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Autore: _Princess_    16/09/2010    41 recensioni
La disarmava, questo era il fatto. La lasciava indifesa.
“Su, vuota il sacco.” Le intimò, senza alcuna pietà verso il suo essere così disperatamente persa in lui.
Kuu osò voltare il viso verso il suo, incontrando così i suoi occhi sorridenti, e il suo cuore saltò un battito.
Quegli occhi…
Non si sarebbe mai abituata alla loro imperscrutabile profondità, alla bellezza infinta che traspariva da quel suo sguardo mite, un misto di luci e ombre che faceva venire i brividi, che cancellava ogni capacità di respiro, di raziocinio.
Li amava, quegli occhi, così come amava l’anima che vi stava dietro.
Ed era orribile pensarci. Era orribile amare tanto qualcosa che non sarebbe mai stato alla sua portata, ed anche peggio era essere pienamente consapevole che non sarebbe mai riuscita a farsene una ragione.
[Sequel di The Truth Beneath The Rose]
Genere: Romantico, Malinconico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Heart Of Everything' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Kuu dormiva spesso insieme a Kaaos.

Fin da bambini – fin da quando lei riuscisse a ricordare – loro due si erano addormentati abbracciati e risvegliati abbracciati così tante volte che, in un modo o nell’altro, negli anni si era trasformato in una sorta di abitudine, quasi una necessità che però ormai da un pezzo suscitava perplessità in quei pochi che ne erano a conoscenza.

Non c’era niente di male in due bambini che dormivano insieme, ed era ancora tollerabile, tutto sommato, anche quando i due bambini diventavano ragazzini. Quando però i due, un lui e una lei, cresciuti simbioticamente gomito a gomito, continuavano a dormire insieme anche da adolescenti, la gente iniziava a farsi delle domande, e giustamente anche dei ragionevoli sospetti.

Non che ai loro genitori fosse mai importato granché. Da piccola, Kuu aveva passato forse più giornate a casa di Kaaos che alla propria. Sua madre, insegnate liceale di inglese, non aveva mai avuto molto tempo da dedicarle e il padre, con il suo negozio di articoli sportivi, era sempre stato più assente che presente. L’infanzia Kuu l’aveva trascorsa praticamente tutta assieme a Kaaos e a sua madre Vera, casalinga, amata e coccolata come una figlia, ma con la triste – e allora inconscia – consapevolezza di fondo che il posto più felice in cui si era mai trovata non era quello che sarebbe di norma dovuto essere.

Erano figli unici, lei e Kaaos, nati a due anni di distanza in due graziose villette a schiera adiacenti, e praticamente spinti dal destino l’uno verso l’altra. Forse fin troppo, pensava a volte lei, perché il legame tra loro due si era sviluppato in modo anomalo, morboso e ambiguo, tanto che infatti, ora che erano famosi, la Germania intera – e forse anche qualcuno oltreconfine – si chiedeva cosa ci fosse realmente tra loro due.

Kuu, dal canto suo, trovava difficile rispondere in modo credibile ed esaustivo alle domande invadenti dei media, perché la risposta sincera e reale a ogni loro ‘Cos’è Kaaos per te?’ nessuno la avrebbe mai potuta comprendere, tanto meno senza interpretarla nel modo sbagliato.

La verità era che Kaaos per Kuu, semplicemente, era tutto.

Lo era sempre stato, anche quando a scuola i suoi compagni lo prendevano in giro perché era amico della Rospa. Anche quando lei, da un paio d’anni a quella parte, aveva iniziato a trattarlo come uno zerbino, proprio a causa dell’eccessiva protettività che lui manifestava nei confronti di lei.

A Kuu i guinzagli non erano mai piaciuti.

Non era mai stata una persona sola: aveva avuto molti amici, anche se definirli tali era forse un po’ un azzardo. Conoscenti probabilmente sarebbe stato più appropriato. Ma, in ogni caso, la piccola Sascha Edelmond non si sarebbe potuta definire una bambina sola. Solo, a nessuno dei suoi amici avrebbe mai affidato la propria vita.

Come invece aveva letteralmente fatto con Kaaos.

Con Mathias.

Lui era il solo che non avesse mai, in ventidue anni che si conoscevano, dato in benché minimo segno di essere interessato all’aspetto di Kuu. Che fosse stata la bella bambina paffuta di un tempo, o l’adolescente bruttina, o la splendida giovane donna, Kaaos la aveva sempre guardata con gli stessi intensi, amorevoli occhi, ed erano occhi che non davano retta alla superficie, qualunque essa fosse.

