Kuu
dormiva spesso insieme a Kaaos.
Fin
da bambini – fin da quando lei riuscisse a
ricordare – loro due si erano addormentati abbracciati e
risvegliati
abbracciati così tante volte che, in un modo o
nell’altro, negli anni si era trasformato
in una sorta di abitudine, quasi una necessità che
però ormai da un pezzo
suscitava perplessità in quei pochi che ne erano a
conoscenza.
Non
c’era niente di male in due bambini che dormivano
insieme, ed era ancora tollerabile, tutto sommato, anche quando i due
bambini
diventavano ragazzini. Quando però i due, un lui e una lei,
cresciuti
simbioticamente gomito a gomito, continuavano a dormire insieme anche
da
adolescenti, la gente iniziava a farsi delle domande, e giustamente
anche dei
ragionevoli sospetti.
Non
che ai loro genitori fosse mai importato granché.
Da piccola, Kuu aveva passato forse più giornate a casa di
Kaaos che alla
propria. Sua madre, insegnate liceale di inglese, non aveva mai avuto
molto
tempo da dedicarle e il padre, con il suo negozio di articoli sportivi,
era
sempre stato più assente che presente. L’infanzia
Kuu l’aveva trascorsa
praticamente tutta assieme a Kaaos e a sua madre Vera, casalinga, amata
e
coccolata come una figlia, ma con la triste – e allora
inconscia – consapevolezza
di fondo che il posto più felice in cui si era mai trovata
non era quello che
sarebbe di norma dovuto essere.
Erano
figli unici, lei e Kaaos, nati a due anni di
distanza in due graziose villette a schiera adiacenti, e praticamente
spinti
dal destino l’uno verso l’altra. Forse fin troppo,
pensava a volte lei, perché
il legame tra loro due si era sviluppato in modo anomalo, morboso e
ambiguo,
tanto che infatti, ora che erano famosi, la Germania intera –
e forse anche
qualcuno oltreconfine – si chiedeva cosa ci fosse realmente
tra loro due.
Kuu,
dal canto suo, trovava difficile rispondere in
modo credibile ed esaustivo alle domande invadenti dei media,
perché la
risposta sincera e reale a ogni loro
‘Cos’è Kaaos per te?’ nessuno
la avrebbe
mai potuta comprendere, tanto meno senza interpretarla nel modo
sbagliato.
La
verità era che Kaaos per Kuu, semplicemente, era tutto.
Lo
era sempre stato, anche quando a scuola i suoi
compagni lo prendevano in giro perché era amico della Rospa.
Anche
quando lei, da un paio d’anni a quella parte, aveva iniziato
a trattarlo come
uno zerbino, proprio a causa dell’eccessiva
protettività che lui manifestava
nei confronti di lei.
A
Kuu i guinzagli non erano mai piaciuti.
Non
era mai stata una persona sola: aveva avuto molti
amici, anche se definirli tali era forse un po’ un azzardo. Conoscenti
probabilmente sarebbe stato più appropriato. Ma, in ogni
caso, la piccola
Sascha Edelmond non si sarebbe potuta definire una bambina sola.
Solo, a
nessuno dei suoi amici avrebbe mai affidato la propria vita.
Come
invece aveva letteralmente fatto con Kaaos.
Con
Mathias.
Lui
era il solo che non avesse mai, in ventidue anni
che si conoscevano, dato in benché minimo segno di essere
interessato
all’aspetto di Kuu. Che fosse stata la bella bambina paffuta
di un tempo, o
l’adolescente bruttina, o la splendida giovane donna, Kaaos
la aveva sempre
guardata con gli stessi intensi, amorevoli occhi, ed erano occhi che
non davano
retta alla superficie, qualunque essa fosse.
Sotto
quel punto di vista, Kuu non aveva mai avuto
dubbi: Kaaos era la sola persona al mondo che l’avesse amata
per quella che
era, sempre, senza condizioni, anche dopo che lei si era trasformata in
una
statua di ghiaccio dal cuore arido. Tutto ciò che lui le
chiedeva in cambio era
un po’ d’amore, e non verso di lui, ma verso
sé stessa. Cosa che lei,
puntualmente, gli negava. Per quale motivo lui le rimanesse accanto
anche se
lei spesso e volentieri lo trattava con un giocattolo rotto, restava
ancora un
mistero. A lui non era mai importato nulla nemmeno della
celebrità. Come molte
altre cose, la sua scelta di darsi in pasto a telecamere e riflettori
non era
tanto dipesa da una reale ambizione alla fama, ma piuttosto dalla
masochistica
volontà di rimanere quotidianamente accanto a colei che da
sempre era a tutti
gli effetti la sua inseparabile metà.
