione, luogo dal quale manteneva le distanze per non essere continuamente assediato dai giornalisti e dai freelance che bazzicavano a tutte le ore tra le scrivanie di quell’ufficio.

I suoi occhi di smeraldo incontrarono quelli scuri e impenetrabili di lui.

Avvertì un brivido alla schiena intuendo il motivo della sua insolita presenza.

.

 




 

 

-         Benji! Che ci fai qui? Perché sei venuto in redazione? Tu odi questo luogo! Quando dobbiamo incontrarci, ben lungi dal farlo qui o nelle vicinanze. Tutto quanto potrebbe attirare giornalisti tediosi o fans scatenati, ti allontanano da quest’ufficio e dall’intero palazzo. I tuoi occhi! Cos’hanno Benji? Occhi di un bruno tanto scuro da sembrare infinitamente distanti, occhi magnetici come calamite, occhi di inenarrabile coraggio e impenetrabili come diamanti, occhi di una bellezza impari, impazienti di comunicare o di vivere, occhi sempre attenti e vibranti, come due acuti falchi, sempre pronti a spiccare il balzo. Mi lasciano senza parole, senza fiato, mi sento come tramortita dal tuo sguardo e non comprendo il perché…sembrano così infiniti. Benji, non guardarmi così! Cosa celano quegli occhi senza parole? Guardo una luce spenta balenare nell’onice scura delle tue iridi. Non riesco a parlarti. La mia bocca, le mie parole, sembrano catturate dal tuo sguardo. I tuoi occhi…sembrano senza ritorno ed io ti guardo, li fisso senza poter far nulla…Dove vanno i tuoi pensieri, Benji? Dove? Oltre quest’inverno? Oltre ogni tempo?  Vorrei fermarli, vorrei allungare la mano verso i tuoi occhi, ai tuoi pensieri, ma sei così fuggevole…anche adesso che sei qui, di fronte a me. Parlami…dimmi che non è successo! Dimmi che non è vero? Dimmi che non è quello che penso! – pensò non distogliendo lo sguardo dal suo.

Poi vide e il cuore le si gonfiò in un patema mai provato prima. Una perla di acre bellezza scivolò giù da quegli occhi da lei tanto amati e bramati, e comprese. Senza smettere per un solo attimo di condividere con il suo uomo quell’attimo di struggente dolore, le sue dita ripresero a calcare i tasti rispondendo al breve messaggio sul quale si era interrotta prima del suo arrivo.

-         Gabrielle, Patty…ha spiegato le sue ali! -.

Premette il tasto invio e il messaggio si materializzò su un altro computer, da qualche parte nel mondo, sotto gli occhi sconcertati e addolorati della persona che lo aveva ricevuto.

Si alzò e senza alzare il capo, lo raggiunse abbracciandolo. Rimasero così, stretti l’uno nel dolore dell’altra, mentre gli ultimi bagliori, doravano le loro belle figure.

  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: scandros