Sotto quel punto di vista, Kuu non aveva mai avuto dubbi: Kaaos era la sola persona al mondo che l’avesse amata per quella che era, sempre, senza condizioni, anche dopo che lei si era trasformata in una statua di ghiaccio dal cuore arido. Tutto ciò che lui le chiedeva in cambio era un po’ d’amore, e non verso di lui, ma verso sé stessa. Cosa che lei, puntualmente, gli negava. Per quale motivo lui le rimanesse accanto anche se lei spesso e volentieri lo trattava con un giocattolo rotto, restava ancora un mistero. A lui non era mai importato nulla nemmeno della celebrità. Come molte altre cose, la sua scelta di darsi in pasto a telecamere e riflettori non era tanto dipesa da una reale ambizione alla fama, ma piuttosto dalla masochistica volontà di rimanere quotidianamente accanto a colei che da sempre era a tutti gli effetti la sua inseparabile metà.

Sentiva il calore del corpo di Kaaos accanto a sé, tra le lenzuola. Stavano stretti, lì, nella cuccetta del tourbus, ma lui non la mandava mai via quando lei, nel cuore della notte, andava a cercare quelle braccia che non le avevano mai negato protezione, in una vita intera. Era già mattina; avevano viaggiato tutta la notte e ormai non dovevano essere lontani da Lille. Il bus era immobile: probabilmente erano fermi in qualche area di servizio per una pausa per gli autisti. Kuu si alzò, facendo attenzione a non svegliare Kaaos, si infilò una felpa sopra la camicia da notte e, in punta di piedi, scese a dare un’occhiata. Erano in un autogrill e, a giudicare dalla luce, dovevano essere almeno le dieci. I due bus dei Tokio Hotel erano parcheggiati subito davanti al loro e le porte erano aperte. Vide Ebel che chiacchierava con uno degli autisti accanto a uno dei due, mentre ogni loro parola si condensava in dense nuvole di vapore. Doveva fare parecchio freddo.

Chissà se i ragazzi stanno ancora dormendo…

La risposta venne da sé: un attimo dopo che Kuu si fu posta quella domanda, dal primo bus sbucò Bill, infagottato in un vaporoso maglione di lana grigia, occhiali da sole calcati sul naso, rattrappito dal freddo nelle sue stesse braccia. Aveva un’aria piuttosto seccata, e subito dopo Kuu comprese il perché: Tom e Vibeke scesero dietro di lui, sbraitandosi contro l’un l’altra con discreta aggressività. Da dove si trovava, Kuu non riusciva a distinguere quello che si stavano dicendo, ma non le importava granché. Tom le piaceva: era un ragazzo simpatico e spesso si era intrattenuto a chiacchierare con lei, dimostrandole di essere ben lungi dalla persona elementare e superficiale di cui in pubblico amava vestire i panni. Ciò che non si spiegava era cosa lui ci facesse assieme a quella ragazza. Non si poteva dire che Vibeke fosse brutta – anzi – e sicuramente non era solo per il suo aspetto che Tom stava con lei, ma aveva un caratteraccio davvero insopportabile, permalosa e dal giudizio facile, e se poi quei due litigavano tanto – in ogni luogo e a ogni ora, a dispetto della tranquillità altrui – un perché ci doveva pur essere. Forse a Tom faceva comodo avere una ragazza sempre disponibile al proprio seguito, e questo avrebbe senz’altro spiegato perché avesse scelto proprio un membro dello staff della band come sua discutibile compagna.

Fra le altre cose, Vibeke mostrava spesso una seria mancanza di rispetto nei confronti di quello che osava definire il proprio ragazzo: innumerevoli volte Kuu la aveva vista con Bill praticamente spalmato addosso, a farsi coccolare come un gattino indifeso, senza contare, poi, i momenti in cui c’era Gustav nei paraggi. Quello, non solo per Kuu, ma anche per molti altri, per quel che aveva potuto notare, era un grande mistero: se con Tom Vibeke si dimostrava quasi sempre una vipera irritabile, con Gustav, al contrario, era un docile agnellino pieno di attenzioni. Anche davanti a tutti, Vibeke abbracciava Gustav, baciava Gustav, accarezzava Gustav, faceva un sacco di complimenti a Gustav, e gli diceva ‘Ti amo’ con la stessa frequenza con cui a Tom diceva ‘Vaffanculo’. Sicuramente c’era qualcosa che non andava.