Sentiva
il calore del corpo di Kaaos accanto a sé, tra
le lenzuola. Stavano stretti, lì, nella cuccetta del
tourbus, ma lui non la
mandava mai via quando lei, nel cuore della notte, andava a cercare
quelle
braccia che non le avevano mai negato protezione, in una vita intera.
Era già
mattina; avevano viaggiato tutta la notte e ormai non dovevano
essere
lontani da Lille. Il bus era immobile: probabilmente erano fermi in
qualche area
di servizio per una pausa per gli autisti. Kuu si alzò,
facendo attenzione a
non svegliare Kaaos, si infilò una felpa sopra la camicia da
notte e, in punta
di piedi, scese a dare un’occhiata. Erano in un autogrill e,
a giudicare dalla
luce, dovevano essere almeno le dieci. I due bus dei Tokio Hotel erano
parcheggiati subito davanti al loro e le porte erano aperte. Vide Ebel
che
chiacchierava con uno degli autisti accanto a uno dei due, mentre ogni
loro
parola si condensava in dense nuvole di vapore. Doveva fare parecchio
freddo.
Chissà
se i ragazzi stanno ancora dormendo…
La
risposta venne da sé: un attimo dopo che Kuu si fu
posta quella domanda, dal primo bus sbucò Bill, infagottato
in un vaporoso
maglione di lana grigia, occhiali da sole calcati sul naso, rattrappito
dal
freddo nelle sue stesse braccia. Aveva un’aria piuttosto
seccata, e subito dopo
Kuu comprese il perché: Tom e Vibeke scesero dietro
di lui, sbraitandosi
contro l’un l’altra con discreta
aggressività. Da dove si trovava, Kuu non
riusciva a distinguere quello che si stavano dicendo, ma non le
importava
granché. Tom le piaceva: era un ragazzo simpatico e spesso
si era intrattenuto
a chiacchierare con lei, dimostrandole di essere ben lungi dalla
persona
elementare e superficiale di cui in pubblico amava vestire i panni.
Ciò che non
si spiegava era cosa lui ci facesse assieme a quella ragazza. Non si
poteva
dire che Vibeke fosse brutta – anzi – e sicuramente
non era solo per il suo
aspetto che Tom stava con lei, ma aveva un caratteraccio davvero
insopportabile, permalosa e dal giudizio facile, e se poi quei due
litigavano
tanto – in ogni luogo e a ogni ora, a dispetto della
tranquillità altrui – un
perché ci doveva pur essere. Forse a Tom faceva comodo avere
una ragazza sempre
disponibile al proprio seguito, e questo avrebbe senz’altro
spiegato perché
avesse scelto proprio un membro dello staff della band come sua
discutibile
compagna.
Fra
le altre cose, Vibeke mostrava spesso una seria
mancanza di rispetto nei confronti di quello che osava definire il
proprio
ragazzo: innumerevoli volte Kuu la aveva vista con Bill praticamente
spalmato
addosso, a farsi coccolare come un gattino indifeso, senza contare,
poi, i
momenti in cui c’era Gustav nei paraggi. Quello, non solo per
Kuu, ma anche per
molti altri, per quel che aveva potuto notare, era un grande mistero:
se con
Tom Vibeke si dimostrava quasi sempre una vipera irritabile, con
Gustav, al
contrario, era un docile agnellino pieno di attenzioni. Anche davanti a
tutti,
Vibeke abbracciava Gustav, baciava Gustav, accarezzava Gustav, faceva
un sacco
di complimenti a Gustav, e gli diceva ‘Ti amo’ con
la stessa frequenza con cui
a Tom diceva ‘Vaffanculo’. Sicuramente
c’era qualcosa che non andava.
Kuu
aveva tentato di capirci qualcosa, studiando
attentamente le interazioni tra Vibeke e i Tokio Hotel, e aveva tratto
scarse
conclusioni. L’unica cosa che aveva capito con certezza era
che il rapporto più
serio e maturo lo aveva con Georg, con il quale discuteva spesso in
disparte di
cose evidentemente personali e mai, che Kuu avesse visto, si permetteva
di
osare contatti fisici che andassero oltre una pacca amichevole o un
abbraccio
veloce. Poteva dipendere dal fatto che Georg fosse palesemente cotto e
stracotto della sua Nicole e che per lui le altre ragazze erano a
stento
presenze degne di nota, ma lui era il solo verso cui Vibeke dimostrasse
qualche
pudore. Per il resto, a Kuu era incomprensibile come Tom potesse
tollerare che
la sua ragazza scambiasse certe tenerezze con il suo fratello gemello e
uno dei
suoi migliori amici.
