Prologo
Si dibatteva
all’interno della sua piccola prigione, saggiandone la resistenza. Non poteva
vederne le pareti, ma vi si scagliava contro con forza. Sentiva che si stava
lentamente indebolendo. Ancora poco e sarebbe riuscito ad uscirne; non del tutto,
non ancora, forse solamente con un braccio, forse solo a toccare qualcosa al di
fuori, o forse solo a vederla.
Da quanti
anni era lì dentro? Non se lo ricordava, forse da sempre, forse era nato lì.
No, non poteva essere, altrimenti come avrebbe fatto a sapere che c’era
qualcosa d’altro oltre a quell’angusto angolo buio? Se veramente era nato in
catene, come poteva sapere cosa si provava a muoversi secondo la propria
volontà? Come poteva ricordarsi la sensazione del sole sulla pelle, o del vento
tra i capelli? Si scagliò di nuovo
rabbioso contro le pareti che lo trattenevano, e quelle lo rispedirono
indietro. Erano cedute un poco questa volta? Oppure se lo era immaginato? Forse
si stava immaginando tutto. Forse la sua prigione era solida come sempre, e
avrebbe retto per sempre, rinchiudendolo nel buio per l’eternità.
Si rintanò
in un angolo sconsolato. Il buio lo
opprimeva, non riusciva a pensare chiaramente. Odiava quel posto, e odiava
l’esterno e chi ci abitava: era un odio dettato dall’invidia, certo. Perché
agli altri era concesso decidere della propria vita mentre lui doveva passarla
rinchiuso in quel buco? Sentiva però che c’era dell’altro, un sentimento più
profondo che non riusciva a comprendere a fondo, ma che alimentava le fiamme di
un odio primordiale. Odiava chi stava fuori, li voleva morti, tutti, li voleva
bruciare tutti. Voleva bruciare tutto.
Si rialzò
sostenuto dalla rabbia e dall’odio. Doveva trovare il modo di uscire da lì, non
doveva lasciarsi prendere dallo sconforto. Aveva sentito distintamente una crepa-
certo era stato parecchio tempo prima ma l’aveva sentita- e per un momento era
stato tutto di nuovo chiaro nella sua mente, aveva saputo di nuovo cosa fare,
aveva saputo di nuovo chi era. Poi però le tenebre erano calate un’altra volta su
di lui, ottenebrandogli pensiero e anima. Ma la crepa c’era stata, lo sapeva. E
qualcosa che poteva essere crepato poteva anche essere infranto.
Si scagliò
nuovamente contro la prigione, con tutta la forza che aveva. Questa volta
cedettero un poco all’indietro. Sorrise e colpì ancora, e ancora, sempre nello
stesso punto. Sentendo scricchiolare la struttura della sua piccola cella, fu
preso da una frenetica agitazione e riprese a scagliarsi contro la parete,
incurante della possibilità di ferirsi: niente aveva più importanza se non la
speranza della libertà. All’improvviso uno spiraglio di luce: era piccolissimo
ma nel buio brillava come una piccola stella. E nella sua mente qualcosa tornò
a posto. Un immagine, un ricordo gli passò davanti agli occhi. Sorrise malignamente
avvicinandosi alla minuscola luce. Non era ancora abbastanza per uscire ma
poteva assaporare il primo piccolo sorso di libertà.
Nel buio una
mano si strinse in un pugno e un sussurro che somigliava più a un ringhio
risuonò nello spazio angusto pronunciando un nome.
<< Giiiiiibleeeee. >>