Kuu aveva tentato di capirci qualcosa, studiando attentamente le interazioni tra Vibeke e i Tokio Hotel, e aveva tratto scarse conclusioni. L’unica cosa che aveva capito con certezza era che il rapporto più serio e maturo lo aveva con Georg, con il quale discuteva spesso in disparte di cose evidentemente personali e mai, che Kuu avesse visto, si permetteva di osare contatti fisici che andassero oltre una pacca amichevole o un abbraccio veloce. Poteva dipendere dal fatto che Georg fosse palesemente cotto e stracotto della sua Nicole e che per lui le altre ragazze erano a stento presenze degne di nota, ma lui era il solo verso cui Vibeke dimostrasse qualche pudore. Per il resto, a Kuu era incomprensibile come Tom potesse tollerare che la sua ragazza scambiasse certe tenerezze con il suo fratello gemello e uno dei suoi migliori amici.

Quando il gruppetto sparì dentro al bar, con Jost e un paio di bodyguard alle calcagna, Kuu si lasciò per un attimo allettare dalla prospettiva di tornare di sopra e rimettersi a letto, dato che comunque non aveva fame, ma poi arrivò Griet e la costrinse a cambiare idea.

“Scendi e sgranchisciti un po’ le gambe, ragazza mia. I Tokio Hotel sono tutti dentro a fare colazione, vatti a fare quattro chiacchiere con loro. Un po’ di socializzazione e quattro risate non possono farti che bene.”

Kuu non capì se alla fine decise di vestirsi e uscire per propria volontà o solo per mettere a tacere Griet. Si strinse la sciarpa al collo, scendendo, per schermarsi dall’aria gelida, e si diresse verso l’ingresso dell’autogrill. Quando entrò, scorse Georg, Tom e Vibeke già seduti a un tavolo con delle tazze di caffè fumante davanti e un vassoio di croissant; Bill e Gustav, invece, erano ancora al bancone a scegliere.

“Oh, ma guarda chi ci degna della sua regale presenza!” la salutò Bill, appena lei li raggiunse.

Kuu, gli occhi struccati protetti dalle lenti scure, abbozzò un mezzo sorriso.

“Un’altra battuta del genere e mi convincerai definitivamente a fare dietrofront e tornarmene a letto.”

“Ti vedo un po’ pallida,” intervenne Gustav, scrutandola attentamente. “Tutto bene?”

“Credo di non aver digerito bene quella strana insalata di ieri sera,” rispose lei, appoggiandosi una mano sullo stomaco.

“Allora ti serve un the caldo.”

“Era quello che avevo intenzione di prendere.”

“Ok,” fece Bill, e si rivolse alla barista. “A hot tea, please.”

Kuu si compiacque di quel piccolo gesto di galanteria.

“Offri tu?”

Bill sorrise.

“Spero che abbiano da cambiare un pezzo da cento.”

“Paga anche per me, allora, già che ci sei.” Disse Gustav, mentre la cameriera serviva loro le ordinazioni.

“Ok, ma la roba al tavolo me la porti tu.” Disse Bill. “Vedi, Kuu?” fece poi, scuotendo debolmente la testa. “Sono il piccolo del gruppo, ma è sempre tutto sulle mie spalle.”

“Ma se a momenti sulle tue spalle non ci sta nemmeno la tua borsa!” replicò Gustav con un sorriso sornione.

Bill ebbe un istante di tentennamento in cui sembrò che fosse lì lì per rispondere a tono, ma alle fine si arrese e, semplicemente, rise.

“Non lo sa fare il serio troppo a lungo.” Commentò Gustav, divertito, gli occhi a forma di mezzaluna sulla scia di un sorriso che rispecchiava perfettamente la risata di Bill.

Una piccola, timida parte di Kuu si ubriacava di quella scena così rara e preziosa, e ne faceva tesoro, perché ancora ricordava come, anni prima, il suo cuore aveva sognato un momento così in cui poter entrare, di cui poter far parte. Era quello, in fondo, che una fan dei Tokio Hotel sognava: un posto anche minuscolo ed effimero nella loro vita. E, no, Kuu non aveva dimenticato. Aveva solo premurosamente inscatolato le vecchie emozioni da ragazzina sognatrice e le aveva riposte su qualche scaffale buio e polveroso dentro di sé, ben sigillate e nascoste, ma mai dormienti, mai sopite. Era felice, adesso, e orgogliosa, di essere lì a condividere con loro un pezzo della loro storia, un pezzo di storia che a pieni diritti sarebbe stato anche suo.

Nella sua estrema difficoltà ad affezionarsi alle persone, Kuu, lentamente, stava iniziando a rendersi conto che – lei lo volesse o meno – quei ragazzi si erano inconsciamente messi a frugare dentro di lei, a strappare involucri, ad aprire sigilli, e quello che stavano riportando a galla si stava rapidamente facendo largo negli stretti spazi vuoti della sua anima.