Quando
il gruppetto sparì dentro al bar, con Jost e un
paio di bodyguard alle calcagna, Kuu si lasciò per un attimo
allettare dalla
prospettiva di tornare di sopra e rimettersi a letto, dato che comunque
non
aveva fame, ma poi arrivò Griet e la costrinse a cambiare
idea.
“Scendi
e sgranchisciti un po’ le gambe, ragazza mia.
I Tokio Hotel sono tutti dentro a fare colazione, vatti a fare quattro
chiacchiere con loro. Un po’ di socializzazione e quattro
risate non possono farti
che bene.”
Kuu
non capì se alla fine decise di vestirsi e uscire
per propria volontà o solo per mettere a tacere Griet. Si
strinse la sciarpa al
collo, scendendo, per schermarsi dall’aria gelida, e si
diresse verso
l’ingresso dell’autogrill. Quando entrò,
scorse Georg, Tom e Vibeke già seduti
a un tavolo con delle tazze di caffè fumante davanti e un
vassoio di croissant;
Bill e Gustav, invece, erano ancora al bancone a scegliere.
“Oh,
ma guarda chi ci degna della sua regale
presenza!” la salutò Bill, appena lei li raggiunse.
Kuu,
gli occhi struccati protetti dalle lenti scure,
abbozzò un mezzo sorriso.
“Un’altra
battuta del genere e mi convincerai
definitivamente a fare dietrofront e tornarmene a letto.”
“Ti
vedo un po’ pallida,” intervenne Gustav,
scrutandola
attentamente. “Tutto bene?”
“Credo
di non aver digerito bene quella strana
insalata di ieri sera,” rispose lei, appoggiandosi una mano
sullo stomaco.
“Allora
ti serve un the caldo.”
“Era
quello che avevo intenzione di prendere.”
“Ok,”
fece Bill, e si rivolse alla barista. “A hot
tea, please.”
Kuu
si compiacque di quel piccolo gesto di galanteria.
“Offri
tu?”
Bill
sorrise.
“Spero
che abbiano da cambiare un pezzo da cento.”
“Paga
anche per me, allora, già che ci sei.” Disse
Gustav, mentre la cameriera serviva loro le ordinazioni.
“Ok,
ma la roba al tavolo me la porti tu.” Disse Bill.
“Vedi, Kuu?” fece poi, scuotendo debolmente la
testa. “Sono il piccolo del
gruppo, ma è sempre tutto sulle mie spalle.”
“Ma
se a momenti sulle tue spalle non ci sta nemmeno
la tua borsa!” replicò Gustav con un sorriso
sornione.
Bill
ebbe un istante di tentennamento in cui sembrò
che fosse lì lì per rispondere a tono, ma alle
fine si arrese e, semplicemente,
rise.
“Non
lo sa fare il serio troppo a lungo.” Commentò
Gustav, divertito, gli occhi a forma di mezzaluna sulla scia di un
sorriso che
rispecchiava perfettamente la risata di Bill.
Una
piccola, timida parte di Kuu si ubriacava di
quella scena così rara e preziosa, e ne faceva tesoro,
perché ancora ricordava come,
anni prima, il suo cuore aveva sognato un momento così in
cui poter entrare, di
cui poter far parte. Era quello, in fondo, che una fan dei Tokio Hotel
sognava:
un posto anche minuscolo ed effimero nella loro vita. E, no, Kuu non
aveva
dimenticato. Aveva solo premurosamente inscatolato le vecchie emozioni
da
ragazzina sognatrice e le aveva riposte su qualche scaffale buio e
polveroso
dentro di sé, ben sigillate e nascoste, ma mai dormienti, mai
sopite. Era
felice, adesso, e orgogliosa, di essere lì a condividere con
loro un pezzo
della loro storia, un pezzo di storia che a pieni diritti sarebbe stato
anche
suo.
Nella
sua estrema difficoltà ad affezionarsi alle
persone, Kuu, lentamente, stava iniziando a rendersi conto che
– lei lo volesse
o meno – quei ragazzi si erano inconsciamente messi a frugare
dentro di lei, a
strappare involucri, ad aprire sigilli, e quello che stavano riportando
a galla
si stava rapidamente facendo largo negli stretti spazi vuoti della sua
anima.
***
“Io
vorrei proprio capire che cos’hanno da ridere
tanto, quei tre. No, sul serio: che cosa le staranno mai dicendo Bill e
Gud?
Guardala! È tutta sorrisini ammalianti e gesti languidi.
Dio, quanto mi sta sul
cazzo!”
Tom
deglutì pazientemente, fingendo di non sentire.
Fingeva sempre di non sentire, quando Vibeke era in vena di scenate di
gelosia
come quella. Da quando Kuu aveva dismesso gli attraenti panni della
superba
star capricciosa e aveva iniziato a dimostrare qualche umano interesse
verso i
Tokio Hotel, lui non riusciva più a sopportare Vibeke. Il
problema, per giunta,
non erano tanto gli sguardi provocanti che lui e la bella biondina si
rivolgevano di tanto in tanto, per nient’altro che puro
diletto, perché colei
che era solita presentarsi come la sua ragazza non si curava
minimamente di
quel dettaglio. E il problema non era nemmeno Georg, dato che fin da
subito lui
e Kuu avevano arbitrariamente deciso di non potersi vicendevolmente
soffrire.
Il problema vero e proprio erano i due soggetti a cui Kuu sembrava
maggiormente
interessata, i quali peraltro ricambiavano apertamente
l’interesse, e ciò, in
nessun caso, poteva essere considerato una buona cosa, a maggior
ragione se di
mezzo c’era una Vibeke Wolner gelosa come una iena.
“Insomma,
voglio dire… Ci sta che a Bill interessi.
Sono due dive viziate, amano i vestiti, amano farsi vedere…
E lui è
notoriamente attratto da tutte le belle cose che luccicano. Ma Gud?! Me
lo
spiegate cosa diamine ci trova Gud in quella?”
Georg
alzò lo sguardo e lo portò su Tom con
un’infinita compassione. Tom ricambiò
indolente, masticando senza gusto la
sua brioche. Lui poteva anche fare finta di niente, ma le sue orecchie,
volenti
o nolenti, recepivano la seccatissima invettiva di Vibeke, e intanto i
suoi
nervi vibravano pericolosamente. Tollerava che Bill le si strusciasse
addosso
in cerca di coccole perché sapeva che non c’era
altro che quello. Vibeke, in
fondo, faceva sempre un po’ da mamma a Bill e Tom conosceva il
proprio fratello
abbastanza bene da avere la certezza che lui in lei non vedesse altro
che,
appunto, una via di mezzo tra un’amica e una figura materna
alternativa.
Con
Gustav la faccenda era nettamente diversa.
Vibeke,
in ogni possibile senso, adorava
Gustav. Provava per lui una sorta di venerazione innata, che
comprendeva il suo
aspetto, la sua personalità, i suoi atteggiamenti, il suo
modo di suonare, e
persino i suoi difetti, per lei, erano degni di lode. E c’era
quella scintilla
di amore puro nei suoi occhi quando lo guardava che aveva spesso fatto
sentire
Tom come un banale elemento di tappezzeria, perché quella
scintilla, per lui,
negli occhi di Vibeke non c’era mai stata.
“E
poi – dai, diciamolo – lei è troppo
insipida. Gud
si merita una ragazza degna di lui, che valga davvero qualcosa. Non se
ne fa
niente di una bambolina di porcellana che dentro è
vuota.”
Tom
deglutì a fatica, e tacque ancora.
“Hagen,
tu che sei un uomo serio, dimmi: che cosa ci
si può trovare di davvero affascinante in una ragazza come
quella?”
“Niente.”
Rispose Georg, asciutto, con la bocca mezza
piena. “È solo bella e consapevole di esserlo. Per
il resto, è tutta
scenografia posticcia.”
“Appunto!”
convenne Vibeke, concitata. “Per questo non
riesco proprio a capacitarmi di come un ragazzo straordinario come Gud
possa
lasciarsi abbindolare da una sciacquetta come quella.”
Quella.
Non chiamava
mai Kuu per nome. Diceva ‘quella’, come se si fosse trattato di un
oggetto in mostra su uno scaffale.
“Sarà
anche brava a cantare, ma ci vuole ben di più
per meritarsi uno come Gud. Lui non –”
“Hai
intenzione di andare avanti ancora per molto?”
sbottò Tom a quel punto, gettando rabbiosamente il croissant
nel piatto.
“No, perché se è così, dillo,
almeno mi sposto ed evito di farmi rimanere la
colazione sullo stomaco.”
Vibeke
sgranò gli occhi, scioccata. Georg, saggiamente,
decise di chiudersi fuori dalla questione.
“Di
cosa diamine vai blaterando?”
“Non
lo so, Vi, di cosa diavolo hai blaterato, tu, da
cinque minuti a questa parte?”
Ma
per lei era tutto ok. Era normale che una ragazza
parlasse con tanto ardore e trasporto di uno che non era il suo ragazzo.
Ma per
Tom no.
“Vaffaculo,
Vi.”
Furibondo,
si passò frettolosamente il tovagliolo
sulle labbra, lo sbatté sul tavolo e si alzò,
abbandonando la colazione a metà
per poi andarsene in malo modo. Uscì a lunghi passi pesanti e
nervosi, e respirò
quasi con sollievo l’aria fredda. Gli occhi gli bruciavano
dalla rabbia e la
gola gli doleva per le troppe parole che vi aveva lasciato incastrate.