***

“Io vorrei proprio capire che cos’hanno da ridere tanto, quei tre. No, sul serio: che cosa le staranno mai dicendo Bill e Gud? Guardala! È tutta sorrisini ammalianti e gesti languidi. Dio, quanto mi sta sul cazzo!”

Tom deglutì pazientemente, fingendo di non sentire. Fingeva sempre di non sentire, quando Vibeke era in vena di scenate di gelosia come quella. Da quando Kuu aveva dismesso gli attraenti panni della superba star capricciosa e aveva iniziato a dimostrare qualche umano interesse verso i Tokio Hotel, lui non riusciva più a sopportare Vibeke. Il problema, per giunta, non erano tanto gli sguardi provocanti che lui e la bella biondina si rivolgevano di tanto in tanto, per nient’altro che puro diletto, perché colei che era solita presentarsi come la sua ragazza non si curava minimamente di quel dettaglio. E il problema non era nemmeno Georg, dato che fin da subito lui e Kuu avevano arbitrariamente deciso di non potersi vicendevolmente soffrire. Il problema vero e proprio erano i due soggetti a cui Kuu sembrava maggiormente interessata, i quali peraltro ricambiavano apertamente l’interesse, e ciò, in nessun caso, poteva essere considerato una buona cosa, a maggior ragione se di mezzo c’era una Vibeke Wolner gelosa come una iena.

“Insomma, voglio dire… Ci sta che a Bill interessi. Sono due dive viziate, amano i vestiti, amano farsi vedere… E lui è notoriamente attratto da tutte le belle cose che luccicano. Ma Gud?! Me lo spiegate cosa diamine ci trova Gud in quella?”

Georg alzò lo sguardo e lo portò su Tom con un’infinita compassione. Tom ricambiò indolente, masticando senza gusto la sua brioche. Lui poteva anche fare finta di niente, ma le sue orecchie, volenti o nolenti, recepivano la seccatissima invettiva di Vibeke, e intanto i suoi nervi vibravano pericolosamente. Tollerava che Bill le si strusciasse addosso in cerca di coccole perché sapeva che non c’era altro che quello. Vibeke, in fondo, faceva sempre un po’ da mamma a Bill e Tom conosceva il proprio fratello abbastanza bene da avere la certezza che lui in lei non vedesse altro che, appunto, una via di mezzo tra un’amica e una figura materna alternativa.

Con Gustav la faccenda era nettamente diversa.

Vibeke, in ogni possibile senso, adorava Gustav. Provava per lui una sorta di venerazione innata, che comprendeva il suo aspetto, la sua personalità, i suoi atteggiamenti, il suo modo di suonare, e persino i suoi difetti, per lei, erano degni di lode. E c’era quella scintilla di amore puro nei suoi occhi quando lo guardava che aveva spesso fatto sentire Tom come un banale elemento di tappezzeria, perché quella scintilla, per lui, negli occhi di Vibeke non c’era mai stata.

“E poi – dai, diciamolo – lei è troppo insipida. Gud si merita una ragazza degna di lui, che valga davvero qualcosa. Non se ne fa niente di una bambolina di porcellana che dentro è vuota.”

Tom deglutì a fatica, e tacque ancora.

“Hagen, tu che sei un uomo serio, dimmi: che cosa ci si può trovare di davvero affascinante in una ragazza come quella?”

“Niente.” Rispose Georg, asciutto, con la bocca mezza piena. “È solo bella e consapevole di esserlo. Per il resto, è tutta scenografia posticcia.”

“Appunto!” convenne Vibeke, concitata. “Per questo non riesco proprio a capacitarmi di come un ragazzo straordinario come Gud possa lasciarsi abbindolare da una sciacquetta come quella.”

Quella. Non chiamava mai Kuu per nome. Diceva ‘quella’, come se si fosse trattato di un oggetto in mostra su uno scaffale.

“Sarà anche brava a cantare, ma ci vuole ben di più per meritarsi uno come Gud. Lui non –”

“Hai intenzione di andare avanti ancora per molto?” sbottò Tom a quel punto, gettando rabbiosamente il croissant nel piatto. “No, perché se è così, dillo, almeno mi sposto ed evito di farmi rimanere la colazione sullo stomaco.”

Vibeke sgranò gli occhi, scioccata. Georg, saggiamente, decise di chiudersi fuori dalla questione.

“Di cosa diamine vai blaterando?”

“Non lo so, Vi, di cosa diavolo hai blaterato, tu, da cinque minuti a questa parte?”

Ma per lei era tutto ok. Era normale che una ragazza parlasse con tanto ardore e trasporto di uno che non era il suo ragazzo. Ma per Tom no.