Sentiva
il sangue pulsargli violento nelle orecchie e in ogni singolo
capillare,
fomentando la sua irritazione. Era ridicolo che per colpa di Vibeke
fosse
addirittura arrivato a detestare, in certi momenti, un amico fraterno
come
Gustav.
“Ma
che ti è preso, si può sapere?”
Tom
non si voltò. Il tono spazientito di Vibeke gli
diede ancora più sui nervi.
“Vi,
levati dai coglioni, o stavolta va a finire male.”
La avvertì, gelido come il vento che tirava.
Ma
lei non era famosa per il suo buonsenso, né per
la sua inclinazione a dar retta a ciò che le si diceva,
pertanto non solo non
se ne andò, ma ebbe anche l’ardire di avvicinarsi.
Tom si sentì appoggiare una
mano sulla spalla in un esplicito invito a voltarsi.
“Kaulitz.”
Ora la voce di Vibeke era più morbida, e
addirittura sembrava divertita. “Non te la sarai mica presa
sul serio?”
Tom
si sottrasse al suo tocco con un brusco strattone.
Fissava il cielo grigio con rancore, vietandosi di guardarla per non
esplodere.
“Dai,
non fare lo scemo, su…”
“Tu
non ne hai idea, cazzo,” Sibilò Tom a denti
stretti. “Non hai idea di quanto mi sta sul cazzo quando fai
così!”
Una
piccola pausa silenziosa gli disse che Vibeke non
aveva previsto una reazione del genere.
“Ti
sei offeso davvero…” si meravigliò
infatti.
Tom
si girò bruscamente, facendola trasalire.
“Sì,
Vi, mi sono offeso!” sbraitò. “Come
sempre, del
resto! Non che a te freghi qualcosa di come mi fai sentire, poi,
vero?”
“Non
dire stronzate!” strillò lei, più acuta
del
normale.
“No, è vero!” insisté lui. Ormai il
freno era
tolto e non sarebbe più riuscito a fermarsi. “Non
te ne frega mai un cazzo di
me, quello che penso io non conta! Come se non esistessi! Gustav ti
piace così
tanto? Va bene! Mettiti con lui, allora! Fai quel cazzo che ti pare! Ma
almeno
piantiamola con questa ipocrisia di stare insieme!”
Vibeke
era una statua di sale, bianca in viso e
completamente immobile. Sembrava che non stesse nemmeno respirando.
“Tu
sei fuori di testa!” esclamò infine, con un
evidente sforzo di non ridere. “Come fai a farti anche solo
venire in mente
delle stronzate del genere?”
“Non
è una stronzata, Vi, è la verità nuda
e cruda! Io
e te siamo male assortiti: non facciamo che litigare, e le poche volte
che non
litighiamo è quando stiamo facendo sesso! Oppure litighiamo
mentre facciamo
sesso, o facciamo sesso mentre litighiamo. Non è
così che dovrebbe essere. Non funzioniamo.”
Tom
si sentì male nel sentirsi pronunciare quelle
parole che a stento era consapevole di aver spesso pensato. Ebbe il
terrore
che, ora che glielo aveva urlato in faccia, anche Vibeke avrebbe capito
che era
tutto sbagliato.
“Dimmi
che non pensi veramente il mucchio di cazzate
che hai appena detto.” Lo pregò invece lei.
“Kaulitz,” lo costrinse a
guardarla. “Voglio che tu punti i tuoi maledetti occhioni
cerbiattoni dritti
nei miei e mi dica che non è vero che pensi tutta quella
roba ridicola. Ho bisogno
che tu mi dica che non sei idiota fino a questo punto.”
Tom
abbassò lo sguardo, impotente. Lo pensava? Non lo
pensava? Faceva qualche differenza?
“Ok.”
Le mani di Vibeke si adagiarono dolcemente sul
suo viso, guidandolo a risollevarsi perché lui tornasse a
guardarla negli
occhi. Tom si ritrovò a pensare che quegli occhi erano il
primissimo ricordo
che aveva di lei, la prima cosa che avesse notato. “Come puoi
essere così
ingenuo da credere seriamente che io possa desiderare qualcuno che non
sia tu?
Come puoi – come? – essere
così deplorevolmente scemo?”
Qualcosa
si sciolse in Tom, come se qualche catena che
gli aveva costretto i polmoni in una morsa feroce e soffocante si fosse
improvvisamente dissolta, permettendogli di tornare a respirare.
“Io
ti adoro, Kaulitz. Con ogni mia singola cellula,
io ti adoro, e così tanto che certe
volte me ne vergogno, perché non è
possibile che un essere umano provi sentimenti così forti e
sinceri nei
confronti di un altro essere umano. A volte mi viene da vomitare da
quanto sono
satura di te, eppure non ne ho mai abbastanza: ti cerco, ti inseguo, mi
ubriaco
ancora e ancora di quell’assurdo profumo di casa
che hai. E, sì, io amo
Gud. Lo amo da morire e lo trovo una persona molto migliore di te,
francamente.”
Tom
aggrottò la fronte e fece per protestare, ma lei
lo precedette.
“È
più maturo di te. Più professionale,
più sveglio,
più sciuro di sé… Eppure, guarda un
po’, non è di lui che mi
sono…”
Ancora
frastornato dalla lunghezza e
dall’inimmaginabile calore di quel discorso, Tom quasi non si
era accorto del
punto a cui erano arrivati. Il suo preferito. Il tasto dolente di
Vibeke.
“Dai,
dillo.” La stuzzicò, sogghignando, mentre dietro
a quell’atteggiamento spavaldo tutto il resto di lui si
crogiolava beato nella
splendida sensazione di sentirsi insostituibilmente importante.
Vibeke
arrossì, imbronciandosi.
“Che
fai? Ridi, adesso?”
“Sì
che rido. Ti imbarazza confessarmi che sei
perdutamente innamorata di me.”
“Non
è vero!”
“Dillo,
allora.”
Lei
si corrucciò ancora di più, stringendo le labbra
combattuta.
“Sei
un bell’ingrato. E un gran bastardo.”
“Dillo,
Vi.” Si impuntò lui. Le prese le mani e, dal
viso, gliele fece poggiare sulle proprie spalle, per poi avvolgerle la
vita con
le braccia. “Dai, ti prego. Lo voglio sentire.”
Vibeke
si morse il labbro, lì dove si intravedeva uno
dei due minuscoli fori lasciati dall’assenza dei piercing,
una delle tante cose
a cui lei teneva molto e a cui aveva rinunciato per lui. Lo
guardò negli occhi.
Esitò.
“Ti
avverto che questa me la paghi, prima o poi.”
Poi,
tutto d’un fiato, lo accontentò:
“Io,
Vibeke V. Wokner, sono fottutamente innamorata di
te, Tom Kaulitz.”
E
proprio in quel momento, quando entrambi scoppiarono
a ridere, Tom si rese conte che effettivamente, tutto considerato,
aveva ragione
lei: era un emerito idiota.
***
Ogni
giorno che passava, Bill vedeva Kuu farsi sempre
più vicina al comune concetto di persona
noto alla maggior parte della
gente. Della fastidiosa diva presuntuosa iniziale stava cominciando a
rimanere
ormai solo un velo superficiale, o forse era lui che aveva capito come
guardare
al di sotto di esso. Qualunque fosse il caso, una cosa era certa: era
una
ragazza molto meno sgradevole di quello che si era immaginato.
Osservandola
mescolare il limone nel suo the, Bill si
domandava quanto di lei ci fosse ancora da imparare.
Aveva
trovato buffo che anche lei si fosse
categoricamente rifiutata di togliersi gli occhiali da sole per
mangiare, presumibilmente per lo stesso motivo per cui si era rifiutato
di
toglierli lui: niente trucco a nascondere occhiaie e stanchezza. Non
che questo
la rendesse meno attraente. Bill aveva anzi la netta sensazione che il
potere
di Kuu di far voltare la gente al proprio passaggio fosse innato,
trucco o non
trucco. Anche in quello, si somigliavano molto.
Erano
seduti al tavolo con Georg, il quale aveva
accolto l’arrivo di Kuu con un’occhiataccia che
avrebbe incenerito un blocco di
metallo. Lei lo aveva elegantemente ignorato e si era accomodata
all’angolo
del lato opposto del tavolo, di modo che ci fossero Bill e Gustav a
dividerla da
Georg. Poco dopo si era aggiunta anche Natalie, che fortunatamente
andava molto
d’accordo con Kuu; si erano scambiate qualche parola di
saluto e poi Natalie
aveva iniziato a chiedere a Georg di come stesse andando Emily a
scuola, e così
si erano ovviate spiacevoli tensioni. Tom e Vibeke invece erano spariti, e
preferiva
non sapere cosa stessero facendo.
Gustav
e Kuu, nel frattempo, avevano intavolato una
noiosissima conversazione su quello che avevano visto a Praga il giorno
prima. Probabilmente,
si disse Bill, erano cose che aveva visto anche lui, gironzolando
assieme a BJ,
ma non ne era nemmeno consapevole. Non gli interessava
granché di monumenti e
opere d’arte: si era goduto una serata di quelle in grado di
rigenerare uno
spirito logorato da settimane intere di stress ed era grato
all’amico di
avergliela regalata. BJ era una persona talmente solare e piena di vita
che
finiva sempre per contagiare irrimediabilmente chi gli stava attorno.