“Vaffaculo, Vi.”

Furibondo, si passò frettolosamente il tovagliolo sulle labbra, lo sbatté sul tavolo e si alzò, abbandonando la colazione a metà per poi andarsene in malo modo. Uscì a lunghi passi pesanti e nervosi, e respirò quasi con sollievo l’aria fredda. Gli occhi gli bruciavano dalla rabbia e la gola gli doleva per le troppe parole che vi aveva lasciato incastrate. Sentiva il sangue pulsargli violento nelle orecchie e in ogni singolo capillare, fomentando la sua irritazione. Era ridicolo che per colpa di Vibeke fosse addirittura arrivato a detestare, in certi momenti, un amico fraterno come Gustav.

“Ma che ti è preso, si può sapere?”

Tom non si voltò. Il tono spazientito di Vibeke gli diede ancora più sui nervi.

“Vi, levati dai coglioni, o stavolta va a finire male.” La avvertì, gelido come il vento che tirava.

Ma lei non era famosa per il suo buonsenso, né per la sua inclinazione a dar retta a ciò che le si diceva, pertanto non solo non se ne andò, ma ebbe anche l’ardire di avvicinarsi. Tom si sentì appoggiare una mano sulla spalla in un esplicito invito a voltarsi.

“Kaulitz.” Ora la voce di Vibeke era più morbida, e addirittura sembrava divertita. “Non te la sarai mica presa sul serio?”

Tom si sottrasse al suo tocco con un brusco strattone. Fissava il cielo grigio con rancore, vietandosi di guardarla per non esplodere.

“Dai, non fare lo scemo, su…”

“Tu non ne hai idea, cazzo,” Sibilò Tom a denti stretti. “Non hai idea di quanto mi sta sul cazzo quando fai così!”

Una piccola pausa silenziosa gli disse che Vibeke non aveva previsto una reazione del genere.

“Ti sei offeso davvero…” si meravigliò infatti.

Tom si girò bruscamente, facendola trasalire.

“Sì, Vi, mi sono offeso!” sbraitò. “Come sempre, del resto! Non che a te freghi qualcosa di come mi fai sentire, poi, vero?”

“Non dire stronzate!” strillò lei, più acuta del normale.

“No, è vero!” insisté lui. Ormai il freno era tolto e non sarebbe più riuscito a fermarsi. “Non te ne frega mai un cazzo di me, quello che penso io non conta! Come se non esistessi! Gustav ti piace così tanto? Va bene! Mettiti con lui, allora! Fai quel cazzo che ti pare! Ma almeno piantiamola con questa ipocrisia di stare insieme!”

Vibeke era una statua di sale, bianca in viso e completamente immobile. Sembrava che non stesse nemmeno respirando.

“Tu sei fuori di testa!” esclamò infine, con un evidente sforzo di non ridere. “Come fai a farti anche solo venire in mente delle stronzate del genere?”

“Non è una stronzata, Vi, è la verità nuda e cruda! Io e te siamo male assortiti: non facciamo che litigare, e le poche volte che non litighiamo è quando stiamo facendo sesso! Oppure litighiamo mentre facciamo sesso, o facciamo sesso mentre litighiamo. Non è così che dovrebbe essere. Non funzioniamo.”

Tom si sentì male nel sentirsi pronunciare quelle parole che a stento era consapevole di aver spesso pensato. Ebbe il terrore che, ora che glielo aveva urlato in faccia, anche Vibeke avrebbe capito che era tutto sbagliato.

“Dimmi che non pensi veramente il mucchio di cazzate che hai appena detto.” Lo pregò invece lei. “Kaulitz,” lo costrinse a guardarla. “Voglio che tu punti i tuoi maledetti occhioni cerbiattoni dritti nei miei e mi dica che non è vero che pensi tutta quella roba ridicola. Ho bisogno che tu mi dica che non sei idiota fino a questo punto.”

Tom abbassò lo sguardo, impotente. Lo pensava? Non lo pensava? Faceva qualche differenza?

“Ok.” Le mani di Vibeke si adagiarono dolcemente sul suo viso, guidandolo a risollevarsi perché lui tornasse a guardarla negli occhi. Tom si ritrovò a pensare che quegli occhi erano il primissimo ricordo che aveva di lei, la prima cosa che avesse notato. “Come puoi essere così ingenuo da credere seriamente che io possa desiderare qualcuno che non sia tu? Come puoi – come? – essere così deplorevolmente scemo?”

Qualcosa si sciolse in Tom, come se qualche catena che gli aveva costretto i polmoni in una morsa feroce e soffocante si fosse improvvisamente dissolta, permettendogli di tornare a respirare.

“Io ti adoro, Kaulitz. Con ogni mia singola cellula, io ti adoro, e così tanto che certe volte me ne vergogno, perché non è possibile che un essere umano provi sentimenti così forti e sinceri nei confronti di un altro essere umano. A volte mi viene da vomitare da quanto sono satura di te, eppure non ne ho mai abbastanza: ti cerco, ti inseguo, mi ubriaco ancora e ancora di quell’assurdo profumo di casa che hai. E, sì, io amo Gud. Lo amo da morire e lo trovo una persona molto migliore di te, francamente.”

Tom aggrottò la fronte e fece per protestare, ma lei lo precedette.

“È più maturo di te. Più professionale, più sveglio, più sciuro di sé… Eppure, guarda un po’, non è di lui che mi sono…”

Ancora frastornato dalla lunghezza e dall’inimmaginabile calore di quel discorso, Tom quasi non si era accorto del punto a cui erano arrivati. Il suo preferito. Il tasto dolente di Vibeke.

“Dai, dillo.” La stuzzicò, sogghignando, mentre dietro a quell’atteggiamento spavaldo tutto il resto di lui si crogiolava beato nella splendida sensazione di sentirsi insostituibilmente importante.

Vibeke arrossì, imbronciandosi.

“Che fai? Ridi, adesso?”

“Sì che rido. Ti imbarazza confessarmi che sei perdutamente innamorata di me.”

“Non è vero!”

“Dillo, allora.”

Lei si corrucciò ancora di più, stringendo le labbra combattuta.

“Sei un bell’ingrato. E un gran bastardo.”

“Dillo, Vi.” Si impuntò lui. Le prese le mani e, dal viso, gliele fece poggiare sulle proprie spalle, per poi avvolgerle la vita con le braccia. “Dai, ti prego. Lo voglio sentire.”

Vibeke si morse il labbro, lì dove si intravedeva uno dei due minuscoli fori lasciati dall’assenza dei piercing, una delle tante cose a cui lei teneva molto e a cui aveva rinunciato per lui. Lo guardò negli occhi. Esitò.

“Ti avverto che questa me la paghi, prima o poi.”

Poi, tutto d’un fiato, lo accontentò:

“Io, Vibeke V. Wokner, sono fottutamente innamorata di te, Tom Kaulitz.”

E proprio in quel momento, quando entrambi scoppiarono a ridere, Tom si rese conte che effettivamente, tutto considerato, aveva ragione lei: era un emerito idiota.

***

Ogni giorno che passava, Bill vedeva Kuu farsi sempre più vicina al comune concetto di persona noto alla maggior parte della gente. Della fastidiosa diva presuntuosa iniziale stava cominciando a rimanere ormai solo un velo superficiale, o forse era lui che aveva capito come guardare al di sotto di esso. Qualunque fosse il caso, una cosa era certa: era una ragazza molto meno sgradevole di quello che si era immaginato.

Osservandola mescolare il limone nel suo the, Bill si domandava quanto di lei ci fosse ancora da imparare.

Aveva trovato buffo che anche lei si fosse categoricamente rifiutata di togliersi gli occhiali da sole per mangiare, presumibilmente per lo stesso motivo per cui si era rifiutato di toglierli lui: niente trucco a nascondere occhiaie e stanchezza. Non che questo la rendesse meno attraente. Bill aveva anzi la netta sensazione che il potere di Kuu di far voltare la gente al proprio passaggio fosse innato, trucco o non trucco. Anche in quello, si somigliavano molto.

Erano seduti al tavolo con Georg, il quale aveva accolto l’arrivo di Kuu con un’occhiataccia che avrebbe incenerito un blocco di metallo. Lei lo aveva elegantemente ignorato e si era accomodata all’angolo del lato opposto del tavolo, di modo che ci fossero Bill e Gustav a dividerla da Georg. Poco dopo si era aggiunta anche Natalie, che fortunatamente andava molto d’accordo con Kuu; si erano scambiate qualche parola di saluto e poi Natalie aveva iniziato a chiedere a Georg di come stesse andando Emily a scuola, e così si erano ovviate spiacevoli tensioni. Tom e Vibeke invece erano spariti, e preferiva non sapere cosa stessero facendo.

Gustav e Kuu, nel frattempo, avevano intavolato una noiosissima conversazione su quello che avevano visto a Praga il giorno prima. Probabilmente, si disse Bill, erano cose che aveva visto anche lui, gironzolando assieme a BJ, ma non ne era nemmeno consapevole. Non gli interessava granché di monumenti e opere d’arte: si era goduto una serata di quelle in grado di rigenerare uno spirito logorato da settimane intere di stress ed era grato all’amico di avergliela regalata. BJ era una persona talmente solare e piena di vita che finiva sempre per contagiare irrimediabilmente chi gli stava attorno.