“Hei, mennesker! God
morgen!” (“Ciao,
gente! Buongiorno!”)
Come
se si fosse sentito chiamato dai pensieri di
Bill, BJ era apparso magicamente accanto al tavolo e sorrideva
raggiante a
tutti i presenti. Il suo sguardo, prevedibilmente, cadde immediatamente
su Kuu,
e il modo in cui indugiò su di lei comunicò un
esplicito e notevole interesse.
“Kuu,”
disse, in un tono così educato e suadente che
avrebbe conquistato chiunque. Le porse la mano con un sorriso gentile.
“Finalmente ho il piacere di conoscerti di persona. Sono BJ,
il fratello di
Vibeke.”
Kuu
gli strinse la mano, visibilmente colpita, senza
staccargli gli occhi di dosso.
“DJ
Djevel,” annuì, restituendo il sorriso.
“Il
piacere è mio.”
Bill
conosceva BJ da abbastanza tempo da sapere che
per lui suscitare reazioni di quel genere era ordinaria
amministrazione, che si
trattasse di donne o di uomini. Doveva essersi fatto la doccia da poco,
perché
emanava un intenso profumo di muschio bianco e alcune ciocche dei
lunghi
capelli biondi erano umide.
“Su,
prendi una sedia!” lo invitò Natalie, che, come
tutte le altre donne dell’entourage, provava
un’autentica venerazione per lui.
BJ
non fece complimenti e si unì a loro. Gli offrirono
una brioche, che lui accettò volentieri.
“Ho
sentito che anche voi due siete stati in giro per
Praga, ieri.” Disse, rivolto a Kuu e Gustav.
“Sì,”
rispose Gustav, prendendo un sorso di caffè.
“È
stata una bella giornata.”
“Molto
bella.” convenne Kuu, intercettando i suoi
occhi. Si sorrisero.
Bill
trattenne una smorfia. Era bastata una giornata,
a quei due, per fare comunella. Non era geloso – non
esattamente – ma si
sentiva in qualche modo svantaggiato. Svantaggiato in merito a cosa,
poi, non
lo sapeva nemmeno lui. O forse, più probabilmente, lo sapeva
ma non gli andava
di ammetterlo.
“Sai,
Kuu, stavo pensando…” disse BJ, leccando via
della marmellata dal croissant con la punta della lingua. “Ti
andrebbe di
uscire con me, una di queste sere?”
A
Bill andò di traverso il caffelatte che stava
bevendo e prese a tossire furiosamente. A Gustav accadde la medesima
cosa con
il caffè. La forchetta con cui Natalie stava sbocconcellando
la sua fetta di
torta alle fragole ricadde nel piatto, mentre Georg fu colto dal puro
sconcerto. La domanda, del resto, sembrava aver sorpreso parecchio
anche la
stessa Kuu, che stava occhieggiando BJ come per capire se stesse
dicendo
seriamente o meno.
“Che
c’è?” fece il ragazzo, perplesso di
fronte al
generale sconcerto che aveva provocato. “Cos’ho
detto?”
Aveva
questa sorta di ingenuità infantile, BJ. Bill
era seriamente convinto che l’amico non fosse affatto
consapevole del fascino
che esercitava sulle persone, o che perlomeno non lo fosse in modo
adeguato.
“Che
fine ha fatto quel ragazzo con cui uscivi qualche
tempo fa? Il nuotatore.” Gli domandò Gustav.
“Ah,
Dom. Lo trovavo un po’ troppo interessato al lato
fisico del nostro rapporto.” BJ si rivolse quindi a Kuu.
“Allora, che ne dici?”
Era
semplicemente ridicolo. Cosa c’entrava BJ con Kuu?
Erano due persone diametralmente opposte, non avevano assolutamente
nulla in
comune, se non una qual certa presenza scenica e una buona dose di
celebrità.
Ed entrambi facevano musica.
Ok,
forse qualcosa in comune ce l’hanno,
ammise Bill a malincuore.
Per
i suoi gusti, c’era fin troppa gente a ronzare
attorno a Kuu solo nel raggio di poche decine di metri: primo fra tutti
Kaaos,
il cui attaccamento verso di lei esuberava di gran lunga da quella che
si
sarebbe potuta definire una semplice amicizia; poi c’era
Gustav, che
misteriosamente aveva acquisito con lei una confidenza fondata su
nessuno
sapeva cosa, esattamente; e ancora Tom, che giocava con lei come due
bambini
avrebbero giocato a farsi il solletico solo per farsi una risata; e
adesso
arrivava anche BJ.
Il
problema che Bill aveva con tutto questo non era
ben identificabile. Gli dava fastidio che lei avesse intorno tutta
quella
gente, ma d’altro canto non poteva nemmeno definirla gelosia
vera e propria.
Che Kuu non gli dispiacesse come persona lo aveva capito già
durante quella
giornata di shopping insieme a lei, ma il tutto si fermava
lì. E c’era un
abissale differenza tra gradire la compagnia di qualcuno ed esserne
innamorato.
Probabilmente quello che più lo disturbava era che, una
volta tanto,
l’attenzione di una persona che lo aveva colpito non era
soggetta al suo quasi
esclusivo monopolio.
A
quanto pareva avrebbe dovuto farsene una ragione.
Peccato solo che nel vocabolario di Bill Kaulitz
l’espressione ‘farsene una
ragione’ non fosse contemplata. La risposta di Kuu alla
proposta di BJ, però,
sarebbe potuta essere un ottimo incentivo per iniziare a lavorarci
sopra.
“Mi
piacerebbe.”
Gli
occhi di BJ si illuminarono.
“Stupendo!
Fammi sapere tu quando preferisci.”
Bill
era allibito dalla disarmante disinvoltura con
cui BJ si rivolgeva a chiunque in merito a qualsiasi cosa. Non
possedeva
inibizioni di alcun tipo: parlava del sesso e della morte con la stessa
naturalezza con cui sapeva parlare del tempo; se qualcuno suscitava il
suo
interesse, non si faceva problemi a dirglielo in faccia e, viceversa,
quando
qualcuno non gli andava a genio, con tatto, lo metteva subito in
chiaro. Se in
lui esistessero filtri di diplomazia – ipocrisia?
– di qualunque tipo,
Bill non ne aveva mai intravisti, e per questo lo invidiava. Per chi si
trovava
in una posizione come la sua, l’assoluta schiettezza era un
lusso che non ci si
poteva permettere quasi mai.
Restò
chiuso in sé stesso per il resto della
colazione, lasciando agli altri il piacere di perdersi in chiacchiere e
lamentele lavorative. Tom e Vibeke stavano rientrando mano nella mano
come una
coppietta di ragazzini, quando solo una manciata di minuti prima tra
loro c’era
stata aria di tempesta; Georg aveva ripreso a discutere con Natalie di
figli e
scuole elementari; Gustav stava finendo in silenzio il suo
caffè, mentre Kuu e
BJ erano partiti per la tangente a parlare di pianoforti e musica
classica. Al
bancone Benjamin stava parlottando fittamente con Griet e il bodyguard
Luke e
di tanto in tanto scoppiavano in qualche risata discreta.
Erano
arrivati in Francia, dunque. Altre date alle
porte, altri giorni che se ne scivolavano via tutti uguali senza
portare nulla
di nuovo.
Qualche
volta a Bill, in momenti fragili, capitava di
chiedersi cosa sarebbe stato di lui, se non avesse avuto il successo
che lo
aveva condotto fin lì; se, in mancanza della realizzazione
di quello che era
sempre stato il suo sogno per eccellenza, avrebbe finito per
considerare la
propria vita un buco nell’acqua o magari avrebbe trovato il
modo di ricavarne
un successo diverso, un diverso senso di realizzazione.
Faceva
quasi paura, a volte, la consapevolezza che non
avrebbe mai più potuto scoprirlo.
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Note:
se avete
appena finito di leggere il capitolo qui sopra e state ora leggendo
queste note
è mio dovere rassicurarvi sul fatto che, no, non si tratta
di un’allucinazione.
Liberi di non crederci, ma così è: la vostra Mary
ha aggiornato. E non sono
passati tre mesi. Me lo merito un applausone? XD
Devo
prostrarmi in un inchino di devoto ringraziamento
a tutti voi che, come al solito, mi avete regalato tutti questi
commenti così
belli da leggere. Ormai lo sapete: le recensioni le considero un
po’ cibo per
lo spirito e l’ispirazione. E infatti, come avete potuto
notare, ho già
postato. Penso che adesso per colpa mia pioverà a dirotto
per mesi. XD
Un
sacco di gente mi chiedeva da un po’ un po’ di
attenzione per Tom e Vi e io vi dicevo di pazientare, perché
sareste stati
accontentati. Il momento è per l’appunto giunto, e
spero ne sia valsa la pena.
:)
Vi
lascio con un enorme bacio di massa e la solita,
amorevole speranza che, una volta finito di leggere, avrete anche la
pazienza
(ma soprattutto la sincera voglia) di lasciare qualche parola di
commento. ;)
Alla
prossima!