“Hei, mennesker! God morgen!” (“Ciao, gente! Buongiorno!”)

Come se si fosse sentito chiamato dai pensieri di Bill, BJ era apparso magicamente accanto al tavolo e sorrideva raggiante a tutti i presenti. Il suo sguardo, prevedibilmente, cadde immediatamente su Kuu, e il modo in cui indugiò su di lei comunicò un esplicito e notevole interesse.

“Kuu,” disse, in un tono così educato e suadente che avrebbe conquistato chiunque. Le porse la mano con un sorriso gentile. “Finalmente ho il piacere di conoscerti di persona. Sono BJ, il fratello di Vibeke.”

Kuu gli strinse la mano, visibilmente colpita, senza staccargli gli occhi di dosso.

“DJ Djevel,” annuì, restituendo il sorriso. “Il piacere è mio.”

Bill conosceva BJ da abbastanza tempo da sapere che per lui suscitare reazioni di quel genere era ordinaria amministrazione, che si trattasse di donne o di uomini. Doveva essersi fatto la doccia da poco, perché emanava un intenso profumo di muschio bianco e alcune ciocche dei lunghi capelli biondi erano umide.

“Su, prendi una sedia!” lo invitò Natalie, che, come tutte le altre donne dell’entourage, provava un’autentica venerazione per lui.

BJ non fece complimenti e si unì a loro. Gli offrirono una brioche, che lui accettò volentieri.

“Ho sentito che anche voi due siete stati in giro per Praga, ieri.” Disse, rivolto a Kuu e Gustav.

“Sì,” rispose Gustav, prendendo un sorso di caffè. “È stata una bella giornata.”

“Molto bella.” convenne Kuu, intercettando i suoi occhi. Si sorrisero.

Bill trattenne una smorfia. Era bastata una giornata, a quei due, per fare comunella. Non era geloso – non esattamente – ma si sentiva in qualche modo svantaggiato. Svantaggiato in merito a cosa, poi, non lo sapeva nemmeno lui. O forse, più probabilmente, lo sapeva ma non gli andava di ammetterlo.

“Sai, Kuu, stavo pensando…” disse BJ, leccando via della marmellata dal croissant con la punta della lingua. “Ti andrebbe di uscire con me, una di queste sere?”

A Bill andò di traverso il caffelatte che stava bevendo e prese a tossire furiosamente. A Gustav accadde la medesima cosa con il caffè. La forchetta con cui Natalie stava sbocconcellando la sua fetta di torta alle fragole ricadde nel piatto, mentre Georg fu colto dal puro sconcerto. La domanda, del resto, sembrava aver sorpreso parecchio anche la stessa Kuu, che stava occhieggiando BJ come per capire se stesse dicendo seriamente o meno.

“Che c’è?” fece il ragazzo, perplesso di fronte al generale sconcerto che aveva provocato. “Cos’ho detto?”

Aveva questa sorta di ingenuità infantile, BJ. Bill era seriamente convinto che l’amico non fosse affatto consapevole del fascino che esercitava sulle persone, o che perlomeno non lo fosse in modo adeguato.

“Che fine ha fatto quel ragazzo con cui uscivi qualche tempo fa? Il nuotatore.” Gli domandò Gustav.

“Ah, Dom. Lo trovavo un po’ troppo interessato al lato fisico del nostro rapporto.” BJ si rivolse quindi a Kuu. “Allora, che ne dici?”

Era semplicemente ridicolo. Cosa c’entrava BJ con Kuu? Erano due persone diametralmente opposte, non avevano assolutamente nulla in comune, se non una qual certa presenza scenica e una buona dose di celebrità. Ed entrambi facevano musica.

Ok, forse qualcosa in comune ce l’hanno, ammise Bill a malincuore.

Per i suoi gusti, c’era fin troppa gente a ronzare attorno a Kuu solo nel raggio di poche decine di metri: primo fra tutti Kaaos, il cui attaccamento verso di lei esuberava di gran lunga da quella che si sarebbe potuta definire una semplice amicizia; poi c’era Gustav, che misteriosamente aveva acquisito con lei una confidenza fondata su nessuno sapeva cosa, esattamente; e ancora Tom, che giocava con lei come due bambini avrebbero giocato a farsi il solletico solo per farsi una risata; e adesso arrivava anche BJ.

Il problema che Bill aveva con tutto questo non era ben identificabile. Gli dava fastidio che lei avesse intorno tutta quella gente, ma d’altro canto non poteva nemmeno definirla gelosia vera e propria. Che Kuu non gli dispiacesse come persona lo aveva capito già durante quella giornata di shopping insieme a lei, ma il tutto si fermava lì. E c’era un abissale differenza tra gradire la compagnia di qualcuno ed esserne innamorato. Probabilmente quello che più lo disturbava era che, una volta tanto, l’attenzione di una persona che lo aveva colpito non era soggetta al suo quasi esclusivo monopolio.

A quanto pareva avrebbe dovuto farsene una ragione. Peccato solo che nel vocabolario di Bill Kaulitz l’espressione ‘farsene una ragione’ non fosse contemplata. La risposta di Kuu alla proposta di BJ, però, sarebbe potuta essere un ottimo incentivo per iniziare a lavorarci sopra.

“Mi piacerebbe.”

Gli occhi di BJ si illuminarono.

“Stupendo! Fammi sapere tu quando preferisci.”

Bill era allibito dalla disarmante disinvoltura con cui BJ si rivolgeva a chiunque in merito a qualsiasi cosa. Non possedeva inibizioni di alcun tipo: parlava del sesso e della morte con la stessa naturalezza con cui sapeva parlare del tempo; se qualcuno suscitava il suo interesse, non si faceva problemi a dirglielo in faccia e, viceversa, quando qualcuno non gli andava a genio, con tatto, lo metteva subito in chiaro. Se in lui esistessero filtri di diplomazia – ipocrisia? – di qualunque tipo, Bill non ne aveva mai intravisti, e per questo lo invidiava. Per chi si trovava in una posizione come la sua, l’assoluta schiettezza era un lusso che non ci si poteva permettere quasi mai.

Restò chiuso in sé stesso per il resto della colazione, lasciando agli altri il piacere di perdersi in chiacchiere e lamentele lavorative. Tom e Vibeke stavano rientrando mano nella mano come una coppietta di ragazzini, quando solo una manciata di minuti prima tra loro c’era stata aria di tempesta; Georg aveva ripreso a discutere con Natalie di figli e scuole elementari; Gustav stava finendo in silenzio il suo caffè, mentre Kuu e BJ erano partiti per la tangente a parlare di pianoforti e musica classica. Al bancone Benjamin stava parlottando fittamente con Griet e il bodyguard Luke e di tanto in tanto scoppiavano in qualche risata discreta.

Erano arrivati in Francia, dunque. Altre date alle porte, altri giorni che se ne scivolavano via tutti uguali senza portare nulla di nuovo.

Qualche volta a Bill, in momenti fragili, capitava di chiedersi cosa sarebbe stato di lui, se non avesse avuto il successo che lo aveva condotto fin lì; se, in mancanza della realizzazione di quello che era sempre stato il suo sogno per eccellenza, avrebbe finito per considerare la propria vita un buco nell’acqua o magari avrebbe trovato il modo di ricavarne un successo diverso, un diverso senso di realizzazione.

Faceva quasi paura, a volte, la consapevolezza che non avrebbe mai più potuto scoprirlo.

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Note: se avete appena finito di leggere il capitolo qui sopra e state ora leggendo queste note è mio dovere rassicurarvi sul fatto che, no, non si tratta di un’allucinazione. Liberi di non crederci, ma così è: la vostra Mary ha aggiornato. E non sono passati tre mesi. Me lo merito un applausone? XD

Devo prostrarmi in un inchino di devoto ringraziamento a tutti voi che, come al solito, mi avete regalato tutti questi commenti così belli da leggere. Ormai lo sapete: le recensioni le considero un po’ cibo per lo spirito e l’ispirazione. E infatti, come avete potuto notare, ho già postato. Penso che adesso per colpa mia pioverà a dirotto per mesi. XD

Un sacco di gente mi chiedeva da un po’ un po’ di attenzione per Tom e Vi e io vi dicevo di pazientare, perché sareste stati accontentati. Il momento è per l’appunto giunto, e spero ne sia valsa la pena. :)

Vi lascio con un enorme bacio di massa e la solita, amorevole speranza che, una volta finito di leggere, avrete anche la pazienza (ma soprattutto la sincera voglia) di lasciare qualche parola di commento. ;)

Alla prossima!

 

p class="MsoNormal">P.S. siccome qualcuno mi ha detto che non si è nemmeno accorto che esisteva, vi comunico che ho un'altra ff in corso, HOW TO SAVE A LIFE, che sarà piccina piccina e decisamente incentrata sul personaggio di Tom (mi ispira, che ci devo fare? XD). Se passate anche di lì, ovviamente mi faree felice. ;)
   
 
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